In pensione più tardi ma con la possibilità di essere buone madri
Nel dibattito sull’innalzamento dell’età pensionabile delle donne sono sicuramente di rilievo le proposte dell’Udc che per bocca di Casini e Buttiglione si è dichiarata a favore dell’equiparazione dell’età pensionabile di uomini e donne, come chiesto dall’Unione europea, ma contemporaneamente ha posto il problema importante della tutela del lavoro familiare della donna, soprattutto in quanto madre.
Nello specifico l’Udc pur riconoscendo necessario e giusto l’adeguamento chiesto dall’Europa ha però proposto di concedere alle donne due anni di permesso con contribuzione figurativa per ogni figlio, da utilizzare quando la donna ritenga più opportuno, alla fine della carriera o in un momento importante della vita familiare.
La posizione dell’Udc è assolutamente interessante perché va a toccare un problema che a suo tempo evidenziò molto bene la storica Lucetta Scaraffia: le donne che lavorano “hanno conquistato la possibilità di fare tutto quello che fanno gli uomini, ma hanno perso il diritto di vedere valorizzata e protetta la maternità “. L’età pensionabile più bassa non risolveva questo problema perché di fatto più che agevolare le madri, agevolava le nonne che avevano tempo per occuparsi di tante cose, magari anche dei nipotini, ma non certo dei figli che ormai erano ampiamente autonomi e non più bisognosi di amorevoli cure.
Ecco che la proposta dell’Udc si configura come un reale aiuto alle donne che insieme alla dignità di lavoratrici vogliono salvaguardare anche la loro dignità di madri, infatti verrebbe data la possibilità alle lavoratrici che vanno in pensione a 65 anni di usufruire di una specie di congedo familiare, da uno a tre anni. La lavoratrice a questo punto potrebbe autonomamente decidere il momento più opportuno della sua vita lavorativa per avvalersi di questo diritto: nel corso della vita lavorativa, potendo così dedicarsi serenamente ai primi e fondamentali anni di vita della prole oppure alla fine di questa in una sorta di meritato riposo dalle fatiche del doppio ruolo di mamma e di lavoratrice.
La materia è sicuramente complessa e una riforma efficace merita un’analisi attenta dei tanti fattori che entrano in gioco, tuttavia sembra importante sottolineare il principio della tutela della donna non solo nel ruolo di lavoratrice ma anche nel suo preziosissimo compito di madre. A tal proposito vale la pena di ricordare le parole di John Bowlby, psicanalista britannico padre della teoria dell’attaccamento: “Le forze dell’uomo e della donna impegnate nella produzione dei beni materiali contano come attivo in tutti i nostri indici economici. Le forze dell’uomo e della donna dedicate alla produzione, nella propria casa, di bimbi sani, felici e fiduciosi in se stessi non contano. Abbiamo creato un mondo a rovescio”.
Donne del pubblico impiego in pensione a 65 anni.
Sempre nell’occhio del ciclone il pubblico impiego. Prima con Brunetta, poi con il blocco dei rinnovi contrattuali, poi con la Marcegaglia che ritiene sì giusta la misura del governo, ma non sufficiente, ed invoca tagli agli stipendi dei travet pubblici come se fossero dipendenti non dello Stato, ma di Confindustria, e adesso ci si mette pure l’Europa: l’età pensionabile per le donne del settore pubblico in Italia deve essere portata a 65 anni entro il 2012! La scure dei sacrifici si abbatte sempre più di qua, ma mai di là. Tant’è che qualcuno nuota felicemente in questa valle di lacrime. Gli europarlamentari si sono appena votati una leggina ”ad personas”. E’ molto semplice, e molto chiara! Prevede un aumento di stipendio di 1.500 euro al mese. La loro busta paga passerà da 17.864 a 19.364 euro. Per contro, si paventa di portare addirittura a 70 anni l’età pensionabile dei giovani! Certo, che con uno stipendio del genere tutti vorrebbero andare in pensione il più tardi possibile!
È l’avvertimento fatto oggi dalla vicepresidente della commissione Ue, Viviane Reding, al ministro del Lavoro Maurizio Sacconi, durante il faccia a faccia a Lussemburgo per cercare di trovare un compromesso sulla questione. «Il cambiamento nella legislazione italiana – ha spiegato il portavoce della commssaria Ue – potrebbe essere combinato con le misure di consolidamento di bilancio». Bruxelles, con una lettera inviata la scorsa settimana a Roma, chiede di attuare immediatamente la sentenza della Corte Ue di giustizia del 2008, in cui si intima all’Italia di alzare l’età delle dipendenti pubbliche da 60 a 65 anni, come avviene per i loro colleghi maschi. Sacconi ha ricordato come il governo ha già previsto un innalzamento graduale dell’età pensionabile delle donne nel settore pubblico, portandola a 65 anni entro il 2018. «Ma la Commissione Ue ci contesta proprio questa gradualità, che tra l’altro era stata concordata con il precedente commissario europeo», ha ammesso il ministro, sottolineando come «la comunicazione che ci è arrivata da Bruxelles non sembra lasciare molti margini di manovra. Anzi, minaccia la necessità di rimborsare i lavoratori di sesso maschile». «La commissaria Reding – ha spiegato il suo portavoce – nel corso dell’incontro ha insistito su un periodo di transizione molto breve, con la nuova legge che dovrà essere applicata entro il 2012. La commissaria comprende che l’Italia ha delle difficoltà, ma deve rispettare la sentenza della Corte europea di giustizia. E tutti gli Stati membri devono essere trattati in maniera uguale». In questi ultimi giorni si stava lavorando a un compromesso che riduceva il periodo di transizione portandolo al 2015.
Sono d’accordissimo: e meglio dare più tempo alle donne per fare le madri che per fare le nonne. Sarebbe una misura in favore del conti a breve scadenza e a favore del sostegno alla natalità, a più lungo termine. Il vero problema italiano è la sotenibilità: di questo passo scarseggeranno le risorse per mantenere i vecchi perchè i giovani saranno troppo pochi.