Tutti i post della categoria: Riceviamo e pubblichiamo

Nasce da Chianciano l’idea di un’altra Italia

postato il 18 Settembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Roberto Dal Pan

I sonnacchiosi weekend estivi a cavallo tra la fine di agosto e l’inizio di settembre sono, non da ieri, il periodo preferito per organizzare le tradizionali feste di partito, ritualità superstite della Prima Repubblica cui si sono però subito prestati anche i partiti asseritamente “anti-sistema”.

Tra tutte le feste organizzate in questo periodo, tutt’altro che tranquillo a causa della “telenovela” sulla manovra finanziaria messa in piedi dal governo B.B. (Berlusconi & Bossi, non Banda Bassotti), certamente quella che ha avuto il miglior riscontro di partecipazione ed attenzione da parte dell’opinione pubblica è risultata essere quella organizzata a Chianciano dall’Unione di Centro.

Durante le quattro giornate organizzate nel centro termale toscano, si sono alternati nelle diverse postazioni di incontro numerosi personaggi della politica e dell’economia e soprattutto migliaia di persone, moltissimi i giovani, desiderose di portare finalmente il loro contributo alla definizione di una piattaforma ideale e programmatica attraverso la quale fare uscire il Paese dalla situazione di grave degrado in cui esso versa.

Per tutta la seconda parte della scorsa settimana le gravi notizie che quotidianamente trovavano spazio sui giornali ricevevano pronto eco dal palco di Chianciano attraverso le parole di illustri oratori, rilanciate in tempo reale anche attraverso Internet grazie all’opera dello staff dei giovani volontari che consentivano l’immediata condivisione di pareri e proposte con gli utenti dei “social networks”.

Ciò che, a mio avviso, ha determinato il successo dell’iniziativa è stato il senso di serietà e la concretezza delle posizioni emerse dai singoli dibattiti; il rigore morale e la coerenza dei comportamenti dimostrati dall’Unione di Centro hanno consentito a far emergere un nuovo modo di fare politica, distante anni luce da quello che molti esponenti dell’attuale compagine governativa hanno fatto vedere e che anche autorevoli esponenti dell’opposizione paiono voler copiare.

Si tratta della rinascita di quella che qualcuno definiva “l’idea di un’altra Italia”, una buona politica capace di mettere l’interesse del Paese davanti anche all’interesse particolare del singolo partito; si tratta di avere il coraggio di dire la verità e fare le scelte necessarie anche se tutto ciò potrebbe essere elettoralmente controproducente.

Gli italiani, nonostante da qualcuno siano considerati alla stregua di povere marionette, sanno capire e condividere le proposte serie quando arrivano da parte di chi ha fatto della serietà il proprio tratto distintivo, anche i sondaggi degli ultimi tempi dimostrano che questa presa di coscienza è già in atto.

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Sarkozy e Cameron in Libia, gli interessi in ballo

postato il 16 Settembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Sarkozy e Cameron, leader di Francia e Inghilterra, sono atterrati in Libia acclamati come eroi.

Dopo la guerra civile, la Libia rappresenterà, fra le altre cose, un enorme affare: la ricostruzione delle infrastrutture danneggiate, senza contare i contratti petroliferi e i punti di passaggio per il petrolio e il gas del resto dell’Africa (ad esempio il petrolio nigeriano). L’Italia che fino a ieri era il partner privilegiato della Libia, rischia a breve di essere tagliata fuori, con ripercussioni alle aziende, le finanze, i lavoratori.

Giusto per dare un’idea degli interessi che l’Italia ha in Libia, basta citare che prima della guerra civile, eravamo al primo posto per l’export e al quinto per l’import da Tripoli, con un interscambio nel 2010 che si aggirava sopra i 12 miliardi. Dalla Libia proviene quasi un terzo del petrolio e del gas che utilizziamo, senza contare che i libici possedevano circa il 7% di Unicredit, la finanziaria Lafico possiede il 14,8% della Retelit (società controllata dalla Telecom Italia attiva nel WiMax), il 7,5% della Juventus e il 21,7% della ditta Olcese. A questo aggiungiamo che Tripoli possiede una partecipazione attorno al 2,01% di Finmeccanica, e circa 100 imprese italiane in Libia, prevalentemente collegate al settore petrolifero e alle infrastrutture, ai settori della meccanica, dei prodotti e della tecnologia per le costruzioni. L’elenco è smisurato, ma, volendo restare alle più note, non possiamo non citare Iveco (gruppo Fiat) presente con una società mista ed un impianto di assemblaggio di veicoli industriali, Impregilo (i contratti stipulati con la Libia pesano per circa l’11% del fatturato della società), Bonatti, Garboli-Conicos, Maltauro, Ferretti Group (tutte società di costruzioni). Altri settori sono quelli delle centrali termiche (Enel power), impiantistica (Tecnimont, Techint, Snam Progetti, Edison, Ava, Cosmi, Chimec, Technip). Telecom è presente anche con Prysmian Cables (ex Pirelli Cavi). Nel 2008 inoltre i libici hanno formalizzato un’intesa con il ministero dell’Economia italiano che dovrebbe permettere a Tripoli di aumentare le partecipazioni in ENI (di cui già possiedono lo 0,7% del capitale) inizialmente al 5%, poi all’8%, fino a un massimo del 10%.  L’ENI è il primo produttore straniero nel paese libico, con una produzione di circa 244mila barili di petrolio al giorno, oltre al gas prodotto dai campi libici attraverso il gasdotto denominato GreenStream (che in questi giorni è stato chiuso a scopo precauzionale dall’ENI) che collega Mellitah, sulla costa libica, con Gela, in Sicilia.

Ma tutto questo era niente se confrontato con il piano di modernizzazione della Libia concepito da Gheddafi, che prevedeva investimenti per 153 miliardi di dollari per realizzare infrastrutture, progetti urbanistici e tecnologie per sviluppare l’industria estrattiva del petrolio e del gas.

Ovviamente questo piano acquista maggior peso ora che la Libia è da ricostruire interamente e in questo senso Impregilo che ha fatto molti affari in Libia: aveva vinto una commessa per la costruzione di una torre di 180 metri e un albergo di 600 camere a Tripoli, ha realizzato gli aeroporti di Kufra, Benina e Misuratah, e il Parlamento a Sirte. La stessa società ha vinto l’appalto per costruire tre università, più diversi alberghi e è in gara per la costruzione di una autostrada fino all’Egitto.

Tutto questo rischia di sparire se il governo non si muoverà per tempo come stanno facendo i governi di Francia e Gran Bretagna, ma, ed è questo il vero problema.

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Per la libertà dei popoli, ma la poltrona viene prima

postato il 15 Settembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Stefano Barbero

Il partito più leninista d’Italia ci ha dato una nuova lezione di scuola di regime. I liberi sindaci del Nord manifestano tutta la loro disapprovazione per la manovra varata dal governo (e ieri dal Parlamento). Manifestano fisicamente, andando in piazza, a urlare il proprio dissenso. Lo vorrebbero fare anche i sindaci leghisti, i tesserati del Carroccio, ma via Bellerio ha posto il veto, con un diktat secco: i primi cittadini della Lega non possono aderire.

Così parlarono Bossi e la tolda di comando del partito-bifronte: un po’ di lotta, un po’ di governo. Un po’ Pontida, un po’ il Palazzo. I traguardi si conquistano con la diplomazia, il compromesso, l’intesa parlamentare. I voti si attirano con le urla, gli slogan arruffati, il populismo profondo. Ma il meccanismo si è rotto, come un carillon che gira a vuoto per troppo tempo. Questo perenne oscillare tra protesta e accordo ha rivelato il suo tragicomico paradosso: i borgomastri in camicia verde, educati ad esprimersi contro i nemici, che siano Roma ladrona, i democristiani o i vetusti centralisti, hanno reagito anche stavolta a chi colpisce le autorità locali, chi vuole soffocare le autonomie, chi vuole annientare lo spirito federalista.

Ma ecco intervenire il politburo leghista: sopita la lotta, chi dissente si accomodi alla porta. Così anche un nome di primo piano come Attilio Fontana, sindaco di Varese e presidente dell’Anci Lombardia, ha dovuto adeguarsi alla volontà del regime padano: “Sto con Bossi”, e per coerenza si è dimesso dalla presidenza dell’associazione dei sindaci che ha indetto lo sciopero.

La Lega è il movimento della libertà dei popoli ma quando le esigenze delle comunità locali vanno a cozzare contro gli interessi dei grandi capi, autoproclamatisi antispreco a Pontida ma esperti poltronari a Roma, è pronto a mettere la sordina a tutti i dissidenti. La manovra costringerà i comuni a tagliare i servizi, a non rispondere più ai problemi della gente, a limitare le spese. Ma poco importa ai mastri parolai del Carroccio che hanno fatto crescere una generazione di classe dirigente col dna della protesta: questa volta bisogna stare zitti e mosca, dissensi pur legittimi sacrificati all’altare realpolitik in salsa padana che continua a fare danni. L’ennesima contraddizione di un partito che a lungo andare non sarà più il paladino dei bisogni locali ma solo il brutto prodotto di un populismo di maniera che ha solo ingannato. Per il popolo verde è l’ultima chiamata: aprite gli occhi e rifiutate l’imbroglio.

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I disabili e la scuola: persone doppiamente svantaggiate

postato il 15 Settembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati.

In questi giorni, riaprono le scuole e si fa i conti con i numerosi tagli operati al settore, tagli che vanno ad incidere moltissimo anche su chi è già svantaggiato: i portatori di disabilità.
Anche la scuola fa loro ora pesare questa propria condizione, non agevolandoli per niente e, di fatto, acuendo il loro senso di solitudine e la distanza che li separa dagli altri, dai cosiddetti normali.
Giustamente, l’on.le Compagnon, durante un incontro con una delegazione dell’associazione “Tutti a scuola”, ha affermato che “la macelleria sociale contenuta nella Manovra bis si ripercuoterà sulle fasce più deboli del Paese. Tra le vittime dei tagli per 31 miliardi apportati per i prossimi tre anni con la riforma assistenziale e fiscale ci sono anche i disabili, in particolare i minori, e le loro famiglie già in gravi difficoltà. Occorre rivedere subito queste misure. Ci sono bambini portatori di handicap che rischiano di essere esclusi dalla scuola e ciò significa essere esclusi anche dalla società”.
Magari qualcuno leggendo sbufferà, e dirà che con questa crisi da qualche parte si deve tagliare. Giustissimo, ma prima di sbuffare, ponetevi un quesito: e se io fossi quel bambino svantaggiato? O se quel bambino svantaggiato fosse mio figlio?
Potrei inondarvi di statistiche e di dati economici e di fonti per parlarvi dei tagli alla scuola e del prezzo che pagano gli studenti disabili, ma forse vi annoierei. I dati sono freddi, asettici, e qui parliamo di bambini, che non sono freddi e asettici, ma pieni di vita e di speranza. Ma che speranza possono avere i bambini, se non vengono aiutati?
Eppure i tagli agli insegnanti di sostegno sono un provvedimento quanto meno dubbio visto che una sentenza della Corte Costituzionale del 20 Febbraio 2010 dichiara incostituzionale sia fissare un limite massimo al numero dei posti degli insegnanti di sostegno, sia il divieto di assumere insegnanti di sostegno in deroga. L’argomentazione della Corte Costituzionale è stata che l’art. 2, comma 413, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2008) e l’art. 2, comma 414, della legge n. 244 del 2007, violano gli artt. 2, 3, 38, terzo e quarto comma, della Costituzione, in quanto, in contrasto con i valori di solidarietà collettiva nei confronti dei disabili gravi, ne impedirebbero «il pieno sviluppo, la loro effettiva partecipazione alla vita politica, economica e sociale del Paese» ed introdurrebbero «un regime discriminatorio illogico e irrazionale» che non terrebbe conto del diverso grado di disabilità di tali persone, incidendo così sul nucleo minimo dei loro diritti.
E se tutto questo non basta, allora preferisco fare parlare una mia amica, madre di un adorabilissimo bambino disabile, che vive in provincia di Pavia.
“La prima settimana, ovviamente, il sostegno convocato non si è presentato sino al giovedì. Ed Alexander, senza un punto fisso, con gente nuova, insegnanti nuovi in un posto mai visto, ne ha patito non poco”.
Alla fine della settimana, vengo convocata in direzione.
Tavolata, stile esame di laurea, io, quattro insegnanti, i due sostegni, direttrice (incommentabile) e vicario.
“Signora, suo figlio va rieducato… e a questo proposito, da lunedì lui avrà un’aula solo per lui, così non infastidirà i compagni se vuole uscire. Tenga conto che questa è una grande fortuna, noi qui abbiamo molto spazio e possiamo dedicargliene uno”.
Quale fortuna? L’integrazione? L’inserimento nella società?
“Direttrice, mi perdoni, ma se quello spazio lo destinaste ai momenti in cui non ce la fa a stare in classe, quando magari c’è molto rumore, quando la sua soglia di attenzione cala e…”
“No, è escluso che resti nella sua classe sinchè venga rieducato in un apposito Istituto”, mi rispondono.

E poi ancora:

“Signora, non abbiamo tutte le ore coperte, purtroppo. Deve venire a prendere suo figlio a mezzogiorno, non può frequentare la mensa, nè i pomeriggi obbligatori”
Ebbravi, complimenti. Viva la scuola dell’obbligo, dove son tanto fortunata che si trovi in un edificio grande.
“Direttrice, mi perdoni. Io sono separata, non sto lavorando per curare mio figlio e farlo migliorare per fargli avere una vita, quando pensa che potrò avere 4 ore per poter avere un lavoro almeno part time al mattino, visto che fa solo 3 pomeriggi su cinque in questa scuola?”. Ed ancora: “Signora, domani Alexander ha solo un’ora coperta. Può entrare tranquillamente alle 9.30 e uscire alle 10.30″

“Ma il famoso sostegno totale che era stato stanziato?” dico io? “Il Comune non lo ha concesso, ci ha risposto “arrangiatevi. Alexander ha 11 ore scoperte su 27 e noi non possiamo tenerlo senza sostegno. Vada lei e veda se può fare qualcosa”.

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Se ognuno fa qualcosa, allora si può fare molto

postato il 15 Settembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

Diciotto anni fa un sicario mafioso freddava con un colpo alla nuca il parroco della borgata palermitana di Brancaccio Padre Pino Puglisi. Lasciando da parte ogni retorica credo sia importante ricordare questo uomo buono e coraggioso, questo pastore che ha saputo conformarsi totalmente all’icona del Buon Pastore fino a dare la vita per il suo gregge, soprattutto in questo momento di difficoltà del nostro Paese. Padre Puglisi nel suo ministero pastorale aveva sempre vissuto in realtà precarie se non difficili, ma aveva sempre avuto la capacità di trovare la possibilità nella difficoltà. L’esperienza di Padre Puglisi si può racchiudere tutta in una frase che lui ripeteva spesso: “se ognuno fa qualcosa, allora si può fare molto”. Padre Puglisi credeva in Dio, ma credeva anche nell’uomo, nella capacità degli uomini di cambiare il mondo e la  storia.  Palermo e l’Italia intera sono sfiduciate, mangiano il pane quotidiano della precarietà e dell’incertezza, allora il ricordo di Padre Puglisi lungi dall’essere  un vano esercizio della retorica antimafia  può diventare una ricetta per uscire dalla crisi politica, economica e sociale. Oggi non ci manca solo la presenza mite e rassicurante di Padre Pino Puglisi, ma ci manca soprattutto la sua fiducia negli uomini, il suo sorriso mite e rassicurante, le sue parole piene di speranza: “se ognuno fa qualcosa, allora si può fare molto”.

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Il telescopio VST tornerà a “riveder le stelle”?

postato il 13 Settembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Jakob Panzeri

A 2.635 m nella cordigliera della Costa nel deserto cileno di Atacama in vetta al Cerro Paranal si trova il telescopio VST (Vls Survet Telescope) . Questo telescopio è considerato il miglior sito astrologico del mondo, indaga specificamente sulla natura dell’antimateria e dà la caccia a eventuali asteroidi minacciosi per la terra. Sapete chi l’ha costruito? L’ingegno italiano. E’ stato realizzato dall’INAF (Istituto Nazionale di AstroFisica) in collaborazione con il Centro di ricerche di Capodimonte, Napoli. L’Italia ha costruito questo prodigio e si è impegnata negli ultimi cinque anni in queste importanti ricerche, ma da quest’autunno non la farà più: mancano infatti 300.000 euro, solo 300.000 euro, necessari alla copertura delle osservazioni. Infinita tristezza.

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11 settembre 2001: dieci anni dopo

postato il 11 Settembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Jakob Panzeri

“Ero a casa, la mia casa è nel centro di Manhattan, e alle nove in punto ho avuto la sensazione d’ un pericolo che forse non mi avrebbe toccato ma che certo mi riguardava. La sensazione che si prova alla guerra, anzi in combattimento, quando con ogni poro della tua pelle senti la pallottola o il razzo che arriva, e rizzi gli orecchi e gridi a chi ti sta accanto: «Down! Get down! Giù! Buttati giù». L’ ho respinta. Non ero mica in Vietnam, non ero mica in una delle tante e fottutissime guerre che sin dalla Seconda Guerra Mondiale hanno seviziato la mia vita! Ero a New York, perbacco, in un meraviglioso mattino di settembre, anno 2001. Ma la sensazione ha continuato a possedermi, inspiegabile, e allora ho fatto ciò che al mattino non faccio mai. Ho acceso la Tv. l’ audio non funzionava. Lo schermo, sì. […] E su ogni canale, qui di canali ve ne sono quasi cento, vedevi una torre del World Trade Center che bruciava come un gigantesco fiammifero. Ero un pezzo di ghiaccio. Anche il mio cervello era ghiaccio” (Oriana Fallaci)

L’attacco fu così devastante da non aver precedenti in tempo di pace: ad essere colpita era l’invulnerabilità degli Stati Uniti d’America e con loro di tutto l’Occidente. Chi non aveva trovato subito la morte bruciato vivo nell’impatto dei due aerei, si buttava giù dalle finestre schiantandosi al suolo per evitare una morte atroce tra i tormenti delle fiamme. Immagini raccapriccianti, il riconoscimento delle vittime polverizzate tramite i loro effetti personali, immagini toccanti, il ritrovamento di una croce di legno tra le macerie delle torri, testimonianze di autentici eroi come l’italoamericano Daniel Nigro, il capo dei pompieri chiamati in soccorso.

Quel giorno il mondo conobbe un uomo, Osama Bin Lader, di cui non aveva mai sentito parlare e la sua organizzazione terroristica Al Quaeda, la base. Il movimento era nato negli anni Ottanta per liberare l’Afghanistan dai carri armati e dalle ambizioni dell’Unione Sovietica, giovani studenti di teologia, i mujaddin,costrinsero al ritiro l’Armata Rossa. Al Quaeda a partire da quegli anni ha iniziato una politica di decentramento organizzativo che ha iniziato a diffondere l’islamismo radicale in versione terroristica nel mondo arabo ma senza risultare evidente ai nostri occhi. Gli occhi del mondo occidentale si aprirono in modo drammatico e inaspettato sullo sconosciuto divenuto lo sceicco del terrore. Da quel terribile giorno in un crescente clima di terrore, nel nome della sicurezza e dell’ordine sono stati calpestati i più basilari diritti umani, altri attentati terroristici sono sorti penetrando nel centro dell’Europa, nelle metro di Londra e Madrid, nelle sue città e nei suoi cuori dilaniati.

Proprio quest’anno, il decennale del tragico episodio delle Twin Towers, ha visto la morte di Osama Bin Lader ma soprattutto ha visto migliaia di giovani del Medio Oriente ribellarsi e mettersi in gioco non per il fanatismo e la guerra santa ma per la libertà e la democrazia. E’ questa la vera morte di Osama, la primavera araba e l’inesprimibile sete di libertà del cuore umano che hanno saputo abbattere il fanatismo e il terrorismo e stanno costruendo un nuovo mondo arabo, o forse no, stanno facendo vedere e crescere ciò che i nostri occhi e i nostri cuori avvelenati ci impedivano di scorgere. Non abbandoniamoli, vinceremo insieme.

 

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Cattolici in politica, un impegno oneroso ma doveroso

postato il 11 Settembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Maria Pina Cuccaru

Si parla spesso di impegno dei cattolici in politica, soprattutto dopo l’appello del cardinal Bagnasco, all’impegno dei cattolici in politica, e  al richiamo dell’ex ministro Pisanu,  durante la convention Udc di Chianciano, al codice di Camaldoli auspicando una riunione dei politici cattolici. Se ne parla tanto, quindi. Ma sappiamo anche che da troppi anni la politica è vista dalla gente come qualcosa di sporco, corrotto, che pensa solo ai propri privilegi in barba agli interessi della gente. In questo panorama politico, i cattolici sono impegnati a essere coerenti con se stessi. Il cattolico non deve essere maestro, ma testimone, che vuol dire tradurre il messaggio di Cristo in fatti concreti e in scelte concrete, nella vita pubblica e privata. Essere cattolici non può e non deve essere un’etichetta che si sfoggia per ottenere il voto delle vecchiette che frequentano le sacrestia più della propria casa o dei ragazzi che frequentano gli oratori; essere cattolici è un’impegno difficile, oneroso, che espone al giudizio del prossimo: occorre essere, come ci ricorda San Pietro, “sempre pronti a rendere ragione della speranza che è in noi”; occorre testimoniare con la propria vita e il proprio operato la propria fede, avendo coraggio di scelte impopolari ma coerenti con il Vangelo. Allo stesso tempo occorre non perdere mai di vista la laicità dello Stato, distinguendo bene fra ispirazione ai valori cattolici e integralismo, rispettando la pluralità della popolazione che si va a governare. L’impegno, quindi, è gravoso; essere cattolici è prima di tutto un dovere.

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Cambiare? I giovani ne hanno la forza

postato il 11 Settembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Stefano Barbero

Sta per chiudersi l’edizione 2011 della festa nazionale dell’UDC, un evento che forse definire festa è un po’ riduttivo, così pieno di incontri e dibattiti, di riflessioni e scambi di idee. Ma a pensarci bene perché non dovremmo festeggiare? Il parco Fucoli è stracolmo di gente entusiasta che ha ancora voglia di credere nelle qualità di una buona politica che nonostante i cattivi esempi (purtroppo la maggioranza) riesce ancora a far parlare bene della categoria.

Potrebbero bollarci tutti per ingenui, o illusi, ma la verità è un’altra: non ci stiamo ad arrenderci allo sconforto e non ci stiamo ad accettare in modo rassegnato lo stato delle cose. Abbiamo un desiderio, che è una volontà: essere protagonisti del cambiamento. Siamo animati da una convinzione: la politica siamo noi, la facciamo con la nostra vita  quotidiana, con il nostro interesse.

E se la politica siamo noi, abbiamo tutte le carte in regola per costruire nuovi orizzonti che partano dalla partecipazione, dalle proposte e dalla condivisione. Noi siamo pronti, e lo abbiamo già dimostrato. Quanto ancora i giovani, ma non solo i giovani, dovranno subire le decisioni di una classe politica che non dà le risposte che attendono? E’ tempo di chiudere con i discorsi vuoti, i proclami, gli slogan. Si vuole investire sui giovani, che sono la linfa della politica? Allora il modo di agire, la soluzione, la “formula magica” c’è: i partiti, tutti, investano con convinzione nelle nuove generazioni, valorizzino questo capitale umano preziosissimo, coltivino la sana politica che non ha familiarità con il potere e le poltrone. Solo così si potrà attuare il tanto agognato rinnovamento. Noi crediamo nella reale volontà di Casini di svecchiare, anche e soprattutto nelle idee e nell’approccio alle problematiche, non solo nell’età anagrafica. E poi, chiaramente, il cambiamento non lo può fare solo una parte, c’è bisogno di un’intesa cruciale: di mezzo c’è il futuro, non buttiamo via questa irripetibile occasione.

Che Chianciano 2011 sia ricordata come la festa dei giovani.

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L’orgoglio di una scelta (giusta)

postato il 10 Settembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Giuseppe Portonera

Pier Ferdinando Casini ha appena concluso il suo discorso conclusivo alla convention di Chianciano 2011. È stato un discorso bellissimo, forte e chiaro come ormai quasi tutti quelli che fa nell’ultimo periodo: sono quei discorsi che, pur non cadendo mai nella banalità o nella foga retorica, puntano tutto sui contenuti, sulle proposte e sui progetti, abbandonando quella cripticità e quell’ambiguità che a giudizio comune facevano troppo vecchia Dc; sono quei discorsi che non fanno sconti a nessuno, senza per questo giocare con il vecchio vizio dello scaricabarile; sono quei discorsi che a partire dall’intervento alla Camera del mese scorso, hanno fatto guadagnare a Casini molti e nuovi consensi e stima anche sul mondo della Rete, di solito non esattamente tenero nei nostri confronti. Oggi, mentre Casini sul palco tuonava contro l’insufficienza del governo e rilanciava le nostre ricette per il salvataggio del Paese, ha trasmesso un entusiasmo e un’energia ai militanti e alla platea incredibili. A un certo punto alcuni settori del pubblico non si sono più potuti trattenere e sono esplosi in un’ovazione, urlando “Casini Presidente, Presidente, Presidente!”, in modo così spontaneo ed energico da far scattare in piedi anche me, che non sono certo un novellino di queste iniziative e so bene come spesso cose del genere siano concordate ex ante: ma non era questo il caso.

Stavolta in quell’esplosione di gioia e di festa c’era un sentimento sincero e antico: l’empatia e la soddisfazione che si provano quando ci si sente pienamente rappresentanti dal proprio leader. Eppure, per me, non è stato solo questo: c’è un’altra motivazione che mi ha spinto a “esplodere”: ed è, principalmente, una questione di “orgoglio”. Sì, proprio “orgoglio”. Perché l’edizione di Chianciano 2011 è stata per me la riprova “finale” che la scelta fatta l’anno scorso di restare nell’Udc siciliana, in un momento in cui sembravamo tutti destinati ad essere trascinati via dalle follie dell’autunno di un vecchio patriarca, in un momento in cui tanti amici preferirono lasciare la casa comune e veleggiare verso lidi che non potevano e non potranno mai essere “nostri”, non era solo “coraggiosa” o magari “ingenua”. Era giusta.

Grazie Pier, per avermelo confermato.

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