postato il 26 Agosto 2011 | in "In evidenza, Riceviamo e pubblichiamo, Riforme"

Pensioni di reversibilità e anzianità: intervenire o no?

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati.

Il problema delle pensioni in Italia è molto complesso perché riguarda un mondo multiforme e vario: si deve fare una prima distinzione tra chi già percepisce una pensione e chi la percepirà in futuro; altra distinzione è tra i vari tipi di pensione (anzianità, di invalidità, di reversibilità), e sui modi di calcolo (contributiva o retributiva).

Intanto distinguiamo tra chi è già in pensione e chi deve ancora andare in pensione: è chiaro che nel primo caso si parla di diritti acquisiti, quindi difficilmente possono essere toccati, ma è anche vero che per le pensioni particolarmente elevate o nel caso di cumuli di più di pensioni, si può parlare di una riduzione dell’importo erogato. Voglio specificare bene, per evitare fraintendimenti: non parlo assolutamente di andare a diminuire il percepito di chi vive con la pensione minima, ma logicamente se si percepisce una pensione di 3000 euro netti e sommo anche una pensione di reversibilità di altri 3000 euro netti, parliamo di un reddito complessivo di 6000 euro netti al mese e in questo caso si può legittimamente pensare di diminuire la pensione di reversibilità erogata.

Contrariamente a chi afferma che 19 milioni di pensionati sono troppi (mi chiedo quale soluzione prospetta per eliminare i pensionati, forse le camere a gas?), dico che i pensionati sono, in questo momento, un sostegno per le famiglie. Svolgono il duplice ruolo di sostegno finanziario e familiare: il primo grazie alla loro pensione che permette di arrotondare il bilancio familiare (anche mantenendo i nipoti o i figli che cercano ancora lavoro), il secondo quando vi sono nipoti a cui badare ed entrambi i genitori lavorano (con asili nido assolutamente carenti).

Si è parlato di ridurre le pensioni di reversibilità, ma siamo sicuri di volerlo? Sempre più spesso ormai si arriva tranquillamente a 80 anni, ma a quell’età una persona ha bisogno, spesso, di essere accudita, e, visto che lo Stato non ha le risorse per farlo, è lo stesso anziano che deve provvedere pagando un aiuto o una badante o un istituto. Pensiamo, ad esempio, a tutti i malati di alzheimer e parkinson che vivono senza la possibilità di accedere ad un centro qualificato; in questo caso sono i familiari a farsi carico delle spese, spesso onerose, e in questo caso la pensione dell’anziano è un prezioso sostegno finanziario.

Quindi, a mio avviso le pensioni non dovrebbero essere toccate, a meno che non si parli di importi veramente alti (dai 4000 euro in su), in quel caso si può prevedere un piccolo aumento del prelievo.

Parliamo invece di chi deve ancora andare in pensione.

E’ davvero strano andare in pensione a 65 anni? La risposta è no, il resto del mondo va in pensione a quell’età, equiparando uomini e donne (alla fine dell’articolo troverete una tabella con i dati delle principali nazioni).

Ormai la vita media si è allungata e si arriva a condizioni sempre migliori all’età di 60-65 anni, quindi è legittimo pensare che si possa andare in pensione dopo rispetto ad oggi. D’altronde, il sistema pensionistico italiano è figlio di un periodo storico molto particolare, contrassegnato da un basso debito pubblico e una grande crescita economica dando vita al fenomeno anche delle baby pensioni, che sono maggiormente concentrate nel Nord Italia. Per intenderci, i “baby pensionati” sono coloro che potevano andare in pensione a 14 anni, sei mesi e un giorno se erano donne e addirittura 19 anni, sei mesi e un giorno se erano maschi, e sono localizzati per il 65% nel Nord Italia.

Detto quindi che non dovrebbe essere un tabù l’allungamento della vita lavorativa, equiparandoci al resto del mondo (ricordo che alla fine dell’articolo troverete una tabella con tutti i dati), resta il problema di quanto le nuove generazioni percepiranno quando saranno in pensione.

Questo è il tasto dolente, perché ormai si è passati al sistema contributivo, ovvero la pensione è parametrata a quanto è stato versato nelle casse dell’INPS e sarà pari al prodotto tra la somma dei contributi versati durante la vostra vita lavorativa (e rivalutati in base alla crescita dell’economia italiana, più l’inflazione) e un coefficiente (attualmente tra il 4 e il 6%) che dipende dall’età in cui andrete in pensione (tra 57 e 65 anni).

Il problema quindi diventano i contributi e il punto dolente è per chi lavora con contratti a progetto, in quanto con questa forma contrattuale, il datore di lavoro versa meno contributi all’INPS girando questa somma al lavoratore. Per fare un esempio concreto: un lavoratore dipendente che introita 1200 euro netti, prenderebbe 1300 euro netti (per ipotesi) come lavoratore a progetto, ma questi 100 euro in più che percepirebbe, sono tolti ai contributi che il datore di lavoro versa all’INPS. Lo scopo di questa “manovra” è quello di fare decidere al lavoratore se destinare o meno una quota del suo stipendio alla pensione tramite i fondi pensione.

Stando ai calcoli di vari siti e trasmissioni (per citarne una: report) chi per 30 o più anni lavora con un contratto a progetto per uno stipendio netto mensile inferiore a 1000 euro avrà diritto alla pensione sociale, e questo è il vero problema. Come risolverlo? A mio avviso si dovrebbe rivedere il sistema contributivo per il contratto a progetto equiparando i contributi a quelli del lavoratore dipendente, sarà poi il datore di lavoro valutare se gli conviene proporre un contratto a progetto o un contratto a tempo indeterminato.

Tabella per l’età media pensionistica, da cui si evince che la pensione è stata equiparata per uomini e donne e se se ha diritto a 65 anni:

Austria
L’età minima pensionabile è per tutti a 65 anni; il periodo contributivo da 40 a 45 anni.

Belgio
Donne e uomini vanno in pensione a 65 anni.

Danimarca
Si va in pensione a 65 anni, non si può anticipare, ma eventualmente posporre di tre anni.

Finlandia
Si va in pensione a 65 anni, da 60 è possibile il prepensionamento. Non c’è limite di età per chi decide di continuare a lavorare dopo i 65 anni.

Francia
Il periodo contributivo minimo è di 40 anni, che passerà a 41 entro il 2012 e a 42 entro il 2020. E’ stato introdotto un sistema di incentivi: ogni anno in più di lavoro darà diritto al 3% in più di pensione. Per contro 5% in meno per ogni anno mancante.

Germania
Nel 2004 per le donne l’età pensionabile è passata da 60 a 65. Si prevede un ulteriore innalzamento dell’età pensionabile globale da 65 a 67 entro il 2025. Sono previsti disincentivi per chi va in pensione con meno di 45 anni di versamenti contributivi e incentivi (6% annuo) a chi resta in attività pur avendo diritto alla pensione.

Irlanda
L’età pensionabile è fissata a 65 anni, non sono previste forme di prepensionamento.

Lussemburgo
L’età pensionabile è fissata a 65 anni, è possibile il prepensionamento a 57 o a 60 con almeno 40 anni di contributi.

Olanda
L’età pensionabile è a 65 anni. Non sono previsti prepensionamenti né incentivi a chi resta.

Portogallo
Dal 1999 l’età pensionabile per le donne è stata portata a 65 anni. La pensione anticipata scatta a 55 anni, con 30 anni di contributi. Sono previsti incentivi per chi decide di continuare a lavorare fino a 70 anni.

Regno Unito
Il limite d’età è a 65 per gli uomini e a 60 per le donne, non esiste il prepensionamento.

Spagna
L’età pensionabile è 65 anni, per tutti. Una forma di prepensionamento è consentita a partire dai 60 anni per chi ha contributi risalenti a prima del 1967 e dai 61 per chi ha almeno 30 anni di contributi.

Svezia
L’età pensionabile è di 65 anni, il prepensionamento è possibile a partire da 61 anni; è possibile, volendo, continuare a lavorare.

44 Commenti
Inline Feedbacks
Vedi tutti i commenti
citoyenne
citoyenne
12 anni fa

Buongiorno, dott. Pezzati

Lei è come sempre molto chiaro nello sviscerare un problema e di questo mi compiaccio.
Essendo piuttosto lunga ed articolata, divido la mia risposta in due parti, chiedendo perdono per la prossilità.
1^ PARTE
Lei fa una netta distinzione tra chi è già in pensione e chi ancora deve andarci, se mai ne avrà la possibilità, considerato che ormai prevale l’aspetto contributivo. Lei, con molta chiarezza, discetta su tutti i pro e i contro del sistema pensionistico italiano… quello dei comuni mortali, ma non esamina, mi perdoni l’appunto, su determinate pensioni destinate ai “santoni”.
Leggevo l’altro giorno un titolo di questo genere:
“Grazie alla legge Mosca in 40 mila ricevono l’assegno senza aver versato contributi. Nel ’96 l’Ulivo ha introdotto per loro il doppio vitalizio. Un costo per l’Inps di 10 miliardi di euro” (a come vede si parla di un partito di sinistra ed il dono è rivolto ai “poveri sindacalisti”).
Leggevo l’altro giorno di un tale Felice Crosta, dirigente della Regione Sicilia (un nome …una garanzia di onestà e di serietà!), ex presidente dell’Agenzia dei Rifiuti, (mi pare di ricordare), che percepisce 1369 euro di pensione …. al giorno (e che cavolo ci fa con tutti quei soldi?).
Leggevo l’altro giorno di un tale Lamberto Dini (lei ha mai sentito parlare di questa persona?) che percepisce soltanto 40.000 euro di pensione al mese.
Quanti casi di questo genere in Italia? Andare a contarli uno per uno sarebbe un’opera meritoria!
Passiamo ai comuni mortali: c’è tanta gente in Italia che anche volendo fare le cose onestamente si trova davanti un muro burocratico tale che si arrende. Quanti meccanici lavorano in nero, in meandri di vicoli ai più sconosciuti? Queste persone, anche se volessero fare un salto di qualità, non potrebbero perchè, in Italia, se lavori in nero sei sconosciuto, ma se chiedi la licenza per potere eseguire il tuo lavoro onestamente ci sono tali e tante pastoie (che vanno dai locali a norma di legge, con WC per disabili, con tante finestre, con tanti chiodi nel cassetto, ecc.) che il comune mortale preferisce arrendersi. (e sono contributi che si perdono)
Lei fa un elenco minuzioso dei Paesi che hanno un sistema pensionistico a partire dai 65 anni, adducendo l’ormai scontato discorso delle aspettative di vita. Per quanto riguarda quest’ultimo punto, l’aspettativa di vita, mi pare di capire che si parli di una media dove sono comprese persone che si sono impegnati in lavori a rischio e persone che si sono impegnati in lavori ultraprotetti (basterebbe dare un’occhiata al nostro parlamento e vedere fino a che punto è “vecchio”). Allora io le pongo il problema: siamo certi che la vita di un … mettiamo un camionista sia altrettanto lunga quanto quella di un parlamentare? potremmo parlare di muratori e di avvocati, di coloro che puliscono pozzi neri e di architetti…. Le aspettative di vita per queste persone sono uguali? Ma poichè si tratta di medie vale il solito discorso dell’ormai ultrafamoso pollo.
Nei Paesi da lei elencati, le condizioni di lavoro sono identiche a quelle italiane?
2^ PARTE

A questo punto le pongo un quesito/prolema: e se per caso vedessimo completamente capovolta la situazione? (mi perdoni le balordaggini che sicuramente scriverò)
E se invece si ponesse un tetto minimo e un tetto massimo a “tutte” le pensioni di “tutte” le persone?
Voglio fare un discorso “a la fimminina”:
A me non interessa sapere qual è lo “stipendio” del Presidente della Repubblica, nè quello del portiere del mio palazzo. La pensione è un assegno che si percepisce ad una certa età dopo determinati anni di lavoro. Allora poniamo un tetto minimo di 1.500 euro di pensione e un tetto massimo di 15.000 euro di pensione. In questa fascia, con le varie gradualità, debbono starci tutti, a prescindere dal lavoro svolto… potremmo definirlo assegno di sopravvivenza, piuttosto che pensione.
E’ chiaro che per chi ha avuto una vita molto facoltosa, i 15.000 euro sono bruscolini, ebbene vuol dire che queste persone nel corso della loro vita si faranno gli accumuli per un assegno integrativo necessario al proprio fabbisogno. E non deve essere scontato che solo i “grandi” possano arrivare a farsi la pensione integrativa… io posso essere una persona che per tutta la vita lavorativa ha risparmiato fino all’osso (ha mangiatu pani e cipudda) proprio per poter godere dopo di un vitalizio integrativo tranquillizzante.
Su un’altra questione metterei mano: le pensioni sociali.
Le pensioni sociali dovrebbero essere appannaggio solo per quegli invalidi che durante la loro vita, proprio per l’invalidità, non hanno avuto la possibilità di poter lavorare o continuare a lavorare, nel caso in cui l’inavlidità è avvenuta in seguito ad incidenti o quant’altro.
Per chi invece se ne è stato a lavorare a casa, allora ci dovrebbe essere la possibilità dei contributi volontari: pensi a tutte le casalinghe, di varia estrazione sociale, quante “meritano” la pensione sociale?
Non solo ma un taglio netto alle pensioni sociali, penso che sarebbe un incentivo a fare emergere il lavoro nero, molto diffuso in Italia (non ricordo su quale testata giornalistica, ma a quanto pare in una solo azienda di conceria, nel profondo nordest, si sono scoperti 800 lavoratori in nero… domani sarebbero 800 persone con la pensione sociale?)

Il discorso è troppo lungo e complicato, ma quello che, allo stato attuale, si evince è che così come funziona oggi il sistema non può andare… ma la medicina non può essere solo quella dell’innalzamento dell’età pensionabile.
Perdoni, ancora una volta la prolissità.
Una citoyenne

mario colella
mario colella
12 anni fa

Gentile sig. Pezzati, mi permetta alcune considerazioni su quanto ha scritto qui sopra.
La prima: il senso di desolazione che prende nel constatare (leggendo il suo scritto) la totale assenza dello stato nei servizi sociali; meno male che ci sono i nonni, le badanti, ecc. Essendo stato a lungo nel nord Europa, vedendo il tasso di natalita’ molto piu’ elevato rispetto al nostro, chiedevo ad alcuni miei amici come affrontavano il problema dei nidi e delle scuole materne. Risposta: costruiamo altri asili. In Italia,viceversa, ci sono le liste di attesa per gli asili nido e per la scuola dell’infanzia, per gli istituti per anziani!
La seconda: quando si fa una riforma importante come quella delle pensioni, occorrono due cose: il rispetto per le persone (sono gente che lavora e mantiene una famiglia, non sono cose o pupazzetti) e prevedere il futuro (con la riforma ipotizzata si porteranno i futuri pensionati a non essere economicamente autosufficienti, e si disgreghera’ il tessuto sociale-familiare che ora i “nonni” con fatica tengono in piedi).
La terza: mi sembra avvilente che, quando ci sono da rastrellare soldi, si tiri regolarmente fuori la riforma delle pensioni, senza toccare minimamente le persone e il sistema che hanno causato la situazione economica che l’Italia sta vivendo, eppure questo sarebbe un atto di onesta’, di giustizia, di rispetto nei confronti del Paese e soprattutto nei confronti di chi ha sempre pagato di tasca propria gli errori e la miopia della classe politica italiana.
La quarta: dovremmo finirla di fare confronti con gli altri Stati, o per lo meno, facciamolo a 360 gradi. Cosa mi risponderebbe se le dicessi che andrei in pensione alla stessa eta’ di Germania, Svezia, Olanda, Danimarca, Norvegia, pero’ con gli stessi servizi che che questi Stati danno. Ne cito solo alcuni: salario di ingresso (per sei mesi) nel mondo del lavoro, asili e scuole, stipendio garantito 6 mesi prima e 6 mesi dopo il parto. Dire che dobbiamo adeguarci all’ Europa solo per l’eta’ pensionabile, pero’ mantenendo i servizi sociali da terzo mondo, mi sa proprio di presa in giro.
Lei potrebbe rispondere che la’ funziona cosi’ proprio perche lavorano piu’ a lungo. Io credo che la’ funzioni cosi’ per cultura e perche’ le tasse si pagano. Credo che l’unica strada seriamente percorribile sia strutturare il sistema fiscale per cui sia impossibile e non conveniente evadere. Dare solo la caccia agli evasori costa molto e rende poco (sicuramente ricordera’ gli sconti che il fisco ha fatto e personaggi dello spettacolo e dello sport, mentre a migliaia di comuni mortali e’ stata tolta la casa).
Infine, ci sarebbe un’espressione volgare che renderebbe bene l’idea, ma ne uso un’altra meno efficace ma chiara: e’ bello fare bella figura con i soldi degli altri!

mario pezzati
mario pezzati
12 anni fa

sig. colella, vero quello che dice sul pagare le tasse, non condivido quando dice che al lotta all’evasione non è conveniente… lo è, e basterebbe passaqre all’incasso delle varie somme che la gdf ha già accertato (per le cifre la invito a leggere questo mio articolo: https://www.pierferdinandocasini.it/2011/08/11/basta-chiacchere-servono-soluzioni-il-nocash-day/).
rendere non conveniente evadere, lo si fa a mio avviso inasprendo le pene e non come pensava berlusconi, abbassando le tasse (per altro ipotesi mai realizzata).
costruire asili, assegni per i giovani… è tutto molto bello, MA ci vogliono soldi per farlo, e l’Italia tristemente non li ha.
E non li ha perchè NOI (e uso il maiuscolo perchè mi includo io in primis) non abbiamo la mentalità corretta… Secondo stime ufficiali, in 12 anni un operaio a Canton o Shanghai guadagnerà come uno di Treviso. Ma, ed è questo il punto, lavorerà di più e meglio, con una produttività e uno standard qualitativo superiore a quello italiano. L’efficienza e la mobilità non sono i nuovi vestiti dell’imperatore capitalista, bensì esigenze tecniche oggettive. E ciò riapre il dilemma del modello sindacale, anche alla luce dei veri problemi del sindacatola famosa cogestione sindacale tedesca è una bufala, il sindacato tedesco i privilegi di quello italaino se li sogna, come anche avere sedi all’interno delle fabriche… I sindacati tedeschi hanno scelto di difendere il posto di lavoro su base nazionale, anche limitando il salario, e questo esempio è stato seguito anche dagli spagnoli che hanno anche allungato l’orario di lavoro, mentre gli americani hanno profondamente rivisto il loro sistema produttivo: Bob King, capo della United Auto Workers, è venuto in Italia a spiegare la sua scelta coraggiosa: congelare per tre anni salari, tutele e diritto di sciopero, pur di salvare la Chrysler. In cambio ha ottenuto il 35 per cento delle azioni e un paio di posti in consiglio d’amministrazione (senza diritto di voto).

siamo noi italiani disposti a questi sacrifici e a pensare non in termini di diritti solamente ma di doveri e di diritti???

prima di potere ragionare sugli asili, sui salari di ingresso e così via, il problema è: dove troviamo i soldi?
dobbiamo quindi insistere sulla lotta all’evasione e renderci però conto che dobbimao iniziare a fare qualche sacrificio.

mario colella
mario colella
12 anni fa

Sig. Pezzati, mi scuso per essermi espresso male, dicendo che la riforma della struttura fiscale e’ l’unica via per “salvare” l’Italia (anche se rimango convinto che la sola caccia all’evasore non sia sufficiente). Avrei potuto dire lotta alla corruzione, abolizione di enti e consigli di amministrazione fasulli, nati solo per alimentare un sottogoverno e un sottobosco clientelare. Avrei potuto parlare di burocrazia da snellire profondamente; di ristrutturazione dello Stato e delle sue forme di rappresentanza; di lotta ai privilegi e ai vari condoni che premiano i furbi. Avrei potuto parlare di tante cose che, onestamente riviste, coprirebbero sufficientemente la manovra e ci garantirebbe che nei prossimi anni non dovremmo piu’ discutere di dove trovare i soldi, gia’ sapendo ipocritamente chi poi alla fine paghera’.
L’esempio della riforma fiscale, che non significa far pagare meno, ma far pagare tutti, era solo per dire che l’eta’ pensionabile, le pensioni di reversibilita’ e tutte le forme previdenziali, in questo preciso frangente, sono solo un paravento per non affrontare con serieta’ e onesta’ i problemi veri.
Ci vuole certamente anche la riforma del lavoro e della rappresentanza sindacale, ma sinceramente non riesco a credere che l’attuale crisi economica sia stata causata dai lavoratori e dai pensionati. E’ da qualche anno che ci si nasconde dalle proprie responsabilita’ scaricando le colpe sugli altri (se l’Alitalia e’ fallita e’ colpa delle hostess, se la scuola non funziona e’ colpa dei bidelli, se la sanita’ lascia a desiderare e’ colpa e’ degli infermieri, ecc.). Diciamo che ciascuno, nessuno -ma proprio nessuno – escluso, deve assumersi le proprie responsabilita’, e chi ha sbagliato, come succede nelle aziende, paghi.
Lei conclude dicendo che dobbiamo iniziare a fare qualche sacrificio. A mio parere il verbo “iniziare” e’ provocatorio, perche’ gli italiani, quelli che pagano tutto quello che devono pagare, e’ da parecchio che tirano la cinghia (se ricorda, gia’ dal precedente governo Berlusconi, e poi con Prodi e di nuovo adesso con Berlusconi che si parla della famosa quarta settimana). Nel frattempo il potere d’acquisto dei salari e’ calato, la disoccupazione e’ aumentata, i giovani sognano di poter mettere su famiglia, di lavorare per una vita dignitosa e il precariato e’ diventata la cosa meno precaria in Italia.
Quanto ai nuovi esempi da lei riportati su come funziona all’estero, ribadisco il mio pensiero: prendiamo a paragone gli altri Stati tutto cominciando dalla politica e giu’ fino in fondo, passando per la struttura economica, culturale, sociale, statale, e non solo cio’ che in qualche modo convalida le convinzioni personali. Quando avremo il coraggio di queste scelte, saremo su una buona strada, altrimenti come mi pare dica il vangelo, metteremmo il vino nuovo in otri vecchi e vanno persi e il vino e gli otri.

mario pezzati
mario pezzati
12 anni fa

sig. colella, nessun problema…. su quanto lei dice sono pienamente d’accordo soprattutto sull’assunzione di responsabilità…
e su dove reperire i soldi, pochi gironi fa ho scritto una rticolo sul “regalo” che sta per fare questo governo… donare 6 frequenze radiotelevisive del valore complessivo di almeno 3 miliardi di euro, invece di metterle all’asta…
con 3 miliardi, di colpo risolviamo tutti i problemi??? certamente no, ma almeno si inizia a fare qualcosa.
e soprattuto non vedo il motivo di regalarli quando l’italia ha problemi di bilancio
link all’articolo: https://www.pierferdinandocasini.it/2011/08/24/vengano-messe-allasta-le-frequenze-televisive/

citoyenne
citoyenne
12 anni fa

Il tuo commento è in attesa di moderazione
Se verifichi il tuo indirizzo e-mail attraverso il messaggio che ti abbiamo inviato in questo momento, il tuo commento sarà pubblicato immediatamente.
Postato da citoyenne il 27 agosto 2011

Buongiorno, dott. Pezzati

Lei è come sempre molto chiaro nello sviscerare un problema e di questo mi compiaccio.
Essendo piuttosto lunga ed articolata, divido la mia risposta in due parti, chiedendo perdono per la prossilità.
1^ PARTE
Lei fa una netta distinzione tra chi è già in pensione e chi ancora deve andarci, se mai ne avrà la possibilità, considerato che ormai prevale l’aspetto contributivo. Lei, con molta chiarezza, discetta su tutti i pro e i contro del sistema pensionistico italiano… quello dei comuni mortali, ma non esamina, mi perdoni l’appunto, su determinate pensioni destinate ai “santoni”.
Leggevo l’altro giorno un titolo di questo genere:
“Grazie alla legge Mosca in 40 mila ricevono l’assegno senza aver versato contributi. Nel ’96 l’Ulivo ha introdotto per loro il doppio vitalizio. Un costo per l’Inps di 10 miliardi di euro” (a come vede si parla di un partito di sinistra ed il dono è rivolto ai “poveri sindacalisti”).
Leggevo l’altro giorno di un tale Felice Crosta, dirigente della Regione Sicilia (un nome …una garanzia di onestà e di serietà!), ex presidente dell’Agenzia dei Rifiuti, (mi pare di ricordare), che percepisce 1369 euro di pensione …. al giorno (e che cavolo ci fa con tutti quei soldi?).
Leggevo l’altro giorno di un tale Lamberto Dini (lei ha mai sentito parlare di questa persona?) che percepisce soltanto 40.000 euro di pensione al mese.
Quanti casi di questo genere in Italia? Andare a contarli uno per uno sarebbe un’opera meritoria!
Passiamo ai comuni mortali: c’è tanta gente in Italia che anche volendo fare le cose onestamente si trova davanti un muro burocratico tale che si arrende. Quanti meccanici lavorano in nero, in meandri di vicoli ai più sconosciuti? Queste persone, anche se volessero fare un salto di qualità, non potrebbero perchè, in Italia, se lavori in nero sei sconosciuto, ma se chiedi la licenza per potere eseguire il tuo lavoro onestamente ci sono tali e tante pastoie (che vanno dai locali a norma di legge, con WC per disabili, con tante finestre, con tanti chiodi nel cassetto, ecc.) che il comune mortale preferisce arrendersi. (e sono contributi che si perdono)
Lei fa un elenco minuzioso dei Paesi che hanno un sistema pensionistico a partire dai 65 anni, adducendo l’ormai scontato discorso delle aspettative di vita. Per quanto riguarda quest’ultimo punto, l’aspettativa di vita, mi pare di capire che si parli di una media dove sono comprese persone che si sono impegnati in lavori a rischio e persone che si sono impegnati in lavori ultraprotetti (basterebbe dare un’occhiata al nostro parlamento e vedere fino a che punto è “vecchio”). Allora io le pongo il problema: siamo certi che la vita di un … mettiamo un camionista sia altrettanto lunga quanto quella di un parlamentare? potremmo parlare di muratori e di avvocati, di coloro che puliscono pozzi neri e di architetti…. Le aspettative di vita per queste persone sono uguali? Ma poichè si tratta di medie vale il solito discorso dell’ormai ultrafamoso pollo.
Nei Paesi da lei elencati, le condizioni di lavoro sono identiche a quelle italiane?
2^ PARTE

A questo punto le pongo un quesito/prolema: e se per caso vedessimo completamente capovolta la situazione? (mi perdoni le balordaggini che sicuramente scriverò)
E se invece si ponesse un tetto minimo e un tetto massimo a “tutte” le pensioni di “tutte” le persone?
Voglio fare un discorso “a la fimminina”:
A me non interessa sapere qual è lo “stipendio” del Presidente della Repubblica, nè quello del portiere del mio palazzo. La pensione è un assegno che si percepisce ad una certa età dopo determinati anni di lavoro. Allora poniamo un tetto minimo di 1.500 euro di pensione e un tetto massimo di 15.000 euro di pensione. In questa fascia, con le varie gradualità, debbono starci tutti, a prescindere dal lavoro svolto… potremmo definirlo assegno di sopravvivenza, piuttosto che pensione.
E’ chiaro che per chi ha avuto una vita molto facoltosa, i 15.000 euro sono bruscolini, ebbene vuol dire che queste persone nel corso della loro vita si faranno gli accumuli per un assegno integrativo necessario al proprio fabbisogno. E non deve essere scontato che solo i “grandi” possano arrivare a farsi la pensione integrativa… io posso essere una persona che per tutta la vita lavorativa ha risparmiato fino all’osso (ha mangiatu pani e cipudda) proprio per poter godere dopo di un vitalizio integrativo tranquillizzante.
Su un’altra questione metterei mano: le pensioni sociali.
Le pensioni sociali dovrebbero essere appannaggio solo per quegli invalidi che durante la loro vita, proprio per l’invalidità, non hanno avuto la possibilità di poter lavorare o continuare a lavorare, nel caso in cui l’inavlidità è avvenuta in seguito ad incidenti o quant’altro.
Per chi invece se ne è stato a lavorare a casa, allora ci dovrebbe essere la possibilità dei contributi volontari: pensi a tutte le casalinghe, di varia estrazione sociale, quante “meritano” la pensione sociale?
Non solo ma un taglio netto alle pensioni sociali, penso che sarebbe un incentivo a fare emergere il lavoro nero, molto diffuso in Italia (non ricordo su quale testata giornalistica, ma a quanto pare in una solo azienda di conceria, nel profondo nordest, si sono scoperti 800 lavoratori in nero… domani sarebbero 800 persone con la pensione sociale?)

Il discorso è troppo lungo e complicato, ma quello che, allo stato attuale, si evince è che così come funziona oggi il sistema non può andare… ma la medicina non può essere solo quella dell’innalzamento dell’età pensionabile.
Perdoni, ancora una volta la prolissità.
Una citoyenne

Riporto le parole scritte da voi sopra ogni commento:

“Il tuo commento è in attesa di moderazione
Se verifichi il tuo indirizzo e-mail attraverso il messaggio che ti abbiamo inviato in questo momento, il tuo commento sarà pubblicato immediatamente.”
le ultime parole stanno a significare che il commento non può essere pubblicato se prima non verificom l’indirizzo e-mail? Ma se non arriva nulla che debbo fare?
Una citoyenne

mario pezzati
mario pezzati
12 anni fa

salve sig.na citoyenne… il suo commento sarebbe degno di un post, nel senso che è una riflessione ottima e molto articolata.
La sua idea di un tetto minimo e massimo mi sembra estremamente corretta, e si potrebbe proporre visto che in questo momento si parla di riforma delle pensioni.
Quel che dice lei sulle aspettative di vita, è anche vero. Purtroppo la legge deve necessariamente fare certe generalizzazioni… però la sua osservazione non inficia quanto da me scritto: anche il camionista tedesco, va in pensione a 65 anni.

però è vero che l’età non può essere l’unica disciminante… allora forse si potrebbe fare una età minima a cui andare a sommare poi gli anni di contributi per potere accedere alla pensione. in altre parole, se io ho 60 anni posso andare in mensione ma solo se ho (ad esempio9 40 anni di contributi…

è però vero che le baby pensioni sono state una scandalo tutto italiano che non si può e non si deve ripetere.

sull’altra questione da lei sollevata: se non arriva nulla, bisogna armarsi di pazienza e aspettare che la redazione sblocchi il commento.
(generalmente questo avviene in 24 ore, fatti salvi i giorni festivi).

guido
guido
12 anni fa

Gent.mo On.. CASINI
faccio l’esempio di mia moglie cha ha iniziato a lavorare a 16 anni. A 56 ne avrà lavorati quindi ben 40 *sappia che le aziende dopo i 50/55 anni tendono a far fuori in ogni modo il dipendente perch[ costa troppo.. Con il regine attuale, dopo la finestra di 15 mesi (?) potrà avere la pensione e mi sembra davvero giusto e sacrosanto, visti che di riforme in dieci anni ne sono state fatte gi’ molte.. Secondo Lei invece dovrebbe aspettare il compimento dei 65 anni, quindi altri 9 anni di lavoro per un totale di 49 !!!!!!! Davvero una bella differenza verso i suoi onorevoli colleghi, che dopo solo tre anni di legislatura prendono una pensione d’oro (almeno il triplo del dipendente).
Pensavo che lei fosse una persona seria, ma se le proposte sono queste, è una FOLLIA !!!!
Semmai mettiamo un tetto alle pensioni, *diciamo 3000 E. mese max.( per tutti e diamo a chi ha piu bisogno. E poi basterebbe che la politica diventasse uan cosa seria, che gli appalti fossero veri, che si smettese di rubare davvero e di aiutare i soliti amici per risollevare le disastrate nostre pubbliche finanze.
Cordiali saluti
Guido

guido
guido
12 anni fa

faccio l’esempio di mia moglie cha ha iniziato a lavorare a 16 anni. A 56 ne avrà lavorati quindi ben 40. Sappia che le aziende dopo i 50/55 anni tendono a far fuori in ogni modo il dipendente perche costa troppo.. abusando di cassa integrazione e mobilita’. Con il regime attuale, dopo la finestra di 15 mesi (?) potrà avere la pensione e mi sembra davvero giusto e sacrosanto, visti che di riforme in dieci anni ne sono state fatte gia’ molte.. Secondo Lei invece dovrebbe aspettare il compimento dei 65 anni, quindi altri 9 anni di lavoro per un totale di ben 49 !!!!!!! Davvero una bella differenza verso i suoi onorevoli colleghi, che dopo solo tre anni di legislatura prendono una pensione d’oro (almeno il triplo del dipendente).
Pensavo che lei fosse una persona seria, ma se le proposte sono queste, è un cosa FOLLE !!!!
Semmai mettiamo un tetto alle pensioni, *diciamo 3000 E. mese max. per tutti e diamo a chi ha piu bisogno. E poi basterebbe che la politica diventasse uan cosa seria, che gli appalti fossero veri, che si smettese di rubare davvero e di aiutare i soliti amici per risollevare le disastrate nostre pubbliche finanze.
Cordiali saluti
Guido

mario pezzati
mario pezzati
12 anni fa

guido, lei ha ragione, ma è anche vero, ribadisco, che diventa necessario adeguarsi anche al resto d’europa e del mondo.
purtroppo non si può fare una riforma che tenga conto di ogni singola posizione.
questo è il limite più grosso della legge: dove guardare all’insieme delle persone, senza potere andare ad adattarsi sul singolo caso.

guido
guido
12 anni fa

Be anche un singolo caso è importante. Ma aimè sarebbero invece migliaia. Esistono la dignità delle persone e le legittime aspettative duramente calpestate da riforme “ignobili”. Non si può dire ad una persona di 55 anni che era arrivato ai fatidici 35 di anzianità ed era convinto di potersi godere un meritato riposo, che invece deve aspettare altri 6 anni come è stato fatto ad oggi. Ed ora (vedi proposta on. Casini), dirgli no, abbiamo ancora scherzato, gli anni non sono 6 ma altri 9, e fanno 15 (siate seri !!!!!!). Perchè ad esempio a coloro che sono andati in pensione con 14 anni 6 mesi ed un giorno, non togliere la pensione se ci sono altri redditi, tipo quello del coniuge ? Se facciamo un calcolo matematico dei contributi versati, credo che dopo 5 anni dal pensionamento, avvenuto prima dei 40, sia stato utilizzato interamente quanto versato nel breve periodo di lavoro, il resto (altri 30 anni in media o più) è tutto a nostro carico !!
Immagino che lei sia un giornalista, vorrei che dicesse pubblicamente quale è il regime pensionistico della categoria, tempi, importi e liquidazioni.
Speriamo davvero che nel futuro chi ci governerà abbia più rispetto della persona, una o centomila non importa, non ne calpesti così brutalmente i diritti.

mario pezzati
mario pezzati
12 anni fa

non sono un gironalista, ma posso affermare tranquillamente che ai gironalisti si applicano le stesse regole che si applicano a tutti… l’unica differenza è per i gironalisti in forza alla pubblica amministrazione, ma anche lì vi è stato una deguamento alle norme generali.

mario pezzati
mario pezzati
12 anni fa

i dati dicono che a oggi sono iscritti alla Gestione separata 32.392 giornalisti tra liberi professionisti (21.180) e collaboratori co.co.co (11.212), pari a circa il 33% – un terzo – degli iscritti all’Ordine.

 Ebbene, più di un terzo dei liberi professionisti (35%) percepisce redditi che non superano i 2.500 euro lordi annui e un altro terzo percepisce redditi tra i 2.500 e i 10.000 euro lordi all’anno. E tra i co.co.co. il fenomeno si acuisce: il 38% di loro percepisce reddito che non supera i 2.500 euro.
Ciò vuol dire che i bassi livelli del reddito complessivo annuale dei freelance costituiscono una evidente causa di copertura pensionistica insufficiente. In primo luogo per loro stessi, in quanto i trattamenti pensionistici erogati dall’Inpgi oggi si aggirano attorno ai 730 euro lordi

mario pezzati
mario pezzati
12 anni fa

e poi ribadisco: solo in italia è sorto il problema???
voglio dire: nel resto d’europa hanno inalzato l’eta per il pensionamento, cosa bbiamo di diverso noi italiani dagli altri?

guido
guido
12 anni fa

Non è vero !!! si è innalzata (gradualmente, molto gradualmente con scalette di 20 anni – vedi Francia) l’età del pensionamento di vecchiaia (per chi ha pochi anni di contributi versati). Quanti ne bastano ad oggi x avere la pensione di vecchiaia in Italia ?? Altra cosa è l’anzianità di chi ha sempre lavorato onestamente versando i contributi.

guido
guido
12 anni fa

Comunque se lei condivide una proposta che io trovo francamente INDEGNA ed IMMORALE il discorso finisce qui.
Le auguro di dover lavorare almeno 50 anni sereni ed avere 700 E. di pensione !!
Cordiali saluti

mario pezzati
mario pezzati
12 anni fa

evidentemente non ha letto l’articolo…glielo riscrivo.
Francia
Il periodo contributivo minimo è di 40 anni, che passerà a 41 entro il 2012 e a 42 entro il 2020. E’ stato introdotto un sistema di incentivi: ogni anno in più di lavoro darà diritto al 3% in più di pensione. Per contro 5% in meno per ogni anno mancante.

su quel che io lavorerò o meno… ho 36 anni e un contratto a progetto… quindi non mi dice nulla di nuovo.
Se lei pensa, però, che io e quelli della mia generazione dobbiamo pagare i privilegi di chi va in pensione a 56 anni, francamente ha sbagliato di grosso.

guido
guido
12 anni fa

cm è in francia è perfetto…non 50 anni come dice Lei. Cordiali saluti

guido
guido
12 anni fa

forse neppure lei ha letto quel che ho scritto….i privilegi di chi è andato in pensione da una vita con 14 anni di lavoro, invece li stiamo pagando proprio NOI ora, sulla nostra pelle … speriamo vada meglio x Lei in futuro.

guido
guido
12 anni fa

LEGGO E RIPORTO. NON PARE CHE LE COSE STIAMO COME DICE LEI. C’è MOLTA PIù SERIETà ED ONESTA INTELLETTUALE.

Il regime obbligatorio

Dopo una lunga serie di scioperi e manifestazioni di protesta in tutto il paese, qualche giorno fa il Senato francese ha approvato in via definitiva l’impopolare riforma delle pensioni. Il punto nevralgico della riforma è rappresentato dal progressivo innalzamento dell’età pensionabile, la quale dovrebbe raggiungere a regime, cioè nel 2018, i 62 anni per entrambi i sessi.
In Francia, il sistema previdenziale poggia su due pilastri: il regime pubblico obbligatorio (a ripartizione), che è contraddistinto da forti elementi solidaristici; il regime complementare che, basato sugli accordi collettivi, realizza uno stretto collegamento tra contributi e prestazioni.
Il ramo vecchiaia del regime obbligatorio contempla due tipi di prestazione:

■le pensioni di vecchiaia, che sono commisurate al reddito da lavoro e alla durata del periodo assicurativo;
■i sussidi, che vengono erogati nel rispetto di determinati requisiti.
L’età legale di pensionamento è attualmente fissata a 60 anni per entrambi i sessi; l’età effettiva di ritiro dal lavoro si riduce, tuttavia, a 58,5 anni per gli uomini e a 59,1 per le donne. Tale divario dipende dal fatto che è previsto il pensionamento anticipato (a 56 anni) per i lavoratori con una lunga carriera contributiva. Per avere diritto alla pensione piena, sono comunque necessari 40 anni di contributi.

L’aliquota contributiva standard risulta pari al 16,65 per cento (il 9,90 per cento a carico del datore di lavoro più il 6,75 per cento a carico del lavoratore).
La legge ammette, a certe condizioni, il cumulo della pensione con redditi da lavoro autonomo e dipendente; la pensione viene però sospesa se si presta la propria attività per l’ultimo datore di lavoro prima del ritiro.
È prevista una pensione minima di vecchiaia per gli ultrasessantacinquenni, di importo pari a 600 euro al mese per i singoli e a 1.050 euro per le coppie. L’ordinamento contempla anche un tetto pensionistico che corrisponde al 50 per cento del salario soggetto a contribuzione.
L’importo della pensione del regime obbligatorio è determinato da tre elementi, e cioè:

1.dalla retribuzione assunta ai fini delle contribuzioni.
A partire dal 1° gennaio 2008, per tutti gli assicurati nati dopo il 1947 tale retribuzione viene calcolata sulla base dei 25 anni “migliori”;
2.dal tasso di liquidazione.
Il valore di questo tasso dipende dalla durata assicurativa, dall’età di pensionamento e dall’appartenenza o meno a categorie svantaggiate (ad esempio, operaie con più figli a carico).
3.dalla durata assicurativa
Essa comprende, oltre agli anni effettivi di contribuzione ai diversi regimi di base, anche i periodi assimilati. Si tratta di periodi d’interruzione dell’attività lavorativa per malattia, maternità, invalidità, infortuni, servizio militare, disoccupazione, e così via. Le donne assicurate hanno diritto ad una maggiorazione della durata assicurativa da uno a otto trimestri per ogni figlio.
L’attribuzione delle pensioni di reversibilità ai coniugi superstiti non è automatica, ma subordinata al rispetto di alcune condizioni. Può aver diritto alla pensione di reversibilità il coniuge superstite, o l’ex coniuge divorziato, che abbia compiuto 51 anni (per le pensioni con decorrenza entro il 30 giugno 2009) e non disponga di risorse superiori ad un dato ammontare. La pensione di reversibilità non può superare il 54 per cento dell’importo della pensione spettante all’assicurato; tuttavia, sono previste maggiorazioni in presenza di carichi di famiglia.

Sono previste le seguenti prestazioni non contributive di vecchiaia:

■sussidio per lavoratori subordinati anziani (AVTS);
■sussidio per madri di famiglia (al location aux méres de famile);
■integrazione pensionistica per i trattamenti inferiori al minimo;
■vitalizio (secours viager);
■sussidio integrativo della Cassa di solidarietà nazionale.
In Francia, è stato recentemente istituito nel bilancio dello Stato un fondo di riserva volto a fronteggiare la futura crescita della spesa pensionistica. Le dimensioni di questo fondo appaiono però contenute (meno dell’1 per cento del Pil) e comunque inadeguate a contrastare l’incremento delle pressioni sulla spesa causato dall’invecchiamento della popolazione. Secondo le valutazioni della Commissione europea, nei prossimi anni il settore pensionistico dovrebbe evidenziare deficit elevati e crescenti.

Il regime complementare
L’adesione ai piani complementari è obbligatoria per tutti i lavoratori dipendenti iscritti all’assicurazione vecchiaia del regime generale della sicurezza sociale o della mutualità sociale agricola.
L’età standard per poter accedere al trattamento integrativo è di 65 anni. È possibile tuttavia chiedere la liquidazione anticipata dei diritti a partire dal compimento dei 55 anni di età. In questo caso l’importo della prestazione viene ridotto del 7 per cento all’anno dai 55 ai 59 anni, del 5 per cento dai 60 ai 62 anni e del 4 per cento oltre i 62 anni.
In Francia, i trattamenti integrativi erogati dai fondi pensione rappresentano circa il 25 per cento del totale delle pensioni.
Il 63,4 per cento del patrimonio

mario pezzati
mario pezzati
12 anni fa

lei parla delle pensioni di chi andò in pensione con 14 anni lavorativi: ha ragione è criticabile, ma purtroppo è stata una idea (visto che siamo in un forum pubblico, mi limito a dirla “bislacca”, malascio alla sua fantasia il compito di sostituire tale parola con altre più consone) del governo rumor degli anni 70 (vado a memoria).

la invito a leggereq eusto link: http://www.borsaforextradingfinanza.net/article-e-un-incompiuta-la-riforma-francese-delle-pensioni-60597265.html
in particolar edove dice che per godere della pensione piena in francia ci vogliono 40 anni di contributi eil raggungimento dei 67 anni.

guido
guido
12 anni fa

A CHIUNQUE POSSA INTERESSARE SI VADA A LEGGERE QUANTO è CONTENUTO IN QUESTO LINK. NON QUANTO CI VOGLIONO FAR CREDERE. GIà OGGI SIAMO TRA I PIù PENALIZZATI DEL MONDO OCCIDENTALE, PER ETà, ANNI DI LAVORO ED IMPORTI EROGATI NETTI.

Shttp://www.francoceccuzzi.it/wordpress/pdf/sistema_pensionistico_europeo.pdf

mario pezzati
mario pezzati
12 anni fa

signor guido la invito a leggere qeusto dove si nota che il suo articolo è alquanto impreciso e fazioso. la pregherei di evitare di mettere in dubbio la mia onestà intellettuale o la mia preparazione sulla quale nonho assolutamente dubbi (contrariamente alla sua).
Se legge bene quel che ha riportato, osserverà che se si va in pensione prima dei 65 anni si ha una riduzione del 7% della pensione per ogni anno che manca al compimento della soglia dei 65 anni di età.
e che in goni caso osno necessari 40 anni di contributi per la pensioen piena.
le percentuali della pensione di reversibilità sono inferiori a quelle italiane (massimo 54% in francia) e inoltre il regime di favore che lei sogna vale solo per chi va in pensione prima del 2009.
le posto una rticolo tradotto dal francese
UN SISTEMA COMPLESSO

Prima di presentare la riforma vale la pena ricordare la struttura attuale del sistema pensionistico francese. È un sistema complesso, suddiviso in trentotto schemi pensionistici tra obbligatori, pubblici, a ripartizione, contributivi e redistributivi. La maggioranza degli occupati francesi del settore privato è iscritta al più importante schema statale fino a una certa soglia di stipendio. Questo schema a benefici definiti offre il 50 per cento della media dei migliori 25 anni di stipendio a condizione di aver compiuto i 65 anni o di avere raggiunto 41 anni di contributi. L’età minima di pensionamento è 60 anni: consente a chi ha iniziato a lavorare prima dei 19 anni e ha sempre lavorato di lasciare il lavoro appunto a quell’età. Sopra quella soglia, i lavoratori del settore privato sono iscritti a schemi di previdenza complementare: sono sistemi “a punti” a contribuzione definita e a ripartizione. Anche se i due schemi pensionistici sono gestiti in modo separato, le penalizzazioni per il pensionamento anticipato dipendono dalle regole dello schema principale. Aggiungiamo poi che i dipendenti pubblici hanno uno schema unificato che offre il 75 per cento dell’ultimo salario all’età di 55 anni per gli operai e di 60 per gli impiegati purché siano rispettati i requisiti sul periodo di contribuzione.

COSA CAMBIA CON LA RIFORMA

La riforma delle pensioni del 2010 ambisce a ridurre il deficit del sistema pensionistico francese con una combinazione di aumenti delle imposte e riduzione dei benefici. Gli incrementi delle tasse sono essi stessi un insieme di misure che comprendono l’innalzamento dell’1 per cento dell’aliquota marginale più alta delle imposte sul reddito, un aumento dei contributi per i datori di lavoro e un aumento dei contributi statali per le pensioni pubbliche. La riduzione dei benefici prende la forma dell’aumento dell’età minima di pensionamento da 60 a 62 anni, mentre l’età di pensionamento a tasso pieno (cioè quando non si applica nessuna penalizzazione per difetto nel requisito sul periodo di contribuzione) passa da 65 a 67 anni. Dal 2004 alcune categorie di lavoratori, che hanno iniziato a lavorare a 14, 15 o 16 anni, possono andare in pensione a 58 o 59 anni se hanno contributi per 42 o 43 anni. Queste eccezioni rimangono nella riforma e anzi sono estese a chi ha iniziato a lavorare a 17 anni e potrà andare in pensione a 60 anni. Nel settore pubblico, tutte le età minime di pensionamento sono aumentate di due anni: da 55 a 57 e da 60 a 62 anni. Secondo le stime del governo, il pacchetto di riforma dovrebbe portare a un bilancio in pareggio entro il 2018, quando il deficit riprenderà a crescere di nuovo sotto la pressione di una più lunga aspettativa di vita.

LE PAROLE E I FATTI

Il governo francese afferma di aver preservato la sostenibilità delle sue finanze pubbliche mandando un segnale chiaro ai mercati finanziari, garantendo nello stesso tempo l’equità del sistema pensionistico con tasse più alte sui ricchi e deroghe per coloro che hanno iniziato a lavorare presto. Sul fronte opposto, i sindacati e l’opposizione affermano che la riforma è ingiusta e qualcuno aggiunge che un’età di pensionamento più alta porterà a una maggiore disoccupazione e non a un bilancio maggiormente in equilibrio.

Se “equità” è una parola che fa riferimento ai valori, gli economisti preferiscono guardare piuttosto agli effetti distributivi di una riforma. In questo caso, la riforma delle pensioni interessa la maggior parte dei salariati con l’eccezione di un gruppo di lavoratori per i quali il livello della pensione è determinato dal periodo di contribuzione richiesto, cioè coloro i quali hanno iniziato a lavorare dopo i 21 anni di età. Questi lavoratori, che per lo più hanno studiato e di conseguenza hanno retribuzioni più alte, ricevono la pensione intera a 62 anni, sia prima sia dopo la riforma. A causa della probabile natura regressiva della riforma, le critiche dell’opposizione e del sindacato non sono dunque del tutto infondate. D’altra parte, l’affermazione che l’incremento dell’età di pensione porterà a un aumento della disoccupazione giovanile, affermazione echeggiata più volte durante le proteste, ha fatto arricciare il naso a molti economisti. In Francia è evidentemente ancora molto diffusa la credenza nella “fallacia del numero fisso di posti di lavoro”, secondo la quale il numero dei posti di lavoro nell’economia sarebbe fisso e dunque qualsiasi vantaggio per un gruppo (anziani, donne, immigrati) si avrebbe a spese di altri (giovani, uomini, francesi di nascita). E ciò spiega anche la passata popolarità di schemi di ritiro anticipato dal lavoro e il mancato appoggio ai tentativi di ribaltare questo trend.

Se si deve dar merito al governo francese di aver affrontato un tema controverso come quello delle pensioni, è difficile non essere preoccupati per ciò che nella riforma non c’è: la stabilità finanziaria è stata assicurata solo per un paio di anni; non c’è stata alcuna discussione sulle misure che si dovranno prendere tra otto anni; la complessità dell’attuale sistema non è stata ridotta; ma quello che forse è peggio, tutto il dibattito pubblico è stato fuorviante. Dopo la riforma del 2003, sembrava fosse progressivamente emersa la convinzione della necessità di incentivare il ritiro posticipato dal lavoro riducendo l’importanza dell’età minima di pensione, la riforma del 2010 invece ci riporta a un sistema estremamente rigido, incentrato sui 62 anni di età.

Contrariamente a quanto afferma il governo, e forse a quanto spera parte dell’opposizione, la riforma più importante del sistema pensionistico francese è ancora di là da venire. ( Fonte: http://www.lavoce.info)

Autore: Antoine Bozio

mario pezzati
mario pezzati
12 anni fa

infine: l’ultimo link dell’articolo è sbaglaito…per la tabella e verificare la mia fonte, ecco il link corretto:

http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/economia/200707articoli/23901girata.asp

guido
guido
12 anni fa

del “dila da venire” come citato nell’articolo, ne discuteremo poi (che cavolata è ?). Poco onesto intelletualmente sarà lei se sostiene che sarebbe corretto lavorare tutti sino ai 65 anni anche per chi ha iniziato a 15 o 16 e quindi con 50 anni di lavoro. Non è così in nessun paese civile. E stia tranquillo, noi vorremmo solo avere quanto ci spetta in base ai contributi pagati, non certo danneggiare la sua pensione futura …… Cordiali saluti.

guido
guido
12 anni fa

LA CRETINATA PIù GROSSA (anche offensiva) L’HA SCRITTA LEI E LA RIPORTO :

Se lei pensa, però, che io e quelli della mia generazione dobbiamo pagare i privilegi di chi va in pensione a 56 anni, francamente ha sbagliato di grosso.

CHI HA INZIIATO A LAVORARE E PAGARE I CONTRIBUTI A 15 ANNI E A 56 NE HA TOTALIZZATI BEN 41 DI LAVORO, MI SEMBRA PIù CHE GIUSTO CHE POSSA ANDARE IN PENSIONE DI ANZIANITà.

E’ COSì IN OGNI PARTE DEL MONDO CIVILE.

Lo squilibrio dell’INPS non è per la previdenza, ma per la assistenza, che è bel altra cosa.

E CON QUESTO CHIUDO DAVVERO IL DISCORSO

Rosella
Rosella
12 anni fa

Gent.le Sig. Pezzati
mi sento offesa dalla sua affermazione che la sua generazione non deve pagare i privilegi di chi va in pensione a 56 anni.
Forse se lei non sa che quelli della mia generazione che non potevano permetterò di studiare andavano a lavorare a 14 anni in quanto non l’obbligo scolasti o a quell’eta era gia’ assolto (contrariamente a molti ragazzi di oggi che non hanno nessuna voglia di studiare e che ostinano a scaldare i banchi fino a 18 anni).
Si tratta di ragazzi che hanno lavorato una vita in officina, in fabbrica, con turni notturni, alle catene di montaggio e agli altiforni.
Quando avranno 56 anni avranno gia’ i fatidici 41 anni e 6 mesi di lavoro pesante sulle spalle. E Lei questo lo considera un privilegio? Dov’era Lei a 14/16 anni? A lavorare ad una catena di montaggio alla Fiat?
E Lei pensa che siano cosi’ pochi questi casi?
Io ho iniziato a lavorare a 20 anni e con la legge attuale potro’ andarci a 61 anni e 6 mesi, anch’io dopo 41 anni e 6 mesi. Forse, se non cambieranno regole, riuscirò ad assistere Gli anziNi della mia famiglia senza essere costretta ad assumere una badante.
E’ una cosa buffa, pero. Voi giovani ( a dire il vero quelli della mia generazione erano considerati gia’ maturi a 36 anni) che ci volete far lavorare fino alla vecchiaia inoltrata siete i primi ad insultarci e ad avvilirci sui posti di lavoro, considerandoci arteriosclerotici e rimbambiti e siete i primi ad accusarci di rubare il posto a Voi giovani.
Senza contare che proprio le stesse aziende cercano in tutti i modo, quando possono, di spedisci in prepensionamento!
Insomma, che cosa volete da noi? Eliminarci tutti in modo da non disturbare piu’ nessuno! Proprio noi che la nostra pensione ce la siamo guadagnata con i contributi versati e che stiamo invece pagando le pensioni dei baby pensionati! Quelli si che sono privilegi!
Non offenda in questo modo le persone che hanno lavorato una vita e che a 20 anni non pensavano all’anno sabbatico o ai voli low coast ma erAno gia’ li a sgobbare.
.

mario pezzati
mario pezzati
12 anni fa

sig. guido, che posso dirle?? le do ragione su tutta la linea se questo serve a renderla più felice e contento.
certo nel resto del mondo si va in pensione a 65 anni… ma si vede che il resto del mondo sbaglia e noi no…
ragion per cui le do ragione su tutta la linea, contento???

sig. ra Rossella, la informo che già fin d’ora io accudisco i miei genitori (uno malato di alzheimer, mia amdre invece con gravi disabilità nel deambulare).
I miei contributi partono da quando avevo 20 anni… faccia lei i conti… ho inizato a lavorare all’università,… e credo che andrò in pensione a 70 anni (altro che 65 anni). Lavoro con contratti a progetto, il che renderà la mia pensione molto bassa…
Non ho mai considerato una persona anziana rimbambita e arteriosclerotica… ci sono tanti 60enni estremamente validi.
Ho visto invece, molti 60enni che forti di un contratto che li blindava, potevano andare a lavorare e scaricare il loro carico di lavoro sullo stagista di turno, che sperava poi in una assunzione…
mi scusi, ma non credo di dovermi sentire in colpa.
i numeri sono quelli, l’italia è con l’acqua alla gola.
servono soldi certi ora, quale soluzione alternativa propone?

Rosella
Rosella
12 anni fa

Gent.le Sig Pezzati
nella mia vita lavorativa ho cresciuto due figlie e ho assistito ad una mamma malata ricorrendo ad aspettative e part time quando l’azienda me lo consentiva in quanto non obbligata a farlo.
Ora ho un padre di 90 anni e quando sono al lavoro (dalle ore 9 alle 18 piu’ il tempo di viaggio) non posso ovviamente assisterlo in quanto non ho il dono di onnipresenza. Senza considerare che al mio rientro ho la cena da preparare e i panni da stirare. Mi creda a 40/50 anni ci si riesce, a 60 quando iniziano a farsi sentire i problemi di salute e’ tutto piu’ difficile.
Lei considera molti 60enni validi,la ringrazio, ma mi creda non sono in molti a pensarla cosi’. Ho visto troppe volte espressioni d’intesa divertite da parte di colleghi giovani nei confronti dei colleghi anziani!
Se l’Italia e’ con l’acqua alla gola non e’ certo colpa di gente che ha lavorato tutta una vita e che ha spesso rinunciato alla’adolescenza bensi’ di governi, di ogni parte politica, che non hanno mI voluto fare veramente nulla per combattere l’evasione.
Non voglio pero’ iniziare con Lei una polemica che finirebbe solo zper farmi male e inevitabilmente per essere sterile in quanto capisco che Lei non puo’ comprendermi veramente cosi’ come io non riesco a capacitarmi di questa sua ostinazione nonostante le abbia parlato di persone che veramente hanno sgobbato tanto fin da giovani.
Andando in pensione con41 anni e 6 mesi io, e come tanti altri, regalano gia’ un anno e 6 mesi di contributi per le pensioni dei giovani ma evidentemente anche questo non basta.
Un cordiale saluto.

mario pezzati
mario pezzati
12 anni fa

capisco il suo punto, mi creda… e ha ragione nell’individuare come un problema la mancata lotta all’evasione.
Ne ho parlato in un mio articolo precedente, mettendo anche cifre che fanno tremare i polsi.
se si azzerasse l’evasione in circa 10 anni si azzererebbe tutto il debito pubblico italiano…
purtroppo, non abbiamo il tempo per potere attendere i risultati della lotta all’evasione, sempre che questo governo la voglai realmente fare…
se noi a settembre non troviamo i soldi, gli attacchi alla nostra economia, saranno pèossibilmente peggiori di questa estate… ha ragione sull’evasione..ma purtroppo abbiamo anche il problema di dovere reperire soldi certi….
è chiaro che però a questi soldi noi dobbiamo associare la lotta all’evasione..perchè i soldi che noi oggi troviamo con questa amnovra (su cui ho delle riserve che ho già menzionato altrove), servono a guadagnare tempo, ma non risolvono il problema… e il tempo guadagnato deve essere usato per al crescita e per la lotta all’evasione

Rosella
Rosella
12 anni fa

Vede, come le dicevo, il problema non e’ che questo governo lo voglia fare, il problema e’ che nessuno lo vuole fare in quanto non mi sembra, dalle poche informazioni che riesco a reperire, che nemmeno le proposte dell’opposizione lo prevedano.
Al contrario si continua a insistere su queste benedette pensioni; insomma, chi poteva andare in pensione a 56/57 anni c’e gia’ andato e, comunque saranno sempre meno, proprio perche’ possibile solo a chi ha iniziato a lavorare giovane e quando non c’era l’obbligo scolastico oltre i 14 anni. Chi si e’ diplomato. non potra’ andarci prima dei 61 anni e chi si e’ laureato prima dei 65 anni. Come vede senza intervenire sulle pensioni di anzianita’ ma solo sull’eta pensionabile, Lei e la sua generazione non pagherete il privilegio di nessuno.
Al contrario, intervenendo sulle pensioni di anzianita’ sara’ proprio la mia generazione che paghera’ per tutti: per i baby pensionati (ahimè nostri coetanei con la fortuna di aver lavorato nel settore pubblico) e, ma inutilmente in quanto i nostri soldi li spenderanno in malo modo, per i giovani.
Nel settore privato non e’ come nel settore pubblico. Nessuno, giovane o anziano che sia, si sente al giorno d’oggi blindato da un contratto.
AL contrario, ci sentiamo ogni giorno di piu’ e sempre di piu’ precari e, come dicevo, le aziende quando possono cercano di lasciarsi a casa con fondi mobilita’ ed ogni altro strumento possa essere utile.
Pensi com’e gratificante per un lavoratore sapere che l’azienda ti vorrebbe ” svecchiare” perche’ l’eta media e’ troppo alta. Mi creda, come per tutte le cose, quando si fanno certe riflessioni, occorre conoscere tutele realta’.
Ha trovato, ad esempio, una soluzione per tutte quelle persone che son in mobilita’ o gestite dai fondi di solidarieta’ aziendale? Il costo degli anni di contribuzione mancanti chi lo dovra’ sobbarcare? Ancora noi, con il nostro lavoro. Oppure si pensa di farli rientrare al lavoro a 60 anni. Ma se non avevano lavoro prima, non c’e lavoro per i giovani, come sara’ possibile?
Ho letto la sua risposta a Daniele. Non mi sembra corretta. La contribuzione massima e’ 40 anni, per cui se lavori 42 o 43 i tuoi contributi non sono validi ai fini pensionistici per cui, se non sbaglio, sono anni comunque persi.

guido
guido
12 anni fa

Concordo pienamente con quanto scrive la sig. Rossella, perchè fotografa molto bene la reale situazione esistente anche sui posti di lavoro. Quanti hanno inziato a lavorare a 14 o 15 o 16 anni sono rimasti davvero pochi e vanno tutelati come i PANDA perchè stanno scomparendo. Tra l’altro i 41 anni e 3 mesi minimi di anzianità lavorativa sono più penalizzanti del regime vigente in Germania e Francia ed in altri paesi civili (l’Italia non lo è). Davvero sig. Pezzati la pianti di dire che nel resto del mondo si va con 65 anni PERCHè NON è COSì.! A 65 anni si va con 30 o meno anni di lavoro con la pensione di vecchiaia, spesso integrata al minimo o con la pensione sociale che paghiamo tutti noi (a gente che forse ha lavorato in nero tutta la vita, anche se non per loro colpa, ma è così).

guido
guido
12 anni fa

Sicuramente Lei avrà una laurea di tipo umanistico, ma manca totalmente delle più elementari basi di matematica oltrechè di un po’ di buon senso. 65 – 15 fanno 50. Provi anche con la calcolatrice e vedrà. Non ho letto da nessuna parte, in nessun regime pensionistico del mondo civile che si debba lavorare 50 anni. HA mai provato a fare un giro per ambulatori pubblici ed ospedali ? secondo lei è vero che tutti gli ultrasesantenni sono vispi e pieni di salute e si aspettano di campare sino a 100 anni e più come il nostro P.del C.?? Io dico di NO. Forse la vita media si è un po’ allugata perchè c’è stato più tempo per curarsi e la sanità era migliorata, ma tornerà a peggiorare per via dei tagli indiscriminati.
Forse l’idea di vedere fabbriche, negozi ed uffici pieni di ultrasessantenni è un suo desiderio. Quando la voteremo come primo ministro, essendo giovane, potrà proporre la legge. Magari la compenserà con i buoni sconto del supermercato o viaggi premio in estremo oriente. O meglio omaggiando pannoloni da incontinenti da distribuire ai dipendenti ottuagenari affiancati da badanti rumene o moldave che da noi, non mancano di certo.
Signora Rossella Lei è molto garbata, educata e sa esprimere bene, con grande dignità, quanto accade nel mondo del lavoro.
Io al posto suo sarei molto più INC………. e quindi faccio i complimenti ala sua estrema educazione e correttezza, pur costretta a leggere dellle proposte che io invece trovo prive di ogni buon senso (peraltro non ragionate).

mario pezzati
mario pezzati
12 anni fa

sig. guido, intanto le comunico che la mia laurea è in econmia e commercio, vecchio ordinamento, e ho un master alla bocconi in corporate finance e un altro master in mercati finanziari…lo dico visto che fa ipotesi sulla mia preparazione.
lei continua a dire che nel resto del mondo non si va in pensione a 65 anni, io le ho portato link e articoli in cui si afferma il contrario… lo stesso articolo da lei postato prima, afferma che anche in francia si sta allungando l’età minima per andare in pensione.
ognuno pensi quel che vuole.

sig.na rossella, sulla mia rispsota a daniele, cito testualmente il corriere della sera: “Il ministero del Lavoro spiegava che, dal 2012, per andare in pensione d’anzianità a prescindere dall’età anagrafica non sarebbero bastati più 40 anni di contributi comunque realizzati e quindi anche con eventuali riscatti della laurea e del militare, ma sarebbero serviti 40 anni di lavoro effettivo. GLI EVENTUALI ANNI RISCATTATI CONTEREBBERO QUINDI NON PIU’ PER LASCIATRE PRIMA IL LAVORO MA SOLO PER AVERE UNA PENSIONE PIU’ ALTA. Per chi va in pensione d’anzianità col sistema delle quote (età anagrafica più contributi), precisavano infine al Lavoro, non sarebbe cambiato nulla. ”
questo dice il corriere riportando un comunicato del ministero del Lavoro, se vuole leggere tutto l’articolo lo trova qui: http://www.corriere.it/economia/11_agosto_31/il-blocco-del-riscatto-degli-studi-potrebbe-valere-per-il-futuro-enrico-marro_99e6797e-d390-11e0-85ce-5b24304f1c1c.shtml?fr=box_primopiano

mario pezzati
mario pezzati
12 anni fa

e per inciso, così tagliamo la testa al toro..ecco una fonte UFFICIALE, ovvero borsa italiana, da cui si può desumere come si va in pensione nel resto del mondo.
la soglia dei 65 anni è confermata… in Francia (che il sig. Guido adora), si va in pensione (cito testualmente)
Pensionamento a 65 anni (60 in caso di invalidita’)
Dal 2012 in pensione prima dei 65 anni se si hanno almeno 41 anni di contributi.
Pensione massima: 50% della retribuzione.
Settore pubblico: dal 2008, durata del servizio 40 anni per il massimo della pensione
Regole per i due settori equiparate nel 2012 con 41 anni di contributi necessari per la pensione piena.
Previsti anche disincentivi (con una decurtazione del 5% per ogni anno mancante a partire dal 2013 nel privato e dal 2015 nel pubblico) prima del raggiungimento degli anni di servizio necessari alla pensione intera.

da quanto detto si desume che si va in pensione a 65 anni, solo se si hanno 40 anni di contributi (almeno), se si va prima dei 65 anni allora si subisce una decurtazione della pensione, infine, la pensione massima è il 50% del reddito.
fonte: http://www.borsaitaliana.it/speciali/tfrriformapensionistica/sistemaprevidenzialedeglialtripaesi/sistemaprevidenzialeallestero.htm

mario pezzati
mario pezzati
12 anni fa

In germania, invece, ormai si sta raggiungendo la soglia dei 67 anni

mario pezzati
mario pezzati
12 anni fa

infine segnalo questo articolo: http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2011-08-17/crescita-nuovo-lavoro-nuove-063824.shtml?uuid=AaisXqwD

e dice, cito testualmente: Il Pil tedesco pro capite è del 30% più alto di quello italiano. Due terzi di questo gap sono dovuti al fatto che in Italia il 63% delle persone tra 15 e 65 anni lavora, contro il 75% della Germania. In Danimarca e Svezia quasi l’80% delle persone in questa fascia lavora. Il gap è forte alle due estremità della vita lavorativa. Abbiamo un tasso di disoccupazione giovanile che sfiora il 30% (l’8% in Germania), e poco più del 30% delle persone nella fascia 55-65 lavora (in Germania sono circa il 45%; in Svezia quasi il 70%). Da noi i giovani faticano a trovare lavoro e chi ce l’ha va in pensione troppo presto.

Per crescere più dello zero virgola, è necessario risolvere questi due problemi. Se si riuscisse a portare la partecipazione al mercato del lavoro della fascia 55-65 al livello svedese, il nostro Pil crescerebbe di quasi 15 punti, tre volte la crescita cumulata degli ultimi 10 anni.

È necessario risolvere questi problemi, e anche possibile. Le soluzioni sono chiare. Per aumentare la partecipazione delle persone tra 55-65 serve portare l’età pensionabile ai livelli degli altri Paesi europei, con l’esclusione del lavoro operaio, e quindi per la grande maggioranza. Intervenire sulle pensioni è tema delicato. Gran parte delle pensioni garantisce un livello di sussistenza minima o poco di più. È sacrosanto garantire il loro potere d’acquisto. Ma non si comprende perché un 60enne, impiegato bancario, un quadro amministrativo o un insegnante non possano continuare a lavorare fino 65 o addirittura 68 anni (come in Germania o Svezia). Si direbbe: «Ma gli italiani sono diversi». Ne siamo certi? Sapete qual è stata l’età media del pensionamento degli uomini italiani nel 1960 quando l’aspettativa della vita era 7 anni più bassa? 65 anni. Negli anni 70 e 80 dei pensionamenti facili l’età media è scesa fino a 58 anni. Si direbbe: «Oramai le aspettative sono quelle, non si possono cambiare». Ebbene, l’Olanda tra il 1990 e il 2005 è riuscita a portare il tasso di partecipazione degli uomini 55-65 da 45% a 60 per cento. Nello stesso periodo il tasso di partecipazione in Italia (per gli uomini) è sceso di 10 punti (da più del 50% a poco più del 40%).

Per facilitare l’ingresso dei giovani al lavoro serve riscriverne le regole dando alle aziende la possibilità di assumere e di terminare in funzione delle proprie esigenze e delle capacità individuali. Non più un contratto a termine che disincentiva la formazione di un rapporto di lavoro di lungo termine. Allo stesso tempo, non più un contratto a tempo indeterminato che disincentiva le assunzioni e la crescita delle aziende, che sotto 15 dipendenti sono esenti oggi dai vincoli posti dall’articolo 18. Questo avviene in Olanda e in Danimarca. Occorre creare un fondo per dare un sussidio di disoccupazione a chi perde il lavoro e per consentire una riqualificazione.

mario pezzati
mario pezzati
12 anni fa

infine articolo tedesco sul sistema pensionistico tedesco, dove è scritto che si va in pensione dopo che in italia…alla fine vi è una tabella in cui si specifica in base all’anno di nascita quando si può (a certe condizioni andare in pensione). L’artuicolo èscritto in tedesco…
fonte: http://www.renteneintrittsalter.net/

Das System der gesetzlichen Rentenversicherung wird den Anforderungen einer älter werdenden Gesellschaft in der gewohnten Weise nicht gerecht werden können: Immer weniger Menschen, die zudem in großen Teilen im Niedriglohnbereich arbeiten, werden auf Dauer nicht in der Lage sein, die Ansprüche von immer mehr Alten zu erfüllen. Das Renteneintrittsalter soll hier als Stellschhraube einer ratlosen Regierung dienen: Die Menschen sollen länger arbeiten, um die Öffentlichkeit zu entlasten. Dies ist längst zu einem Politikum ersten Ranges geworden.

Aktuell ist das Renteneintrittsalter für Männer auf 67, für Frauen ebenfalls auf 67 Jahre hochgesetzt worden, wobei dies erst für bestimmte Jahrgänge gilt: Wer vor dem Jahr 1952 geboren ist, bleibt von der Reform unberührt; für die Jahrgänge danach erfolgt eine stufenweise Anpassung.

Von der Reform nicht betroffen sind zudem Männer, die 45 Jahre in der Rentenversicherung nachweisen können und für Frauen unter anderen, weit komplizierteren Umständen, zu denen Wartezeiten wegen Kindeserziehung und dergleichen zählen. Dieser Personenkreis kann nach wie vor mit 60 Jahren in Rente gehen, ohne dabei Abschläge in Kauf nehmen zu müssen.

Das Renteneintrittsalter für Schwerbehinderte wird ebenfalls schrittweise von 63 auf 65 Jahre angehoben, ab dem Geburtsjahr 1952.

Früher in Rente nur mit Einbußen
Generell wird Menschen, die vorzeitig das Altersgeld in Anspruch nehmen möchten, ein Abschlag in Höhe von 0,3 % pro Monat verrechnet. Dies bedeutet bereits einen Verzicht auf 3,6 % der Rente, wenn man ein Jahr vorher seinen Ruhestand genießen möchte. Wer seinen Renteneintrittsalter berechnen möchte kann hierzu die unten aufgeführte Tabelle benutzen.

guido
guido
12 anni fa

Lei sa scrivere (Str…..e) ma sicuramente non sa leggere !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

a mai più.

CLICK

pagina cancellata

mario pezzati
mario pezzati
12 anni fa

se il risultato sono insulti, non mi duole che cancelli la pagina.
fino a quando si discute, sono disponibile… se devo essere insultato, perchè non si hanno più argomenti con cui ribattere, allora è meglio evitare ogni discorso ulteriore.

mario pezzati
mario pezzati
12 anni fa

soprattutto alla luce del fatto che ho citato anche fonti ufficiali quali brosa italiana

Rosella
Rosella
12 anni fa

Gent.le Sig. Guido
Le rispondo solo ora in quanto ovviamente oggi ho lavorato tutto il giorno e, pur disponendo di intranet, non ritengo di utilizzarla per motivi privati.
Ho visto che oggi e’ stato scritto molto e che Lei si e’ ancora arrabbiato. Anch’io sono arrabbiata, mi creda, e ancora di piu’ avvilita quando si capisce che non vengono compresi veramente gli affanni di molte persone che hanno iniziato a lavorare molto giovani in condizioni di lavoro pesanti.
Mi conforta pero’ di aver letto, finalmente la proposta di controriforma dell’UDC che mi sembra vada nella nostra direzione. Innalzamento dell’eta pensionabile fermo restando i 40 anni di anzianita’. In pratica non e’ altro che quello che di fatto succedera’. Non ci vogliono tanti studi per sapere che chi e’ nato fino al ’52-53 e ha iniziato a lavorare presto, in pensione c’e già andato. Chi invece ha continuato a studiare o e’ nato dopo inevitabilmente non potra’ andare in pensione prima di 61anni, se diplomato, e di 65 selaureato. Il grosso boom dei pensionamenti al disotto dei 60 anni degli scorsi anni e’ finito, nessuno piu’ andra’ in pensione al di sotto di questa eta’. Ma, insomma, e’ possibile che non si riesca a fare questo semplice conto matematico?
Una nota dolente:si dice c’e ci sara’ spazio per le donne mandandole in pensione a 65 anni.
Se l’On Casini intervistasse le dirette interessate non credo che gli sarebbero tanto grate di questo spazio! Non si fa i conti con gli impegni familiari che a quell’eta diventano ancora gravosi all’interno della famiglia (anziani, nipoti, ecc.) visto che i Servizi sociali non sono di grande aiuto.Da una parte politica che si dichiara attenta alle politiche familiari mi aspetterei altre proposte. Come ad esempio finestre mobili di uscita per chi ha necessita’ familiari. Ma anche questo sembra un concetto troppo difficile.
Che ci vuole fare, cosi’ siamo messi. Speriamo solo che altri facciano sentire la loro voce.

er capire q

guido
guido
12 anni fa

signora Rossella… non ritengo di non dover intervenire più, ma cordialmente la saluto. Se le va possiamo fare due chiacchere privatamente via mail. Questo è un indirizzo che posso anche riportare pubblicamente : guido_721@hotmail.it

roberto
12 anni fa

a mia cocnata le morto il marito percepisce la pensione sociale .vorrebbe anche la pensione di reversibilita del marito .
volevamo sapere quale e il calcolo quale la soluzione al problema grazie anticipatamente



Twitter


Connect

Facebook Fans

Hai già cliccato su “Mi piace”?

Instagram