Spesa pubblica e produttività
“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati
Dire che il problema non è il deficit pubblico, come fanno alcuni, significa sviare il problema senza indagarne le cause. Il punto è: come è originato questo deficit? Che natura ha questo deficit? Se è un deficit per investimenti produttivi, ben venga. Ma se è un deficit per foraggiare rendite parassitarie, allora non ci sarà mai una vera ripresa.
Per alcuni Monti sta cercando una svalutazione del salario tramite disoccupazione, chi afferma ciò però sbaglia clamorosamente. L’intervento pubblico c’e stato in passato, c’è e ci sarà. In fondo quando Monti rilancia le infrastrutture usando i fondi FAS, non è forse intervento (e spesa) pubblico? Il punto è portare avanti le liberalizzazioni e semplificaziopni chieste da imprenditori e cittadini (e Monti lo sta facendo seppur tra mille problemi) e soprattutto riqualificare la spesa pubblica passando da una spesa improduttiva, ad una spesa produttiva. E qui il problema è enorme, perché bisogna cambiare la mentalità degli Italiani. In Italia il tempo dedicato al lavoro è visto come un sacrificio, come tempo rubato alla vita, come un sopruso perché altrimenti potremmo vivere una vita migliore e piena. Negli altri paesi, forse per l’influsso del pensiero calvinista e protestante, il concetto è diverso: il lavoro è visto come una benedizione, come tempo speso bene e in maniera produttiva, come qualcosa che ti rende orgoglioso di quello che fai e proprio per questo motivo sei stimolato a farlo al meglio.
In Italia, il punto non è il diritto al lavoro, che è sacrosanto, ma il diritto allo stipendio. Con questo non si vuole certo dire che dobbiamo lavorare gratis. Assolutamente no. Ma se noi parliamo di diritto al lavoro, noi parliamo di una attività per la quale riceviamo uno stipendio. In altre parole nel momento in cui parliamo di diritto al lavoro, in senso pieno, noi incentriamo il discorso sul fatto che riceviamo uno stipendio in cambio di una nostra controprestazione (il lavoro appunto) che deve essere svolta al meglio. Oggi molti parlano di diritto al lavoro, ma in realtà intendono diritto allo stipendio, senza considerare la controprestazione lavorativa, e quindi passiamo dal concetto di reddito a quello di rendita, ovvero, percepisco del denaro indipendentmente dalla mia attività lavorativa.
E questo non va.
Altro punto è la riqualificazione della spesa pubblica. E a tal proposito è interessante leggere un libro di circa 5 anni fa, scritto da Geminello Alvi e intitolato “una repubblica fondata sulle rendite”, dove è possibile trovare dati interessanti. Analizziamone qualcuno.
Nel 2004 in italia vi erano 17,5 milioni di lavoratori. Di questi, 3,5 milioni erano lavoratori statali. Restano 14 milioni di alvoratori. A questi rapportiamo una cifra: 16 milioni e trecentomila. Bel numero, vero? Ebbene, erano, nel 2004, i pensionati. Significa che per ogni lavoratore non statale, vi erano 1,2 pensionati con un ammontare medio lordo di 12.039 euro. Se noi togliamo i dipendenti statali vediamo che i pensionati, nel 2004, erano più dei lavoratori. Queste sono le cifre ufficiali. E non è finita qui. Di questi 16,3 milioni di pensionati, 4 milioni e novecentomila erano pensionati tra i 40 e i 64 anni (età che dovunque è considerata lavorativa,da noi invece già buona per la pensione) e questo porta ad un fatto: il tasso di occupazione della nostra economia nella fascia di età tra i 55 e i 64 anni arriva solo al 30,5% (dati del 2004), quello generale è di 17,1 punti al disotto dei danesi e di 2,1 punti inferiroe persino ai greci. Chi lavora? Al 90% lavoravano i maschi tra 35 e 54 anni, e meno della metà delle donne. Ma torniamo alle pensioni. Se togliamo 4,9 milioni da 16,3 milioni di pensionati e rapportiamo di nuovo i pensionati ai lavoratori non statali otteniamo 0,8 pensionati per lavoratore. Ovviamente la differenza tra ai contributi e le pensioni erogate, chi le pagava? Lo stato che nel 2004 trasferì all’INPS il 5,1% del PIL. Oltre ai contributi, insomma, gli attivi pagano agli inattivi, in rendite sussidiate, l’equivalente di 1.600.000 salari lordi, l’11% di tutti i salari produttivi.
Nei commenti passati ho parlato di produttività: ebbene nel 2004 vi erano 5.370.000 occupati nell’industria. Ebbene questo numero era abnorme se lo paragoniamo a Francia e Inghilterra: avevamo circa il 25% de i lavoratori italiani impiegati nell’industria, mentre in Francia e Inghilterra tale percentuale scendeva al 20%, con una produzione quantitativa paragonabile alla nostra: significa che quella differenza del 5% era dovuta alla nostra minore produttività ed efficienza. Inefficienza, che riguarda anche altri settori: nel 2004 Germania, Francia e Gran Bretagna vedono che l’11% della popolazione lavorativa ha la partita iva; da noi la percentuale era del 25% (più che in Portogallo e Grecia); siamo il paese delle consulenze, soprattutto delle consulenze fornite al settore pubblico, ma non si sa per cosa (forse che tra 3,5 milioni di dipendenti statali non vi siano persone con competenze pari a questi consulenti esterni? Mistero). Questa differenza di produttività si vede nel confronto tra i profitti delle imprese: le grandi hanno profitti maggiori (pur pagando stipendi in media più alti) delle piccole, anzi per quantificare tale dislivello, si sappia che le prima hanno un profitto pari al 40,5% sul valore aggiunto, mentre le piccole imprese hanno il 20,5% e sono al di sotto della redditività media europea. La retorica politica, vuole che tra il 1992 e il 1998 si risanasse l’Italia. Tutte balle, perché il risanamento fu dovuto ad un notevole risparmio negli interessi pagati dallo Stato per le manovre che ci hanno portati nell’euro: da una spesa per interessi pari al 12,6% del PIL, si passa, nel 1998 all’8%, ovvero quasi 5 punti percentuali in meno. La spesa corrente era calata, invece, solo dell’1,4%
Passiamo allo Stato italiano, anzi ai dipendenti statali. Premetto che mia madre è una 71enne ex insegnate, in pensione e lo dico per togliere ogni dubbio: quello che dirò non è per pregiudizio. Ebbene prendiamo i dati del 1993 e quelli del 2004, osserviamo che la spesa per stipendi pubblici è rimasta inalterata al netto della inflazione e anzi i dipendenti pubblici sono cresciuti, mentre in altri settori come poste e telecomunicazioni si è provveduto a tagliare. Anzi se i dipendenti statali avessero seguito il percorso di Poste e telecomunicazioni, sarebbero dovuti calare di circa 700.000 unità, e invece aumentano di 100.000 unità. Il reddito da lavoro dipendente pubblico nel 1995 era maggiore del 16% rispetto al privato; nel 2003 il vantaggio sale al 37% (cioè, per dire, se il dipendente privato prende uno stipendio pari a 100, il dipendente pubblico prende, in media, 137).
Questi sono i mali dell’Italia e, dati ISTAT e internazionali alla mano, la realtà non è molto cambiata dal 2004 ad oggi, se non in peggio a causa della concorrenza internazionale.
L’articolo è molto interessante e, come sempre quando lei scrive, corredato da informazioni e dati puntuali e coerenti.
Tuttavia, premettendo che non sono un esperto in materie così complesse e che certamente ne so meno di lei, leggendo il suo articolo mi sono venute in mente alcune domande e alcune considerazioni che le vorrei proporre.
Pur condividendo con lei che tra le italiche genti pare molto diffusa la concezione del tempo lavorativo come tempo rubato alla propria vita privata (anche se sarebbe interessante capire i veri motivi che portano a questa visione del lavoro ), a mio modesto parere non è facile generalizzare quando si parla di qualcosa di così inafferrabile come il senso comune. Quindi sorvolo su questo aspetto e mi concentro su altri punti da lei enunciati.
Sono ovviamente d’accordo sul fatto che in cambio dello stipendio si deve una controprestazione lavorativa. Ricordo sommessamente che, in ogni realtà lavorativa, c’è chi deve vigilare ed eventualmente prendere provvedimenti quando il lavoratore non fa il suo dovere. In altre parole, se il lavoratore fannullone non fa il suo dovere e non viene minimamente sanzionato (al limite con il licenziamento) c’è sì qualcosa che non va, direi soprattutto nel management.
Seconda considerazione. Probabilmente il numero dei pensionati aumenta per almeno un paio di motivi, che si possono anche immaginare: aumenta l’età media delle persone e c’è sempre più il ricorso al “fenomeno dell’esodazione” che, si badi bene, viene spesso incoraggiato e sostenuto dalle aziende, non dai lavoratori.
Un altro dato interessante è il numero di pensionati tra i 40 e i 64 anni. Qui sarebbe utile capire di questi, quanti hanno effettivamente svolto uno dei cosiddetti “lavori usuranti” e quanti no.
Inoltre è abbastanza intuitivo che nel rapporto occupati/pensionati pesa fortemente il momento di crisi, che già da alcuni anni sta facendo calare vertiginosamente il numero degli occupati.
Non mi è chiaro quando parla di occupazione nel comparto industriale se si riferisca ad imprese private oppure all’insieme del pubblico e del privato. Ovviamente questa distinzione non è un dettaglio trascurabile.
Per quanto riguarda le partite iva, non lo scopro io, il nostro mercato è drogato dal fatto che molti lavoratori, negli anni passati, sono stati costretti dalle aziende ad aprirne una se volevano lavorare.
Quindi le partite iva sono surrettiziamente aumentate e a questo dovrà porre rimedio il legislatore (dal momento che da questo punto di vista non tutte le imprese sono immacolate).
Sulle consulenze sono pienamente d’accordo con lei. Io le abolirei tutte. Ma chi le ha favorite ? Chi le ha sponsorizzate ? Infine chi le ha richieste ? Le risposte a queste domande sono tutt’altro che oziose.
Sulla media dei profitti sarebbe interessante capire perché le piccole imprese hanno un profitto più basso delle grandi. Forse in questo valore medio sulla redditività delle aziende l’evasione fiscale c’entra qualcosa ?
Infine le faccio notare che gli stipendi da lavoro dipendente (escludendo i manager e top manager), al di là delle medie statistiche, nel migliore dei casi sono pressoché invariati rispetto all’ingresso dell’euro.
Nel mio settore, per esempio, un neo assunto di oggi prende uno stipendio di poco superiore a quello che prendeva un neo assunto nel 2000. Mentre, se non mi sbaglio, il costo della vita è notevolmente aumentato e in alcuni settori merceologici (quasi tutti quelli dei beni primari) è letteralmente raddoppiato.
In definitiva, oltre ad alcune problematiche da lei citate, forse i mali del nostro Paese sono da ricercare anche in altri segmenti della società. Non soltanto nel pubblico impiego o nel numero dei pensionati.
Cordiali saluti
P.S. Giusto per chiarire. Non sono in pensione (chissà se ci arriverò mai) e non sono un lavoratore statale.
@ gattestro: ha posto dei quesiti e fatto osservazioni corrette. Proverò a chiarirle e soprattutto chiarire a me stesso alcuni punti (che ho approfondito con le sue domande).
Ha ragione sulle colpe del management, purtroppo in alcuni casi vi è stato l’intervento del sindacato che ha bloccato ogni inziiativa. Mi spiego meglio: il sindacato è fondamentale per difender eil lavroatore dall’abuso. E’ un istituto sacrosanto. MA… nel momento in cui si intesta battaglie ideologiche, o fa politica o difende “rendite di posizione”, allora tradisce la sua missione. Per me il sindacato deve difendere il lavoratore meritevole dall’abuso e non difendere il lavroaotre “fancazzista”. Faccio un esempio concreto: dei dipendenti delle ferrovie cacciati dall’azeinda per assenteismo e perchè timbravnao il cartellino di altri dipendeni (che a loro volta si assentavano) erano stati cacciati da trenitalia. Il sindacato ha inscenato scioperi e proteste fino a quando i lavoratori suddetti sono stati reintegrati. E’ stato corretto da aprte dei sindacati? No. I lavoraotri erano colpevoli. vi erano prove. erano stati beccati in fallo. eppure l’hanno fatta franca.
E? vero, il management non fa il suo lavoro in alcuni casi, in altri si ci mette il sindacato.
Eppure, questa battaglia della cultura del lavoro, è fondamentale e dobbiamo combatterla e vincerla.
Il dato dei pensionati da me citato è abbastanza depurato dal fenomeno esodati, in quanto fa riferimento al 2004 (quando il fenomeno degli esodati era estremamente ridotto e quando la crisi era ben lontana). E il bello sa quale è? Che la maggior parte di queste babypensioni non sono di lavori usuranti o sono in settori che un tempoerano usuranti, ma oggi non lo sono più (esempio: il politico o funzionario della PA ceh sfrutta le leggine per andare in pensione anticipata, cerchi “onorevole crosta su google” e prepari ad inorridire; altro esempio: il minatore hce giustamente va in pensione prima eprchè è un lavoro usurante ed è giusto che nticipi la pensione). Il problem è capire come all’estero sono trattati i lavori usuranti (e confesso la mia ignoranza, non ho questa conoscenza approfondita del sistema pensionistico estero).
quando parlo di comparto industriale parlo solo del settore privato.
sulla emdia dei profitti, pesa non solo l’evasione, ma anche una minore produttività ed efficienza. Maggiore è la dimensione della’zeinda, minore è il peso del lavoro umano a favore di quello “robotico”.
sugli stipendi, ha perfettamente ragione, ma credo che la soluzione sia nel legare lo stipendio alla produttività.
Buongiorno, dott. pezzati
Nel condividere il suo incipit, vorrei postarle un articolo de “il fatto…”
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/09/03/banchieri-che-hanno-innescato-crisi/339365/
Ora desidero analizzare la sua analisi (perdoni la cacofonia). Lei dice:
“Per alcuni Monti sta cercando una svalutazione del salario tramite disoccupazione, chi afferma ciò però sbaglia clamorosamente. L’intervento pubblico c’e stato in passato, c’è e ci sarà. In fondo quando Monti rilancia le infrastrutture usando i fondi FAS, non è forse intervento (e spesa) pubblico? Il punto è portare avanti le liberalizzazioni e semplificaziopni chieste da imprenditori e cittadini (e Monti lo sta facendo seppur tra mille problemi) e soprattutto riqualificare la spesa pubblica passando da una spesa improduttiva, ad una spesa produttiva.”
Chi rappresenta la spesa produttiva e chi la spesa improduttiva? Io in proposito ho le idee molto chiare:
– la spesa improduttiva è rappresentata prima di tutto dai costi della politica, ivi compresi i costi dei ministri, sottosegretari e quant’altro del governo dei cosiddetti tecnici. Questo perchè tutto il parlamento vive in un continuo conflitto di interessi, avendo, per la maggior parte, un lavoro proprio che non vuole assolutamente essere toccato.
Lei pensi ai vari Ghedini, Bongiorno, Barbareschi, Scilipoti, ecc. ecc.
Tutti questi personaggi, alcuni eletti, altri nominati, tengono a mantenere intatte le loro prerogative, quindi aizzano il popolo quando si parla di voler riformare questo o quel settore.
– Altra spesa improduttiva è rappresentata dai grandi manager di stato, dai direttori generali, dai consulenti chiamati solo per spartirsi la pagnotta, ecc.
– Altra spesa improduttiva è data da quel pubblico impiego che ha barattato “un posto” con il voto di scambio, al di là delle abilità che dovrebbe avere…. ma a come vede si torna sempre al discorso che il pesce puzza dalla testa.
Lei continua:
“E qui il problema è enorme, perché bisogna cambiare la mentalità degli Italiani. In Italia il tempo dedicato al lavoro è visto come un sacrificio, come tempo rubato alla vita, come un sopruso perché altrimenti potremmo vivere una vita migliore e piena.”
Questa continua denigrazione della mentalità degli Italiani proprio non la digerisco. Indubbiamente ci sono dei fannulloni, ma forse per interessi di bottega. Sia la classe politica sia i sindacati, hanno voluto abolire quella classe di ispettori che effettuava veramente le ispezioni. Il meglio che si è saputo inventare Brunetta è quello di mettere i tornelli… ed io mi sono chiesta aveva qualche amico nella produzione dei tornelli? Sarebbe bastato trasformare alcuni funzionari in ispettori che giungevano a sorpresa nei vari uffici della PA, sarebbero stati soldi risparmiati, o no?
Salto a piè pari il discorso sulla diversa mentalità tra i diversi popoli perchè tutta da andare a verificare e sulla prima parte del significato di lavoro in Italia. Lei continua:
“Oggi molti parlano di diritto al lavoro, ma in realtà intendono diritto allo stipendio, senza considerare la controprestazione lavorativa, e quindi passiamo dal concetto di reddito a quello di rendita, ovvero, percepisco del denaro indipendentmente dalla mia attività lavorativa.”
No, carissimo amico, non accetto questo “molti parlano”, in effetti la pensano così quelli “nominati” dagli anch’essi nominati politici ad hoc. Non per nulla sono stati quasi aboliti i concorsi, e noi, che abitiamo in Sicilia, ne sappiamo qualcosa.
Per il momento mi è impossibile continuare la disamina della sua analisi per motivi contingenti, mi riprometto di riprenderla più tardi.
Comunque le do una dritta: come la mettiamo con le pensioni sociali, quelle, cioè, distribuite a chi si dice senza alcun reddito e che dice di non aver mai lavorato. Non per fare una guerra tra poveri, ma forse sarebbe auspicabile un sistema pensionistico differente da quello “solidale” (che è tutta da andare a constatare) previsto dalla nostra normativa. A dopo.
Una citoyenne
@ citoyenne: si può dire che un politico è improduttivo? No. E’ improduttivo un politico assenteista, un politico che non fa il suo lavoro. M aun politico che va alle sedute del consiglio cmunale, o del parlamento svolge il suo lavoro. Piaccia o meno, una struttura ha bisogno di una organizzazione: quindi anche i manager fanno il loro lavoro se gestiscono al meglio le risorse che hanno. Il pesce pusserà dalal testa, ma neanche il resto del corpo profuma.
Io manager posso gestire al meglio quel che ho, posso venire al alvoro ogni giorno e lavroare 16 ore al girono, ma se gli oeprai fanno uno sciopero di 2 ore giusto giusto quando c’è la nazionale o gioca il napoli, allora la puzza non è nella testa, ma nel corpo.
Se i sindacati eprmettono qeusto, sbagliano.
Non possiamo dire che una categoria è più colpevole di altre, eprchè in tute troviamo i fancazzisti.
Quant insegnanti ci sono che vanno a scuola e fanno tutt’altro? Il mio professore di matematica non faceva nulla al liceo. Non insegnava. Arrivava in classe e parlava di tutt’altro. Era o non era un fancazzista?
Ma in ogni caso, i dati parlano chiaro. Oggi l’ista ci ha fatto saper eche la rpoduttività italaina è la più bassa in europa.
cito testualmente (fonte: http://www.tmnews.it/web/sezioni/economia/PN_20120903_00069.shtml):
Milano, 3 set. (TMNews) – “Gli ultimi dieci anni sono stati decisamente buttati via, ma anche il decennio precedente, gli Anni ’90, compreso il passaggio all’euro e quello che ha significato per le imprese il calo del costo del denaro, non si può dire che sia stato sfruttato al meglio”. E’ quanto afferma, intervistato da ‘La Stampa’ il presidente dell’Istat, Enrico Giovannini.
“Negli ultimi dieci anni – ha spiegato – anche in termini di produttività, siamo cresciuti molto meno della media europea. L’occupazione invece è cresciuta molto di più e questo è un dato da tenere ben presente perché significa che l’allargamento della torta è più il risultato dei nuovi occupati che di effettivi miglioramenti dell’efficienza”.
“Negli anni 2000 – ha messo in evidenza – abbiamo perso un’occasione per cambiare a fondo i nostri processi produttivi: come dice qualcuno abbiamo ‘bucato’ la rivoluzione informatica. Abbiamo insomma sostituito le macchine da riscrivere coi pc, ma poi abbiamo continuato a produrre e lavorare come prima. Il problema si concentra in particolare in alcuni settori come il terziario (con costruzioni, attività immobiliari e attività professionali che hanno perso produttività) e poi nel manifatturiero, in particolare nelle imprese piccolissime ed in quelle grandi. Solo il settore delle comunicazioni e le banche, col processo di riorganizzazione che c’è stato, hanno sfruttato questa occasione. Addirittura anche la pubblica amministrazione è riuscita a fare passi avanti”.
L’Italia è in fondo alla graduatoria europea anche per la crescita della produttività oraria del lavoro, che nel 2010 era solo l’1,4% più elevata rispetto al picco del 2000, mentre nell’Ue27 era salita dell’11,4% (+13,6% in Germania e +10,4 in Spagna).
Se si allarga lo sguardo all’intero decennio scorso il confronto con i nostri partner resta sempre impietoso: per l’intero periodo 2001-2010, la performance dell’Italia è stata infatti pari a circa 1/3 rispetto a quella franco-tedesca per la dinamica del valore aggiunto e ad appena il 12-15% se si considera il contributo della produttività, entrambi gli andamenti risultano ancora inferiori rispetto a Regno Unito e Spagna. La crescita del 2,7% dell’immissione di nuova forza lavoro, «l’input» come lo chiamano gli esperti, all’opposto, è risultata seconda solo a quella della Spagna, e a questa è corrisposto un calo delle ore medie lavorate (per effetto dello spostamento dell’economia verso attività e prestazioni ad orario ridotto) superiore rispetto a tutte le economie considerate. Per questo, l’occupazione è cresciuta di ben il 7,5%, contro il 3% in Germania, il 5,1% in Francia e il 5,7% nel Regno Unito.
e questi che ho citato sono dati oggettivi.
sulle pensioni sociali: anceh io sono per andare a “scoprire” chi ha lavorato in nero e sanzionarli.
Ma lo sono sempre stato e pensavo che l’articolo fosse chiaro in tal senso: chi froda, chi lavora in enro, chi non lavora; ebbene tutti questi devono essere sanzionati, indipendentemente dal settore di provenienza/appartenzza.
Invece deve essere premiato chi si impegna e lavora bene.
Ma non possiamo partire dal presupposto che il dipendente è sempre onesto o la partita iva è tartassata o il politico non fa nulla o il manager è uno sfruttatore. Ognuno ha un compito e deve svolgerlo.
E c’è chi lo svolge e chi non lo svolge.
Chi non svolge il prorpio compito deve essere sanzionato
@ mario pezzati
Anzitutto grazie per la risposta. E’ sempre un piacere dialogare con chi argomenta in modo civile e con rispetto per le opinioni altrui. Chiedo scusa se procederò un po’ per punti, ma è solo per evitare una inutile logorrea.
Detto questo, non conoscendo nel dettaglio il caso da lei descritto di quei lavoratori inadempienti delle ferrovie, non posso esprimere alcun giudizio di merito. In realtà non mi stupisco che alcuni sindacati, o per meglio dire alcuni sindacalisti, conducano battaglie ideologiche e cerchino di difendere posizioni indifendibili. Ma ancora una volta a mio parere generalizzare non sempre porta alla conclusione giusta. Se dovessi ad esempio generalizzare il mio giudizio sull’azione sindacale basandomi sul comportamento del sindacato all’interno della mia azienda negli ultimi 20 anni, potrei senza alcun dubbio affermare che le OO.SS. sono filodatoriali e non tutelano in modo adeguato i lavoratori.
Tuttavia concordo con lei che debba essere condotta una “battaglia” per la cultura del lavoro. Magari anche facendo cambiare quella idea oggi dominante (le assicuro molto diffusa nel management di tutte le aziende), che il lavoro sia una merce e il lavoratore sia solo un costo e non una risorsa.
Non ho abbastanza tempo per andare a cercare i dati relativi agli anni passati, ma le assicuro per esperienza diretta, che ciò che oggi viene definito il problema degli esodati, in realtà è un fenomeno di antica data, seppure magari con dimensioni e numeri meno importanti di oggi. Da molti anni ormai le aziende (specialmente le medie-grandi aziende) proprio perché si è diffusa la cultura di cui le accennavo qui sopra, cercano in vari modi e con strumenti diversi di incentivare il pensionamento anticipato dei propri lavoratori.
Se si riferiva alla produttività del comparto industriale privato c’è davvero di che preoccuparsi, perché implicitamente sta asserendo che la nostra classe imprenditoriale non è capace di ottimizzare le proprie risorse. Avrei capito di più se il dato si fosse riferito alla parte pubblica in cui, ahimé, clientele di vario genere possono creare inefficienze e lacune.
Sulla differenza di profitti fra piccole e grandi imprese, per amore di sintesi ho enunciato solo il problema che ritengo sia più importante: spesso le grandi aziende per motivi, diciamo fisiologici, hanno maggiore difficoltà a nascondere i propri introiti al fisco rispetto alle medie e piccole imprese.
Tuttavia per quello che mi è dato sapere nelle aziende di grandi dimensioni, oltre a comprensibili risparmi dovuti ad economie di scala, c’è anche un politica retributiva più vantaggiosa (per l’impresa) in quanto nessuno è davvero insostituibile. Nelle piccole aziende invece, spesso il know-how si concentra nelle mani di pochi lavoratori (a volte nelle mani di uno solo!) e quindi la leva salariale si sposta a favore del lavoratore che può contrattare stipendi più alti rispetto al lavoratore della grande impresa.
Infine la informo volentieri che in tutti i CCNL il salario è legato alla produttività, per mezzo dello strumento del “premio di produzione”, che viene erogato di solito una volta l’anno. Tuttavia quest’ultimo non supera di norma il 70 % della mensilità.
Infine è bene ricordare che mentre gli stipendi sono stati convertiti dalla Lira all’euro con precisione matematica e sono rimasti pressoché stabili, non altrettanto è stato fatto con i prezzi al consumo. Se ne ha voglia, può verificare quanto le dico andando a vedere quanto costavano alcuni prodotti nel 2000 e quanto costano oggi (ad esempio un litro di benzina, o a parità di marca un paio di scarpe, un litro di latte, un kg di pasta…).
Glielo dico perché io stesso lo sperimento ogni giorno. Perché vede, quando come lavoratore dipendente in Lire prendevo 1.800.000, le garantisco che oltre ai consumi di prima necessità me ne rimaneva per sfizi e per mettere qualcosa da parte. Oggi invece con 1.400 euro riesco a malapena a pagare il necessario ed arrivo a fine mese col fiato corto.
E credo sia utopistico immaginare che le imprese raddoppino i salari ai propri dipendenti 🙂
Mi permetto infine una domanda, un po’ provocatoria. In questa situazione di crescente disoccupazione, con una intera generazione di precari e con lavoratori che ce la fanno appena appena ad arrivare a fine mese, forse non si vuole fare una riforma fiscale organica per colpire a fondo l’evasione, perché in realtà così facendo crollerrebbero definitivamente i consumi interni ?
Cordiali saluti
@ gattestro: più che di una riforma organica credo che ci voglia senso civico (che ci fa chiedere gli scontrini e usare il numero verde per e denunce) e fare rispettare le norme esistenti. basterebbe questo per diminuire l’evasione in modo consistente.
@ mario pezzati
Mi è scappato un errore grossolano: lo stipendio in Lire era ovviamente di 2.800.000.
Sull’evasione fiscale abbiamo opinioni diverse. Penso che se questo fenomeno è così diffuso, oltre alla corretta considerazione da lei espressa sul senso civico, probabilmente è anche perché è fin troppo facile evadere. Nuove norme e nuove regole (ad esempio sui pagamenti in contanti, sulle detrazioni fiscali del cliente che paga la ditta o il professsonista, sulla semplificazione del sistema contributivo, ecc.) potrebbero essere strumenti utili per ridurre il problema.
Non sono certo un esperto in materie contabili e non disdegno l’azione repressiva, che deve esserci e anzi forse deve anche essere potenziata.
Tuttavia, al di là dei proclami e dei blitz spettacolari, resto con il dubbio sul perché nessuno sembra interessato ad affrontare la materia in modo radicale, mettendo mano alla selva di norme, leggi, leggine e decreti, magari riunendo il tutto in un bel T.U. chiaro, semplice ed efficace.
Forse nel nostro Paese non ci sono tecnici esperti e competenti in grado di assolvere questo compito ?
E siamo proprio sicuri che il divario tra la situazione dell’evasione in Italia e gli altri Paesi europei sia tutta da ascrivere soltanto allo scarso senso civico ?
Cordiali saluti
@gattestro: bhè, il governo intanto sta portandeo avanti una novità contro l’evasione che dovrebbe darle un colpo pesante. Dalla prossima estate 2013, i pagamenti sopra i 50 euro si potranno fare solo tramite bancomat.
un bel passo avanti sulla tracciabilità dei soldi e dei flussi di denaro.