Tutti i post della categoria: Riforme

Casini: “Sì al dialogo tra Matteo e Berlusconi, sulle riforme si deve parlare con tutti”

postato il 20 Dicembre 2013

I moderati interessati al confronto, Alfano sbaglia
Intervista su Repubblica-1

L’intervista a Pier Ferdinando Casini pubblicata su “Repubblica”
di Francesco Bei

Nel derby che si aperto nella maggioranza tra Renzi e Alfano sulla legge elettorale, Pier Ferdinando Casini, a sorpresa, dà ragione al segretario del Pd. «Sulle riforme —afferma il leader dell’Udc— si deve parlare con tutti. Anzi dovremmo essere proprio noi moderati che sosteniamo il governo a spingere perché si apra un confronto anche con Berlusconi».

Senatore Casini, mastica amaro perché Renzi ha imposto lo spostamento alla Camera della riforma elettorale?
«Questa accelerazione è stato un atto di arroganza e una scortesia istituzionale. Oltretutto trovo contraddittorio che Renzi demonizzi il Porcellum e poi se ne serva per imporre una prova di forza alla Camera grazie proprio ai deputati in più ottenuti con quel premio di maggioranza abnorme».

Siete voi che avete votato il Porcellum…

«Noi presentammo, da soli, un emendamento che avrebbe introdotto le preferenze, ma fummo sconfitti. Inoltre è illusorio pensare che un meccanismo elettorale possa da solo risolvere i problemi della politica. Il Porcellum fu applicato due volte e il premio non sembrò così eccessivo perché eravamo in uno schema bipolare. È diventato abnorme con l’arrivo di Grillo, quando si sono confrontate tre forze con risultati molto simili. E il Pd, con il 30 per cento dei voti, ha avuto il 55 per cento dei seggi». [Continua a leggere]

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La Sicilia del cambiamento: abolite le province

postato il 21 Marzo 2013

“Riceviamo e pubblichiamo” di Stefano Barbero.

Ci siamo. Una grande Regione italiana, per la verità a statuto speciale, ha deciso l’abolizione delle province. Trattasi della Sicilia, la cui maggioranza Pd-Udc ha realizzato ciò che prima stava nei programmi e nei proclami. La tanto annunciata cancellazione delle province ha trovato una sua prima e inedita realizzazione nell’isola. Le forze politiche della maggioranza hanno approvato un maxi-emendamento che prevede appunto questa storica decisione: da ieri la sorte delle nove province regionali è segnata. Scompariranno e in luogo di questi enti compariranno i cosiddetti “liberi consorzi dei comuni”, enti di secondo livello.

I risparmi sono il capitolo più interessante. Secondo il presidente della Regione, Rosario Crocetta, artefice insieme ai centristi della riforma, i denari che eviterebbero di uscire dalle casse pubbliche si quantificherebbero in 100 milioni di euro circa. Una cifra importante, in tempi di grandi ristrettezze economiche e di difficoltà contabili delle pubbliche amministrazioni, che detto in soldoni sono alla canna del gas.

È il primo passo verso una semplificazione dei livelli di governo. È il primo passo ma ce ne aspettiamo altri, soprattutto noi che da sempre sosteniamo la razionalizzazione del sistema delle autonomie locali. In un certo senso possiamo esultare, ma dovremo stare attenti a tante cose, dovremo tenere gli occhi aperti, perché le riforme all’italiana hanno qualcosa di gattopardesco: non vorremmo che le nuove realtà locali individuate dalla Regione Sicilia diventino una riedizione degli enti appena cancellati. Non vorremmo che il percorso di rimodulazione, che sta avvenendo, trovi nuove battute d’arresto in una politica sorda e attaccata agli interessi costituiti, concentrata sul potere locale da mantenere e distribuire, e chiusa a qualsiasi forma di cambiamento in melius. Aspettiamo con fiducia una nuova fase, inaugurata da episodi inaspettati di risparmio e chiusura di enti-poltronifici. Il governo Monti ha sancito l’addio alle province come le conosciamo (dal 1° gennaio dell’anno venturo diventeranno organi di secondo grado, con Presidente e consiglio provinciale, quest’ultimo eletto “dagli organi elettivi dei comuni ricadenti nel territorio” dell’ente, e non più direttamente dai cittadini), mentre in queste ore l’amministrazione di centro-sinistra della più grande isola italiana stacca la spina a quelle del territorio regionale. Staremo a vedere che piega prenderanno le vicende delle autonomie locali (stanno vivendo un momento molto travagliato della loro esistenza) in questo confuso e nervoso momento politico-istituzionale.

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Non c’è più solo un’Agenda: adesso, con Monti, c’è una nuova Politica

postato il 23 Dicembre 2012

di Giuseppe Portonera

Il requiem per Alfano, il colpito-e-affondato per Berlusconi, le bordate contro Vendola e CGIL, i colpi d’ascia sulle populistiche promesse fiscali, le lezioni e l’esempio di De Gasperi, i rimproveri (ma anche gli elogi) ai partiti che avrebbero potuto avere più coraggio, un nuovo modo di intendere la crescita e l’economia, il rilancio dell’Agenda per cambiare l’Italia e riformare l’Europa. Nella sua ultima conferenza stampa di oggi, il Premier Mario Monti non ci ha fatto mancare nulla. Ha tenuto un discorso ampio, limpido, solido: un connubio perfetto tra una lectio magistralis su cosa voglia dire servire il proprio Paese e un memorandum sugli impegni da rispettare. Il primo dei quali, il più importante, è quello che in quest’anno si è assunto la politica: ai cittadini (non più “cretini”, ha detto Monti, non più “presi in giro” cioè) è stato chiesto di diventare partecipi di un processo di risanamento politico e economico immane, per cui 13 mesi non sarebbero potuti sicuramente bastare; loro hanno accettato e sopportato, e ora non si può pensare di tornare a farli “cretini”, promettendogli la Luna, le stelle e tutto il firmamento celeste. Ai cittadini bisogna parlare con il linguaggio “crudo” della verità: non si può andare in tv a promettere di “abolire l’IMU”, perché, in una situazione come la nostra, dopo un anno si sarebbe costretti a inventare un’imposta ancora più pesante (prenda appunti chi, non pago di aver eliminato l’ICI, ora torna a propagandare la stessa avventata ricetta fiscale). Bisogna, piuttosto, spiegare come questi sacrifici servano a fare di questo Paese, un Grande Paese (smettendo i panni di ciarliere cicale e indossando quelli di laboriose formichine). Questo Monti l’ha fatto, durante i 13 mesi in cui è stato Premier e – con maggiore forza e libertà – oggi: ci sono ancora passi enormi in avanti da fare, per avere finalmente un’Italia moderna, competitiva, produttiva. In una parola: normale.

Per farlo, come proprio noi abbiamo ripetuto a lungo, bisogna rendere “ordinaria” l’esperienza “straordinaria” del Governo Monti: bisogna cioè elaborare una proposta politica “montiana” che abbia come fine non solo tirare fuori l’Italia dalle sacche in cui si era cacciato, ma di condurla verso una trasformazione (ergo, normalizzazione) totale. Proprio stamattina, Monti ha indicato i punti di riferimento che dovrebbero orientare questo tipo di nuova proposta politica, che provo rapidamente a riassumere e a implementare. Il primo, la discontinuità: Monti ha riconosciuto che l’Udc in Parlamento e nel Paese è stata la più coerente sostenitrice del suo Governo, ma una “Lista Monti” deve essere molto di più, deve essere una forza che dia voce alla maggioranza silenziosa del Paese. Il secondo, un programma economico liberale: Monti ha ricordato che la “concorrenza è la migliore leva per l’equità”, ha sottolineato come i veri “conservatori” italiani siano la CGIL e Vendola (che al tema del lavoro si approcciano con una prospettiva “arcaica”), ha tracciato un percorso di riforme radicali e strutturali. Il terzo, un nuovo modo di intendere la politica: Monti ha riconosciuto la necessità di avere “maggioranze coese e coerenti”, in un quadro bipolare “in cui ci si divida sui programmi, non sui leader”, in cui le “parole, i discorsi, le dichiarazioni abbiano il peso vero che meritano”. Un manifesto di intenti che più chiaro non si poteva e che investe, per primi, proprio noi che più di tutti siamo pronti a continuare sulla strada tracciata dal Premier. Perché, come ho già scritto, quello di cui abbiamo più bisogno è il “Partito Monti”, per assicurare la presenza di una forza ispirata al PPE, liberale popolare europea, che sia alternativa a chi chiede più Stato e meno mercato, da una parte, e più anarchia e deregolamentazione facile, dall’altra. Per questo, però, serve coerenza – e serve, in primis, da parte nostra: è giunto il momento di mettere insieme chi condivide le stesse ricette e proposte politiche. Senza operazioni di Palazzo o di bassa politica: il PDL è balcanizzato e ormai impresentabile, mentre il PD non è in grado di offrire una seria soluzione ai bisogni del Paese; c’è quindi una vasta area politica – in cui aggregare, prima che pezzi di nomenclatura varia, gli elettori – da organizzare e presidiare.

Questo è quanto ci lascia la conferenza stampa di “addio” di Monti. Se saremo in grado di dimostrare “sufficienti forze e garanzie di credibilità nell’impegno” allora avremo, a prescindere, vinto la nostra sfida.

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Per questo, Presidente Monti, questo cammino non può essere interrotto

postato il 10 Dicembre 2012

di Giuseppe Portonera

Caro presidente Monti, sapevamo che la boccata d’ossigeno rappresentata dal suo Governo non sarebbe durata per sempre. L’avere personalità competenti, serie, responsabili (con tutti i loro limiti e difetti) nei massimi posti di comando non poteva che essere una situazione transitoria: o almeno, così si pensava, quando, un anno fa, lei e i suoi ministri giuraste fedeltà alla Costituzione davanti al Presidente Napolitano (sempre sia lodata la sua lungimiranza). Chi scrive è sempre stato abbastanza realista (altri direbbero “pessimista”): ricordo che nelle ore – tormentate, difficili – in cui il suo predecessore aveva deciso di gettare la spugna, quando in tv passavano le immagini dei cori festanti e giubilanti e sui giornali e sulla Rete si sprecavano i commenti positivi sul suo arrivo al Governo, io commentavo (un po’ in solitario): “vedrete che la maggior parte di quelli, tra qualche settimana, organizzerà le manifestazioni contro Monti”. Anziché qualche settimana, trascorse qualche mese, ma alla fine successe: la sua ondata di riforme strutturali, di provvedimenti “lacrime e sangue”, le sue bordate (venate di humour e di sano polemista da commentatore) contro il nostro sistema Paese ingessato hanno avuto il pregio di fare chiarezza, di smontare quell’aura di “tutti-bravi-e-tutti-belli” che aveva accompagnato e salutato il suo arrivo. Nel Paese, provato duramente dai provvedimenti da lei fortemente voluti, si sono create delle macroaeree politiche: da una parte chi l’ha avversato in tutti i modi e in tutte le salse, e dall’altra chi, invece, comprendeva che quelle riforme lì non le chiedevano mica fantomatici poteri forti esteri o l’austera e arcigna Germania, ma le giovani generazioni di studenti e lavoratori che altrimenti sarebbero state costrette a sopportare un costo sociale immenso. La riforma delle pensioni, per citare il provvedimento bandiera del suo Governo, ha avuto il merito di creare il sistema previdenziale più virtuoso d’Europa e di mettere in sicurezza i conti dello Stato (a chi lamenta uno “scippo delle pensioni”: lo sapete che senza la tanto vituperata riforma Fornero, le pensioni non si sarebbero potute più pagare?). Certo, non si può negare che sia stato duro da sopportare: ma ci rendiamo conto che siamo in guerra? Mentre nel resto d’Europa e del mondo si facevano le Riforme (con la R maiuscola), in Italia cosa avevamo? Le accuse ai giudici di essere politicizzati, i ministri di alcuni governi che scendevano in piazza contro i loro stessi esecutivi, il conflitto di interessi, le sensazionali leggi sulla patente a punti e contro il fumo nei locali pubblici. La nave già mostrava i primi segni di cedimento, ma a bordo l’orchestra continua a suonare allegramente.

Caro Presidente Monti, non si può tornare indietro. La famosa Agenda che porta il suo nome non è una lista di buone intenzioni: è la concretizzazione di un cambio radicale di rotta. La sobrietà, in politica, deve corrispondere alla responsabilità e alla serietà. Il PDL berlusconiano pensa che la sua sia stata solo un’esperienza racchiudibile in una parentesi; a sinistra la definiscono “di transizione” e, dopo essere stati “leali” (?), ora preparano un governo di segno assolutamente opposto (asse Fassina-Vendola-Camusso: aiuto). Solo noi abbiamo avuto il coraggio e l’onestà di dire che il lavoro non è terminato e che questo suo governo non è stato un punto di chiusura, ma di apertura di nuova fase. In un Paese di ciarliere cicale, lei ci ha ricordato cosa voglia dire essere formiche laboriose.

Per questo, Presidente Monti, le chiedo di non permettere che i sacrifici di questo anno vadano persi. Per questo, Presidente Monti, le chiedo di rendere “ordinaria” la sua esperienza “straordinaria”: fuori dai Palazzi che lei ha rappresentato con orgoglio e dignità, c’è una fetta di Italia che non vuole sprecare il proprio voto e che pensa che chi è stato parte del problema, ora non può presentarsi come sua soluzione. Quella fetta di Italia è la nostra maggioranza silenziosa: produttori, lavoratori, imprenditori, studenti che hanno sopportato il carico dei sacrifici, sapendo che questo avrebbe cambiato le cose. Quella fetta di Italia aspetta una guida, una strada da seguire.

Per questo, Presidente Monti, le chiedo di candidarsi. Di mettersi a capo di una lista che si ispiri al PPE (e che quindi sia alternativa a chi chiede più spesa pubblica, più intervento statale, meno libertà economica) e che non si professi “moderata”. Noi vogliamo essere “radicali”. Noi vogliamo dire chiaramente cosa ci candidiamo a fare: trasformare il Paese (ed è per questo che il nostro sarà un programma di lungo raggio, non solo legato all’emergenza del momento).

Per questo, Presidente Monti, le chiedo di candidarsi. Perché la speranza, il sogno, di un’Italia più moderna, produttiva, europea (in una parola: normale) possa realizzarsi anche barrando un simbolo sulla scheda elettorale. È la nostra occasione.

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Se la spending review si può fare grazie ad Internet

postato il 8 Dicembre 2012

di Giuseppe Portonera

La spending review dovrebbe essere un metodo permanente dell’azione di governo e il taglio dei costi, collegato all’aumento dell’efficienza e della velocità dei servizi offerti, andrebbe programmato annualmente. Grazie al Governo Monti questa strada sembra essere stata intrapresa: i ministri Giarda e Patroni Griffi, che hanno combattuto una battaglia dura contro gli immensi sprechi che si nascondono nei meandri della Pubblica Amministrazione, si sono dovuti scontrare con un moloch pesante e da più parti inattaccabile, finendo con l’incidere tagli col bisturi, anziché con l’accetta, come sarebbe servito. Questo per una molteplicità di motivi: ma quello che più mi sembra primario, è il non aver usato i giusti strumenti operativi. Il Governo Monti è il Governo dell’Agenda Digitale, che più di altro può rappresentare uno stimolo alla crescita: perché, allora, in sede di programmazione della spending review non si è pensato a tagliare i costi delle PA puntando sulla trasformazione digitale? Cosa può avere più successo della smaterializzazione delle procedure, dei documenti, dei tempi d’attesa, in materia di riduzione dei costi burocratici e maggiore efficienza del servizio?

Del resto, le idee in campo non mancano. Specie da parte nostra. Sulla scia di quanto proposto da Stefano Quintarelli, per esempio, noi pensiamo sia necessario imporre, per legge: alle PA, che qualsiasi atto o procedura non digitale sia vietato a patto che non si dimostri essere più conveniente del digitale; ai ministeri, di produrre annualmente un piano di innovazione tecnologica. È un diritto per il cittadino-utente ricevere notifiche e certificati via mail; mentre per lo Stato investire su sanità elettronica e giustizia digitale significherebbe un risparmio notevole (pensate ai faldoni di carta che occupano spazio e che per essere trasportati da un ufficio a un altro succhiano via moltissime risorse). Già in questi campi si possono attivare iniziative a costo zero: con lo switch-off nelle PA, il lavoro di trenta camminatori siciliani, per dire, sarebbe svolto da una, massimo due persone (con un risparmio di soldi pubblici e una notevole riduzione dei tempi di attesa). Una trasformazione digitale, poi, non gioverebbe solo sul fronte economico, ma anche e soprattutto su quello della trasparenza delle PA: bisogna puntare, infatti, sull’OpenData e sul FOIA. Ogni atto delle pubbliche amministrazioni (dal governo ai comuni, alle istituzioni tutte) appartiene alla comunità e deve essere conosciuto dalla comunità. Il cittadino deve poter conoscere, in ogni momento, l’attività dei suoi rappresentanti politici o amministrativi (quindi leggi, bandi, bilanci per chi gode di finanziamenti pubblici). In questo modo l’efficienza delle PA sarebbe evidente e conoscibile a tutti, e questo obbligherebbe la burocrazia a conformarsi a standard molto più elevati, rispetto a quelli di oggi. Più trasparenza, infatti, vuol dire prima di tutto meno corruzione (e quindi meno costi). Secondo la Corte dei Conti, la corruzione costa all’Italia circa 60 miliardi all’anno: negli Stati Uniti, dove la legge sul diritto all’informazione è utilizzatissima dai cittadini, il costo totale annuale per l’applicazione della legge è di circa $ 416 milioni annui, cioè di meno di $1,4 per ogni cittadino. Mentre a noi italiani la corruzione pubblico-privata costa 1.000 euro a testa all’anno. Anche una piccola diminuzione della corruzione ripagherebbe ampiamente i costi di applicazione della legge: e questa sì che sarebbe spending review!

Al prossimo governo spetta quindi questa eredità: capire che la riduzione (necessaria, profonda) dei costi della PA deve passare soprattutto attraverso l’innovazione digitale. Ecco perché sul progetto di un’Italia più trasparente, efficiente e always connected incentreremo la nostra campagna elettorale.

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Perché l’Italia del 2013 vogliamo Meritarcela sul serio!

postato il 26 Novembre 2012

di Giuseppe Portonera

Sabato prossimo, a Roma, si terrà un nuovo incontro organizzato e promosso da Meritiamolo, che ufficialmente sarebbe pure un’associazione ma che in realtà è una scommessa, un po’ improvvisata e sgangherata ma molto affascinante e interessante, messa in piedi da un gruppo di persone che vanno dal Veneto alla Sicilia, fino agli angoli più remoti di tutto lo stivale. Si sono già incontrati due volte, una a Venezia e l’altra a Palermo, raccogliendo ogni volta spunti, idee, proposte, sogni che provengono dal basso, dalle forze vive che animano (o dovrebbero animare) un partito. A Meritiamolo non interessa chi sei o che ruolo ricopri qui o lì: interessa se hai un’idea, un programma, un progetto, se sei in grado di elaborare una visione alternativa, se guardando ciò che ti circonda non ti fermi a pensare che fa un po’ (o tanto) schifo, ma la testa ti corre già a cosa dovresti fare per cambiare tutto. A Meritiamolo la politica si dà del “tu” – in un incontro di “Io” che diventa “Noi” – attraverso dibattiti, forum, gruppi di lavoro. Chiunque venga a Meritiamolo ha un obiettivo: meritarsi l’Italia del 2013. Perché il “merito” non è una categoria unilaterale: io mi merito una cosa, se la cosa si merita me. Io non mi merito l’Italia dei Fiorito o dei Lusi, delle Minetti o dei Trota; io non mi merito l’Italia in cui vali solo se conosci qualcuno e non se conosci qualcosa. E questa Italia qui – quella che affolla i giornali, le tv, il web – non si merita me.

La vera “questione morale” del nostro tempo è la corruzione, politica sociale economica, che si è metastatizzata in ogni settore della vita pubblica e privata. L’Italia è il Paese delle migliori segretarie e dei peggiori dirigenti: anziché schierare come prime punte le risorse che abbiamo, si preferisce relegarle nelle retrovie, a far da stimolatori a quelli che occupano indebitamente posti di governo. Quella che vogliamo e chiediamo è una rivoluzione dei migliori contro la Peggiocrazia che mina alle basi la competitività del nostro sistema! Il nostro Paese va trasformato, dalle fondamenta: per questo (qui per iscriversi) sabato prossimo ragioneremo di Welfare 2.0 (che da strumento di stagnazione passiva deve tornare ad essere stimolo attivo alla produttività); di Istruzione (è giunta l’ora di investire sul merito e la competenza); di Amministrazione (perché siamo stufi di assistere alla trasformazione dei Cittadini in Sudditi); di Cultura (la quale rende possibile ciò che altamente improbabile, a partire da Roma “città aperta” veramente), di Ambiente (basta cemento! Tuteliamo il nostro patrimonio); di Trasporti (con le nostre ricette per una mobilità sostenibile). C’è chi si definisce rottamatore, chi formattatore: noi non siamo né l’uno né l’altro. L’età anagrafica delle persone ci interessa poco: ci interessa ciò che hanno fatto e ciò che rappresentano. Se hanno fatto bene al Paese, saranno i benvenuti (chi di voi rottamerebbe De Gasperi o Einaudi o La Malfa?). Se, invece, hanno contribuito a trascinarci sull’orlo del default, politico e morale, no grazie: avete avuto la vostra occasione, era meglio se restavate a casa. Diceva Tony Blair: «I didn’t come into politics to change the Labour Party. I came into politics to change the country». Parafrasando le sue parole, noi di Meritiamolo non vogliamo cambiare solo la “politica”: vogliamo cambiare il Paese. Senza arrenderci, senza tornare mai indietro, senza compressi. “Gli ingenui non sapevano che l’impresa era impossibile, dunque la fecero”.

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Bersani e Grillo dicano se vogliono tenersi il porcellum

postato il 10 Novembre 2012

Bisogna mettere le carte in tavola con serietà sulla legge elettorale. Se Grillo e Bersani vogliono tenere il Porcellum non devono avere paura di dirlo: lo dicano in Parlamento e mi spieghino che e’ giusto che chi ha il 30% prenda il 55% dei seggi. Io ritengo che mettere una soglia, come peraltro ha richiesto la Corte Costituzionale, sia il minimo che si possa fare.
Serve serietà, le sceneggiate lasciano il tempo che trovano e dimostrano solo che c’e’ un tasso di strumentalita’ preoccupante.

Pier Ferdinando

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Perché sulla Legge Elettorale serve, prima di tutto, buon senso

postato il 9 Novembre 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Francesco Scavone

Il dibattito politico, negli ultimi giorni, si è concentrato sul tema della legge elettorale. Su tv e giornali si soprappongono quotidianamente voci discordanti, spesso con toni abbastanza forti, che rischiano di soffocare il vero tema di fondo e far cadere nel nulla ogni sforzo per riformare l’attuale sistema.

Ma chiariamo prima un concetto fondamentale: sono molti coloro i quali pensano che il tema in questione sia di poco conto, che la politica dovrebbe concentrarsi sulle questioni vere e non perdersi in estenuanti confronti su argomenti del genere. Sia chiaro: una migliore legge elettorale non potrà risollevare direttamente le condizioni delle nostre famiglie, non potrà apparentemente dare risposta alle difficoltà dei cittadini. Ma se facciamo un’analisi più attenta, ci accorgiamo che è proprio dalla legge elettorale che possono provenire quelle stesse risposte. È infatti la legge elettorale che determina la composizione del Parlamento, la scelta dei nostri rappresentanti, momento non secondario nella vita di un Paese che vuole pensare a risollevarsi.

Chiarito questo, risulta inevitabile affermare la necessità non più rinviabile di mettere mano alla legge tuttora vigente. Sin dall’avvento del Governo Monti le forze politiche hanno sempre concordato su questo punto, avviando un dialogo interminabile che ad oggi non ha ancora visto il raggiungimento di un’intesa, nonostante i continui e attenti moniti di Napolitano. Si sono susseguiti tavoli di confronto, dichiarazioni, smentite, passi indietro che hanno travagliato sempre di più il percorso della nuova legge elettorale. In questo scenario, hanno giocato un ruolo decisivo le posizioni discordanti sul metodo di scelta dei parlamentari e su quella che viene definita stabilità. E così si sono confrontati coloro che considerano migliore il sistema dei collegi con quelli che privilegiano il metodo delle preferenze, così come c’è stato ampio scambio di opinioni sulle percentuali collegate al premio di maggioranza.

Mi limito ad alcune considerazioni. Che si debba recuperare un rapporto diretto tra elettore ed eletto è fuori di dubbio; ce lo ricorda quotidianamente la disaffezione degli italiani dalla politica, che richiede appunto un maggior impegno in questo senso. Ma quale miglior strada delle preferenze, che addirittura ci permetterebbero di esprimere doppie scelte di genere?

Il maggior oggetto di discordia però risulta essere il premio di maggioranza. Sono notizia di questi giorni le forti reazioni del centro-sinistra all’approvazione in commissione di un emendamento che prevede lo scatto del premio solo per la coalizione che superi il 42,5% di consensi. Le critiche provengono da chi, pur consapevole della necessità di una soglia minima riconosciuta anche dalla Corte Costituzionale, ha accusato di blitz la parte avversa. Tutto ciò risulta ancora più strano se consideriamo le percentuali dei partiti della coalizione in questione: i sondaggi, in ogni caso puro metro indicativo, indicano che PD+Sel+Psi raggiungerebbero livelli che si attestano intorno al 30%. Quindi, tirando le somme, chi ha queste percentuali pretende di avere più del 50% dei seggi in Parlamento? A parer mio, questa non è una questione di stabilità o governabilità, ma di buon senso.

In questa confusione, si sta perdendo la vera bussola. Il dialogo deve essere alla base della riforma, ma non può risolversi in ostruzionismi o  atteggiamenti di critica incondizionata. Ogni forza politica deve assumersi la propria responsabilità, perché è in gioco il futuro di questo Paese. L’incapacità di un certo modo di far politica – determinato, sia chiaro, anche dall’attuale sistema elettorale – ha fatto sì che si dovesse ricorrere a nuove figure esterne. Possiamo permetterci  che queste intervengano anche su un tema così strettamente politico?

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Casini: “Sceneggiata napoletana, il Pd non cada dalle nuvole”

postato il 7 Novembre 2012

L’intervista pubblicata su ‘la Stampa’ di Ugo Magri

Presidente Casini, il Pd vi accusa di fare sgambetti in commissione sulla riforma elettorale. Che risponde?
«È tutta una sceneggiata napoletana, mica possiamo raccogliere queste polemiche. In Senato si è solo preso atto di un principio fissato dalla Corte costituzionale, secondo cui bisogna superare una certa soglia per poter accedere al premio di maggioranza. Sono anni che la Consulta lo va ripetendo, e il Presidente della Repubblica ci ha richiamati più volte. Nessuno può cadere dalle nuvole. Ma allora, di quali sgambetti stiamo parlando?».

Sta di fatto che Bersani è pronto alle barricate contro la soglia del premio al 42,5 per cento. La trova eccessivamente elevata, praticamente irraggiungibile.
«Se non piace la soluzione che abbiamo indicato, ne proponga un’altra. Si può cambiare l’altezza dell’asticella, si può ragionare sul premio al partito, sono tante le soluzioni possibili. Ma non è che, siccome non ci piace l’idea del tetto, dobbiamo abbattere l’edificio. Io non vorrei che fosse vero quanto si va dicendo in giro…». [Continua a leggere]

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Province, il coraggio di cambiare. Il coraggio di tagliare

postato il 1 Novembre 2012
“Riceviamo e pubblichiamo” di Vincenzo Pezzuto
Era il lontano 1859 quando lo Stato sabaudo preunitario diede vita all’ordinamento provinciale con il Regio Decreto Rattazzi, fortemente ispirato al modello francese. Allora le Province erano all’incirca 59, per poi divenire 69 dopo la terza guerra d’indipendenza e l’istituzione della Provincia di Roma.
Al termine del primo conflitto bellico, con l’annessione della Venezia Tridentina e della Venezia Giulia, il numero salì a 76. In epoca fascita l’intero assetto provinciale subì profonde modifiche giungendo ad un numero complessivo di 95 Province lungo l’intero stivale. E così si andò avanti, con altri interventi statali e regionali, giungendo nel 2005 ad un numero complessivo di 110.
A meno di un anno dalle celebrazioni del 150° anno di vita della nazione Italiana, il Governo delle riforme, del coraggio di potare i rami secchi ed improduttivi del Paese, della Spending Review mette mano all’assetto istituzionale decretando il drastico, ma dovuto, ridimensionamento a 51 enti provinciali. Sarebbe stato meglio una soppressione totale, ma non può passare inosservato agli occhi dei più attenti, il risultato ottenuto. Si avrà un numero inferiore rispetto a quello registrato nell’anno della loro istituzione. Ma l’aspetto più importante è certamente costituito dal segnale che l’Italia invia ai propri cittadini, agli investitori nazionali ed esteri, all’economia e ai mercati. Con il decreto appena approvato in Cdm, si è scelto di alleggerire la macchina e il bilancio statale della presenza di circa 2000 politici e di una spesa di circa 150 mln/euro l’anno (spese di rappresentanza escluse, si badi). Ciò significherà inoltre che non ci sarà più bisogno di nuovo personale e quindi di bandire nuovi concorsi con conseguente esborso di denaro pubblico (2,5 mld euro risparmiati), potendo contare su un numero esorbitante di dipendenti provinciali (circa 61.000). La maggiore efficienza delle amministrazioni provinciali produrrà un risparmio di 500 mln e l’abolizione di enti ed agenzie ad esse strumentali produrrà un vantaggio per lo Stato di 1,5 mld di euro l’anno. Non si tratta certamente di bruscolini o di sottigliezze, specialmente in tempi di crisi. Ora toccherà alle Camere avere lo stesso coraggio che da un anno spinge il Governo Monti a salvare il “malato” Italia. L’unico Governo che ha messo in pratica temi cruciali, prima entrati nel dimenticatoio, come l’agenda digitale, la spending review, la riforma della Giustizia, la riforma pensionistica, le riforme istituzionali e non per ultimo la legge anticorruzione. Siamo sulla buona strada. La strada riformatrice di cui tanto ha bisogno la nostra penisola, per anni vituperata da difese di retroguardia e sterili campanilismi che nulla hanno prodotto in questi ultimi decenni, anzi! I mali atavaci non dovranno riprendere il sopravvento e riemergere quando nelle Camere si dovrà approvare il testo del decreto di riforma delle Province.
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