postato il 26 Agosto 2011
“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati.
Il problema delle pensioni in Italia è molto complesso perché riguarda un mondo multiforme e vario: si deve fare una prima distinzione tra chi già percepisce una pensione e chi la percepirà in futuro; altra distinzione è tra i vari tipi di pensione (anzianità, di invalidità, di reversibilità), e sui modi di calcolo (contributiva o retributiva).
Intanto distinguiamo tra chi è già in pensione e chi deve ancora andare in pensione: è chiaro che nel primo caso si parla di diritti acquisiti, quindi difficilmente possono essere toccati, ma è anche vero che per le pensioni particolarmente elevate o nel caso di cumuli di più di pensioni, si può parlare di una riduzione dell’importo erogato. Voglio specificare bene, per evitare fraintendimenti: non parlo assolutamente di andare a diminuire il percepito di chi vive con la pensione minima, ma logicamente se si percepisce una pensione di 3000 euro netti e sommo anche una pensione di reversibilità di altri 3000 euro netti, parliamo di un reddito complessivo di 6000 euro netti al mese e in questo caso si può legittimamente pensare di diminuire la pensione di reversibilità erogata.
Contrariamente a chi afferma che 19 milioni di pensionati sono troppi (mi chiedo quale soluzione prospetta per eliminare i pensionati, forse le camere a gas?), dico che i pensionati sono, in questo momento, un sostegno per le famiglie. Svolgono il duplice ruolo di sostegno finanziario e familiare: il primo grazie alla loro pensione che permette di arrotondare il bilancio familiare (anche mantenendo i nipoti o i figli che cercano ancora lavoro), il secondo quando vi sono nipoti a cui badare ed entrambi i genitori lavorano (con asili nido assolutamente carenti).
Si è parlato di ridurre le pensioni di reversibilità, ma siamo sicuri di volerlo? Sempre più spesso ormai si arriva tranquillamente a 80 anni, ma a quell’età una persona ha bisogno, spesso, di essere accudita, e, visto che lo Stato non ha le risorse per farlo, è lo stesso anziano che deve provvedere pagando un aiuto o una badante o un istituto. Pensiamo, ad esempio, a tutti i malati di alzheimer e parkinson che vivono senza la possibilità di accedere ad un centro qualificato; in questo caso sono i familiari a farsi carico delle spese, spesso onerose, e in questo caso la pensione dell’anziano è un prezioso sostegno finanziario.
Quindi, a mio avviso le pensioni non dovrebbero essere toccate, a meno che non si parli di importi veramente alti (dai 4000 euro in su), in quel caso si può prevedere un piccolo aumento del prelievo.
Parliamo invece di chi deve ancora andare in pensione.
E’ davvero strano andare in pensione a 65 anni? La risposta è no, il resto del mondo va in pensione a quell’età, equiparando uomini e donne (alla fine dell’articolo troverete una tabella con i dati delle principali nazioni).
Ormai la vita media si è allungata e si arriva a condizioni sempre migliori all’età di 60-65 anni, quindi è legittimo pensare che si possa andare in pensione dopo rispetto ad oggi. D’altronde, il sistema pensionistico italiano è figlio di un periodo storico molto particolare, contrassegnato da un basso debito pubblico e una grande crescita economica dando vita al fenomeno anche delle baby pensioni, che sono maggiormente concentrate nel Nord Italia. Per intenderci, i “baby pensionati” sono coloro che potevano andare in pensione a 14 anni, sei mesi e un giorno se erano donne e addirittura 19 anni, sei mesi e un giorno se erano maschi, e sono localizzati per il 65% nel Nord Italia.
Detto quindi che non dovrebbe essere un tabù l’allungamento della vita lavorativa, equiparandoci al resto del mondo (ricordo che alla fine dell’articolo troverete una tabella con tutti i dati), resta il problema di quanto le nuove generazioni percepiranno quando saranno in pensione.
Questo è il tasto dolente, perché ormai si è passati al sistema contributivo, ovvero la pensione è parametrata a quanto è stato versato nelle casse dell’INPS e sarà pari al prodotto tra la somma dei contributi versati durante la vostra vita lavorativa (e rivalutati in base alla crescita dell’economia italiana, più l’inflazione) e un coefficiente (attualmente tra il 4 e il 6%) che dipende dall’età in cui andrete in pensione (tra 57 e 65 anni).
Il problema quindi diventano i contributi e il punto dolente è per chi lavora con contratti a progetto, in quanto con questa forma contrattuale, il datore di lavoro versa meno contributi all’INPS girando questa somma al lavoratore. Per fare un esempio concreto: un lavoratore dipendente che introita 1200 euro netti, prenderebbe 1300 euro netti (per ipotesi) come lavoratore a progetto, ma questi 100 euro in più che percepirebbe, sono tolti ai contributi che il datore di lavoro versa all’INPS. Lo scopo di questa “manovra” è quello di fare decidere al lavoratore se destinare o meno una quota del suo stipendio alla pensione tramite i fondi pensione.
Stando ai calcoli di vari siti e trasmissioni (per citarne una: report) chi per 30 o più anni lavora con un contratto a progetto per uno stipendio netto mensile inferiore a 1000 euro avrà diritto alla pensione sociale, e questo è il vero problema. Come risolverlo? A mio avviso si dovrebbe rivedere il sistema contributivo per il contratto a progetto equiparando i contributi a quelli del lavoratore dipendente, sarà poi il datore di lavoro valutare se gli conviene proporre un contratto a progetto o un contratto a tempo indeterminato.
Tabella per l’età media pensionistica, da cui si evince che la pensione è stata equiparata per uomini e donne e se se ha diritto a 65 anni:
Austria
L’età minima pensionabile è per tutti a 65 anni; il periodo contributivo da 40 a 45 anni.
Belgio
Donne e uomini vanno in pensione a 65 anni.
Danimarca
Si va in pensione a 65 anni, non si può anticipare, ma eventualmente posporre di tre anni.
Finlandia
Si va in pensione a 65 anni, da 60 è possibile il prepensionamento. Non c’è limite di età per chi decide di continuare a lavorare dopo i 65 anni.
Francia
Il periodo contributivo minimo è di 40 anni, che passerà a 41 entro il 2012 e a 42 entro il 2020. E’ stato introdotto un sistema di incentivi: ogni anno in più di lavoro darà diritto al 3% in più di pensione. Per contro 5% in meno per ogni anno mancante.
Germania
Nel 2004 per le donne l’età pensionabile è passata da 60 a 65. Si prevede un ulteriore innalzamento dell’età pensionabile globale da 65 a 67 entro il 2025. Sono previsti disincentivi per chi va in pensione con meno di 45 anni di versamenti contributivi e incentivi (6% annuo) a chi resta in attività pur avendo diritto alla pensione.
Irlanda
L’età pensionabile è fissata a 65 anni, non sono previste forme di prepensionamento.
Lussemburgo
L’età pensionabile è fissata a 65 anni, è possibile il prepensionamento a 57 o a 60 con almeno 40 anni di contributi.
Olanda
L’età pensionabile è a 65 anni. Non sono previsti prepensionamenti né incentivi a chi resta.
Portogallo
Dal 1999 l’età pensionabile per le donne è stata portata a 65 anni. La pensione anticipata scatta a 55 anni, con 30 anni di contributi. Sono previsti incentivi per chi decide di continuare a lavorare fino a 70 anni.
Regno Unito
Il limite d’età è a 65 per gli uomini e a 60 per le donne, non esiste il prepensionamento.
Spagna
L’età pensionabile è 65 anni, per tutti. Una forma di prepensionamento è consentita a partire dai 60 anni per chi ha contributi risalenti a prima del 1967 e dai 61 per chi ha almeno 30 anni di contributi.
Svezia
L’età pensionabile è di 65 anni, il prepensionamento è possibile a partire da 61 anni; è possibile, volendo, continuare a lavorare.