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La manovra e i mercati finanziari: una crisi di fiducia contagiosa

postato il 6 Settembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

In questi giorni gli argomenti principe sui telegiornali sono essenzialmente due: la manovra finanziaria, e l’andamento dei mercati finanziari. Più volte abbiamo criticato questa manovra finanziaria e al contempo abbiamo ascritto la crisi attuale dei mercati finanziari ad una crisi di fiducia alla luce di un rallentamento dell’economia e posso affermare, senza tema di smentita, che i due fenomeni sono correlati.

Intendiamoci, è chiaro che anche altre economie stanno subendo un rallentamento, come la Germania e la Francia che hanno visto il loro PIL restare fermo nel secondo trimestre, o gli USA che non vedono miglioramenti sensibili nell’andamento della disoccupazione, ma in questi giorni il vero problema è l’Italia e le indecisioni che stanno accompagnando la manovra finanziaria.

Stiamo assistendo ad un balletto indecoroso, in cui ogni giorno la manovra finanziaria subisce una radicale revisione, segno di uno smarrimento di questo governo. Dobbiamo dirlo chiaramente, senza alcun timore.

Il governo cambia ogni giorno la manovra non solo perché non ha idee, ma perché ha sempre governato guardando ai sondaggi e sperando nei “miracoli”, senza sapere che in politica ed economia non esistono miracoli, ma solo il duro lavoro e il coraggio anche di prendere scelte difficili per il bene del Paese. E quando parliamo di “Paese”, ci riferiamo a tutti gli italiani e non solo ad una parte dell’elettorato: noi guardiamo a tutti e non solo agli agricoltori che sforano le quote latte come la Lega, o a coloro che hanno bisogno di un condono fiscale.

Questa indecisione sulla manovra finanziaria si sta traducendo in una crisi di fiducia non solo verso l’Italia, ma anche verso l’Europa, perché una manovra debole potrebbe costringere l’Italia ad una fine analoga a quella della Grecia e in quel caso, visto il peso dell’Italia nell’ambito della UE (contribuiamo per il 16% al PIL europeo e siamo la terza nazione dopo Francia e Germania per economia), difficilmente l’UE potrebbe salvarsi, perché causerebbe un effetto domino: Francia, Germania e Italia hanno interessi comuni e reciproci fortissimi, venendo a mancare un attore, viene a crollare tutto.

Purtroppo sembra che il governo non si renda conto di questo e intanto lo spread tra BTP e Bund tedeschi è salito a 370, mentre l’oro, bene rifugio per eccellenza, va alle stelle. All’estero hanno così poca fiducia in questo governo, che anche i titoli di stato spagnoli sono valutati più dei nostri, nonostante la Spagna abbia una disoccupazione al 20%, ben più alta di quella italiana.

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Ciao Mino e grazie ancora per la risposta

postato il 5 Settembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

Nel 1993 ero un ragazzino delle scuole medie che invece di pensare al calcio si interessava di politica e si dichiarava democristiano. Con la Dc ero cresciuto: papà era stato  segretario provinciale dei giovani dc, da piccolino mi divertivo alla Festa dell’Amicizia e prima delle elezioni c’era sempre il rito dei candidati a casa. Insomma la Dc era una persona di famiglia, veramente mamma Dc! Eppure capì già allora di vivere l’agonia della Dc, il decomporsi della Balena bianca e del suo potere  e percepivo il clima di fine impero. In quei giorni difficili di Tangentopoli e delle stragi di Mafia non era facile essere democristiani, figurarsi ragazzini democristiani. Ricordo le prese in giro dei compagni di scuola che pur non capendo molto di politica ripetevano parole e gesti dei genitori, e penso anche al naso storto di qualche professore che abbandonata la Dc per la Rete di Leoluca Orlando pensava che per me fosse l’ora di una “rieducazione”. Eppure in quella mestizia riuscì a trovare sicurezza e voglia di continuare grazie all’arrivo al vertice del partito di Piazza del Gesù del bresciano Mino Martinazzoli. Martinazzoli non era molto famoso, qualcuno lo considerava un po’ triste e menagramo, Forattini lo disegnava senza volto e con i soli nei in rilievo. Nonostante questa immagine pubblica piuttosto debole Martinazzoli portò coraggio e speranza in un partito che era impaurito e disorientato. Forse le sue scelte politiche non furono sempre giuste ma a lui si devono uno straordinario sforzo di rinnovamento  e un tentativo coraggioso di ripensare e riproporre la presenza politica dei cattolici. Martinazzoli seppe generare l’entusiasmo dei lontani dai centri di potere democristiano  mettendo fuori gioco i famosi “pacchetti” di tessere con i quali si vincevano i congressi a tavolino, parlando di commissione di inchiesta sulle ricchezze illecite dei politici, cercando di cancellare le code dei questuanti nelle anticamere di Piazza del Gesù, tirando la cinghia licenziano e vendendo le sedi del partito, proponendo addirittura un “codice etico per gli operatori di partito”. In un consiglio nazionale del partito Martinazzoli raccontò di aver visto piangere un suo amico, operaio e democristiano, a causa dei “ladro” gridati dai leghisti al suo indirizzo e di altri dc e da questo episodio trasse uno straordinario programma politico: “noi i democristiani non dobbiamo farli piangere più”. La Dc non si salvò dal crollo della Prima Repubblica eppure grazie a Martinazzoli molti democristiani non piansero più ma ritrovarono la voglia e il coraggio, seppur con modalità diverse, di impegnarsi in politica.

Anche io fui un giovane dc che non pianse più. Una volta dopo l’ennesimo arresto e dopo l’ennesima batosta elettorale scrissi una lettera al segretario della Dc, una sorta di piccolo sfogo e di incoraggiamento per la sua azione. Non mi aspettavo risposta eppure qualche giorno dopo mi giunse una lettera da Roma: era la risposta di Martinazzoli. Il segretario di una malandata Dc rispondeva ad un ragazzino delle scuole medie e lo ringrazia e lo incoraggiava.

La morte di Martinazzoli è una grande perdita per il Paese e per la politica italiana, ma se permettete è anche un dolore e personale:  se n’è andato uno strano pezzo importante della mia giovinezza.

Ciao Mino e grazie ancora per la risposta.

 

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Una manovra che aumenta il deficit di fiducia

postato il 1 Settembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

“In Italia la fiducia è la più rara delle materie prime” questa è la secca analisi di Eric Reguly l’inviato a Roma del giornale canadese The Globe and Mail che ieri in un interessante articolo ha commentato efficacemente la nuova manovra economica del governo Berlusconi.  Reguly pur riconoscendo la necessità comune a tutti i paesi occidentali di tirare la cinghia sostiene che il vero problema dell’Italia è il deficit di fiducia. L’inviato canadese sembra cogliere un aspetto fondamentale della crisi italiana: la crisi del nostro Paese è prima di tutto una crisi di fiducia nelle nostre possibilità e soprattutto nelle capacità della nostra classe politica di attuare quelle riforme necessaria ad invertire la tendenza. La cosiddetta “manovra di Ferragosto”, oltre ai discutibili contenuti, ha il demerito di non influire su questo aspetto, anzi dall’italiano medio viene percepita come l’ennesima prepotenza di uno Stato incapace che colpisce solamente le classi sociali più deboli. Se a ciò si aggiunge il fatto che la stragrande maggioranza degli italiani è convinta che tasse più alte non forniranno maggiori servizi, ma al contrario andranno a foraggiare i privilegiati della casta, la frittata è fatta. L’endemica mancanza di fiducia italiana non è solamente rilevata dai grandi analisti politici ed economici, ma fa parte del nostro quotidiano: Reguly esordisce addirittura con il riferimento ad una lavanderia romana che fa pagare prima di consegnare i vestiti puliti e che per lui diventa simbolo della generale carenza di fiducia degli italiani. L’analisi del giornalista del The Globe and Mail in sostanza non fa altro che rilevare ciò che ogni giorno respiriamo, cioè quel clima di incertezza e di sfiducia che immobilizza l’Italia. Non c’è dubbio che da questo punto di vista gli interventi economici di questo governo non sono solo insufficienti ma anche depressivi e che occorre immediatamente voltare pagina con una rinnovata iniezione di fiducia per ridare agli italiani quelle piccole e grandi certezze che consentono di essere diversi e di poter dire ad un giornalista canadese che pagherà i suoi vestiti puliti solo quando gli saranno consegnati.

 

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La cultura italiana ha un futuro?

postato il 31 Agosto 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Jakob Panzeri

Beati i tempi in cui gli antichi filosofi si vantavano del loro sapere “inutile” perché privo di qualsiasi risvolto o guadagno e rivolto unicamente all’elevazione della propria anima e a un amore puro e disinteressato verso il sapere. Sapere che inutile non doveva tanto essere se dopo secoli di distanza continua ancora a parlare all’uomo moderno e a brillare del suo valore. Aristofane paragonava le sue commedie alle mele che i greci mettevano d’inverno in mezzo ai vestiti per conservarli, come la nostra naftalina. Oggi l’inutilità della cultura non è più un vanto ma soltanto motivo di disprezzo. Lo sa bene l’Accademia della Crusca  soffocata nel suo grido d’allarme : “Aiutateci a costruire un futuro”.

L’Accademia della Crusca era stata bollata come ente inutile dalla recente manovra finanziaria perché risultava con meno di 70 dipendenti, unico criterio stabilito senza alcuna considerazione riguardo il prestigio, la storia, l’utilità reale degli enti. Inutile come la fondazione Benedetto Croce, il Museo storico della Fisica e l’Accademia fiorentina. Fortunatamente il pericolo di chiusura sembra evitato, ma rimane il paradosso delle istituzioni politiche che giudicano inutile questa accademia per l’esiguo numero dei dipendenti, che poi sono le stesse che non permettono alla ente pubblico Accademia della Crusca di assumere nuovi dipendenti.

“È un paradosso: noi abbiamo solo 6 dipendenti, 3 in biblioteca e 3 in segreteria, solo perché con i fondi erogati dallo stato non ci possiamo permettere di assumere più persone. Ci sono anche dai 20 ai 30 collaboratori con contratti a progetto, a seconda dei finanziamenti che riceviamo, precari in posizione chiave: chi mantiene il sito, chi digitalizza le opere della biblioteca, chi cura l’archivio, chi si occupa delle pubblicazioni. In più ci sono circa 60 accademici, illustri studiosi di tutto il mondo che come me lavorano per l’Accademia senza percepire alcun compenso” (Nicoletta Maraschio, presidente Accademia della Crusca) .

Paradosso nel paradosso: tutto ciò avviene mentre ci sono, come documentato in una recente puntata di Superquark, più di 17.000 laureati in materie umanistiche inabili a trovare una sistemazione nel mondo di un lavoro che non accetta il loro sapere, letterati, filologi, filosofi e archeologi la cui passione ha prevalso sulle logiche perverse del mercato e li ha spinti su una strada che pur appare senza futuro, giovani che sicuramente avrebbero e dovrebbero avere l’opportunità di manifestare il loro talento e il loro amore in istituzioni e fondazioni come l’Accademia della Crusca e farebbero sicuramente un lavoro migliore degli incompetenti che hanno restaurato l’anfiteatro di Pompei con il cemento armato, un vero stupro alla cultura pompeiana denunciato da Gian Antonio Stella sulle colonne de “Il Corriere della Sera” .

Paradossi, ancora paradossi: come il numero di medici e ingegneri di cui abbiamo una grave carenza quando ogni anno 1 aspirante ingegnere su 3 non riesce ad accedere ai politecnici e 1 aspirante medico su 10 deve rinunciare al sogno del camice bianco. Tutta l’organizzazione della cultura italiana è un paradosso. Come paradossale è la condizione della nostra ricerca: siamo fanalino d’Europa per i fondi erogati (circa il 0.6% del Prodotto Interno Lordo) e per il numero di ricercatori in Italia, eppure abbiamo il più alto tasso di produttività e di pubblicazione di paper scientifici in rapporto alla popolazione. I ricercatori italiani hanno un tasso di produttività maggiore dei rinomati politecnici e cliniche svizzere e nei laboratori di ricerca europea come il centro di biologia molecolare di Heidelberg sono più i nomi italiani che tedeschi e francesi con compiti di dirigenza. La ricerca italiana, che ha iniziato il suo grande boom nei primi anni ’80 anche sull’onda dell’ammirazione per i Premi Nobel assegnati a Rita Levi Montalcini per la medicina e Carlo Rubbia per la fisica, in ventanni è quadruplicata con un tasso di produttività e di ingegno che oggi si trova soltanto in Cina, India, Brasile, futuri dominatori dell’umanità. Dal 2005, la ricerca italiana, ferita da continui tagli e mancanza di sostegno, arretra nelle classifiche internazionali ma non smette di continuare a brillare e presentare i suoi frutti al mondo.

Ma non possiamo chiudere questo articolo senza aver dato uno sguardo all’estero e in particolare alla Germania, l’unico paese europeo che può essere definito davvero al di fuori della crisi e che costituisce l’autentico baluardo dell’Unione Europea: la Germania ha compiuto la precisa scelta nelle sue manovre finanziarie di escludere qualsiasi taglio a istruzione e ricerca perché come ha dichiarato il direttore del Museo della Scienza e della Tecnica di Monaco :” Lo stato tedesco sa che un ignorante domani costerà allo Stato più dell’opportunità e del dovere di istruirlo oggi e che la tecnologia e la ricerca che sosteniamo continueranno a fare grande il popolo tedesco”. In Germania l’Istituto per la lingua tedesca di Manneheim, l’analogo della nostra Accademia della Crusca, può contare su 80 dipendenti e una dotazione ordinaria di circa 8 milioni di euro. I fondi erogati alla nostra accademia dal Ministero per i Beni Culturali sono invece soltanto 200.000 euro. Stessa situazione per i musei “gemelli” della Scienze e della Tecnica di Monaco e di Milano, il secondo riceve dallo stato italiano la decima parte dei finanziamenti tedeschi.

E’ questa la domanda: la cultura italiana ha un futuro?

Il motto dell’Accademia della Crusca è il verso petrarchesco “ Che il più bel fiore colga”.

Troviamo allora il coraggio di cogliere questo fiore e di far germogliare i suoi semi.

Costruiamo un futuro!

 

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Una manovra senza orizzonte

postato il 31 Agosto 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

La manovra in questi giorni è stata ulteriormente modificata e quello che è uscito ha quasi il sapore di una beffa, perché Bossi e Berlusconi si sono appropriati di una nostra proposta, facendola passare per una loro idea.

Intendiamoci, noi non ci lamentiamo di questo, ma ci lamentiamo perché non hanno preso le nostre proposte più importanti, ovvero le politiche per la famiglia.

A giugno solamente noi avevamo votato a favore dell’eliminazione delle province , mentre Lega e PDL si erano strenuamente opposti a questa nostra proposta.

Oggi, invece, affermano, gloriandosene, di avere deciso un importante taglio dei costi della politica , e io mi chiedo: cosa è cambiato da Giugno a ora?

Nulla. Ma il punto non è a chi attribuire il merito del taglio delle province, chi legge i giornali e ha buona memoria lo sa benissimo, ma semmai che il taglio delle province doveva essere propedeutico ad un altro punto fondamentale: una politica seria di aiuti alle famiglie numerose.

E’ chiaro che attuare una simile politica ha un costo, che non può essere pagato dai cittadini, ma che può essere affrontato con il taglio alla politica.

Il dimezzamento dei parlamentari e l’abolizione delle province, noi lo abbiamo sempre visto come uno strumento per reperire fondi da destinare alle famiglie numerose, per rinnovare il loro potere di acquisto consumato dalle ultime scriteriate politiche di questo governo, in modo da stimolare il mercato interno e contrastare gli effetti depressivi di una manovra che si caratterizza per le sue tasse.

Siamo felici che siano state accolte le nostre rimostranze verso la tassa di solidarietà: era ingiusta verso quello che per noi è ceto medio, mentre è giusto che a pagarla siano i politici, proprio per dare il buon esempio.

Infine, speriamo che vi sia il tempo per il governo per tornare indietro sull’assegnazione delle 6 frequenze del digitale terrestre ancora in ballottaggio. E’ un regalo inaccettabile, lo abbiamo detto e lo ripetiamo, soprattutto alla luce della recente asta per le frequenze della banda larga mobile che proprio oggi ha visto raggiungere offerte per un controvalore di 2,3 miliardi di euro e vedrà nei prossimi giorni iniziare la fase dei rilanci.

Alla luce di ciò, è legittimo pensare che se vendessimo, con lo stesso meccanismo, le frequenze del digitale ancora libere potremmo raggiungere la cifra di 3 miliardi di euro, e forse superarla, in modo da avere fondi da destinare alla famiglia e allo sviluppo della banda larga per internet e colmare il gap tecnologico che ci separa dal resto del mondo.

Per questo motivo guardiamo con interessi ai prossimi giorni: la nostra idea di tagliare tutte le province era ottima, e alla fine lo hanno riconosciuto anche gli altri attori politici che si sono adeguati, e siamo sicuri che le nostre idee in tema di sostegno alla famiglia e di vendita delle frequenze digitali siano pure ottime e possano rilanciare l’Italia.

 

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Terzo Polo, ecco la contromanovra

postato il 30 Agosto 2011

Meno spesa e meno tasse, meno debito, evasione e corruzione, più crescita e coesione, più equità per donne e giovani. Sono questi gli assi portanti della contro-manovra del Terzo polo depositata ieri in commissione Bilancio al Senato sottoforma di un pacchetto di emendamenti al decreto anti-crisi, cui si accompagna una pesante bocciatura delle scelte di Berlusconi e dei suoi alleati. La proposta presentata dai vertici del  Terzo Polo avrebbe come effetto una riduzione della pressione fiscale, rispetto alla proposta della maggioranza poiché intervenendo davvero sui tagli di spesa come propone il Terzo Polo, la pressione fiscale si fermerebbe al 42%. Il pacchetto di Api, Udc, Fli e Mpa propone una riforma delle pensioni che dovrebbe portare a cancellare il sistema delle quote dal 2012 e permettere di andare in pensione o a 65 anni o con 40 anni di contributi. L’obiettivo del Terzo Polo è un grande patto generazionale tra genitori e figli che passi attraverso la revisione del sistema previdenziale. La proposta porterebbe un risparmio per diversi miliardi di euro (oltre 5 miliardi nel 2014) che dovrebbero essere destinati non alla riduzione del deficit, ma interamente a incrementare l’occupazione giovanile e favorire la riqualificazione dei 40-50enni che perdono il lavoro. Ma c’è spazio anche per le donne, per cui si propone l’equiparazione del settore privato a quello pubblico e l’andata in pensione a 65 anni: i soldi sarebbero destinati all’occupazione femminile e al quoziente familiare. Tra gli obiettivi del Terzo Polo c’è l’abolizione delle province, o meglio della soppressione di tutte le province sotto i 550 mila abitanti, che le farebbe passare dalle attuali 110 a 37, con un risparmio a regime di due miliardi di euro. Accanto all’abolizione delle la riduzione delle spese della pubblica amministrazione (in particolare gli acquisti delle regioni in sanità) di 16,4 miliardi di euro nel 2012, 20 nel 2013 e 25 nel 2014 per trasformare i fondi perduti in credito di imposta, risparmiando 23 miliardi l’anno, oltre all’asta delle frequenze tv i cui proventi sarebbero assegnati alla banda larga per il mezzogiorno. Con i tagli ottenuti da queste, secondo gli esperti del Terzo Polo,  è possibile pensare di azzerare il deficit ma anche prevedere deduzioni per le famiglie e riduzione Irap per le imprese. Si spinge poi sulle liberalizzazioni con il divieto di affidare in house servizi a società e scioglimento di quelle esistenti. Nel caso in cui un’amministrazione rinunci a liberalizzare non potrà scaricare il costo sui cittadini con nuove tasse e tariffe. C’è anche un capitolo giustizia:  il Terzo Polo propone di intervenire sul processo civile con la revisione delle circoscrizioni giudiziarie, obbligo del giudice a rispettare il calendario fissato per le udienze e una riforma del sistema delle notifiche civili e penali tramite posta elettronica certificata. Per eliminare l’odioso e iniquo contributo di solidarietà, infine, il Terzo Polo propone di introdurre una patrimoniale del 5 per mille sulle grandi attività finanziarie e immobiliari superiori ai dieci milioni di euro.

 

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Il coraggio di essere liberi. In memoria di Libero Grassi.

postato il 29 Agosto 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

Vent’anni fa,  alle 7.45 del 29 agosto 1991, cinque pallottole mettevano fine alla vita di Libero Grassi, l’imprenditore palermitano che non si era piegato al racket . Il piombo mafioso non poté però arrestare il percorso di liberazione che Libero Grassi aveva avviato con la sua coraggiosa denuncia della violenza mafiosa: dopo Grassi tanti altri imprenditori e commercianti hanno trovato il coraggio di ribellarsi al giogo delle estorsioni ,la magistratura ha iniziato ad indagare gli imprenditori che non denunciano i propri aguzzini, e qualche associazione produttiva ha preso l’iniziativa di espellere gli iscritti accusati di connivenza. E’ cambiato tanto in Sicilia da quel terribile mattino di fine agosto, ma c’è ancora tanto da fare perché in troppi non riescono ad uscire dall’incubo del pizzo. Ricordare Libero Grassi significa dare luce a quanti ancora sono avvolti nelle tenebre della violenza e della paura, significa ricordare a tutti e a ciascuno che libertà, coraggio e onestà possono cambiare Palermo, la Sicilia, l’Italia e il mondo intero. Ecco perché vale la pena rileggere e tenere sempre presenti le parole nude e forti, rivestite dell’ironia dei miti, che l’imprenditore palermitano rivolse ai suoi aguzzini dalle pagine del Giornale di Sicilia il 10 gennaio 1991:

Caro estortore

Volevo avvertire il nostro ignoto estortore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l’acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia. Ho costruito questa fabbrica con le mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere… Se paghiamo i 50 milioni, torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in poco tempo. Per questo abbiamo detto no al ‘Geometra Anzalone’ e diremo no a tutti quelli come lui.

 

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Uno sciopero figlio delle paure di Cgil e Pd

postato il 27 Agosto 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

Ci risiamo, la sindrome del sorpasso a sinistra colpisce ancora e questa volta colpisce Cgil e Pd in un sol colpo.  Il sindacato guidato da Susanna Camusso ha scelto lo sciopero generale per il 6 settembre con l’intenzione di portare il Paese in un nuovo “autunno caldo” per contrastare la manovra varata dal governo Berlusconi. La scelta di uno sciopero generale,  che da più parti è stato definito improvvido,  sembra decisamente determinata dalla necessità di ridare forza e identità ad un sindacato che nell’ultimo periodo, a partire dalla vicenda Fiat, è stato ripetutamente messo alle strette dalla Fiom: non è un mistero infatti che sia stata la Fiom di Maurizio Landini, che aveva già tuonato contro l’intesa raggiunta il 28 giugno tra sindacati e Confindustria, a far pendere la bilancia verso lo sciopero e un autunno di lotta contro i provvedimenti del governo. Il Partito Democratico, anche se con lodevoli eccezioni di rilievo, si è allineato alla Cgil probabilmente nel goffo tentativo di evitare di essere sorpassato nuovamente a sinistra, come accadde alle amministrative e al referendum, dai vendoliani che per adesso sembrano un poco in affanno. Cgil e Pd sperano dunque con lo sciopero generale di rafforzare la propria identità e le proprie posizioni a scapito delle rispettive ali sinistre; i democratici in particolare sperano poi di raccogliere i frutti elettorali del prossimo autunno nelle amministrative di primavera e nelle eventuali elezioni anticipate. La paura del “sorpasso a sinistra” è politicamente legittima per Pd e Cgil tuttavia in una così delicata congiuntura economica, politica e sociale utilizzare uno sciopero generale per i propri interessi di bottega appare un enorme errore politico, come sottolineato da Pier Ferdinando Casini,  che rischia di ricompattare la maggioranza e di rendere difficoltoso, se non impossibile, ogni tentativo di modificare la manovra in Parlamento. Inoltre vanno considerate anche le conseguenze nel mondo sindacale: lo sciopero annunciato dalla Cgil spacca ancora una volta il mondo sindacale, isolando nuovamente Cisl e Uil, col rischio di ingenerare nuovi rigurgiti di odio e di violenza contro quanti non condividono questa strategia. Cgil e Pd con questa posizione oltranzista forse riusciranno a sbarrare il passo alla loro sinistra e forse recupereranno qualche voto da quelle parti, di certo però riduco ad espediente politico il grande strumento dello sciopero, con gran danno dei lavoratori, e contribuiscono ad alimentare un inutile irrigidimento delle parti che non solo farà serrare le fila della maggioranza ma vanificherà ogni tentativo di bloccare la manovra nell’unico luogo dove è possibile farlo: il Parlamento. Non è tempo di sciopero questo (e lo dice anche un operaio come Boccuzzi), ma è il tempo di fare il bene del Paese che viene fatto sicuramente con dei “no” chiari e forti, ma anche con la forza delle idee e delle proposte. Alla Cgil e al Pd deve essere chiaro che  L’Italia non ha nessuna paura di essere superata a sinistra, ma ha solo paura di rimanere a piedi, che è cosa ben più grave delle beghe a sinistra.

 

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Da Madrid a Rimini: “Non abbiate paura del mondo e del futuro”

postato il 26 Agosto 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Jakob Panzeri

Sembrano essere loro due gli unici fari di un mondo che ha perso la bussola: il pontefice della Chiesa Cattolica, vicario di Cristo, e il presidente della Repubblica Italiana, simbolo dell’Unità nazionale. Due uomini con alle spalle un lungo cammino di vita confermatosi un cammino ricco di esperienze, di ragione e libertà. Ambedue circondati dai giovani, ricercati dai giovani, giovani essi stessi nella forza delle loro parole ricche di speranza.

Il presidente Napolitano cita Roosevelt e desidererebbe aprire il Meeting con la celebre frase del presidente americano al lancio del New Deal :” L’unica cosa di cui aver paura ora è la paura stessa”, ma sa che non bastano queste parole di fronte all’”angoscioso presente in cui la crisi ha gettato l’Italia”. E allora si rivolge ai giovani e lo fa senza tanta filosofia e giri di parole ma in modo chiaro, diretto e concreto, puntando il dito contro un governo che “forse ha esitato troppo a riconoscere la criticità della nostra situazione e la sua gravità effettiva dominato dalla preoccupazione di sostenere la validità del suo operato” e verso gran parte dell’opposizione che arroccata nei suoi pregiudizi e nelle sue omissioni non ha saputo portare il cuore oltre l’ostacolo e creare lo spirito di un’unità nazionale per costruire qualcosa insieme per il bene dell’Italia. E’ necessario avere maggiore oggettività, più misura nei giudizi, maggiori aperture e iniziare un cammino serio di riforme autentiche per rilanciare lo sviluppo, in primis con la lotta alla grande evasione fiscale, l’innovazione, la sussidiarietà. Creare un nuovo “Io” per lo sviluppo . E anche se il futuro ci appare come un gigante in una nebbia di interrogativi e dubbi, come un delicato vaso di cristallo o alabastro ripieno di tutti i nostri desideri, sogni, ambizioni a cui il volo è bloccato da un ruvido tappo, non dobbiamo perdere la speranza perché il futuro si costruisce! Ed il futuro ci serve a costruire il presente con veri progetti di vita e appartiene a coloro che credono alla bellezza dei propri sogni.

Questo è stato il messaggio del presidente lanciato ai giovani del Meeting di Rimini, un luogo di amicizia per costruire la pace, la convivenza, l’amicizia tra i popoli. Tutto ha inizio alla fine degli anni ’70, Tra alcuni amici che condividono l’esperienza cristiana, nasce il desiderio di incontrare, conoscere e portare a Rimini tutto quello che di bello e buono c’è nella cultura del tempo. Da allora ogni anno arrivano i grandi personaggi della politica, rappresentanti di religioni e culture, intellettuali e artisti, sportivi e protagonisti dello scenario mondiale. La cultura al meeting si esprime come esperienza, originata dal desiderio di scoprire la bellezza della realtà. Tutto questo nei sette giorni dell’appuntamento che è diventato negli anni il festival culturale più frequentato al mondo: si sfiora il milione di presenze, 20 nazionalità, 4.000 giovani volontari, 130 incontri, 250 relatori, 8 mostre, 35 spettacoli, 10 eventi sportivi, 170.000 mq allestii ogni anno. Tutto nato dal carisma e dalla fede di uomo che si chiamava Luigi Giussani e dalla speranza di scoprirsi amante della Bellezza, della Verità, della Giustizia aprendosi alla dinamica dell’infinito nella consapevolezza che la vita cristiana non è un’idea, un ideologia, un moralismo o un sentimento ma un fatto, una storia, la storia del mistero di Cristo che rende unica la nostra realtà e che ci coinvolge integralmente in ogni aspetto della nostra vita . La storia di un Dio che ha assunto volto umano e non ci ha fatto brancolare nel buio, di un Infinito che si è reso finito giungendo al nostro stesso atteggiamento di uomo, ricco d’amore e abbracciandoci sulla croce.

 

Per approfondire:

-L’intervento integrale del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano al Meeting di Rimini, 21/08/2011

http://www.meetingrimini.org/news/?id=676&id_n=11231

-Il sito ufficiale del Meeting di Rimini

http://www.meetingrimini.org/

-Il recente sito dedicato alla raccolta di tutti gli scritti di Don Giussani, per chi desiderare meglio capire l’esperienza e amicizia Cristiana di Comunione e Liberazione

http://scritti.luigigiussani.org/controls/avvertenza.aspx


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Pensioni di reversibilità e anzianità: intervenire o no?

postato il 26 Agosto 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati.

Il problema delle pensioni in Italia è molto complesso perché riguarda un mondo multiforme e vario: si deve fare una prima distinzione tra chi già percepisce una pensione e chi la percepirà in futuro; altra distinzione è tra i vari tipi di pensione (anzianità, di invalidità, di reversibilità), e sui modi di calcolo (contributiva o retributiva).

Intanto distinguiamo tra chi è già in pensione e chi deve ancora andare in pensione: è chiaro che nel primo caso si parla di diritti acquisiti, quindi difficilmente possono essere toccati, ma è anche vero che per le pensioni particolarmente elevate o nel caso di cumuli di più di pensioni, si può parlare di una riduzione dell’importo erogato. Voglio specificare bene, per evitare fraintendimenti: non parlo assolutamente di andare a diminuire il percepito di chi vive con la pensione minima, ma logicamente se si percepisce una pensione di 3000 euro netti e sommo anche una pensione di reversibilità di altri 3000 euro netti, parliamo di un reddito complessivo di 6000 euro netti al mese e in questo caso si può legittimamente pensare di diminuire la pensione di reversibilità erogata.

Contrariamente a chi afferma che 19 milioni di pensionati sono troppi (mi chiedo quale soluzione prospetta per eliminare i pensionati, forse le camere a gas?), dico che i pensionati sono, in questo momento, un sostegno per le famiglie. Svolgono il duplice ruolo di sostegno finanziario e familiare: il primo grazie alla loro pensione che permette di arrotondare il bilancio familiare (anche mantenendo i nipoti o i figli che cercano ancora lavoro), il secondo quando vi sono nipoti a cui badare ed entrambi i genitori lavorano (con asili nido assolutamente carenti).

Si è parlato di ridurre le pensioni di reversibilità, ma siamo sicuri di volerlo? Sempre più spesso ormai si arriva tranquillamente a 80 anni, ma a quell’età una persona ha bisogno, spesso, di essere accudita, e, visto che lo Stato non ha le risorse per farlo, è lo stesso anziano che deve provvedere pagando un aiuto o una badante o un istituto. Pensiamo, ad esempio, a tutti i malati di alzheimer e parkinson che vivono senza la possibilità di accedere ad un centro qualificato; in questo caso sono i familiari a farsi carico delle spese, spesso onerose, e in questo caso la pensione dell’anziano è un prezioso sostegno finanziario.

Quindi, a mio avviso le pensioni non dovrebbero essere toccate, a meno che non si parli di importi veramente alti (dai 4000 euro in su), in quel caso si può prevedere un piccolo aumento del prelievo.

Parliamo invece di chi deve ancora andare in pensione.

E’ davvero strano andare in pensione a 65 anni? La risposta è no, il resto del mondo va in pensione a quell’età, equiparando uomini e donne (alla fine dell’articolo troverete una tabella con i dati delle principali nazioni).

Ormai la vita media si è allungata e si arriva a condizioni sempre migliori all’età di 60-65 anni, quindi è legittimo pensare che si possa andare in pensione dopo rispetto ad oggi. D’altronde, il sistema pensionistico italiano è figlio di un periodo storico molto particolare, contrassegnato da un basso debito pubblico e una grande crescita economica dando vita al fenomeno anche delle baby pensioni, che sono maggiormente concentrate nel Nord Italia. Per intenderci, i “baby pensionati” sono coloro che potevano andare in pensione a 14 anni, sei mesi e un giorno se erano donne e addirittura 19 anni, sei mesi e un giorno se erano maschi, e sono localizzati per il 65% nel Nord Italia.

Detto quindi che non dovrebbe essere un tabù l’allungamento della vita lavorativa, equiparandoci al resto del mondo (ricordo che alla fine dell’articolo troverete una tabella con tutti i dati), resta il problema di quanto le nuove generazioni percepiranno quando saranno in pensione.

Questo è il tasto dolente, perché ormai si è passati al sistema contributivo, ovvero la pensione è parametrata a quanto è stato versato nelle casse dell’INPS e sarà pari al prodotto tra la somma dei contributi versati durante la vostra vita lavorativa (e rivalutati in base alla crescita dell’economia italiana, più l’inflazione) e un coefficiente (attualmente tra il 4 e il 6%) che dipende dall’età in cui andrete in pensione (tra 57 e 65 anni).

Il problema quindi diventano i contributi e il punto dolente è per chi lavora con contratti a progetto, in quanto con questa forma contrattuale, il datore di lavoro versa meno contributi all’INPS girando questa somma al lavoratore. Per fare un esempio concreto: un lavoratore dipendente che introita 1200 euro netti, prenderebbe 1300 euro netti (per ipotesi) come lavoratore a progetto, ma questi 100 euro in più che percepirebbe, sono tolti ai contributi che il datore di lavoro versa all’INPS. Lo scopo di questa “manovra” è quello di fare decidere al lavoratore se destinare o meno una quota del suo stipendio alla pensione tramite i fondi pensione.

Stando ai calcoli di vari siti e trasmissioni (per citarne una: report) chi per 30 o più anni lavora con un contratto a progetto per uno stipendio netto mensile inferiore a 1000 euro avrà diritto alla pensione sociale, e questo è il vero problema. Come risolverlo? A mio avviso si dovrebbe rivedere il sistema contributivo per il contratto a progetto equiparando i contributi a quelli del lavoratore dipendente, sarà poi il datore di lavoro valutare se gli conviene proporre un contratto a progetto o un contratto a tempo indeterminato.

Tabella per l’età media pensionistica, da cui si evince che la pensione è stata equiparata per uomini e donne e se se ha diritto a 65 anni:

Austria
L’età minima pensionabile è per tutti a 65 anni; il periodo contributivo da 40 a 45 anni.

Belgio
Donne e uomini vanno in pensione a 65 anni.

Danimarca
Si va in pensione a 65 anni, non si può anticipare, ma eventualmente posporre di tre anni.

Finlandia
Si va in pensione a 65 anni, da 60 è possibile il prepensionamento. Non c’è limite di età per chi decide di continuare a lavorare dopo i 65 anni.

Francia
Il periodo contributivo minimo è di 40 anni, che passerà a 41 entro il 2012 e a 42 entro il 2020. E’ stato introdotto un sistema di incentivi: ogni anno in più di lavoro darà diritto al 3% in più di pensione. Per contro 5% in meno per ogni anno mancante.

Germania
Nel 2004 per le donne l’età pensionabile è passata da 60 a 65. Si prevede un ulteriore innalzamento dell’età pensionabile globale da 65 a 67 entro il 2025. Sono previsti disincentivi per chi va in pensione con meno di 45 anni di versamenti contributivi e incentivi (6% annuo) a chi resta in attività pur avendo diritto alla pensione.

Irlanda
L’età pensionabile è fissata a 65 anni, non sono previste forme di prepensionamento.

Lussemburgo
L’età pensionabile è fissata a 65 anni, è possibile il prepensionamento a 57 o a 60 con almeno 40 anni di contributi.

Olanda
L’età pensionabile è a 65 anni. Non sono previsti prepensionamenti né incentivi a chi resta.

Portogallo
Dal 1999 l’età pensionabile per le donne è stata portata a 65 anni. La pensione anticipata scatta a 55 anni, con 30 anni di contributi. Sono previsti incentivi per chi decide di continuare a lavorare fino a 70 anni.

Regno Unito
Il limite d’età è a 65 per gli uomini e a 60 per le donne, non esiste il prepensionamento.

Spagna
L’età pensionabile è 65 anni, per tutti. Una forma di prepensionamento è consentita a partire dai 60 anni per chi ha contributi risalenti a prima del 1967 e dai 61 per chi ha almeno 30 anni di contributi.

Svezia
L’età pensionabile è di 65 anni, il prepensionamento è possibile a partire da 61 anni; è possibile, volendo, continuare a lavorare.

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