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Un insulto, mai termine fu più proprio.
Molta contraddittorietà e poco coraggio. Nel merito il contributo di solidarietà andava mantenuto per tutti. Per quanto riguarda le Pensioni,era equo togliere dal conteggio contributivo sia il servizio militare che gli anni universitari. Le province andavano subito cancellate. Si doveva dare l esempio dimezzando tutte le indennità amministrative a qualunque livello,statale,regionale,comunale. Sperando di riuscire a postare un saluto a tutti e al pres. Casini
Pier Ferdinando Casini (UDC): Manovra, da governo un insulto agli italiani TG2 31.08.11
[VIDEO]-> http://youtu.be/5GJGb5lkvNc?hd=1
Pier Ferdinando Casini (UDC): Manovra, da governo un insulto agli italiani TG1 31.08.11
[VIDEO]-> http://youtu.be/emb1W9o6WpQ?hd=1
Casini (UDC): Legge elettorale, referendum errore,Consulta lo boccerà. Anticipare norme su pensioni
[VIDEO INTERVISTA]–> http://youtu.be/lArHH0e_FZI?hd=1
Un vero statista avrebbe,già da tempo,dovuto parlare con chiarezza al suo paese.Per tre anni il Parlamento della Repubblica é stato espropriato per parlare e discutere di leggi ad personam..Ora in un clima parossistico e si vorrebbero assumere le gravi decisioni che andavano prese da parecchio tempo.mentre la casa bruciava,si andava a caccia di farfalle sotto l’arco di Tito.Non dicano che non si vogliono mettere le mani nelle tasche degli Italiani perché così scioccamente era stato promesso in una visione liberista dell’economia.Bruciarsi i ponti dietro alle spalle é generalmente sciocco,non da buon stratega.Ma tant’é…A costoro, figli improvvisati del liberismo, l’esperienza scientifica di J.M.Keynes non ha insegnato nulla,alla ricerca, vana, di uno stato sottile che non deve interessarsi di svantaggiati,di ammalati ecc…Eppure la nostra società ha ancora in se i valori fondanti della solidarietà,della accettazione della diversità e della sua ricchezza.Sono certo che il paese .chiamato ad uno sforzo di TUTTI é ancora in grado di affrontare il momento grave,difettano purtroppo nella maggioranza le capacità di comunicare e dialogare con il paese,rilevata l’arroganza che ha caratterizzato la sua azione politica fino a ieri.Sempre liberi e forti
1. L’italia è chiaramente sull’orlo del baratro più profondo e non certo da ieri. Nessuna manovra può essere utile a cambiare le cose, se non a peggiorarle ulteriormente e creare paura, terrorismo, incertezza, fuga di capitali.
Orami non si produce praticamente più nulla. Persino la grossa distribuzione e le griffe più famose sono tutte, ormai, in mano ai francesi.
Il sud campa di impiego pubblico, assistenzialismo, delinquenza e lavoro nero.
L’Italia è il paese degli immigrati. Non è ne un bene ne un male, ma la stragrande maggioranza di loro, quel poco che guadagna, lo manda all’estero alle famiglie e non viene speso qui.
Poi c’è l’elusione fiscale, le scatole cinesi, dove le società con sede legale in Italia perdono sempre e per tutta la vita e si creano illegalmente capitali all’estero.
Poi c’è la politica, la peggiore che abbiamo mai avuto. Intrallazzatori attaccati ale sedie, goderecci anzicheno, con le sim dei telefoni pieni di numeri di escort e subrette a caccia di comparsate in tv…. pessimo esempio per tutti. Proprio i vertici danno il peggio di se. Un presidente della repubblica ripetitivo e ovvio alla noia, che percepisce chissà quante pensioni .. e per dare il buon esempio rinuncia, bontà sua, all’adeguamento Istat !!!!.
Poi ci sono i nostri figli, ai quali nessun pensa. Bè, se sono femmine, giovani e carine, qualcuno ci pensa, altrimenti proprio no.
Certo abbiamo un bel paese, per ora. Il turismo va ancora, ma anche qui, chi può, si comporta male con gli stranieri, che non sono tutti fessi e prima o poi si stuferannno di essere spennati. Ci salva la cucina, il buon vino, il bel clima, ma è un po’ poco.
Infine rimane l’artigianato, la piccola industria che tira la carretta dando un po’ di lavoro, i piccoli imprenditori, i liberi professionisti. Ma molti per salvarsi, cercano in tutti i modi di pagare meno tasse possibile. Non si spiegherebbe altrimenti perchè ci sono migliaia di grosse barche nei porti italiani ed esteri, ferrari, maserati e porsche a gogò, etc.. ma solo un un pugno di persone che dichiara oltre i 150.000 Euro di reddito annui !! O sono tutti dei gran risparmiatori o sono protetti da leggi ingiuste.
Infine c’è l’edilizia. Da sempre motore di traino della economia. Un tempo monopolizzata da Friulani, Veneti, Piemontesi con manodopera del sud. Anche qui però sta cambiando tutto da una decina di anni a questa parte.. Ormai, almeno nel nord Italia la piccola edilizia è in mano ai Rumeni, che sono buoni lavoratori ed anche capaci. Ieri erano semplici dipendenti, oggi imprenditori, con connazionali alle dipendenze. Non lavorano certo gratis, ma molti di loro sperano di tornare prima o poi al loro paese, dove hanno famiglie e radici e quindi i loro risparmi finiscono in buona parte là. Questo è un grosso problema. La ricchezza prodotta, legalmente o meno, prende la via dell’estero ed i nostri piccoli esercizi commerciali agonizzano. Proprio quelli che un tempo non lontano erano i maggiori risparmiatori e davano ossigeno alla economia. Campa la grossa distribuzione, ma per ben altri motivi, più politici che commerciali.
A cosa serve ad esempio aumentare ancora l’età pensionabile, quando le aziende espellono dal mondo del lavoro chi ha più di 50/55 anni usufruendo di incentivi, cassa integrazione mobilità, etc.., solo a creare problemi alle persone. Non sarebbe meglio regolamentare meglio questa materia e smetterla con il terrorismo psicologico ? Molti, pur avendone i requisiti, continuerebbero comunque su base volontaria a lavorare, ove possibile e anche con piccoli incentivi.
Suggerirei che sarebbe molto più utile tagliare direttamente le teste dei parlamentari, piuttosto che ridurre loro solo gli stipendi, le pensioni ed i benefit…
2. Drastico, ma produttivo ed efficace. E poi non ci sarebbe paura di sbagliare, perchè destra, sinistra o centro si colpisce sempre bene !
Un grazie ai governi degli anni sessanta che hanno fatto dell’assistenzialismo per clientelismo la loro ragione di vita. dando ad esempio pensioni ai 38 enni dopo 14 anni e meno di lavoro od invalidità a chiunque.
3. Forse c’è lo siamo dimenticati, ma nasce tutto da lì, grazie Andreotti e compagnia ….
Vorrei sentire altre opinioni in merito alle mie riflessioni e sopratutto proposte…… per i nostri figli. Io non ho ricette, sono troppo deluso dal modo in cui abbiamo ridotto il nostro bel paese, anche sotto l’aspetto morale e non solo economico. Temo anche che, sentendo mille voci che girano, non potrà che peggiorare ancora.
ecco un link dove ognuno di noi può sapere quando potrebbe andare in pensione con la attuale legge.
http://www.irpef.info/pensionequando.html
Questo dopo le riforme Dini(del 1995), Amato, Maroni, Prodi, Tremonti, etc… degli ultimi 10 anni. E’ poi ci sono autorevoli opinionisti (di parte) che ci dicono che solo in Italia le pensioni sono tabù e non si possono toccare.
Faccio solo presente che prima delle suddette riforme si andava in pensione di anzianità con 35 anni di lavoro, indipendentemete dalla età anagrafica e calcolo con sistema retributivo. Così hanno fatto tutti i miei conoscenti, parenti e amici con pochi anni più di me. Poi a partire dall’anno di nascita 1952, esclusi quelli che avevano iniziato a lavorare a 15 anni, sono arrivate le riforme e la pensione è sparita, specie per i lavoratori autonomi, che non si capisce perchè debbano godere di ottima salute e longevità …. se vogliono sperare di diventare “pensionati”. Ce da aspettarsi ancora di peggio ??. Si teme di si…. svegliatevi italiani !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
a proposito di nuovi tagli di cui la confindustria si fa portavoce…………..d’accordo UDC ed altri ancora, leggo e riporto :
ANCORA RIFORMA DELLE PENSIONI ?
Pressioni nazionali ed internazionali sul nostro sistema previdenziale
di Bruno Bellocchio *
Quante insistenze, pressioni, lobbies chiedono di nuovamente intervenire sul sistema pensionistico italiano.
Quanta irritazione provocano le loro affermazioni, specialmente se volte ad assimilare la previdenza alla spesa sociale.
Ma procediamo con ordine. Non è corretto considerare spesa sociale quella sostenuta per pagare le pensioni. Infatti, queste ultime vengono erogate in base al versamento di cospicui contributi (l’Italia – vedansi tabelle ufficiali peraltro di recente pubblicate anche su vari quotidiani – è terza in Europa per l’alta percentuale dell’aliquota contributiva applicata, pari al 32,70% delle retribuzioni percepite) e la spesa pensionistica altro non è se non la rendita corrispondente ai capitali versati. La spesa sociale, invece, è quella a carico della fiscalità generale, appositamente stanziata per dare soluzione a problemi sociali di portata generale o comunque rientranti nel concetto di interesse pubblico diffuso e di solidarietà verso i meno fortunati.
Si dice che le pensioni in corso assorbono risorse maggiori rispetto al volume dei contributi conferiti. Il dato è veritiero in parte perché nasconde l’anomalia che ha generato questo squilibrio: in Italia non è mai avvenuta la netta separazione tra previdenza ed assistenza. Quindi, lo sbilancio finanziario è stato determinato dal costo dell’assistenza nei confronti di varie categorie di lavoratori le quali, pur non avendo versato i necessari contributi, gravano sul sistema pensionistico in misura analoga alle categorie che hanno conferito tutto, fino all’ultima lira (oggi euro). Diversamente non si capirebbe la ragion per la quale categorie privilegiate (per esempio quella dei giornalisti, della Banca d’Italia, dipendenti di Camera e Senato, ecc.) hanno scelto di restare fuori dal sistema pubblico generale.
Ma non è tutto; le risorse originariamente ricevute dagli enti previdenziali per pagare le pensioni sono state utilizzate anche per finanziarie la cassa integrazione guadagni, ordinaria e speciale – ovvero “assistenza pura” al sistema delle grandi imprese italiane” – che vi ha attinto a piene mani, rinunciando perché incapace o perché furbo ad attrezzarsi per competere sui mercati internazionali (FIAT- Auto docet!).
D’altra parte, con un sistema previdenziale tutto privatizzato (Assicurazioni) – invece che pubblico – modifiche al contratto pensionistico stipulato, per potere corrispondere rendite inferiori a quelle pattuite, non sarebbero state praticabili o avrebbero generato risarcimenti e penali per inadempienza contrattuale a carico delle stesse imprese assicuratrici.
Lo Stato, con la previdenza pubblica, non deve a maggior ragione (l’ha fatto con Amato, Ciampi, Dini, D’Alema) violare ripetutamente i diritti acquisiti dei lavoratori o dei suoi eredi, né deve impunemente ridurre “la rendita”, cioè la pensione, maturata dai lavoratori in base alle condizioni in precedenza convenute.
I dati della tabella sottoposti all’attenzione dei lettori – per tornare all’aspetto concernenti le pressioni esercitate per pervenire ad un’ ulteriore riforma pensionistica – dimostra, altresì, quanto diversi siano i sistemi pensionistici europei e come sia errato “fare di tutta l’erba una minestra”.
Dietro le richieste del Governatore della banca d’Italia, del Fondo monetario internazionale, della Banca europea, dell’UE e del Presidente della Confidustria Italiana si celano evidentemente altri interessi. A mio parere, pesano molto le ambizioni speculative e finanziarie di lobbies che hanno già operato negli Usa e finanche in Sud America (Cile di Pinochet, Perù, ecc.), con esiti poco lusinghieri per la stabilità sociale ed economica di quei Paesi, già prima non solide.
Da un’eventuale nuova riduzione delle rendite pensionistiche guadagnerebbero benefici solo le imprese assicuratrici o le imprese associate a Fondi, chiusi o aperti, intenzionate a raschiare le risorse accantonate, previo il prelievo di contributi specifici a carico dei lavoratori, e destinate all’erogazione del TFR .
La Confindustria da parte sua spinge perché spera di inserirsi con le imprese ad essa associate interessate al business della previdenza integrativa (tantissimi miliardi di euro annui) e, soprattutto, perché mira a “scippare” parte dell’attuale salario ai lavoratori.
La stessa organizzazione difatti non fa mistero di volere ridurre il costo del lavoro mediante il taglio netto dei cosiddetti “oneri sociali”, rappresentati questi dai contributi per la previdenza a carico delle imprese. Inoltre, considera erroneamente delle imprese tali risorse finanziarie – così come nei fatti ha sempre considerato gli accantonamenti TFR – che invece come le pensioni sono “salario differito” (più volte è stato chiarito dalla Corte Costituzionale). Sindacati seri, se si chiedesse loro di modificare il sistema dei contributi previdenziali, dovrebbero ribellarsi o chiedere di trasformare quelle somme in salario attuale in caso dei tagli delle aliquote oggi trattenute dalle imprese. Invece, anche i sindacati – intanto organizzatosi con compagnie italiane e straniere per gestire la previdenza integrativa – nei fatti si calano nell’operazione e offrono spiragli di compromesso sull’utilizzo del TFR, spiragli che comportano la partecipazione ad ampie fette della torta ma non tutelano gli interessi veri dei lavoratori che gli stessi sindacati dicono di voler difendere.
Lo squilibrio finanziario del sistema pensionistico (poi nemmeno tanto grave) – più volte è stato detto e sottoposto all’attenzione di tutte le parti politiche – può essere risolto con semplici accorgimenti; senza toccare le tasche di nessuno, senza fare gli interessi di pochi – anzi attivando un meccanismo di prolungamento volontario del lavoro, creando un accantonamento per cancellare i tagli alla reversibilità introdotti da D’Alema, per contribuire a risolvere le pensioni d’annata e per finanziare la decontribuzione temporanea utile a stimolare le nuove assunzioni – con un patto generazionale ampio (quaranta annualità oppure permanente) e condiviso.
Si tratta di circa 300.000 miliardi di vecchie lire recuperabili in 30 anni, di cui 50.000 miliardi subito, mediante un indolore accantonamento di parte dei contributi già versati (una annualità) che verrebbe restituita, sottoforma di rendita aggiuntiva al trattamento pensionistico liquidato sulla base degli altri contributi versati, al maturare del 70 anno di età. Circa centomila pensionandi prolungherebbero ogni anno, a partire dall’introduzione del meccanismo, la loro attività lavorativa per mantenere il trattamento prima spettante ovvero sceglierebbero di farselo ridurre, per la quota corrispondente ad una annualità di contribuzione, solo fino al compimento del 68°/70° anno. Subito si incasserebbe anche un beneficio strutturale di settemila/diecimila miliardi di lire, per capirsi. Mentre gli accantonamenti potrebbero essere allocati in quote d’investimento per le grandi opere pubbliche.
Alla Confindustria dovrebbe essere sufficiente la decontribuzione ed alle imprese assicuratrici, oltre al mercato della previdenza volontaria, alimentata anche con parte minima del TFR, dovrebbero essere sufficienti i profitti per possibili polizze di riassicurazione sui suddetti sinteticamente descritti accantonamenti.
E, allora, perché non si sottopone all’opinione pubblica ed ai lavorati questa opzione? Non vorremmo scoprire un giorno che i parlamentari si sono sentiti fatalmente attratti dal mondo delle assicurazioni e dei gestori di fondi (oramai in mano anche ad alcune grandi centrali sindacali), magari nella speranza di ottenere riconoscenti e cospicui contributi per le proprie campagne elettorali!
*Segretario generale aggiunto
Sindacato dei dirigenti e funzionari pubblici
Dirstat/Confedir