Per la libertà dei popoli, ma la poltrona viene prima
“Riceviamo e pubblichiamo” di Stefano Barbero
Il partito più leninista d’Italia ci ha dato una nuova lezione di scuola di regime. I liberi sindaci del Nord manifestano tutta la loro disapprovazione per la manovra varata dal governo (e ieri dal Parlamento). Manifestano fisicamente, andando in piazza, a urlare il proprio dissenso. Lo vorrebbero fare anche i sindaci leghisti, i tesserati del Carroccio, ma via Bellerio ha posto il veto, con un diktat secco: i primi cittadini della Lega non possono aderire.
Così parlarono Bossi e la tolda di comando del partito-bifronte: un po’ di lotta, un po’ di governo. Un po’ Pontida, un po’ il Palazzo. I traguardi si conquistano con la diplomazia, il compromesso, l’intesa parlamentare. I voti si attirano con le urla, gli slogan arruffati, il populismo profondo. Ma il meccanismo si è rotto, come un carillon che gira a vuoto per troppo tempo. Questo perenne oscillare tra protesta e accordo ha rivelato il suo tragicomico paradosso: i borgomastri in camicia verde, educati ad esprimersi contro i nemici, che siano Roma ladrona, i democristiani o i vetusti centralisti, hanno reagito anche stavolta a chi colpisce le autorità locali, chi vuole soffocare le autonomie, chi vuole annientare lo spirito federalista.
Ma ecco intervenire il politburo leghista: sopita la lotta, chi dissente si accomodi alla porta. Così anche un nome di primo piano come Attilio Fontana, sindaco di Varese e presidente dell’Anci Lombardia, ha dovuto adeguarsi alla volontà del regime padano: “Sto con Bossi”, e per coerenza si è dimesso dalla presidenza dell’associazione dei sindaci che ha indetto lo sciopero.
La Lega è il movimento della libertà dei popoli ma quando le esigenze delle comunità locali vanno a cozzare contro gli interessi dei grandi capi, autoproclamatisi antispreco a Pontida ma esperti poltronari a Roma, è pronto a mettere la sordina a tutti i dissidenti. La manovra costringerà i comuni a tagliare i servizi, a non rispondere più ai problemi della gente, a limitare le spese. Ma poco importa ai mastri parolai del Carroccio che hanno fatto crescere una generazione di classe dirigente col dna della protesta: questa volta bisogna stare zitti e mosca, dissensi pur legittimi sacrificati all’altare realpolitik in salsa padana che continua a fare danni. L’ennesima contraddizione di un partito che a lungo andare non sarà più il paladino dei bisogni locali ma solo il brutto prodotto di un populismo di maniera che ha solo ingannato. Per il popolo verde è l’ultima chiamata: aprite gli occhi e rifiutate l’imbroglio.