postato il 8 Novembre 2011 | in "Economia, In evidenza, Riceviamo e pubblichiamo"

Se non si capisce la crisi

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Mantovani

“La crisi non si sente in Italia, i ristoranti sono pieni”.

Esattamente ciò di cui i tedeschi ci accusano: diamo l’idea di essere i pirati che ballano e bevono intorno alla cassa del morto.

Le città tedesche nel 2001 e ancor di più nel 2008 erano piene di negozi chiusi, alla sera sembrava ci fosse il coprifuoco. Risparmiando, investendo nelle aziende, accettando riduzioni temporanee dei salari, puntando sull’export i tedeschi si sono ripresi. E si domandano perché da noi non debba mai arrivare il giorno dei sacrifici.

La realtà è che l’Italia è un Paese con un terziario più forte di quello tedesco. Se Berlusconi avesse detto “i ristoranti di Roma, Venezia, Firenze, delle Langhe e del Chianti sono pieni di stranieri e stiamo lavorando perché accada altrettanto in altre 100 città e cittadine d’Italia” avrebbe messo in luce la più grande riserva di crescita del nostro Paese. Noi potremmo avere un export competitivo quanto quello tedesco ed un incoming molto più forte.

Non è negativo evitare di deprimere troppo i consumi in una fase di crisi, ma occorre comprenderne le dinamiche sociali.

Oggi esistono certamente single o coppie senza figli benestanti, con un discreto lavoro, con qualche proprietà immobiliare ed un po’ di liquidità lasciate dai genitori, che possono frequentare ristoranti e locali più volte la settimana. Ma il numero dei senzatetto di Bologna – tanto per fare un esempio – è raddoppiato nell’ultimo anno. Le famiglie della classe media con figli e reddito fisso hanno tagliato le vacanze invernali e riducono ad una settimana quelle estive; difficilmente li vedrete al ristorante. I nostri pensionati non sono quelli della Florida.

Stiamo rapidamente consumando risorse accumulate in decenni ed il risparmio delle famiglie – ancora significativo – fa il paio con un indebitamento delle medesime in rapida crescita. Senza contare gli effetti di un’inevitabile contrazione del welfare, che porterà ad utilizzare i risparmi (di chi li ha) a sostegno del reddito nei perodi di malattia, disoccupazione o pensionamento.

Se uniamo questo quadro al crescente esodo dei giovani più istruiti e brillanti, non compensato da altrettanti “acquisti” di cervelli, abbiamo la rappresentazione di un Paese nel quale le differenze sociali si accentuano, la classe media e le famiglie si assottigliano e la ricchezza accumulata si consuma rapidamente. Chi dispone di risorse liquide o di aziende sta rapidamente perdendo la fiducia e tenderà sempre di più ad investire all’estero. Abbiamo già visto questo scenario, specialmente in Sud America, ma anche nel Portogallo post-coloniale. Se non interveniamo immediatamente, ci attende un futuro fatto di pochi giovani disoccupati o sotto-occupati, diversi milioni di immigrati per i quali l’ascensore sociale non partirà mai, un grande numero di anziani con forti attese di welfare e bassi redditi, una classe media svuotata ed un nucleo sempre più ristretto di ricchi che, per quanto frequenti i ristoranti, non sarà in grado di sostenere l’attuale livello complessivo di consumi. Un cocktail tossico, questo è il concreto timore dei “mercati”.

Non sentire questa crisi, non percepirne la minaccia epocale è prova del definitivo distacco del nostro Presidente del Consiglio dalla realtà italiana. Un premier che parla più forte degli altri perché non vuol sentire.

 



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