postato il 23 Settembre 2012
“Riceviamo e pubblichiamo” di Francesco Morello
L’appuntamento della presentazione del Rapporto sul mercato del lavoro 2011-2012, avvenuta martedì 18 settembre nel “Parlamentino” affollatissimo del CNEL, è occasione quanto mai utile per fermarci un attimo a riflettere sugli importanti e profondi cambiamenti in corso nella struttura produttiva e nelle norme che regolano gli assetti occupazionali nel nostro Paese.
Il rapporto tenta di soddisfare, a detta del Prof. Dell’Aringa direttore del gruppo di lavoro che ha curato lo studio, sia l’esigenza di illustrare una lettura prospettica delle variazioni intervenute durante l’ultimo periodo, che quella di offrire una previsione delle linee di tendenza per i prossimi anni.
Le condizioni critiche del mercato del lavoro hanno origine nei contesti macroeconomici di crisi di sviluppo e produttività. I dati sconfortanti forniti dall’Istat sull’occupazione, specie giovanile, diventano quindi il termometro della recessione che attanaglia l’Italia.
Già lo scorso luglio lo studio dell’OCSE, “:Employment Outlook 2012”, dal quale il Rapporto del CNEL muove le mosse, aveva evidenziato che a maggio erano circa 48 milioni i disoccupati nell’area dell’Ocse (con un tasso di disoccupazione del 7,9%): quasi 15 milioni in più rispetto all’inizio della crisi finanziaria iniziata alla fine del 2007.
Per ritornare ai livelli pre-crisi occupazionale servirebbe la creazione di circa 14 milioni di posti di lavoro. La creazione di posti di lavoro, sottolinea lo studio presentato a Parigi, “continuerà a restare debole in molti Paesi dell’Ocse” e il tasso di disoccupazione “potrebbe rimanere intorno all’8% anche nel 2013” (8% nel 2012 e 7,9% nel 2013) e la situazione occupazionale dei giovani e delle persone scarsamente qualificate “rimane particolarmente preoccupante”.
Sulla stessa scia lo studio condotto dall’ ILO, “World of Work Report 2012. Better jobs for a better economy” (aprile 2012) in cui, riguardo la situazione italiana, si rende noto che le categorie più colpite dalla crisi sono state quelle dei giovani e dei disoccupati di lunga durata. La ripresa economica viene frenata dalla contrazione del consumo privato (diversi studi statici di associazioni dei consumatori o dei commercianti hanno rilevato questo fattore) a causa delle politiche di austerità fiscale condotte per risanare il debito pubblico e adempiere ai patti europei sul fiscal compact.
Una delle cause principali della crisi nell’Eurozona, sottolineano Natasha Xingyuan e Antonio Spilimbergo è la differenza di reddito e produttività fra i paesi, con il ritardo di quelli più periferici. Le riforme strutturali possono essere un ottimo strumento per aiutare lo sviluppo delle regioni più arretrate di un paese.
Le politiche suggerite dall’ILO, anche nel Rapporto “Eurozone job crisi and policy responses”, di riduzione del debito pubblico senza danneggiare la crescita economica, di aumento degli investimenti per creare occupazione, di maggiore accesso al credito da parte delle imprese e di riforma del mercato del lavoro per migliorare i risultati dell’occupazione, richiedono uno sforzo notevole affinchè siano tradotte in misure concrete.
Quale ruolo possono assumere allora le politiche del lavoro per i giovani? Essenzialmente due: di accompagnare “>i processi di crescita e limitare i danni della recessione.
Infatti il rischio di far cadere il potere produttivo dell’Italia, in un lento processo di deindustrializzazione, è aumentato dalla disoccupazione di lunga durata che si trasforma in strutturale.
I Paesi che hanno meglio resistito alla crisi economica, in primis Cina e Germania, sono quelli che hanno puntato in via prioritaria su una crescita basata sulla competitività dell’industria manifatturiera, trainata dalle esportazioni e dagli investimenti in ricerca e innovazione.
Inoltre, i paesi che riescono a contenere la caduta del PIL sulla massa salariale e sulla disoccupazione sono quelli che hanno approntato buone relazioni industriali, e favorito il lavoro stabile e non temporaneo.
L’Italia dal 2008 ha perso più di un milione di posti di lavoro tra gli under 34 anche in considerazione del fatto che ha registrato una caduta del PIL maggiore che negli altri paesi dell’Eurozona.
L’Istat nell’ultima rilevazione riferita al terzo trimestre 2012 (i dati del Rapporto si riferiscono al primo semestre 2012) evidenzia che il tasso di disoccupazione (dati grezzi) è pari al 10,5%, in crescita di 2,7 punti percentuali rispetto a un anno prima; l’indicatore passa dal 6,9% del secondo trimestre 2011 al 9,8% per gli uomini e dal 9% all’11,4% per le donne. Il tasso di disoccupazione dei 15-24enni sale dal 27,4% del secondo trimestre 2011 al 33,9%, con un picco del 48% per le giovani donne del Mezzogiorno.” Bisogna notare che a fini statistici esistono diverse dimensioni della disoccupazione ovvero disoccupati (con altrettante definizioni alternative), scoraggiati, cassintegrati e par-time involontari che insieme costituiscono la forza lavoro.
Il Rapporto sull’andamento della domanda di lavoro sottolinea che a causa del forte deterioramento dei bilanci familiari è aumentata l’offerta di lavoro, ovvero i cd. “lavoratori aggiuntivi” coloro che prima della crisi non erano in cerca di occupazione.
Sono cresciuti i lavoratori part-time involontari, e si registra anche un sensibile aumento del ricorso alla CIG connessa, in parte ma non del tutto, alla riduzione degli orari di lavoro.
Per effetto delle riforme previdenziali che hanno alzato i requisiti di età, l’ultima in ordine di tempo quella cd. “Monti-Fornero”, è aumentato il numero di occupati anziani. Necessarie pertanto politiche che tengano conto dell’invecchiamento demografico e dell’aumento delle esigenze legate alla cura degli anziani.
La crescita modesta dell’occupazione nel 2011 si è interamente concentrata sulla componente immigrata (che svolge un lavoro regolare e quindi conoscibile dallo Stato) poiché indirizza la domanda verso un tipo di mansioni di basso profilo non ricoperte dai lavoratori italiani.
Sono cresciuti i giovani con un’occupazione a termine involontaria (ossia di coloro che non hanno trovato un lavoro a tempo pieno) così come i part-time involontari, perché il lavoro flessibile permette maggiori margini di manovra alle imprese in una fase di elevata incertezza.
Molto grave è la rilevazione dello scollamento tra i risultati del sistema formativo e la domanda di lavoro, che va ad incrementare il fenomeno noto come (lavoro a bassa specializzazione svolto da lavoratori con un livello di istruzione medio-alto) che si traduce spesso in uno scarso livello di valorizzazione del capitale umano.
Tale disfunzione è il prodotto di anni di politiche formative non rapportate ai fabbisogni del mercato del lavoro che crea un fra le caratteristiche settoriali della domanda e quelle dell’offerta di lavoro. Il contratto di apprendistato, nelle tre diverse articolazioni di cui al T.U. d.lgs. 167/2011, ha l’obiettivo di formare gli apprendisti, in assetto di lavoro, così da essere immediatamente utili e produttivi per l’azienda. Diventa pertanto una leva di placement che tenta di far convergere domanda e offerta di lavoro puntando sulla formazione di competenze e professionalità richieste dal mercato.
Garantire una occupazione permanente (la tipologia contrattuale del tempo indeterminato è considerata dalla Riforma come la principale, in linea con il documento delle tre grandi OO.SS. confederali sottoscritto a fine 2011) o stabile attraverso un sistema italiano e non di mera importazione di flexicurity, è tanto necessario quanto urgente.
Si è ulteriormente aggravato, evidenzia il Rapporto, il fenomeno dei (not in employment, education or training) circa il 24 % dei giovani tra i 15 e i 29 annie degli scoraggiati, ovvero chi ha smesso di cercare attivamente un lavoro.
In quest’ottica si propone la formazione come leva di sicurezza e stabilità occupazionale che deve essere continua e modulata in base alle diverse competenze e professionalità dei singoli lavoratori o aspiranti tali.
La formazione e quindi il saper fare un determinato lavoro, rappresenta la vera sicurezza nella flessibilità poiché, se un lavoratore è produttivo, sarà sempre ricercato dal mercato.
Tutti questi numeri, dati e diagrammi del Rapporto per essere davvero utili devono però essere messi al servizio di domande scomode. Domande che muovendo dal contesto attuale e cercano di comprendere in che modo poter modulare le opportune risposte.
Il Ministro Fornero nel suo intervento alla presentazione del Rapporto ha difeso la bontà della riforma dagli attacchi degli ultimi giorni di una parte politica che vorrebbe abrogarla tramite referendum. Ancora è presto per dire, dati alla mano, se la riforma raggiungerà l’obiettivo di orientare e rendere più inclusivo e dinamico il mercato del lavoro. Di certo come tutte le cose umane è perfettibile ma credo sia stato un buon inizio, quanto meno per dare un segnale forte di stabilità e coesione politico-sindacale ai mercati. Per tale ragione, sulla falsa riga di quanto già teorizzato dalla Legge Biagi del 2003, la fase del monitoraggio degli effetti delle nuove norme in tema di: tipologie contrattuali e di flessibilità in uscita e tutele del lavoratore (Art.1), Ammortizzatori sociali (Art.2),Tutele in costanza di rapporto di lavoro (Art.3), sarà essenziale per comprendere quali correttivi approntare.
In effetti dopo alcuni giorni dall’entrata in vigore della riforma si è scelto, tramite il decreto sviluppo di Agosto di posticipare l’entrata a regime dell’ASPI.
Il Governo nell’ultimo Consiglio dei Ministri di fine agosto ha presentato l’agenda per la crescita con il fine di implementare la produttività aprendo a nuove opportunità di impresa e lavoro secondo gli obiettivi posti dalla Stategia Europea 2020 (Crescita intelligente, sostenibile e solidale). L’azione programmatica del Governo Monti necessita però, in via preliminare, di portare a compimento le riforme approvate in Parlamento tramite l’emanazione di più di 340 decreti attuativi anche in tema di incentivi e aiuti al lavoro giovanile. Di recente infatti sono stati approvati i decreti che prevedono uno sconto del 50%, grazie all’attivazione di 142 milioni del Fondo Sociale Europeo, sul costo del lavoro per chi assume al sud o i benefici fiscali, disciplinati dal cd. decreto “Salva italia” per chi assume gli under 34.
Per risanare il mercato del lavoro è necessario prima risanare la nostra economia con una solida riforma fiscale accompagnata da investimenti in tecnologia e innovazione. La semplificazione amministrativa insieme agli altri fattori di contesto, quali il miglioramento delle infrastrutture e l’abbattimento del costo energetico, saranno garanzie più forti per gli investitori che vogliono scommettere nel nostro Paese, anche più delle nuove norme sul licenziamento
E’ necessario allora aumentare la produttività, anche accogliendo la proposta della Cisl di detassazione del salario di produttività, non solo per ragioni di competitività internazionale, ma soprattutto per migliorare la qualità dell’ industria e riqualificare l’ apparato produttivo italiano.
Costo monetario del lavoro e produttività del lavoro devono andare allora di pari passo, così come in Germania, che raggiunge livelli ottimi di produttività grazie a innovazione e gestione partecipata con i lavoratori dei processi industriali (in Italia il cammino verso la partecipazione è ancora in salita).
L’implementazione di un sistema politico liberale, incentrato su regole condivise di libera concorrenza, e su una forte Unione Europea che sappia fronteggiare insieme le flessioni del mercato, è allora un compito non solo strettamente “economico”, ma soprattutto compito sociale al servizio della persona umana.