La sindrome del bunker

E’ innegabile che stiamo assistendo alla fine di una lunga stagione politica segnata dalla figura di Silvio Berlusconi, e ogni tramonto acquista connotazioni particolari a secondo dei comportamenti di chi, nel bene e nel male, si avvia ad uscire di scena. Ci sono tramonti che sono delle onorevoli uscite di scena: uomini e donne che hanno servito il proprio paese che ad un certo punto intuiscono di aver concluso il proprio ciclo, e dopo aver dato il proprio contributo decidono di lasciare ad altri il compito gravoso di reggere le sorti della nazione. Penso in questo caso a politici del calibro di Winston Churchill, Margaret Thatcher o Josè Maria Aznar, ma penso anche a casi particolari come quello del dittatore spagnolo Francisco Franco che, al crepuscolo del franchismo, e della sua vita prese tutte le misure per favorire una transizione il più possibile indolore della Spagna verso un cambio di regime  riconsegnando la Spagna alla casa reale spagnola.

Ma ci sono anche stagioni politiche che non vogliono finire, ci sono uomini che non accettando la fine del proprio potere si abbarbicano alla loro poltrona costi quel che costi. Queste situazioni sono sempre drammatiche perché quasi sempre comportano dei fenomeni aberranti della normale dialettica politica e segnano delle profonde e feroci divisioni. I regimi totalitari che hanno funestato l’Europa del ‘900 sono degli esempi drammatici di queste agonie dei potenti, di questi crepuscoli degli dei, basti pensare a Hitler nel suo bunker o alla vicenda di  Nicolae Ceausescu in Romania.

Queste dinamiche deleterie sono state innescate proprio dall’atteggiamento di Silvio Berlusconi che rifiutandosi di riconoscere i problemi politici presenti all’interno della compagine governativa e della sua coalizione, e soprattutto rifiutando incredibilmente  l’idea di un dissenso politico interno al suo partito, ha preferito al dialogo e alla mediazione uno scontro aperto, un regolamento di conti che ricorda tanto il “muoia Sansone con tutti i filistei”. Così Berlusconi in vista dello scontro finale si è fatto prendere da una specie di “sindrome del bunker”: asserragliato a Palazzo Chigi programma vendette e brandisce l’arma del voto anticipato per spaventare gli assedianti sicuro di un consenso spropositato.

Questa sindrome del bunker di Berlusconi non è alimentata solamente dallo smisurato ego del Cavaliere ma anche dall’azione di pretoriani e fedelissimi che, tolti di mezzo i più saggi consiglieri del Premier, quotidianamente si preoccupano di surriscaldare il clima e di fare del voto di fiducia del 14 dicembre una specie di giorno del giudizio, una epica battaglia tra le forze del bene e del male. In questo contesto vanno inserite le parole di fuoco di Berlusconi e dei suoi fedelissimi, le liste di proscrizione di Libero, gli sproloqui sui traditori e il consueto mercato delle vacche, tutta la letteratura tipica della fine di un regime che è destinata purtroppo a crescere dopo un eventuale voto di sfiducia e in vista di un feroce scontro elettorale.

Le tinte di questo tramonto politico sono già fin troppo fosche ed è naturale chiedersi se è giusto in questo frangente così delicato della politica e dell’economia gettare l’Italia nel caos politico, nella spirale di fango e meschinità che si staglia minacciosa all’orizzonte. Berlusconi è ancora in tempo per uscire dal suo bunker e affrontare con buon senso i nodi politici irrisolti e avviare una stagione nuova, ma se così non sarà dovrà rassegnarsi ad un oscuro epilogo per lui e per il Paese perché dai bunker della storia nessuno, né uomini né nazioni, ne sono usciti indenni.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi



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