postato il 31 Marzo 2014 | in "Europa, Spunti di riflessione"

Serve un’Europa diversa. Il premier ponga il problema

L’intervento di Pier Ferdinando Casini pubblicato su ‘la Stampa’

Casini Pier FerdinandoCaro Direttore,
è in corso un dibattito molto serio, anche su La Stampa, sui rischi che le prossime elezioni europee segnino una grande vittoria delle coalizioni e dei partiti populisti ed antieuropei che sembrano godere non solo nel nostro Paese delle «migliori condizioni di salute». Dalle prime elezioni dirette del Parlamento europeo, nel 1979, è risultato chiaro che queste competizioni favoriscono i partiti antisistema, o comunque collocati alle estremità dello spettro politico. Lo stesso elettore che alle elezioni politiche nazionali privilegia un «voto utile» per un partito che ha concrete possibilità di partecipare alla formazione del governo, alle elezioni europee, in assenza del vincolo della governabilità, compie una scelta diversa, magari anche solo per segnalare insoddisfazione nei confronti del proprio governo.

Se questa tendenza è insita nel gioco elettorale europeo, alle elezioni di fine maggio, nonostante l’aumento dei poteri del Parlamento europeo, nonostante l’inedita indicazione da parte delle principali famiglie politiche di un proprio candidato a Presidente della Commissione, rischia di andare ben oltre il livello di guardia.

In realtà la questione europea è diventata un banco di prova permanente, su cui emergono divisioni trasversali tra i partiti e al loro interno. Da una comune accettazione, spesso acritica, dell’Europa come denominatore comune di popoli e Paesi, fattore di pace e di progresso, si è oggi scivolati ad una visione dell’Europa come mostro burocratico e parassitario, prima responsabile di un disagio sociale generalizzato e di uno scontro intergenerazionale.

Il fatto è che a una Marine Le Pen in carne ed ossa non si possono contrapporre uno Spinelli o un De Gasperi imbalsamati in una teca da museo. Il populismo anti-europeo non si combatte con una retorica europeista vuota di contenuti e di proposte legati alle condizioni presenti della società europea. Occorre mettere in discussione non l’Europa o l’euro, ma alcune scelte fondamentali nelle politiche europee degli ultimi anni, a cominciare da quella, sbagliata, di una austerità senza costrutto. Certo ci vuole coraggio. Un coraggio che, negli ultimi anni, è mancato alle classi politiche europee, spesso interessate solo a difendere gli interessi del proprio Paese o a scaricare sull’Europa la colpa delle proprie debolezze. Quante volte abbiamo sentito frasi del tipo «ce lo chiede l’Europa»? Francamente un po’ troppe per non pensare ad un processo di deresponsabilizzazione crescente e ad una sorta di permanente «scaricabarile».

Bene dunque fa il nostro presidente del Consiglio a porre al tavolo di Bruxelles, col piglio che gli è proprio, il tema di un cambiamento delle politiche economiche comuni. Il futuro della costruzione europea si gioca sui temi del lavoro e della competitività delle imprese, sullo stimolo alla domanda interna e sul rilancio della ricerca e soprattutto sull’obiettivo di sanare il gap generazionale che si è aperto tra gli anziani «occupati» e i giovani «in permanente ricerca del lavoro». Lo stesso Obama, a fronte di tante incertezze in politica estera, i successi maggiori li ha ottenuti proprio nel rilanciare l’economia americana, anche grazie a un atteggiamento più dinamico nei confronti dei vincoli di bilancio e a un ruolo più deciso dello Stato. Fatti i compiti a casa, non sarà il caso di gettare lo sguardo anche oltre atlantico?



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