postato il 21 Ottobre 2009 | in "Media e tecnologia, Spunti di riflessione"

Venice Sessions: una conferenza per capire il futuro dei media

Martedì 20 ottobre si è svolto a Venezia il quarto incontro di Venice Sessions, ciclo di conferenze organizzate da Telecom per parlare del futuro con ospiti italiani e internazionali e per provare a capire quali saranno, come da definizione dell’evento, “le conseguenze del futuro”.

Questa ultima conferenza aveva come tema il futuro dei media nell’era digitale.

Proviamo a individuare alcune tracce tra le più interessanti.

 

Il futuro dei media nei navigatori del futuro

Il primo relatore dell’incontro è stato Nicola Greco, giovanissimo sviluppatore (e studente di liceo), di appena 16 anni, che ha raccontato il modo in cui utilizza i media digitali e di come i suoi coetanei facciano altrettanto in modo molto meno consapevole.

“Internet è un sistema altamente potenziale” è l’esordio del giovanissimo relatore, che spiega l’importanza che i social network hanno per i giovanissimi perché offrono servizi utili per restare in contatto, comunicare e “raccontarsi”. Il primo posto? La possibilità immediata di mettere foto online.

I giovanissimi, però, usano i social network in modo forse incosciente: “Tutto quello che si scrive resta in modo permanente, non viene cancellato, resta nella memoria della Rete. Questo crea moltissimi problemi di privacy, ma i miei coetanei non ne sono ancora molto consapevoli” ammette Greco.

 

L’epoca della registrazione

Si dice spesso che se una cosa non esiste se non è presente in Rete. Il tema della permanenza dei contenuti in Rete è sottolineata anche dal filosofo Maurizio Ferraris, autore di un intervento che sottolinea l’esplosione della scrittura, imprevista in questa fase di sviluppo del web.

I media moderni come i computer nascono come strumenti di registrazione, mentre i media tradizionali come il televisore non mantenevano ricordo di ciò che vedevamo (Ferraris li definisce “amnesici”) – le registrazioni dei programmi degli anni passati esistono, certo, ma non sono liberamente a disposizione degli spettatori.

Ed è proprio l’esplosione degli strumenti di registrazione a distinguere l’attuale epoca dalle precedenti: in questo modo, conclude Ferraris, ogni nostro atto in Rete è una traccia che lasciamo, che ci sopravviverà, che parlerà di noi. E i legami sociali sono creati proprio da questa pervasività della documentazione ovunque in Rete.

 

Le informazioni ci seppelliscono…

…ma abbiamo nuovi modi per governarle. David Weinberger, tra i principali teorici del web sociale, parla di cambiamento del concetto di autorità nei media: i media tradizionali hanno autorità in quanto riescono a convincerci dell’attendibilità della loro rappresentazione della realtà. Nei media digitali funziona tutto diversamente, i link danno la possibilità di approfondire e verificare, oltre che di confrontare in misura sempre maggiore. Un aspetto importante – e trascurato – sono anche i metadati, che ci consentono di capire di più sulle informazioni stesse e anche su chi le immette in Rete (ad esempio chi inserisce nozioni su una pagina di Wikipedia).

Ma non bisogna dimenticare l’aspetto sociale, fondamentale nel modo di intendere la Rete: nella cronaca di Luca Chittaro, docente all’università di Udine, viene anche sottolineato chealcuni degli aspetti importanti del mondo reale sono che condividiamo interessi, riconosciamo le nostre differenze, ci coinvolgiamo in conversazioni e cerchiamo significati. La partecipazione al mondo digitale permette di portare la nostra esperienza in modo trasparente all’interno di tale contesto.”

 

 

Ma come cambia il mondo dell’informazione?

Difficile dirlo, sostiene Luca Sofri. Il mondo cambia così in fretta che le previsioni sono quasi impossibili: solo cinque anni fa nessuno aveva previsto YouTube o la presidenza Obama, ad esempio.

La Rete permette di controllare e verificare le notizie, attingere ad altre fonti. Questo non vuol dire sostituirsi ai professionisti ma spingerli a far meglio, integrare e arricchire l’informazione. Così il giornalismo non sparisce, ma si evolve, così come i mezzi a disposizione per farlo. Forse i giornali cartacei spariranno, ma non il buon giornalismo. Ed è questa la cosa più importante: mantenere alta la qualità, non dare per scontata la propria posizione e l’autorità guadagnata, cercare la verità. Nella citazione di finale di Mark Bowden, giornalista dell’Atlantic Monthly: “Journalism, done right, is enormously powerful precisely because it does not seek power. It seeks truth”.

 

Insomma, il giornalismo ben fatto è potente perché non cerca il potere, cerca la verità.

Un bel messaggio da lanciare per il futuro dei media nell’era digitale.

 



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