postato il 29 Aprile 2025 | in "Interventi, Riforme"

«Occupiamoci di carceri e detenuti. È questa l’ultima lezione del Papa»

Dal degrado delle strutture ai suicidi. Il mio appello a Meloni: agire subito

«Sia il cardinale decano Giovanni Battista Re al funerale sia il segretario di Stato Pietro Parolin durante il Giubileo degli adolescenti hanno detto la stessa cosa: è bello ricordare Francesco, è giusto piangere la sua morte ma è soprattutto importante attuare la sua lezione». 

Una lezione pastorale di grande umanità, senatore Pierferdinando Casini. 

«Un pontificato tutto rivolto agli ultimi. Non possiamo dimenticare che gli ultimi giorni della sua vita Francesco ha voluto visitare il carcere di Regina Coeli, a Roma». 

Mancavano due giorni alla Pasqua 

«Già. E mancavano appena tre giorni alla sua morte. Da qui vorrei partire, dalle carceri. Vorrei fare un appello alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni: occupiamoci dei detenuti. Concretamente. E’ la lezione di Francesco. La situazione delle carceri italiane non è più sostenibile». 

Sono sovraffollate. 

«Incredibilmente sovraffollate. Degradate. C’è carenza di strutture . Nelle carceri parole come “rieducazione” diventano semplici slogan». 

Cosa intende dire? 

«La settimana scorsa sono stato a fare visita al carcere di Rebibbia. Ho visto strutture belle: pizzerie, falegnamerie, call center, anche luoghi dove commercializzano il caffè». 

Quindi le strutture ci sono? 

«Ma chi riesce ad utilizzarle sono pochissimi. L’assenza di riabilitazione è un’assenza di speranza. Basta vedere i suicidi che ci sono in carcere». 

Un suicidio ogni tre giorni, dicono le statistiche. 

«Statistiche implacabili. Di questi molti sono suicidi di persone che hanno quasi finito di scontare la pena. Che potrebbero essere liberi dopo due, tre anni». 

Ci sono anche detenuti in attesa di giudizio che si tolgono la vita dietro le sbarre . 

«E’ vero, anche se i detenuti che aspettano il giudizio sono molto diminuiti rispetto ad alcuni anni fa. Il dramma più evidente sono i detenuti di cui ho parlato prima. Ed è questa la fascia sui cui bisogna agire deve agire». 

Agire in che modo?

«Mettere in atto le misure alternative se non prevedere un ritorno alla vita libera». 

Pensa che sia questo un modo per alleviare le carceri? 

«E’ un intervento significativo visto che oggi la popolazione carceraria è fatta per la maggior parte di condannati definitivi e molti hanno residui di pena molto bassi». 

A cos’altro pensa? 

«Nel breve tempo si può pensare ad un’amnistia, a un indulto, un segnale concreto. Nel 2002 ero presidente della Camera quando venne Giovanni Paolo II. Che disse che una riduzione pur modesta della pena avrebbe incoraggiato pentimento e il ravvedimento. Dopo qualche mese facemmo un indultino». 

E a lungo periodo che si potrebbe fare? 

«Ripensare al ruolo del diritto penale che in una liberaldemocrazia del XXI secolo non può avere lo schema in cui l’unica forma di espiazione della pena è il carcere». 

Questo governo però sta continuando ad introdurre nuovi reati. 

«E questo aggrava a situazione. Lo sostiene anche il vicepresidente del Csm Fabio Pinelli che non è uno di sinistra o dell’opposizione e che ha lanciato l’allarme sull’emergenza carceri. Ci sono tante persone di buona volontà che hanno a cuore questo problema, da tutte e due gli schieramenti. Ecco: a Giorgia Meloni chiedo di fare qualcosa subito, di concreto. Nel nome di Francesco».

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postato il 2 Aprile 2025 da redazione | in "Rassegna stampa"

Era Karol Wojtyla. Sapeva parlare a tutti e abbatté ogni confine

A vent’anni dalla morte del Papa polacco

Il 2 aprile di vent’anni fa si spegneva Karol Wojtyla, il Papa che ha segnato per decenni la storia dell’umanità e rappresentato per più generazioni, la mia in particolare, un riferimento assoluto nel cammino della vita.

Si è detto molto del coraggio di questo Papa venuto da lontano, della sua capacità di leggere e interpretare i tempi nuovi e della sua convinzione che la missione propria della Chiesa, per quanto ancorata alla trascendenza, è pur sempre una missione storica. Se infatti con il Concilio Vaticano II la Chiesa è entrata nella modernità, è solo con Giovanni Paolo II che ne è diventata autentica interprete.

La sua parola e la sua azione sono state una presenza viva e determinante nei grandi fenomeni dell’ultimo quarto del XX secolo: dal processo di democratizzazione dell’Europa orientale culminata nella caduta del muro di Berlino, ai suoi appelli per la soluzione pacifica di conflitti – in occasione della guerra del Golfo e del conflitto balcanico -, dalle rivendicazioni a difesa dei diritti umani, al nuovo slancio verso il dialogo interreligioso.

È stato un uomo capace di parlare al mondo abbattendo tutti i confini politici, ideologici e religiosi. La sua umanità senza frontiere lo ha portato a viaggiare in ogni continente, in Paesi mai toccati prima da un Pontefice e a chiedere perdono per gli errori commessi dalla Chiesa nel corso della storia che hanno segnato un passaggio storico di umiltà e di verità.

Un gigante, la cui grandezza si coglieva nella semplicità dei gesti quotidiani, in grado, come nessun altro, di comunicare con i giovani, le sue “sentinelle del mattino”. Da quel “se mi sbaglio mi corrigerete” nel giorno della sua nomina ha conquistato tutti, compresi quanti avevano manifestato dubbi sul fatto che il nuovo Papa fosse straniero, il primo dopo 455 anni.  Alla fine sarebbe stato lui a “correggere” l’intera umanità infondendo nuova vitalità al messaggio cristiano: un messaggio di tolleranza e di fiducia profonda e sincera nelle ragioni della pace e dell’uomo.

Un Papa tanto amato proprio perché la sua santità si è sempre manifestata in un’umanità piena, riuscendo a entrare direttamente in contatto con le sofferenze e le speranze di tante persone. La ricerca continua di vicinanza ad ogni essere umano lo hanno reso un Pastore in grado di attrarre e sedurre con la simpatia, l’entusiasmo e la spontaneità delle sue parole e delle sue preghiere anche chi non aveva il dono della fede.

L’invocazione “Santo Subito” salita prepotentemente dalla folla in Piazza San Pietro dal giorno stesso in cui Papa Wojtyla ha concluso il suo cammino terreno, ha simboleggiato chiaramente l’atto d’amore del popolo di Dio verso questo straordinario interprete della complessità della Chiesa e della nostra epoca.

Anche chi lo aveva più volte apostrofato come reazionario e conservatore ne riconoscerà, successivamente, l’incomparabile grandezza.

Nel segno di una profonda consonanza spirituale, i suoi successori, pur con differenze di stile, personalità e formazione, hanno proseguito il cammino tracciato da Giovanni Paolo II, in straordinaria continuità col suo magistero.

Benedetto XVI ne ha approfondito l’insegnamento teologico sul piano dottrinale, Francesco – con un approccio pastorale più diretto e meno accademico – ne ha incarnato l’ideale di una Chiesa missionaria.

La loro è stata ed è la voce di una Chiesa capace di rispondere ai bisogni dell’uomo e di orientarne le aspirazioni, offrendo una guida non solo ai fedeli, ma a tutta l’umanità in ogni epoca di crisi e incertezza.

Sen. Pier Ferdinando Casini, ex Presidente della Camera dei Deputati

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postato il 24 Febbraio 2025 da redazione | in "Esteri, Rassegna stampa"

Ucraina: «Putin ha violato le regole, ha occupato Donbass e Crimea. Ora garanzie per l’Europa»

«No a capovolgere la realtà, è stata la Russia ad occupare il Donbass e la Crimea. Meloni? Utilizzi il rapporto con Trump per difendere le ragioni Ue»

L’intervista di Mario Ajello pubblicata sul Messaggero

Pier Ferdinando Casini, la guerra in Ucraina dura da tre anni. E ora come uscirne?

«Questa è una guerra che non doveva mai essere fatta. Sono caduti sul terreno migliaia e migliaia di morti, mandati allo sbaraglio dagli uni e dagli altri. Ma il responsabile di questo massacro è uno solo e si chiama Putin».

Non sembra questa però la lettura prevalente oggi. Ha visto che Trump sostiene che ha scatenato tutto Zelensky?

«È Putin che ha violato le regole della legalità internazionale, è lui che ha occupato il Donbass e la Crimea, ed è lui che s’illudeva di prendere l’intera Ucraina nel giro di qualche giorno».

Perché questa evidenza non è riconosciuta da tutti?

«Perché è in corso un gigantesco capovolgimento della verità».

Zelensky non ha qualche colpa?

«Sì, la più grande è quella, per i suoi detrattori, di non aver accettato di scappare. Per me, questo è stato un merito e la storia gliene renderà atto».

Ha appena detto il presidente ucraino che è pronto a dimettersi «immediatamente», se il suo Paese viene fatto entrare nella Nato. Lei che cosa pensa di questa mossa?

«Penso che, in un momento in cui tutti giocano, Zelensky fa benissimo a stare al gioco. E soprattutto, considerando che i territori persi non saranno mai riconquistati, il problema è lo status futuro dell’Ucraina. Perché noi abbiamo il diritto, come europei, di essere garantiti sul fatto che tra qualche anno, una volta accettata la tregua, Putin non ricominci prendendo di mira qualche altro territorio ai confini con la Russia. Il tema è quello delle garanzie per la sicurezza futura dell’Ucraina ed è questo il tema che riguarda noi europei da vicino».

Lei vede in Europa una mollezza o un’incoscienza modello Monaco 1938?

«Io vedo che tra qualche giorno, per qualcuno, la narrativa sarà quella secondo cui Zelensky ha invaso la Russia e Putin si sta difendendo: una vergogna assoluta, che contraddice tutti i valori dell’Occidente, almeno quelli per cui si è spesa la mia generazione».

L’Ue, rispetto all’Ucraina, ha fatto o non ha fatto ciò che ci si aspettava facesse?

«Ha compiuto il suo dovere. Più di così, non poteva fare. E ha agito in termini economici, come sostegno al Paese aggredito, più degli Stati Uniti. Il problema è che l’Europa è affetta da nanismo politico. Ed è singolare che, a rimproverarglielo, siano proprio quei sovranisti che rifiutano di delegare potere all’Unione europea».

Non le sembra che Meloni sia diventata più tiepida, tre anni dopo, nei confronti dell’Ucraina?

«Constato un imbarazzo crescente del governo. Per fortuna l’altro giorno, alla convention dei conservatori americani, la premier ha avuto la dignità di dire che l’Ucraina va difesa. Per qualcuno, questo è il minimo che Meloni dovesse fare. Per altri, come il sottoscritto, non era così scontato, visto che il clima che si respirava in quella convention. Mi auguro che Meloni utilizzi il suo rapporto con Trump per difendere le ragioni dell’Europa e non per assecondare l’onda che rischia travolgere l’Occidente».

Guardi però che Meloni ha condiviso il discorso anti-europeo di Vance.

«Il vice-presidente americano ha detto che dobbiamo difendere la nostra identità cristiana: lo dice anche Putin. La questione non è questa. È quella di difendere l’idea di una democrazia liberale in cui chi vince non è il padrone e deve accettare i pesi e contrappesi. Qui c’è una insofferenza verso ogni forma di controllo democratico che è preoccupante».

Non le sembra che anche Schlein non si stia più immolando alla causa ucraina?

«Sono reduce dalla manifestazione degli ucraini a Roma. Dove il Pd ha detto parole inequivocabili. Il resto è un processo alle intenzioni».

Renzi sul Messaggero ha minimizzato a proposito delle divisioni tra Pd e M5S sull’Ucraina e sostiene che per fare una coalizione non bisogna fossilizzarsi troppo sulle differenze in politica estera. Condivide?

«Ho una visione diversa. La politica internazionale è determinante. Non si può essere credibili, nel fare un programma di governo, senza una considerazione condivisa su ciò che accade nel mondo e su quale debba essere il nostro ruolo nello scenario globale».

Ultima questione: che cosa si aspetta dalla Germania di Merz?

«Credo che una Germania più stabile sia essenziale all’Europa e possa renderla più forte sul fronte ucraino».

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