postato il 7 Giugno 2012 | in "In evidenza, Riceviamo e pubblichiamo, Spunti di riflessione"

La Serbia tra un passato che non passa e un presente da costruire

“Riceviamo e pubblichiamo” di Jakob Panzeri

Fuori rosa dalla Fiorentina, cacciato dalla nazionale serba. Dopo il litigio che ha causato l’esonero di Delio Rossi, di nuovo si parla di Adem Ljajic. Si è rifiutato di cantare l’inno della Serbia nell’amichevole contro la Spagna, è stato sospeso dalla nazionale. Quello che può sembrare l’ennesimo capriccio di un ragazzino un po’ viziato è in realtà l’espressione di un malessere più grande, uno stato d’animo in cui si trova un’intera nazione. Guardando alla stabilità politica si prospetta uno scenario di non facile coabitazione fra il governo serbo di coalizione tra il partito democratico di Tadic e i socialisti con il neo-presidente Tomislav Nikolic. Da un lato la necessità di proseguire un cammino intrapreso negli ultimi anni di modernizzazione economica e avvicinamento all’Europa che ha visto il suo culmine a marzo con la richiesta ufficiale di ingresso nell’Unione Europea, dall’altro il ritorno dei nazionalismi e la vicinanza alla Russia che in un momento di crisi economica e sociale dell’Europa tornano a farsi sentire. E tutto ciò mentre regioni come il Sangiaccato- da cui proviene anche Ljajic- a maggioranza musulmana e confinanti con il Kosovo, chiedono maggiori poteri al governo centrale. Il neo-eletto presidente Tomislav Nikolic fu uno dei protagonisti dell’ascesa del nazionalismo dei Balcani, manager di stato fin dai tempi del maresciallo Tito, fu prima perseguitato e incarcerato da Milosevic per poi diventarne collaboratore, vice-ministro nel 1999 e membro del governo quando le forze della Nato- tra cui l’Italia del governo D’Alema- bombardarono la Serbia.

A onor del vero si deve anche riconoscere però che Nikolic ha rinnegato il suo passato, dimostrato la sua estraneità alla pulizia etnica nella regione della Slavonia , Croazia Orientale, di cui veniva accusato e ha contestato duramente l’operato politico di Seselj- ex amico e compagno del partito radicale che sarà poi estradato al tribunale dell’Aja- abbandonando il partito estremista radicale per fondare il partito nazionalista moderato che lo ha portato alla vittoria.

L’inizio non è stato esaltante. Il presidente Nikolic ha negato in diretta televisiva che Srebrenica, il massacro di migliaia di musulmani bosniaci nel luglio 1995, sia stato un genocidio. Sì, “un grave crimine di guerra compiuto da una parte del popolo serbo” ma non un genocidio. Tutto questo mentre il Tribunale Internazionale dell’Aja sta processando l’ex capo militare Ratko Mladic per crimini contro l’umanità, pulizia etnica finalizzata alla strage, tortura e genocidio.

Ma ci auguriamo che sia stata solo una brutta gaffe.

Srebrenica fu genocidio. Le atrocita’ commesse a Srebrenica sono state un crimine contro l’intero genere umano, non dovremmo mai dimenticarlo e non dovremmo

permettere che accada di nuovo, come ha prontamente ribadito la portavoce della Commissione Europea Pia Ahrenkilde e come sarà ribadito da Barroso incontrando a Bruxelles Nikolic il prossimo 14 giugno.

Tadic ha in mano una grandissima opportunità per sé e per il popolo serbo ed è questo l’augurio più grande che noi gli facciamo: poter chiudere definitivamente con il passato, dimostrare che è possibile un nuovo inizio, una nuova alba su Sarajevo, riscattare i Balcani distrutti da odi etnici e da guerre portando la Serbia in un nuovo ordine europeo e mondiale. Auguri a Tadic, auguri alla Serbia.

Scegliere l’Europa vuol dire andare avanti.

Il contrario invece ripiombare nei fantasmi di un passato che deve essere chiuso definitivamente.

 



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