La pluralità dell’informazione: apologia dell’inno alla vita

Riceviamo e pubblichiamo
di Elisabetta Pontrelli*

Non dimenticherò mai la disperazione negli occhi di Piergiorgio Welby e Peppino Englaro. La disperazione di entrambi nell’evocare la morte come liberazione da una sofferenza atroce, ingiusta, insopportabile: all’inizio dell’anno scorso, nel gennaio 2009, Peppino la chiese per l’amata figlia Eluana, da diciassette anni in coma vegetativo dopo un incidente stradale; Piergiorgio l’aveva chiesta invece nel 2006 per se stesso, giunto ormai alla fase terminale della sua terribile malattia, la distrofia muscolare, che l’accompagnava da trenta anni.
La vita a volte è spietata, sembra non voler far sconti a nessuno, né a chi si trova a vivere come Eluana Englaro la dolce primavera dell’esistenza, né a chi è già preparato alla sofferenza come Piergiorgio Welby, che, conoscendo da diversi anni la sua “compagna di viaggio” scomoda, avrà certamente sperato più volte durante il suo percorso di vita che quest’ultima deponesse le armi di fronte all’eccezionale voglia di vivere che egli possedeva, che rinnovava in lui la voglia di lottare e combattere ogni qualvolta l’ostacolo diventava più difficile da superare.

In questa battaglia vissuta all’insegna del “continuare a vivere comunque” c’è stata sempre Mina, la sua supercompagna di vita: moglie, amante, amica, mamma, complice più di ogni altra persona, più di ogni altro tipo di persona che si possa immaginare accanto ad un malato. Ammiro assolutamente la forza d’animo di questa donna-coraggio, il suo super-coraggio, sicuramente scaturito dal suo super-amore per l’adorato marito, nel riuscire ad accettare la volontà di quest’ultimo, riuscendo a rimanere accanto a lui nell’adempimento stesso di quella volontà: l’eutanasia. Rispetto la scelta che lei e suo marito avranno sicuramente analizzato e ponderato, perché è doveroso portare SEMPRE rispetto, soprattutto lì dove non si condivide un’idea o non si ha la stessa visione su un tema così delicato come quello legato alla propria morte: io non ci sarei riuscita con mia mamma, e neanche Michele con sua moglie Marina.

Mia mamma, al secolo Maria Teresa Sanna, malata terminale di Sla, immobilizzata e tracheostomizzata esattamente come Piergiorgio Welby, e Marina, in coma vegetativo proprio come la dolce Eluana Englaro, ricoverata nella stanza accanto a quella di mia madre. Mia mamma e Marina, entrambe splendide donne, di quelle che a 68 anni ne dimostrano dieci di meno, perché amano ancora pittarsi i capelli, gli occhi, le labbra e le unghie, sorridendo così alla vita. Mia mamma e Marina, proprio come Piergiorgio ed Eluana: Michele ed io abbiamo fatto spesso questo paragone, perché chiaramente quello che stavamo vivendo “in diretta” ci rimandava con la memoria a loro. Per liberare mia mamma sarebbe stato sufficiente staccare la spina del respiratore, mentre per liberare Marina sarebbe bastato sospendere la nutrizione e l’idratazione, ma Michele ed io non siamo stati Peppino e Mina. Insieme abbiamo condiviso otto mesi di corsia al reparto neurologia donne del Policlinico Gemelli, esattamente un piano sotto rispetto a dove veniva ricoverato il nostro amato Papa Giovanni Paolo II, che a me personalmente ha fatto tanta compagnia grazie alla statua che era proprio sotto le nostre finestre, statua che lo raffigura aggrappato alla Croce. Soprattutto durante le tanti notti insonni trascorse lì, guardandolo aggrappato a quella Croce pensavo alla mia, condivisa con mio padre e mia sorella, alla quale la vita gliel’aveva già presentata tramite la figlia Eleonora, disabile al cento per cento fin dalla nascita; pensavo alla croce di Michele, il cui unico figlio era in America a lottare con la moglie contro il tumore al cervello di quest’ultima e mi veniva da pensare in generale a tutte le Croci sparse nel mondo e a come fa esso a non sprofondare sotto il loro peso.

Tante domande ovviamente al caro Karol Wojtyla. Unica risposta, osservandolo e ricordando il suo esempio sul campo, la vita è vita sempre e sempre è degna di essere vissuta. Il principio è lo stesso anche per le grandi religioni orientali, Buddismo e Induismo, che, pur parlando di reincarnazione, affermano che ogni vita merita di essere vissuta, in ogni modo possibile, se si intende per VITA la possibilità di LEZIONI DA IMPARARE (ed è chiaro che la vita sarebbe da intendere così, per chi crede). E questa è stata anche l’unica risposta possibile che Michele ed io ci siamo potuti dare, domandandoci quale senso avesse vivere così e il perché di tanta sofferenza, da noi razionalmente rifiutata; una sofferenza in bianco e nero che ha cominciato a farci accettare l’idea della MORTE COME LIBERAZIONE, perché UNICA SOLUZIONE nel nostro caso, ma mai l’avremmo potuta scegliere e mettere in atto per mano nostra, non ne avremmo avuto il coraggio e, sarà sciocco dirlo, abbiamo continuato a sperare fino all’ultimo, anche in ciò che sapevamo non sarebbe mai accaduto. Eppure posso garantire che finché il cuore continua a battere tu non puoi smettere di sperare. NON PUOI, perché è l’istinto innato di sopravvivenza che ognuno di noi possiede che te lo impedisce. La Ragione ti dice che tanta sofferenza atroce è ingiusta ed è vero, eppure il Cuore ti suggerisce che, nonostante tutto, è vita e quindi non puoi smettere di amarla: ed è così che fai, non smetti di amare, pregare e sperare. Pregare la morte come liberazione… sì, può essere, se è l’unica soluzione, ma mai per mano dell’uomo, ti viene da pregare.

La Sla (sclerosi laterale amiotrofica) non ha lo stesso esordio per tutti, non ha lo stesso decorso, gli stessi tempi ed evoluzione: i “pochi mesi” (diciotto) di strazio che ha vissuto mia mamma e molti altri non sono la
regola fissa, per fortuna!! C’è chi convive con questa disabilità terribile (la quale arriva a non farti più mangiare e respirare autonomamente, né a poterti muovere e a parlare) da diversi anni, ma non ha NESSUNA INTENZIONE DI MOLLARE. Basterebbe andare sul sito di Viva la Vita Onlus, per conoscere persone straordinarie come Salvatore Usala, Claudio Sabelli ed il braveheart dell’affaire Sla, il cuore impavido e straordinario del Dott. Mario Melazzini, Presidente dell’AISLA, che afferma con assoluta certezza che la preziosissima lezione di vita che egli ha appreso “grazie” alla Sla è che gli uomini nascono per essere collegati gli uni agli altri e Mario, proprio vivendo questa terribile malattia, ha finalmente imparato a fidarsi del suo prossimo, lui che ora dal suo prossimo totalmente dipende, lui che da “medico” non era mai riuscito a capire quel “volto umano”, quello che va oltre ciò che è visibile a chiunque; quello più vero che appartiene ad ognuno di noi, spesso celato ed umiliato dalla nostra voglia di sopraffazione degli altri, la nostra volontà di dimostrare che siamo migliori degli altri, il cui aiuto non ci serve. Da queste parole vigorose, piene di voglie di vivere con tutta la straziante disabilità, di vivere nonostante essa ed andare oltre, come dice sempre l’ex calciatore Stefano Borgonovo, se ne deduce che sia estremamente necessario e doveroso capire che i malati di Sla e tutti i malati non autosufficienti, come i malati tutti, non hanno gli stessi punti di vista rispetto al senso della vita e rispetto al legame della stessa con la morte e le decisioni eventualmente da prendere in merito.

Di qui la necessaria e doverosa rappresentazione di tutti i punti di vista, se veramente crediamo nel valore della pluralità dell’informazione. Io sono totalmente d’accordo con quanto sostenuto dall’On. Pier Ferdinando Casini, innanzi tutto perché sono convinta che una vera democrazia non possa non augurarsi la pluralità dell’informazione, poi perché anch’io in qualche modo sono stata malata di Sla, essendo stata accanto a mia mamma 24 ore al giorno per circa due anni, di cui uno trascorso in diversi ospedali tra Roma e Milano, dove ho respirato e condiviso un mondo di disabilità, fatto sì di tanta sofferenza, ma anche di tanto vero calore umano, che scaturisce dall’apprezzamento delle piccole-grandi cose che in genere chi gode di buona salute dà per scontato: il profumo delle rose appena sbocciate, il vento fresco che spettina i capelli facendoti sentire vivo o un caffè con un dolcino da assaporare insieme agli altri e non di fretta da soli.

L’anno scorso ho festeggiato il mio compleanno in ospedale insieme a tanti disabili, ovviamente insieme a mia mamma, e non credo di esagerare nell’essere assolutamente convinta che è stato e rimarrà tra i più bei compleanni della mia vita.

Se non c’è la pluralità d’informazione come gli Italiani sapranno mai che esiste un Mario Melazzini che ti può raccontare la sua importante lezione di vita imparata dalla Sla? E Claudio? E Salvatore? Le visioni della vita ed i fatti che ne conseguono sono molteplici: tutti degni di rispetto, tutti degni di essere raccontati nella loro unicità, l’unicità dell’esperienza di vita che ogni malato può e deve comunicare, trasmettendo emozioni diverse, giustamente condivise o meno, ma assolutamente dette.

Dopo che l’On. Casini ha giustamente constatato con rammarico che nella trasmissione Vieni via con me è mancato il contraddittorio che poteva essere degnamente sostenuto, per esempio, dal Dott. Melazzini, come al solito si sono sprecate le faziosità ed i presunti tatticismi che egli avrebbe adottato e che non sto qui ad elencare perché è cronaca di questi giorni e perché, tristemente, gli Italiani sapranno molto di più di questi veleni, che ci vogliono divisi in guelfi e ghibellini persino di fronte la Morte, anziché conoscere invece la testimonianza che continuamente Mario Melazzini porta ovunque viaggiando: la testimonianza di un altro modo di vivere la malattia, altrettanto degno di essere raccontato, per non farci dimenticare che le PARI OPPORTUNITÀ combattono le discriminazioni innanzitutto comunicando l’EGUAGLIANZA proprio NELL’ALTERITÀ. Non bisogna per forza schierarsi, pensando sia più giusta l’eutanasia rispetto al cosiddetto accanimento terapeutico, la cui soglia di percezione tra l’altro varia da individuo ad individuo.

Semplicemente è giusto ciò che ogni malato decida per sé, proprio perché ognuno di noi è portatore di una propria unicità nell’alterità, sia fisica che intellettiva. E’ offensivo sia per l’intelligenza di Casini sia per la sensibilità dei malati e dei loro familiari pensare che essere per il contraddittorio significhi subdolamente accattivarsi la simpatia dei “soliti elettori cattolici”: esattamente il 21 giugno u.s., Giornata Mondiale del Malato di Sla, Pier Ferdinando Casini è stato infatti l’unico parlamentare che si è sentito in dovere di “scendere” dalla sua poltrona comoda di Montecitorio per partecipare INSIEME ai malati tracheostomizzati, nella medesima piazza, al sit-in da loro organizzato tramite l’associazione che li rappresenta, Viva la Vita, il cui nome sintetizza quello che più vogliono fare, nonostante la loro condizione… perché, come dice sempre Erminia Manfredi, moglie del nostro Nino nazionale e magnifica testimonial dell’associazione, “i malati di Sla adorano la Vita più di noi e la conoscono più di noi che purtroppo diamo tutto per scontato”, quindi anche la nostra salute!

Dopo due giorni, il 23 giugno u.s., il nostro meraviglioso Presidente Casini, essendo l’unico che si è degnato di ascoltarci, ha fatto un’interrogazione parlamentare seria ed appassionata in merito. Ammiro Casini per la sua sensibilità ed è questa che gli consente di affermare ciò che io, come figlia di una malata di Sla, troppo presto deceduta come tanti altri, condivido assolutamente! Non credo che lo possa fare per un proprio tornaconto, ma perché capisce che su questo tema non ci si può soffermare alla spicciolata… Non si può sperare di INCULCARE L’EUTANASIA come fosse andare al market a comperare una fiorentina piuttosto che un’orata come avviene nello spot pubblicitario già mandato in onda in Lombardia, che trovo semplicemente disgustoso perché privo di qualsiasi vibrazione di rispetto ai malati ed ai loro familiari: il pericolo dello spot è quello di poter trasmettere una semplificazione di tutto ciò, con il rischio di contribuire a creare individui non più consapevoli ed autonomi, cioè pensanti con la propria testa, perfino lì dove occorrerebbe solo SILENZIO, SILENZIO, SILENZIO e rispetto per le DECISIONI TUTTE.

Se ogni opinione può essere discutibile e se tutto può essere opinabile, una cosa è certa: i valori non posso essere negoziabili e soprattutto l’idea della vita e della morte che ognuno di noi ha non può e non deve essere semplificata e catalogata in un’unica ISTRUZIONE PER L’USO valida per tutti. Così come si è giudicata infelice la frase “Eluana potrebbe procreare”, chi è intellettualmente onesto non potrà non riconoscere che è altrettanto triste, nonché profondamente ingiusto, volere a tutti i costi convincere gli altri che non ha senso vivere in un certo modo, lì dove il senso ce lo possono comunicare Mario Melazzini e Stefano Borgonovo, poiché quel senso lo cercano e lo trovano ogni ora di ogni giorno, vissuto intensamente come un giorno in più regalato dalla vita da non sprecare (un senso che forse tutti dovremmo riscoprire); un senso che Casini ha toccato con mano avendo condiviso del tempo con i malati di Sla ed è forse per questo motivo che è stato l’unico a reclamare il contraddittorio dell’inno alla vita: poiché bisogna essere altrettanto coraggiosi a voler continuare a vivere, sorridendo ed amando la vita, nelle condizioni di Mario, di Stefano, di Salvatore o di Claudio, né più né meno come nello scegliere l’eutanasia.

E altrettanto coraggiosi sono i familiari che continuano a lottare insieme a loro sorridendo, esattamente come chi coraggiosamente accetta di vedere andar via la persona amata e lo accompagna per l’ultima volta mentre se ne va dolcemente e via con essa se ne va anche un po’ di quell’amore riposto nella lotta insieme, quando un giorno si era pensato di potercela fare, di poter vincere. E sottolineo un po’ d’amore, perché paradossalmente la Morte, cercata o no, te ne lascia dentro più di quanto se ne porta via, te ne lascia sicuramente più di quanto ce ne fosse dentro di te all’inizio del primo atto della commedia. Se proprio abbiamo voglia di urlare il nostro sdegno rispetto a qualcosa, dialoghiamo piuttosto con la Chiesa affinché non possa accadere mai più che a un Piergiorgio Welby, vero Cristo in Croce, non venga concesso il funerale, celebrato invece a criminali e dittatori sanguinari.

*Figlia di Maria Teresa Sanna, malata di Sla deceduta, attaccatissima alla vita
Cagliari, 20 novembre 2010



Twitter


Connect

Facebook Fans

Hai già cliccato su “Mi piace”?

Instagram