Tutti i post della categoria: Economia

Una manovra senza orizzonte

postato il 31 Agosto 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

La manovra in questi giorni è stata ulteriormente modificata e quello che è uscito ha quasi il sapore di una beffa, perché Bossi e Berlusconi si sono appropriati di una nostra proposta, facendola passare per una loro idea.

Intendiamoci, noi non ci lamentiamo di questo, ma ci lamentiamo perché non hanno preso le nostre proposte più importanti, ovvero le politiche per la famiglia.

A giugno solamente noi avevamo votato a favore dell’eliminazione delle province , mentre Lega e PDL si erano strenuamente opposti a questa nostra proposta.

Oggi, invece, affermano, gloriandosene, di avere deciso un importante taglio dei costi della politica , e io mi chiedo: cosa è cambiato da Giugno a ora?

Nulla. Ma il punto non è a chi attribuire il merito del taglio delle province, chi legge i giornali e ha buona memoria lo sa benissimo, ma semmai che il taglio delle province doveva essere propedeutico ad un altro punto fondamentale: una politica seria di aiuti alle famiglie numerose.

E’ chiaro che attuare una simile politica ha un costo, che non può essere pagato dai cittadini, ma che può essere affrontato con il taglio alla politica.

Il dimezzamento dei parlamentari e l’abolizione delle province, noi lo abbiamo sempre visto come uno strumento per reperire fondi da destinare alle famiglie numerose, per rinnovare il loro potere di acquisto consumato dalle ultime scriteriate politiche di questo governo, in modo da stimolare il mercato interno e contrastare gli effetti depressivi di una manovra che si caratterizza per le sue tasse.

Siamo felici che siano state accolte le nostre rimostranze verso la tassa di solidarietà: era ingiusta verso quello che per noi è ceto medio, mentre è giusto che a pagarla siano i politici, proprio per dare il buon esempio.

Infine, speriamo che vi sia il tempo per il governo per tornare indietro sull’assegnazione delle 6 frequenze del digitale terrestre ancora in ballottaggio. E’ un regalo inaccettabile, lo abbiamo detto e lo ripetiamo, soprattutto alla luce della recente asta per le frequenze della banda larga mobile che proprio oggi ha visto raggiungere offerte per un controvalore di 2,3 miliardi di euro e vedrà nei prossimi giorni iniziare la fase dei rilanci.

Alla luce di ciò, è legittimo pensare che se vendessimo, con lo stesso meccanismo, le frequenze del digitale ancora libere potremmo raggiungere la cifra di 3 miliardi di euro, e forse superarla, in modo da avere fondi da destinare alla famiglia e allo sviluppo della banda larga per internet e colmare il gap tecnologico che ci separa dal resto del mondo.

Per questo motivo guardiamo con interessi ai prossimi giorni: la nostra idea di tagliare tutte le province era ottima, e alla fine lo hanno riconosciuto anche gli altri attori politici che si sono adeguati, e siamo sicuri che le nostre idee in tema di sostegno alla famiglia e di vendita delle frequenze digitali siano pure ottime e possano rilanciare l’Italia.

 

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La manovra è pessima ma faremo di tutto per migliorarla

postato il 30 Agosto 2011

L’intervista ai microfoni del Tg3

Questa manovra così com’è è pessima, è evidente che i conti non tornano. Noi faremo di tutto per migliorarla se saremo ascoltati, perché finora è  stato solo un dialogo all’interno della maggioranza. Il Presidente del Senato Schifani nei giorni scorsi ci ha chiamato, ha chiesto collaborazione istituzionale da parte dell’opposizione. L’ho rassicurato e rassicuro tutti gli italiani:  cercheremo di evitare guai peggiori.

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Terzo Polo, ecco la contromanovra

postato il 30 Agosto 2011

Meno spesa e meno tasse, meno debito, evasione e corruzione, più crescita e coesione, più equità per donne e giovani. Sono questi gli assi portanti della contro-manovra del Terzo polo depositata ieri in commissione Bilancio al Senato sottoforma di un pacchetto di emendamenti al decreto anti-crisi, cui si accompagna una pesante bocciatura delle scelte di Berlusconi e dei suoi alleati. La proposta presentata dai vertici del  Terzo Polo avrebbe come effetto una riduzione della pressione fiscale, rispetto alla proposta della maggioranza poiché intervenendo davvero sui tagli di spesa come propone il Terzo Polo, la pressione fiscale si fermerebbe al 42%. Il pacchetto di Api, Udc, Fli e Mpa propone una riforma delle pensioni che dovrebbe portare a cancellare il sistema delle quote dal 2012 e permettere di andare in pensione o a 65 anni o con 40 anni di contributi. L’obiettivo del Terzo Polo è un grande patto generazionale tra genitori e figli che passi attraverso la revisione del sistema previdenziale. La proposta porterebbe un risparmio per diversi miliardi di euro (oltre 5 miliardi nel 2014) che dovrebbero essere destinati non alla riduzione del deficit, ma interamente a incrementare l’occupazione giovanile e favorire la riqualificazione dei 40-50enni che perdono il lavoro. Ma c’è spazio anche per le donne, per cui si propone l’equiparazione del settore privato a quello pubblico e l’andata in pensione a 65 anni: i soldi sarebbero destinati all’occupazione femminile e al quoziente familiare. Tra gli obiettivi del Terzo Polo c’è l’abolizione delle province, o meglio della soppressione di tutte le province sotto i 550 mila abitanti, che le farebbe passare dalle attuali 110 a 37, con un risparmio a regime di due miliardi di euro. Accanto all’abolizione delle la riduzione delle spese della pubblica amministrazione (in particolare gli acquisti delle regioni in sanità) di 16,4 miliardi di euro nel 2012, 20 nel 2013 e 25 nel 2014 per trasformare i fondi perduti in credito di imposta, risparmiando 23 miliardi l’anno, oltre all’asta delle frequenze tv i cui proventi sarebbero assegnati alla banda larga per il mezzogiorno. Con i tagli ottenuti da queste, secondo gli esperti del Terzo Polo,  è possibile pensare di azzerare il deficit ma anche prevedere deduzioni per le famiglie e riduzione Irap per le imprese. Si spinge poi sulle liberalizzazioni con il divieto di affidare in house servizi a società e scioglimento di quelle esistenti. Nel caso in cui un’amministrazione rinunci a liberalizzare non potrà scaricare il costo sui cittadini con nuove tasse e tariffe. C’è anche un capitolo giustizia:  il Terzo Polo propone di intervenire sul processo civile con la revisione delle circoscrizioni giudiziarie, obbligo del giudice a rispettare il calendario fissato per le udienze e una riforma del sistema delle notifiche civili e penali tramite posta elettronica certificata. Per eliminare l’odioso e iniquo contributo di solidarietà, infine, il Terzo Polo propone di introdurre una patrimoniale del 5 per mille sulle grandi attività finanziarie e immobiliari superiori ai dieci milioni di euro.

 

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Manovra confusa e pasticciata, si rischia baratro

postato il 29 Agosto 2011


La Manovra appare sempre più confusa e pasticciata e si preoccupa non tanto delle riforme strutturali che servirebbero al Paese, quanto di fare subito cassa nel modo più semplice: mettendo le mani nelle tasche dei cittadini.
Il richiamo del capo dello Stato ad un clima di collaborazione ormai è disatteso dai tentativi nella maggioranza di trovare la quadra al suo interno. Se non ci si pone la questione delle cose da fare, e non quella delle cose che portano voti, andremo sempre più verso il baratro.
Nonostante la chiusura di fatto della maggioranza riteniamo che venga prima il Paese delle nostre beghe. Percio’ cercheremo di migliorare la Manovra, anche se gravata da un peccato originale che peggiora andando avanti.

Pier Ferdinando

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Quali Eurobond? E per quale politica?

postato il 25 Agosto 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Mantovani.

Pare che stia cadendo il veto franco-tedesco sugli Eurobond, ed è un bene. Oltre che per ragioni contingenti di difesa dei debiti sovrani, rappresentano la naturale evoluzione dell’Euro ed un passo importante verso l’integrazione dell’Europa monetaria. Per di più, in questa fase di crisi di fiducia nei confronti del debito USA, sarebbero una novità probabilmente gradita dai mercati.
Ma quando parliamo di Eurobond, cosa intendiamo esattamente? E come intendiamo utilizzarli?
La lettera di Prodi e Quadrio Curzio al Sole 24 Ore pubblicata lo scorso 23 agosto ha il pregio di fare il punto sulle proposte in campo e di aggiungerne una quarta, sicuramente degna di considerazione. Inoltre, mentre altre proposte hanno per lo più un intento difensivo, questa tenta di coniugare propositi di stabilizzazione e di sviluppo. Tale proposta rimette quindi al centro la politica, troppo assente da questo dibattito, apparentemente destinato alle stanze dei tecnici.
La proposta dei nostri economisti si colloca a tutti gli effetti nell’alveo degli interventi di stampo keynesiano, che dovrebbero garantire lo sviluppo attraverso investimenti pubblici (in infrastrutture nel caso specifico). Cedendo le riserve auree delle banche centrali nazionali a fronte dell’impegno ad acquistare debito, gli Stati completerebbero un percorso di cessione della sovranità monetaria all’Europa, in cambio di un aiuto più efficace in caso di difficoltà a collocare il proprio debito. Ma è l’altro tipo di garanzia che mostra la vera natura della proposta: le quote delle grandi società di rilevanza nazionale (operanti per lo più nell’energia e nelle infrastrutture) diverrebbero così difficilmente cedibili, con la scusa di difenderle dalla speculazione. Pare quasi il preludio di una grande IRI europea, che potrebbe non dispiacere a molti governanti.
L’utilizzo dell’effetto leva sul Fondo così costituito (da riserve auree più partecipazioni) aumenterebbe inoltre il debito complessivo dell’Eurozona, pur riducendo quello dei singoli Stati. L’effetto è quindi un aumento dell’intermediazione pubblica nell’economia europea, a prezzo di un indebitamento ulteriormente crescente, che toglierebbe ogni speranza di una politica fiscale meno penalizzante di quelle attuali.
Il pregio della proposta è di essere politica, ma è questa la politica più adatta per rafforzare l’Eurozona?
E davvero basterebbe a stabilizzare il debito degli Stati? Per questo secondo obiettivo non sarebbe più efficace emettere Eurobond ed impiegarli per acquistare corrispondenti emissioni di debito degli Stati, riservate all’agenzia europea emittente, a tasso identico a quello degli Eurobond, fino a concorrenza del 60% del PIL di ciascun Paese, indipendentemente da situazioni di difficoltà o meno? Gli Eurobond sarebbero garantiti solidalmente da tutti i Paesi dell’Eurozona, potendo anche contare su risorse specifiche del bilancio UE e da una sorta di privilegio sulle entrate fiscali degli Stati.
In questo modo i Paesi virtuosi avrebbero zero o poco debito proprio da emettere, se escludiamo le emissioni “tecniche” riservate all’emittente europea. Gli altri avrebbero quote più o meno alte di debito da sopportare e tendenzialmente da azzerare, dovendo sopportare oneri finanziari che impediscono la riduzione delle imposte, ma in quantità molto più limitate rispetto al PIL e senza indebolire le garanzie. Potrebbero anche cedere quote di società partecipate, a questo scopo.
Quanto agli investimenti in infrastrutture, i vincoli non sono tanto di natura finanziaria quanto politica: project financing e/o project bond servirebbero molto meglio allo scopo. Il problema è riuscire a superare il localismo e gli interessi particolari (vedi i corridoi ferroviari e stradali, ma anche gli oleodotti).
Ciò che davvero preoccupa (e preoccupa molto i mercati finanziari) è il nanismo politico dei governanti europei, spaventati di perdere consenso e condizionati da troppi interessi particolari. Dicano con chiarezza come vorrebbero che fossero la UE e l’Eurozona, i tecnici per realizzare il disegno non mancheranno.

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L’ultimo trucco di Tremonti: la tassazione delle rendite finanziarie

postato il 25 Agosto 2011

Tremonti è riuscito a fare l’ennesimo gioco degno del miglior illusionista: ci fa volgere lo sguardo in un punto, ci fa vedere una cosa e poi ne appare un’altra.

Un mago migliore di Silvan e di Copperfield, degno dei nostri applausi se non fosse che i suoi trucchi li paghiamo cari ed amari.

L’ultimo trucco di cui voglio parlare, è quello della tassazione sulle rendite finanziarie, passate dal 12,5% al 20%, tassazione che, afferma, non riguarderà i titoli di Stato. Ne siamo sicuri?

Secondo il tesoro dalla tassazione sulle rendite finanziarie al 20% si può ottenere un aumento di gettito annuo pari a 1,919 miliardi di euro, stando a quanto afferma la Relazione Tecnica.

Tutti credono che questa tassazione riguardi solo le contrattazioni di borsa, ovvero il capital gain, termine inglese per indicare i guadagni che si ottengono comprando e vendendo titoli finanziari.

Come funziona il capital gain? Il guadagno o la perdita su ogni operazione di vendita viene calcolato sottraendo al prezzo di vendita al netto delle commissioni il prezzo di acquisto (prezzo di carico o fiscale) comprensivo delle stesse. Quando un titolo azionario viene comprato in più tranche viene calcolato un prezzo medio in base alla media dei prezzi di ogni operazione d’acquisto, ponderata con le quantità. Quando in un solo giorno vengono effettuate più operazioni sia di acquisto che di vendita il prezzo medio di acquisto/vendita viene calcolato come la media dei prezzi di ogni acquisto/vendita ponderata per le quantità acquistate/vendute. Avremo un capital gain in caso di differenza positiva tra i valori finali di vendita e di acquisto. La contabilizzazione ai fini fiscali di un capital gain (plusvalenza) o di una perdita (minusvalenza) dipende dalla valuta con cui viene regolata l’operazione. Le minusvalenze possono essere compensate con le plusvalenze entro i successivi 4 anni. Questo regime riguarda i piccoli risparmiatori principalmente, perché dal 12,5% sono esclusi i grandi patrimoni, le partecipazioni rilevanti e le società finanziarie e bancarie che hanno un regime fiscale a parte (con una tassazione pari a circa il 49%).

Fin qui è tutto chiaro. Ma negli anni passati il governo dal capital gain ha preso poche centinaia di milioni, e se vi aggiungiamo l’andamento delle borse di queste settimane, dubito fortemente che si possa raggiungere la cifra prevista da Tremonti.

Allora il Ministro ha sbagliato i conti? Assolutamente no, perché l’aumento di tassazione non riguarda solo il capital gain, ma tutte le rendite finanziarie (parliamo sempre escludendo i grandi patrimoni e le società finanziarie che, come già detto, hanno un altro regime fiscale).

Cosa intendiamo quindi con rendita finanziaria?

Le rendite finanzierie sono tutti i proventi e gli interessi (attivi e passivi) che un prodotto finanziario può generare al momento della sottoscrizione, alla chiusura dell’anno di imposta o al momento del realizzo da parte delle persone fisiche, società di persone, ditte individuali, società di capitali ecc, per semplificare sia persone fisiche sia persone giuridiche.
Possono consistere a titolo di esempio, in azioni o  titoli di Stato, depositi di conto corrente, Bot, obbligazioni, mutui, riporti e contro termine e anche semplici impieghi di capitali diversi però dall’acquisto di partecipazioni al capitale di rischio di imprese.

Tremonti ha affermato che l’aumento di tassazione non riguarda i titoli di Stato, e su questo eravamo d’accordo, ma, siccome non mi tornavano i saldi previsti dal Ministro, mi sono documentato, e ho scoperto che in realtà, in caso di cessione di titoli di Stato la tassazione sarà al 20% come in generale per il capital gain. Volendo essere molto espliciti: i Bot e i Btp avranno l’ imposta al 12,5% se li si tiene fino alla scadenza, ma se sono venduti prima del tempo, si pagherà l’aliquota al 20%. Inoltre questa aliquota maggiore si pagherà anche sugli interessi che le obbligazioni pagano e sui dividendi erogati dalle azioni, andando quindi ad impattare non solo su chi negozia titoli, ma anche su chi li acquista e li mantiene per lunghi periodi di tempo.

A questo punto, i conti tornano, però è chiaro che l’aumento della tassazione sulle rendite finanziarie, non riguarda i grandi patrimoni e di certo non colpisce solo gli speculatori, ma anche i soliti noti.

Riceviamo e pubblichiamo Mario Pezzati

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Ospite di SkyTg24

postato il 21 Agosto 2011
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E’ utile abolire le province? Risponde Roberto Occhiuto

postato il 21 Agosto 2011
Lettera in redazione:
Premettendo che sono un dipendente a tempo indeterminato di un’azienda speciale della Provincia di Milano, vorrei porre alcuni quesiti.
Spesso si parla di abolizione delle Province. Spesso si ritiene che siano la causa del debito pubblico. Nella totalità degli interventi si tralascia di specificare delle conseguenze:
1) cosa accadrà ai 60000 dipendenti che forniscono ai cittadini servizi essenziali?
2) dato che i soldi stanziati dallo Stato sono diretti a coprire i costi del personale, verranno licenziati?
3) quale il vantaggio altrimenti per i conti dello Stato.
Credo che l’abolizione delle province  sia uno specchietto per le allodole. Sarebbe impopolare dire che la maggior parte degli sperperi siano riconducibili alla sanità ed alla previdenza. Io percepisco 1200 € e sono conscio degli abusi nella P.A., ma sono anche convinto che una maggiore attenzione vada data a termini ed argomenti che potrebbero suscitare plauso ed altresì preoccupazione in chi da sempre fa il suo dovere.
La demagogia non dev’essere fatta sulla pelle dei lavoratori.
Grazie.
Luca

Caro Luca,
ho letto il suo commento e penso che abbia ragione di lamentarsi della demagogia con la quale si sta discutendo in questi giorni della Manovra. Le assicuro che infastidisce anche noi, perché, benché all’opposizione, avvertiamo la responsabilità di essere parte del gruppo dirigente del Paese e sappiamo bene che in questo momento la politica dovrebbe dimostrare ben altra tempra.
Proprio perché siamo allergici alla demagogia abbiamo detto che l’abolizione parziale delle province non serve a nulla, é solo uno spot ed è ridicola.
Altra cosa, invece, sarebbe stata abolire tutte le Province, così come ogni partito aveva scritto sul proprio programma elettorale prima di lasciare solo noi a sostenerlo in Parlamento. Le assicuro che, per quanto mi riguarda, non ne faccio tanto una questione di risparmio per la finanza pubblica: le Province oggi costano circa 12 MLD l’anno e –  siccome é evidente che i dipendenti giustamente non potranno essere licenziati e che molti altri costi dovranno comunque essere sostenuti da Comuni e Regioni che ne erediterebbero le funzioni – il risparmio non sarebbe poi così significativo (sicuramente varrebbe meno della maggiorazione dell’IVA di qualche decimale).
Sono convinto, invece, che abrogare le Province sia utile a riorganizzare i livelli di governo del territorio, che in Italia sono davvero troppi e che rendono la presenza e l’intermediazione dello Stato troppo invasive e costose per cittadini e imprese, soprattutto sotto il profilo dell’appesantimento burocratico.
Sono certo, come Lei, che non basti abrogare le Province. Per esempio, ha ragione a evidenziare gli sprechi nella Sanità, per combattere i quali stiamo chiedendo da tempo che non sia la politica a nominare i manager; in sostanza, noi vorremmo meno intermediazione politica anche nella gestione della Sanità.
Da qualche parte, però, bisognerà pure iniziare per far fare allo Stato una grossa cura dimagrante, che riguardi i costi della politica (a cominciare da quello dei dirigenti come me), ma anche l’ordinato funzionamento del governo locale, che dovrebbe esistere per erogare servizi, mentre oggi troppo spesso serve, invece, ad alimentare il ceto politico.
Sono convinto, infine, che ai cittadini interessi soltanto che continuino ad essere assicurati i servizi, anche grazie a dipendenti come Lei. Che, poi, non ci sia il Presidente o il Consiglio provinciale, qualche sagra o qualche manifestazione da sponsorizzare credo sia meno importante.

Roberto Occhiuto (deputato UDC, Vice Presidente della Commissione Bilancio, Tesoro e Programmazione)

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La manovra massacra il ceto medio

postato il 19 Agosto 2011

Via il contributo  di solidarietà

Questa manovra esige più serietà da parte dei protagonisti della politica visto che non si capisce ancora cosa pensa il partito di maggioranza relativa. E’ un ‘vorrei ma non posso’ del governo contraddetto continuamente dai loro stessi parlamentari. Con la manovra viene massacrato il ceto medio, cioè coloro che fino all’ultimo pagano le tasse. Per noi la premessa e’ una sola: cancellare il contributo di solidarietà perché se il quoziente familiare può lenire la ferita, la ferita prima deve essere cancellata.
Sarebbe stata molto più giusta un’imposta patrimoniale sulle cose, piuttosto che colpire i soliti noti, piuttosto che colpire il ceto medio che tira la carretta e non evade neanche un euro ma viene penalizzato perché la politica non fa scelte serie.

Pier Ferdinando

 

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Il contrappasso del Cavaliere: più tasse per tutti

postato il 15 Agosto 2011

Cominciamo dagli elementi di contorno di tutta la vicenda. Gli aspetti emotivi, per esempio: Berlusconi ha affermato che ha il cuore che “gronda sangue”. E possiamo anche credergli, visto che il suo leitmotiv dal 1994 ad oggi è stato “non metteremo le mani nelle tasche degli italiani”, uno slogan che riecheggiava nei salotti televisivi come nelle adunate di partito e campeggiava sui manifesti 6×3 delle varie campagne elettorali, come sui titoloni dei giornali dei tanti anni di governo Berlusconi. Stiamo assistendo a un passaggio epocale: la cura da cavallo contenuta nella manovra correttiva varata dal consiglio dei ministri mette una definitiva pietra sopra a tutte le belle intenzioni contenute nel libro dei sogni dei berlusconiani. Si volevano ridurre le tasse, oggi in buona sostanza aumentano.

Dunque il cuore della maggioranza sanguina per il dolore provocato da queste misure imposte e non volute. Ma gronda, e tanto, anche quello dei cittadini contribuenti che in tanti anni non hanno mai avuto un’incertezza, e hanno sempre pagato le tasse per sostenere una politica economica che restituiva in termini di servizi la metà di quello che si prendeva. I cari contribuenti italiani, lavoratori dipendenti, onesti autonomi che dichiarano il proprio reddito e famiglie in difficoltà che vedranno ridotti servizi e assistenza offerta dagli enti locali sono le prime vittime della mazzata di ferragosto.

Il decreto che fa piangere il cuore pretende un “contributo di solidarietà” sulla quota eccedente dei redditi superiori a 90mila euro (5 per cento) e 150mila euro (10 per cento) dei dipendenti del settore privato. Ovvero quelli che da sempre pagano le imposte sul proprio lavoro visto che le tasse vengono trattenute dalla busta paga. Per i furbi vedremo cosa fare, intanto per ora vessiamo gli onesti. Oltretutto un poco rischioso, questo prelievo dallo stipendio dei lavoratori, gabella camuffata con l’edulcorato eufemismo di “contributo di solidarietà”, rischioso perché non si guarda al di là della tempesta: una volta che la fase di emergenza passerà, riprenderanno i consumi, ma i lavoratori con meno soldi in tasca quali consumi potranno rilanciare? Si toglie soldi a chi può spenderli, l’economia ringrazia.

Ma anche le fasce più basse, quelle che in busta paga non hanno 90mila euro ma fanno fatica a organizzare le spese, avendo a carico figli, magari piccoli, magari in età scolare, anche costoro piangono per la manovrona del governo. In maniera indiretta, ma accusano il colpo. Un colpo che sentiranno bene in autunno, quando le famigerate spese si riaffacceranno sui bilanci familiari: il governo ha tagliato qualcosa come 9,5 miliardi di euro in due anni a province, comuni, regioni (ma non si voleva dare più potere agli enti locali?). Concentriamoci sui comuni: le amministrazioni si trovano con meno soldi perché i trasferimenti vengono ridotti (praticamente lo Stato si tiene tutto per sé) e dove rivolgeranno le loro preoccupate attenzioni per sopravvivere? Certamente sui servizi offerti alla popolazione: asili nido, buoni mense, trasporto pubblico, tassa rifiuti, e si colpiranno presumibilmente quelle fasce che ancora oggi possono godere di qualche agevolazione, e allora parliamo di famiglie numerose che non vivono nell’abbondanza, pensionati che non hanno pensioni da ex-dirigenti di banca e studenti che vedranno gli abbonamenti dei bus aumentare o diranno addio ai prezzi convenzionati di ristorazione, cultura, spettacoli. Una manovra che chiede sacrifici a chi di sacrifici ne ha già fatti, mentre gli intoccabili rimangono intoccabili. Il sistema, insomma, non cambia.

Sì, perché chi non paga le tasse continuerà a non pagare le tasse. Chi dà lavoro in nero continuerà a dare lavoro in nero. Chi deposita i denari nelle cassette di sicurezza di Zurigo o Lugano continuerà a depositare. L’evasione fiscale per il governo è qualcosa di cui non dobbiamo preoccuparci, qualcosa che non ci riguarda. Del resto Berlusconi anni orsono andava in giro a dire che qualche volta l’evasione è giustificata se lo Stato ti chiede troppo. E tutti a dirgli che lo Stato ti chiede troppo perché ci sono cittadini che non danno niente, tante primavere sono passate ma siamo ancora al punto di prima. Gramellini, vicedirettore della Stampa, ha scritto un editoriale bellissimo in cui scandisce queste parole:  “Gli Irrintracciabili. Scommettiamo che il più facoltoso di loro dichiarerà al fisco 89.999 euro? Li disprezzo”. E come non sottoscrivere? Un governo serio e consapevole del fatto che giustizia sociale significa che tutti i cittadini proporzionalmente alle proprie possibilità si sobbarcano il carico fiscale complessivo mette la lotta all’evasione al primo posto, forma una guardia di finanza incorruttibile e non al soldo dei faccendieri e stana tutti i disonesti, da Nord a Sud. Un impegno di questo genere non avrebbe portato alle misure di oggi che infieriscono in modo odioso e ingiusto su quelli che pagano sempre, e magari anche volentieri perché sanno che questo significa far andare avanti un Paese.

Berlusconi dice che questa manovra gli è stata imposta e non ha potuto farci niente. Ma signor Presidente, di grazia, il capo del governo è lei o un gabelliere medievale che tasserebbe anche l’aria che respiriamo? Se i responsabili di questa stangata (che tra l’altro è la tomba del federalismo) stanno piangendo per la durezza di queste misure guardino al passato recente e riconoscano di non aver fatto nulla per evitare che si arrivasse a questo. E si facciano promotori di una lotta all’evasione senza sconti. È tutta l’Italia onesta che lo chiede.

Riceviamo e pubblichiamo Stefano Barbero

 

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