Tutti i post della categoria: Economia

PNRR: Per non sprecare i fondi serve un armistizio tra destra e sinistra

postato il 3 Aprile 2023

Appello per salvare i miliardi Ue: governo e opposizione depongano le armi

L’intervista di Paola Di Caro pubblicata sul Corriere della Sera

Ha fatto incontrare in pubblico per la prima volta il ministro Fitto (FdI) e il commissario europeo Gentiloni (Pd) per la presentazione del suo libro «C’era una volta la politica». E siccome Pier Ferdinando Casini nella politica crede ancora, il suo è un vero appello a maggioranza e opposizione: depongano le armi almeno su un tema così cruciale come il Pnrr e collaborino perché quei «miliardi di fondi pubblici» non vengano persi o sprecati: «Sarebbe mettere un fardello pesantissimo sulle spalle delle prossime generazioni. È necessario un patto per evitarlo».

Lei sa bene quanto oggi i rapporti siano tesi tra maggioranza e opposizione…

«È comprensibile. C’è una maggioranza che rischia il delirio di onnipotenza, avendo vinto in modo nettissimo e potendo ragionevolmente governare per 5 anni; e c’è un’opposizione divisa ma con nuove leadership, soprattutto quella di Elly Schlein».

E come si fa una tregua?

«Si fa se si pensa che non si è mai vista dopo il piano Marshall una tale quantità di fondi pubblici messi a disposizione di un Paese che nelle ultime decadi è cresciuto molto meno degli altri e ha l’assoluta necessità di farlo».

In cosa dovrebbe consistere questa sorta di armistizio?

«Intanto non vanno esportate a Bruxelles le risse politiche nazionali. E non serve rimpallarsi reciprocamente le responsabilità dei problemi».

Ma davvero non si possono stabilire meriti e demeriti su questo terreno?

«Io credo che sia Conte che Draghi abbiano ottenuto risultati molto importanti, ma con onestà va detto che oggi se al posto del governo Meloni ce ne fosse un altro avrebbe gli stessi problemi, che dipendono dall’ apparato della Pubblica amministrazione e dalla desertificazione delle competenze. Non è un caso che l’unica opera pubblica fatta in tempi velocissimi sia stata il Ponte Morandi a Genova, perché in deroga».

Ma una tregua non sarebbe utile solo al governo?

«Sarebbe utile al governo, ma lo sarebbe soprattutto all’Italia. E le forze di opposizione che si propongono di creare un’alleanza di governo non possono pensare solo di andare in piazza sfruttando le gaffes della maggioranza ed evitando di affrontare nodi così importanti».

A cosa pensa concretamente?

«Il governo dovrebbe lasciare da parte la presunzione di poter fare tutto da solo e l’opposizione la demagogia, e per questo serve un patto di natura politica. Poi ne serve uno istituzionale tra Regioni ed enti locali da una parte e Stato centrale dall’altra, perché le materie interfacciano tanti soggetti».

E quale sarebbe la sede del confronto?

«Il Parlamento, che oggi vedo purtroppo marginalizzato: si ratificano decreti legge — pochi —, si votano mozioni — troppe — e si moltiplicano commissioni di inchiesta che dovrebbero essere strumento straordinario e invece sembrano servire più a tenere occupati i parlamentari che a raggiungere verità».

Ma mentre lei lancia l’appello, è scontro su tutto: ultimo caso quello La Russa sulle Fosse Ardeatine, contro il quale Schlein ha già annunciato mobilitazione.

«Su La Russa, essendo stato presidente di un ramo del Parlamento, so quali siano le difficoltà e non gliene aggiungo altre: d’altra parte, che si sia scusato la dice lunga sull’errore che ha fatto… Su Schlein, capisco che un segretario così di rottura voglia cavalcare il movimentismo, ci sta. Ma bisogna scegliere i terreni sui quali l’una e l’altra parte possono battersi. E il Pnrr non deve essere tra questi, se si vuole fare il bene del Paese».

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Banche: altra commissione? Partiamo da proposte dell’ultima, finora rimaste lettera morta

postato il 21 Dicembre 2019

L’intervista a cura di Luca Gualtieri, pubblicata su Milano Finanza

Anche se il crack della Popolare di Bari ha riportato il credito al centro dell’agenda politica, oggi non c’è alcun bisogno di una nuova Commissione Banche. Semmai la politica dovrebbe rompere gli indugi e legiferare sulle materie individuate dalla precedente commissione, dalle misure a contrasto delle porte girevoli ai controlli più stringenti sulle competenze dei board. Proposte rimaste finora lettera morta. Pierferdinando Casini ha accolto con forte scetticismo l’iniziativa del nuovo governo e non ha dubbi nel rispedire al mittente le bordate contro Banca d’Italia. «Mi pare di sentire lo stesso spartito suonato due anni fa», taglia corto l’ex presidente della Camera che, tra il 2017 e il 2018, ha presieduto la prima commissione d’inchiesta sulle banche.

Casini, c’è bisogno di una nuova commissione banche in questo momento?

Mi chiedo: questa proliferazione di commissioni di inchiesta ha una qualche utilità per il sistema istituzionale italiano? Evidentemente no, soprattutto perché le commissioni di inchiesta sono uno strumento da maneggiare con estrema cura e rigore: il loro abuso rischia di trasmettere un’immagine distorta dei problemi e quindi di amplificare le crisi. Oggi vedo un uso molto disinvolto dello strumento, spesso piegato dai partiti a pure finalità elettorali in barba al rigore di altri paesi come il Regno Unito.

Le sembra che il caso Popolare di Bari offra qualche elemento di novità rispetto alle crisi esaminate dalla scorsa Commissione?

Questa crisi rispecchia le precedenti per modalità e dinamiche. Semmai la domanda che mi pongo è un’altra: negli ultimi due anni cosa ha fatto la classe politica per tradurre in legge le conclusioni serie e articolate raggiunte dalla precedente Commissione d’inchiesta? Mi pare molto poco. Evidentemente, al di là degli interessi elettoralistici, ai partiti non interessa intervenire per prevenire alla radice l’insorgere delle crisi.

Insomma, le conclusioni della vostra Commissione sono rimaste lettera morta?

Mi pare di sì. L’unico provvedimento preso è stato il protocollo d’intesa tra la Banca d’Italia e la Consob in materia di servizi e attività di investimento e di gestione collettiva del risparmio. Una misura importante, come ha riconosciuto l’ex presidente di Consob Massimo Nava. Sul resto c’è ancora moltissimo da fare per la classe politica.

Eppure la Commissione elaborò molte ipotesi di intervento. Ce ne vuole ricordare alcune?

Le conclusioni sono state molteplici. Tra le principali menzionerei l’attribuzione di maggiori poteri investigativi a Bankitalia, le misure a contrasto delle porte girevoli tra vigilanti e vigilati, i controlli più stringenti sulle competenze dei board, i maggiori presidi sui conflitti di interesse, la nuova fattispecie di truffa ai danni del mercato, la semplificazione dei prospetti informativi, la promozione dell’educazione finanziaria e l’idea di una super procura finanziaria. [Continua a leggere]

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L’intervento al convegno “Economia e società nel pensiero di Emilio Rubbi”

postato il 16 Luglio 2019

A Bologna con il Presidente della Repubblica nel ricordo del grande amico Millo Rubbi

La parabola umana e politica di Emilio Rubbi è iscritta profondamente nella storia della comunità bolognese e nazionale. La cerimonia odierna testimonia di un legame ancora vitale, che non ha perso nulla della sua forza originaria.
Se coltivare la memoria ed essere gelosi delle nostre radici migliori ha ancora un senso, ciò è testimoniato oggi dalla presenza, nella sede della nostra Fondazione, del Presidente della Repubblica, interprete saggio e lungimirante dell’unità della nostra Nazione. Con lui abbiamo condiviso un sentimento di familiarità e di amicizia, con Millo: la sensibilità personale del suo gesto è più eloquente delle mie parole. Per quanto mi riguarda aggiungo nei confronti di Rubbi una profonda gratitudine per come ha saputo essermi vicino nei primi anni della mia esperienza politica.
A distanza di 19 anni dalla sua scomparsa, possiamo vedere ora con chiarezza la linea di continuità che unisce le tappe del suo percorso: in tutti i prestigiosi incarichi che ha ricoperto ha sempre saputo coniugare un appassionato e leale impegno civile a una grande competenza tecnica nel settore finanziario e industriale mettendoli al servizio delle Istituzioni e della sua città.
Formatosi nell’Azione Cattolica bolognese e dal punto di vista scientifico nell’Università di Bologna, egli iniziò il suo impegno civile e la sua storia pubblica nel ’56, con l’esperienza politica di Dossetti fino a diventare – grazie alla stima personale di Paolo VI – amministratore dell’Azione Cattolica nazionale, a fianco di un’altra straordinaria figura del laicato cattolico italiano, Vittorio Bachelet.

Rubbi è appartenuto a quella generazione che ha portato emiliano romagnoli di grande spessore, cultura e passione civile ai vertici della politica italiana.
Per lunghi anni fu collaboratore di Angelo Salizzoni, fedele sottosegretario di Aldo Moro di cui Rubbi fu sempre un leale sostenitore. Da subito emerse per la solidità delle sue convinzioni, la lucidità dei suoi interventi, la limpida concretezza delle sue iniziative. In Parlamento lo ricordiamo accanto a colleghi prestigiosi come Nino Andreatta, Giovanni Bersani, Virginangelo Marabini e Giancarlo Tesini, che voglio salutare qui come socio della nostra Fondazione. Non mancando di ricordare che tra i suoi giovanissimi colleghi, nei primi anni ’80, figurava anche l’attuale presidente dell’ABI, Antonio Patuelli. [Continua a leggere]

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Vi spiego i danni del populismo su politica estera e banche

postato il 11 Aprile 2019

“Abbiamo un governo di dilettanti allo sbaraglio”. E sulla commissione d’inchiesta: “E’ l’antimafia bancaria”

Il colloquio con David Allegranti pubblicato su Il Foglio

Pier Ferdinando Casini è sufficientemente esperto per passare con dimestichezza, nel corso di una conversazione, dalla politica estera agli affari interni senza perdere il passo. Intanto partiamo dalla politica estera del governo gialloverde, vero tallone d’Achille insieme all’economia, con una premessa: “La politica estera oggi non è più come prima, un comparto esterno, una proiezione disarticolata rispetto a quel che accade all’interno di un paese. Politica estera e politica interna sono la stessa cosa. Il mondo è più complesso e meno rassicurante rispetto a 20 anni fa. Fino agli anni Novanta c’era un sistema che andava in automatico, con la caduta del Muro di Berlino siamo entrati in una fase complessa. Oggi abbiamo da un lato un gigante dai piedi d’argilla come la Russia, che in termini militari cerca di governare il vuoto nel Mediterraneo lasciato dagli Stati Uniti (anche per la loro mutata condizione energetica) e recupera una sua imperialità che aveva perso da Eltsin in poi. Dall’altro c’è la sfida cinese, la principale”.
I cinesi, con la loro “one belt one road”,sottolinea Casini, “stanno lanciando un’Opa amichevole sul mondo. Sono tornati con una base militare in Africa, a Gibuti, come non facevano da tempo. Hanno messo le fiches su alcuni paesi deboli, europei, come la Grecia, vedi l’acquisizione del porto del Pireo. Oggi in Africa e in Europa hanno un peso crescente”. Il mondo è diventato più complesso, insomma, per molte ragioni. Ecco, in questo contesto “noi abbiamo un’amministrazione politica di dilettanti alio sbaraglio. Dopo i primi mesi sono diventati un po’ più riflessivi, ma all’ inizio sono stati disarmanti nel loro pressappochismo”. Per dire, “nel finale della scorsa legislatura qualcuno dei 5 stelle propose Maduro come mediatore in Libia. Ed è di poche settimane fa la conferenza di Palermo, un’esibizione imbarazzante di velleitarismo”.
L’elenco delle fragilità italiane è dunque lungo e tutto questo “fa sì che gli americani siano profondamente irritati con la nostra amministrazione. Siamo l’unico Paese occidentale che sul Venezuela si è schierato dalla parte della Russia e della Cina. Non meravigliamoci poi se li rivediamo reimbarcarsi in Libia e dire goodbye”. Anche in Europa non andiamo granché, dice Casini, perché “siamo totalmente irrilevanti. Abbiamo polemizzato con tutti, dimostrandoci inaffidabili. Francia e Germania, nel frattempo, vanno avanti da sole e se c’è da portare qualcuno al tavolo vedrete che il convitato sarà la Spagna, non l’Italia. Ci siamo dimostrati ridicoli nel corso della trattativa sulla legge di Stabilità. Siamo partiti lancia in resta salvo poi piagnucolare nelle anticamere di Juncker”. [Continua a leggere]

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«L’inchiesta sulle banche? Mette in pericolo il sistema»

postato il 31 Marzo 2019

A rischio l’erogazione del credito

L’intervista di Antonio Troise pubblicata su QN
«Non mi piace fare la Cassandra, ma non mi ero sbagliato quando non votai la Commissione di inchiesta sulle banche. Ho proprio la stessa sensazione: ci stiamo complicando la vita da soli. In un’economia in pre-recessione tutto questo è autolesionista». Pier Ferdinando Casini, ex presidente della Camera e a capo della Commissione di inchiesta sul credito nell’ultima legislatura, non nasconde le sue preoccupazioni. E il suo disappunto: «Ho sempre pensato che le commissioni d’inchiesta più si moltiplicano e più sono inutili. O, nella peggiore ipotesi, possono diventare la cassa di risonanza di strumentalizzazioni politiche».

Anche lei ne ha guidata una. Pentito?
«Devo dire che è stata la cosa più difficile che ho fatto da quando sono entrato in politica».

E perché?
«Ho fatto i salti mortali per evitare che diventasse la sede parallela della campagna elettorale. Devo dire, però, che sono soddisfatto. Il nostro lavoro è stato apprezzato anche dai risparmiatori».

Serviva proprio una nuova Commissione d’inchiesta sulle banche?
«La situazione è completamente diversa. La Commissione che ho presieduto doveva indagare solo su episodi specifici. Ora, invece, si indagherà a 360 gradi su tutte le banche, senza tenere conto che ci sono leggi italiane ed europee che tutelano l’autonomia e la segretezza dei dati sensibili. Con i poteri di autorità giudiziaria, si può entrare ovunque. Ma a quale scopo?».

Ed è un male?
«Il problema è che oggi le banche sono sottoposte alla vigilanza europea, si sono messe in regola, si sono capitalizzate. Sono un pilastro della nostra economia. Se non rispettiamo le regole, si può solo compromettere l’integrità del sistema e l’erogazione del credito all’economia reale».

Cosa teme?
«Non serve un commissariamento né è ammissibile un’interferenza sulle autorità autorità indipendenti che devono vigilare sul settore, dalla Banca d’Italia alla Consob fino all’Isvap».

Ma se è così, quali sono i veri obiettivi?
«Non riesco a capirli. A meno che non si voglia creare un gigantesco diversivo per arrivare alle elezioni anticipate e precostituirsi un alibi per la campagna elettorale…».

Sia sincero: la Commissione che ha presieduto ha davvero fatto chiarezza?
«Le nostre conclusioni sono state apprezzate anche dal presidente della Consob che, nell’ultima assemblea annuale, ha ringraziato la Commissione perché il suo lavoro ha accelerato la firma del protocollo di intesa con la Banca d’Italia. Non avevamo certo la bacchetta magica…».

Ha fatto bene Mattarella dare il via libera alla Commissione voluta da Lega e M5s?
«Il Presidente ha fatto una cosa importante, dando una nuova apertura di credito alla maggioranza e dimostrando di rispettare chi ha vinto le elezioni».

Che cosa possono fare, ora, i presidenti di Camera e Senato?
«Non possono fare molto più di una moral suasion. L’importante è che usino bene i poteri loro assegnati all’atto dell’individuazione dei singoli commissari».

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Commissione banche: Spero che i parlamentari non debordino dal mandato

postato il 30 Marzo 2019

Ineccepibile la lettera del Presidente Mattarella. Il sistema bancario italiano è una risorsa preziosa per il Paese; c’è anche il pericolo che venga calpestato il ruolo di terzietà della Banca d’Italia e delle altre autorità garanti 

L’intervista di Roberto Giovannini, pubblicata su La Stampa

«Mi chiede se questa Commissione può trasformarsi in una bomba istituzionale ed economica? Non mi faccia parlare… dico solo che oggi, con tutti i problemi che abbiamo, non vedo proprio l’esigenza di crearne di nuovi. Per questo sarebbe auspicabile una riflessione dei gruppi parlamentari. Del resto, consapevole dei rischi potenziali, io votai contro la legge istitutiva di questa Commissione».
Parla Pier Ferdinando Casini, senatore, ex presidente della Camera e presidente della Commissione d’inchiesta sulle banche istituita alla fine della scorsa legislatura.
Casini, che ne pensa della lettera del presidente Mattarella su questa nuova Commissione d’inchiesta?
«È ineccepibile. La Commissione che ho presieduto partiva da fatti di corruzione all’attenzione della magistratura che avevano coinvolto sette banche ben precise e i loro risparmiatori coinvolti. Noi non potevamo sindacare la gestione di Intesa piuttosto che di Unicredit. Ora, invece, c’è l’intenzione di creare una Commissione con un potere di vigilanza permanente rispetto all’autonomia degli istituti bancari, che è sancita da leggi europee e leggi nazionali. Un potere che può calpestare lo stesso ruolo di terzietà della Banca d’Italia e delle altre autorità garanti. Nella lettera di Mattarella, dunque, è specificato bene quel che dovrebbe fare questa Commissione e ciò che non può fare. Perché sono in ballo questioni che riguardano gli assetti legislativi, la necessità di non interferire rispetto all’autonomia di gestione degli istituti di credito».
Problemi certo molto delicati…
«Problemi centrali per una democrazia liberale: i politici sono terminali di interessi legittimi, ma le banche ad esempio sono vincolate sul segreto bancario, l’erogazione del credito e altro ancora. Non è possibile che una Commissione senza un campo di azione delimitato possa agire in base a una presunzione di colpevolezza dell’intero sistema bancario».
La lettera del Capo dello Stato è chiara, ma è un fatto che la nuova Commissione avrà amplissimi poteri, e potrebbe operare anche al di là dei limiti richiamati nella missiva, spedita ai presidenti delle Camere.
«L’unica garanzia, purtroppo, è affidata alla moral suasion dei presidenti delle Camere, che dovrebbero intervenire nel caso che all’ordine del giorno dei lavori della Commissione venissero posti temi impropri o sconfinanti. Ma il meccanismo è fragile».
Le pongo la domanda in quanto presidente emerito della Camera: concretamente, cosa possono fare Fico e Alberti Casellati se i limiti indicati dal Capo dello Stato venissero violati?
«Una volta istituita e insediata, una Commissione d’inchiesta si rapporta con le istituzioni esterne autonomamente, al punto di poter sollevare un conflitto di attribuzione davanti alla Corte Costituzionale su decisioni della Magistratura. E quindi c’è solo la moral suasion».
Dunque, se ad esempio fosse convocato Mario Draghi, o l’ad di una banca importante al centro di un’operazione di mercato?
«Una Commissione d’inchiesta ha ampi poteri. Nel caso di Draghi, finché è presidente della Bce, c’è da rispettare la normativa internazionale che ne estende le prerogative in modo forte. Ma un banchiere certamente deve presentarsi».
E stanti così le cose è fondato il timore di potenziali clamorosi conflitti istituzionali, politici ed anche economico-finanziari?
«Spero con tutto il cuore che la lettera di Mattarella non susciti polemiche, ma riflessioni. C’è un grande bisogno di riflettere approfonditamente: il sistema bancario italiano è una risorsa preziosa per il Paese. E i primi che dovrebbero esserne consapevoli sono le autorità politiche di maggioranza. Non dimentichiamo che negli “stress test” europei sulla solidità patrimoniale le banche italiane escono bene, tengono nonostante una precaria situazione economica e sociale. Sarebbe molto meglio evitare di destabilizzare questo sistema, con tutti i gravi rischi del caso»

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Banche: nella relazione finale anche le lacune della vigilanza

postato il 12 Gennaio 2018

L’intervista di Carmelo Lopapa, pubblicata su La Repubblica

Attività, indagini e documenti della commissione d’inchiesta banca sono già finite nel pieno vortice della campagna elettorale, era prevedibile. Ha una exit strategy, presidente Pier Ferdinando Casini?
«Nulla di nuovo sotto il sole, purtroppo. Mi auguro solo che le indagini della magistratura dimostrino che la fuga di notizie sull’ultimo caso esploso non proviene dalla nostra commissione. Io ho fornito al procuratore di Roma Giuseppe Pignatone gli elementi che mi sono stati richiesti per l’individuazione dei responsabili, in uno spirito di collaborazione istituzionale».
Ecco, a proposito dell’ultimo caso. Pensate di occuparvi nella relazione finale della vicenda della telefonata tra Renzi e De Benedetti?
«Sia chiaro che noi non siamo i magistrati. La nostra è un’inchiesta parlamentare. Io non mi sono arruolato in magistratura con concorso pubblico. E in questo paese la cosa peggiore è che in troppi si arrogano il diritto di fare il lavoro degli altri con poco rispetto delle procedure».
La vicenda è rilevante o no? La riaprirete in commissione?
«La Consob ha avuto gli incartamenti, ha esaminato e archiviato il caso. La Procura della Repubblica ha richiesto l’archiviazione. Vedremo cosa farà il gup. Ma la nostra commissione parlamentare di inchiesta non ha il compito di sanzionare eventuale reati. Non fa il lavoro dei magistrati».
E il caso Banca Etruria? Il ruolo del governo nella vicenda?
«Noi abbiamo ascoltato il dottor Federico Ghizzoni perché c’era l’esigenza politica sollevata da gruppi di opposizione di fare chiarezza. E la maggioranza della commissione ha ritenuto di accettare perché non avevamo santuari da proteggere. Ma l’impatto dell’audizione dell’ex amministratore delegato di Unicredit sul lavoro della commissione d’inchiesta è stato pari a zero».
Sarà stato pari a zero, ma il presunto interessamento della sottosegretaria Boschi su Etruria ha monopolizzato l’attenzione per giorni.
«Ma è stato condizionato tutto dalla campagna elettorale nel frattempo avviata dalle forze politiche. Il mio compito è stato quello di tenere la commissione al riparo dalla tempesta politica».
A onor del vero non è che ci sia riuscito del tutto.
«I miracoli non sono riuscito ancora a farli. So solo che a inizio lavori, a settembre, dissi ai miei collaboratori: qui non si riuscirà a fare più di tre riunioni. Quel che è avvenuto in seguito ha smentito le mie previsioni più funeste».
Resta il fatto che adesso dovrete produrre una relazione e invece ce ne saranno tre o quattro distinte. Nessun accordo. Ognuno proverà a stilare il suo manifesto elettorale attaccando gli avversari sulla gestione delle banche.
«Io non ho alcuna possibilità di imporre diktat o contenuti alle relazioni, esiste la piena autodisciplina delle forze politiche sulle conclusioni. Certo, c’è una procedura da rispettare».
E cosa prevede la procedura?
«La relazione va votata nella sua interezza. Non è un testo normativo da emendare. Gli uffici del Senato hanno fornito indicazioni chiare: si possono proporre modifiche o aggiunte ma il testo va salvaguardato nella sua interezza. Contiamo di chiudere al più entro i primi di febbraio».
Pensa davvero di riuscirci? Una sola?
«La proposta che io formalizzerò sarà quella di approvare una relazione unica, consentendo di allegare poi i documenti dei gruppi politici con le rispettive proposte e conclusioni, purché sottoscritti da un numero minimo di parlamentari. Ma ripeto: una relazione approvata ci vuole».
E se non ci fosse maggioranza per approvarne una?
«Allora da presidente proporrei una sorta di riassunto delle attività compiute e lo invierei ai presidenti di Camera e Senato. Ipotesi minimale, senza proposta di modifica normativa. Sarebbe la peggiore delle ipotesi».
Finirà così?
«Le due grandi forze di opposizione, Fi e M5S, vanno solo ringraziate per il lavoro compiuto. Il vicepresidente Renato Brunetta per la correttezza, così i colleghi dei Cinque stelle».
Cosa conterrà la relazione?
«Intanto una premessa ricognitiva. Quindi, l’analisi di ciò che si è verificato in questi anni nel sistema bancario e le diverse tipologie di interventi fatti su istituti in difficolta: Mps, le due venete e le banche andate in crisi come Etruria. Poi ci sarà tutto un capitolo sulla valutazione del sistema di vigilanza».
Una delle noti più dolenti.
«È chiaro che faremo delle proposte in ordine all’obbligo di informazione tra le autorità di vigilanza, Banca d’Italia e Consob, finora lacunoso. E al potenziamento del ruolo di controllo di Bankitalia. Sull’altro handicap, quello delle cosiddette porte girevoli, proporremo l’estensione del divieto di passaggio da una posizione di controllore a quella di controllato».
Sulla mancanza di un sistema sanzionatorio adeguato, come lamentato da tanti, cosa proporrete?
«La terza parte della relazione conterrà le proposte sulle fattispecie penali rivelatesi lacunose. Sarà sottolineata la necessità di specializzare nuclei di magistrati da impiegare sui reati finanziari. Attraverso procure distrettuali o addirittura con la creazione di una super procura. E non mi dilungo oltre sulle fattispecie che suggeriremo al legislatore di perfezionare, come l’aggiotaggio informativo e manipolativo o la procedibilità d’ufficio in caso di infedeltà patrimoniale, oggi perseguibile solo a querela di parte».
Chiusa l’inchiesta banche, farà anche lei campagna elettorale e per chi?
«Darò una mano, anche due, a Beatrice Lorenzin, che con Civica popolare sarà la testimonial del buon governo di cui l’Italia ha beneficiato in questi anni con Letta, Renzi e Gentiloni».
Non teme la destra in vantaggio nei sondaggi?
«Mi fa paura la strumentalizzazione e la demagogia. Sono stato tra i pochi senatori che hanno votato per lo Ius soli e dico che quando ci si divide anche sui diritti umani, la barbarie è destinata a prevalere».
Dunque, Pier Ferdinando Casini sarà ancora una volta candidato?
«Sono disponibile a fare la mia parte come ho sempre fatto. Oggi la cosa più semplice sarebbe la diserzione, quella più impegnativa è dare il proprio contributo. Io lo darò, perché non vinca l’incompetenza e la demagogia».

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Banche: nessun boomerang per il Pd

postato il 31 Dicembre 2017

Ma sulla Boschi caccia alla donna
L’intervista di Alessia Gozzi pubblicata su Quotidiano nazionale

 

UN MIRACOLO. E una fatica fisica. Il presidente della Commissione d’inchiesta sulle banche, Pier Ferdinando Casini, tira le somme dei due mesi di lavoro e annuncia le terapie per il futuro: vigilanza più efficace, procure specializzate, paletti alle porte girevoli e più tutele ai risparmiatori.
Anche lei, come il premier Gentiloni, ha accolto con sollievo la fine delle audizioni?
«L’ho accolta con sollievo perché ho fatto una fatica fisica molto intensa a presiedere per decine di ore la Commissione».
Ha provato in tutti i modi a tenere la campagna elettorale fuori dai lavori: missione impossibile, che le è valso l’appellativo di pompiere.
«L’appellativo non mi offende, anche perché in un clima incendiario un pompiere serve. Ero conscio dei rischi politici e sono stato il primo a farmene carico. Alla luce delle premesse, le cose sono andate meglio di quanto avessi immaginato, qualche commissario è stato più scalmanato di altri, ma il clima è stato buono».
Qualcuno sostiene che la Commissione sia stata poco utile…
«Non spetta a me dire se sia stata utile. Le cose si potevano fare meglio, ma non in queste condizioni, sarebbe servito un anno di tempo senza le elezioni alle porte».
L’ultima settimana è stata incendiata dal caso Boschi-Etruria. Che idea si è fatto?
«L’idea che ci sia stata una caccia all’uomo, in questo caso alla donna. Boschi ha pagato a posteriori il fatto che padre è stato vice presidente di Banca Etruria, ma, da Ghizzoni a Visco, tutti hanno detto che da lei non ci furono pressioni».
Dal punto di vista politico, la Commissione è stata un boomerang per il Pd?
«Non credo. Il Pd si era impegnato a dimostrare che sulle banche la vigilanza non ha funzionato e, al netto del caso Boschi che ha impatto zero sulle crisi bancarie, quando il governatore Visco ammette che ‘sulle banche venete potevamo essere più svegli’, beh…».
Un’ammissione di colpevolezza?
«L’onesta consapevolezza che Bankitalia deve affinare le modalità di controllo e la comunicazione con Consob».
Difficilmente dalla Commissione uscirà un documento unitario, quali saranno i punti fermi?
«Un documento unitario sarebbe stato impossibile in ogni caso, a me interessa che ci sia un’ampia parte del documento votata da maggioranza e opposizione. Sono emersi due elementi fondamentali: la crisi economica, che ha messo in ginocchio l’industria riflettendosi sulle banche, e le scorciatoie prese da manager senza scrupoli per salvare le banche stesse come il collocamento di prodotti rischiosi, prestiti facili, finanziamenti baciati e comportamenti fraudolenti».
Terapie per il futuro?
«Servono maggiore fluidità e tempestività nei controlli, procure specializzate sui reati finanziari e norme di incompatibilità per gli ex controllori che vanno a lavorare negli istituti vigilati. Senza dimenticare i risparmiatori raggirati, alcuni sono stati rimborsati ma nella prossima legislatura si può fare qualcosa di più. Infine, l’educazione finanziaria, dove siamo fanalino di coda in Europa».
Condivide la proposta di commissione d’inchiesta bis nella prossima legislatura?
«In una democrazia le commissioni di inchiesta sono come le aspirine, bisogna prenderne il meno possibile. La prossima legislatura potrà attuare le proposte che usciranno da questa Commissione».
A proposito di elezioni, Beatrice Lorenzin sarà il volto del centrismo che appoggia il Pd: quale è il senso di questa scelta?
«È una donna giovane che ha fatto bene come ministro. Ha tutte le carte in regola per parlare agli italiani e chiamare a raccolta i tanti popolari e centristi con un messaggio chiaro: la strada non è quella populista della Lega, i governi Letta, Renzi e Gentiloni hanno lavorato bene e bisogna continuare in questa direzione».

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Banche: «Pompiere in commissione? Evitare gli incendi è un lavoro serio»

postato il 23 Dicembre 2017

L’intervista di Lorenzo Salvia pubblicata sul Corriere della Sera

Presidente Casini, lei era contrario alla commissione d’inchiesta sulle banche e per questo non partecipò al voto sulla sua istituzione. Ora che i lavori sono finiti ha cambiato idea?
«I rischi da me paventati si sono dimostrati profetici: le ventate della campagna elettorale sono entrate prepotentemente in commissione».

Quindi sarebbe stato meglio non farla?
«Molto dipende dalle indicazioni che riusciremo a dare al legislatore con la relazione finale. Credo che alcuni temi siano già scolpiti nella pietra: l’opportunità di creare una magistratura specializzata in materia finanziaria, l’eccessiva pluralità di organismi vigilanti e autorità che emanano normative nel settore, una comunicazione più trasparente tra banche e clienti e, soprattutto, un rapporto più fluido tra gli organi di vigilanza, perché tra Banca d’Italia e Consob non tutto ha funzionato come doveva». [Continua a leggere]

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Ospite di #Cartabianca

postato il 20 Dicembre 2017

Insieme ad Alessandro De Angelis, nello spazio di approfondimento politico di Rai 3 condotto da Bianca Berlinguer

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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