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Casini: “E’ un reato indebolire l’azione del governo in Europa”

postato il 16 Giugno 2012

Bene il decreto Passera, di troppo rigore si muore

L’intervista pubblicata su ‘Il Messaggero’ di Barbara Jerkov

Dopo mesi di tagli e sacrifici imposti per scongiurare il default italiano, con il decreto sviluppo il governo mette finalmente in cantiere un progetto articolato per la crescita. E’ soddisfatto o si aspettava qualcosa di più, presidente Casini?
«C’è una domanda di crescita e di semplificazione che viene dalle imprese e dalle famiglie», risponde il leader dell’Udc. «Finalmente siamo a misure concrete per i giovani imprenditori e per le categorie produttive; un credito d’imposta per chi, premiando il merito, assume laureati; una riduzione dei tempi della giustizia civile. Tutto questo significa che si sta andando nella direzione che noi abbiamo sollecitato al governo. Certo, si può sempre fare meglio ma senza risorse è difficile. E anche in materia di dismissioni c’è la necessità di un forte impegno per ridurre il perimetro del pubblico e per abbattere il debito dello Stato. Ora speriamo che si abbia il coraggio di scalfire i santuari delle rendite di posizione all’ombra degli enti locali e dei campanili, affrontando finalmente pure il tema dei servizi pubblici locali».

Basta questo decreto a riportare la crescita al centro delle politiche del governo Monti?
«La linea del governo è chiara: dolorosa, ma chiara. Pensioni, liberalizzazioni, mercato del lavoro, oggi il tema dello sviluppo. Perché di troppo rigore si muore. Siamo in piena recessione, il contagio si sta allargando a diversi Paesi europei, non si esclude che arrivi alla stessa Germania. A questa emergenza la risposta deve essere di due tipi. Su scala nazionale, rilanciando lo sviluppo e abbattendo il debito pubblico. Ma poi c’è la grande questione europea. Non possiamo fermarci in mezzo al guado. Eurobond e unione bancaria sono tasselli di un mosaico più ampio». [Continua a leggere]

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E se la Germania fosse la prossima vittima della crisi?

postato il 15 Giugno 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Se si pensa a nazioni in bilico, non si pensa certo alla Germania, ma a Grecia, Spagna e, purtroppo, Italia. Eppure, ci sono diversi indicatori che portano a pensare che proprio la Germania potrebbe essere la prossima sulla lista.

Schauble, ministro delle finanze tedesco, esclude che l’Italia abbia una situazione grave come la Spagna e afferma che non ritiene che il contagio della crisi dalla Spagna (che ha negoziato un prestito di 100 miliardi per sostenere il suo sistema finanziario) possa trasmettersi all’Italia.

Ma se fosse la Germania a rischiare più di tutti?

La settimana scorsa 7 istituti bancari tedeschi e austriaci sono stati bocciati dalle agenzie di rating, e questa bocciatura ha riguardato anche la seconda banca tedesca, ovvero la Commerzbank a causa della pesante esposizione di queste banche verso i paesi dell’est Europa.

Ma non è tutto: la finanza tedesca, al contrario di quella italiana, è pesantemente esposta verso Grecia e Spagna: verso la Grecia avevano erogato prestiti pari a 28,9 miliardi di euro che hanno dovuto svalutare incamerando delle perdite notevoli, attualmente, infatti, l’esposizione è pari a meno di un miliardo di euro, quindi la perdita è stata molto forte. Per la cronaca, la Francia era esposta per 65 miliardi verso la Grecia.

Sempre per inciso, si ipotizza che l’uscita della Grecia potrebbe costare al sistema industriale tedesco, circa 200 miliardi di euro. Come si vede, la Germania si trova particolarmente vulnerabile sul settore “Grecia”, ma a questo dobbiamo aggiungere altri tre fattori: Spagna, Deutsche Bank e Cina.

La Spagna è, al momento, una vera mina per i conti tedeschi perché le banche tedesche hanno un’esposizione di 117 miliardi di euro verso il paese iberico; segue la Francia con 92 miliardi (anche lei abbastanza fragile, in questo momento) davanti agli istituti di credito britannici e americani. Le banche italiane sono invece esposte per poco più di 20 miliardi di euro.

Vi è quindi un rischio concreto, per le banche tedesche, di dovere contabilizzare ulteriori perdite e di avere necessità di liquidità nell’immediato.

Ci sono anche altri due fattori di rischio: la Cina sta continuando il rallentamento dell’economia  e quindi diventa un terreno meno favorevole per l’export tedesco che deve fare anche i conti con la minore propensione al consumo da parte dei paesi europei, e la Deutsche Bank che si presenta come un colosso dai piedi d’argilla bisognoso una urgente ricapitalizzazione.

Questi fattori rischiano di mettere in seria crisi prima il sistema bancario tedesco e poi quello industriale; e questo ci porta a valutare cosa potrebbe accadere nelle prossime settimane nel “giardino finanziario” di casa nostra. Qualora la crisi in Spagna perdurasse si assisterà ad un rastrellamento di liquidità, quindi vendita di titoli di stato italiani e di azioni di società italiane, per ottenere liquidità con cui puntellare le banche tedesche, ma difficilmente questa liquidità sarà bastevole per il sistema bancario tedesco. Questo metterà, nel breve periodo, sotto pressione lo spread e le nostre aziende con il risultato che la nostra Borsa possa sperimentare nuovi cali. Se il prestito da 100 miliardi alla Spagna non fosse sufficiente e se la Merkel continuerà nella sua opposizione suicida agli eurobond, nel lungo periodo i rischi maggiori li correranno proprio gli istituti finanziari tedeschi che potrebbero creare un effetto a catena in tutto il sistema produttivo tedesco, facendo vivere proprio alla Germania una grave crisi che farebbe sprofondare il sistema produttivo tedesco e la Borsa tedesca a valori molto più bassi di quelli attuali.

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L’abbandono dell’euro: una scelta con tanti rischi e nessun vantaggio.

postato il 1 Giugno 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Uno dei cardini del “programma” di Grillo, a cui si sta accodando anche la Lega, è l’uscita dall’euro e la svalutazione della lira come soluzione alla crisi economica italiana.

Questa soluzione, in realtà, è peggiore del male e va a colpire non i ceti abbienti, ma soprattutto gli strati più poveri della popolazione. Analizziamo cosa comporterebbe seguire il “consiglio” di Grillo e quali sarebbero le conseguenze:

1. ESPORTAZIONI E IMPORTAZIONI

E’ vero che per effetto della svalutazione, le esportazioni risultano più competitive, mentre le importazioni, aumentando di prezzo, perderebbero quote nel mercato italiano, ma è anche vero che si avrebbe un aumento proporzionale in senso inverso dei prezzi delle materie prime (più si svaluta la nostra moneta, maggiormente costano le importazioni di materie prime) e questo danneggerebbe le nostre esportazioni annullando quasi del tutto gli effetti della svalutazione.

Per effetto della svalutazione, infatti, i prezzi delle materie prime aumentano con due ovvie conseguenze: aumento dei costi per le aziende (che trasferiranno questo aumento nei prezzi finali, con conseguente aumento nel prezzo delle merci vendute) e aumento dei costi per i consumatori. Il risultato è che l’azienda produttrice vedrà ridotto (o annullato) il vantaggio competitivo della svalutazione, mentre il consumatore vedrà l’aumento non solo sui beni importati come l’energia, ma anche sui prodotti finali, e questo impoverirà ulteriormente i ceti meno abbienti, con il risultato che saranno i più penalizzati dal provvedimento auspicato da Grillo.

2. MUTUI, TASSI, RISPARMI

Se andiamo a guardare il settore bancario e i clienti, le conseguenze dell’uscita dall’euro e della svalutazione propugnata da Grillo, sono ancora più esiziali.

Intanto dobbiamo chiederci se il mutuo resta in euro o viene convertito in lire. Nel primo caso, ovvero se il mutuo resta in euro, la svalutazione della lira vedrebbe gli italiani percepire uno stipendio in lire (svalutate) e pagare una rata in euro, ma siccome l’euro si apprezzerebbe sulla lira (cioè avrebbe più valore della lira), ecco che subentra per il cliente un ulteriore costo, quello legato al cambio lira-euro.

Si potrebbe obiettare, allora, che si può convertire il mutuo in lire per legare salari e rate, ma in questo caso ci rimetterebbero le banche e i fondi di investimento, perché la lira perderebbe subito di valore e in termini reali i loro crediti si vedrebbero ridotti, con il risultato che il sistema bancario italiano dovrebbe fare i conti con ingenti perdite e il rischio concreto di dichiarare fallimento (e quindi azzerando i conti dei clienti).

Per quanto riguarda il debito pubblico il problema è più complesso: intanto non si può di fatto dichiarare il default dell’Italia (anche se pilotato) come è stato fatto per l’Argentina, perché in quest’ultimo caso la maggior parte dei titoli argentini erano allocati all’estero, mentre qui in Italia la maggior parte del debito pubblico è in mano agli italiani medesimi e alle banche italiane.

Questa situazione di fatto viene a creare un cortocircuito logico-economico: se lo stato italiano dichiara default e non paga i titoli di stato (BTP, BOT, ecc.), di fatto azzera i risparmi di tantissimi italiani e il patrimonio delle banche e quindi lo strumento (il default appunto) che dovrebbe “salvarci” finisce con l’affossarci definitivamente (sull’Argentina parleremo più diffusamente in seguito).

A questo punto abbiamo due strade: o si converte in lire o si lascia in Euro. Se si lascia in Euro, con la svalutazione della lira, lo Stato di fatto vede moltiplicato il debito pubblico in maniera più che proporzionale rispetto a quanto viene svalutata la lira sull’euro: in concreto, se la lira dimezza il suo valore (ovvero perde il 50%), il debito pubblico in euro raddoppia (aumenta del 100%).

Se invece si converte in lire, si rischiano una valanga di cause da tutto il mondo da parte di detentori dei nostri titoli di Stato che non accetterebbero il tasso di conversione deciso da noi. Dunque, il debito rimarrebbe in euro.

3. STIPENDI E PENSIONI

Gli stipendi convertiti in lire, vedrebbero il loro potere d’acquisto ridotto in seguito alla svalutazione della lira (si veda quanto detto al punto 1), in pratica se la lira viene svalutata del 50%, di fatto il mio stipendio viene dimezzato e questo riduce ancora di più le probabilità di sopravvivenza di tantissimi italiani già sulla soglia dell’indigenza.

A fine mese, per pagare la solita rata del muto o del frigo bisognerebbe mettere cioè molti più soldi. L’onere sui prestiti di ogni tipo balzerebbe molto al di sopra del livello attuale (si parla di almeno il 7% in più), e questo potrebbe innescare il fenomeno del «bank running», ovvero la corsa a ritirare i soldi dai conti e dai depositi che è uno scenario tipico, in questi casi.

4. ARGENTINA

Chi invoca la svalutazione della lira e/o il default dell’Italia cita come esempio l’Argentina, ma non considera che la realtà argentina è ben diversa da quella italiana, inoltre nonostante la crescita attuale, non si può dire che il default del paese sudamericano sia stato indolore per i suoi abitanti.

E’ vero che oggi il Pil viaggia tutti gli anni a più 8 o lì intorno, e il tasso di disoccupazione è sceso da un numero angosciante (25% nel 2002) al 7,5 del 2011, ed il reddito medio è tornato ai livelli pre crisi, e anche un po’ sopra, 7400 dollari pro capite, dopo essere crollato nell’annus terribilis a 2670, però non dobbiamo scordare che l’Argentina è benedetta da un immenso territorio ricco di materie prime, dal mais alla farina, al grano. Nel momento più nero, l’Argentina ebbe un aiuto eccezionale da Cina e India: questi paesi (come altri) sono grandissimi importatori di soia, e l’alto prezzo della soia sui mercati internazionali (più che triplicato in quel periodo) determinò un grande afflusso di valuta estera. Per capire il fenomeno: la sola Cina ha importato, nel 2009, soia per 19 miliardi di dollari

Ancora oggi, la domanda di soia di Cina e India è in continuo aumento tenendo alti i prezzi e garantendo un notevole afflusso di denaro verso l’Argentina e uno sbocco verso, nel momento in cui la gente ritirava in massa i soldi dalle banche per mandarli all’estero, provocando così il loro fallimento assieme a quello dello Stato.

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Avanti con il sostegno a Monti

postato il 17 Maggio 2012

Autolesionista fare passo indietro adesso

Oggi ho ribadito al presidente del Consiglio Monti la volontà di continuare a sostenere il governo in un momento difficilissimo per l’economia mondiale ed europea: le code dei cittadini davanti alle banche di Atene sono l’immagine devastante di un continente che rischia la deriva.
Il nostro Paese ha fatto passi avanti nel mettere in sicurezza i propri conti e sarebbe un atto di autolesionismo, per le forze politiche che si sono sacrificate per sostenere la nascita di questo governo, fare un passo indietro adesso. Non è tornando al passato e facendo furberie che la politica recupera la sua credibilità: sostenere questo governo è invece un modo per essere seri, consapevoli e leali.

Pier Ferdinando

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Crisi: non è il momento del populismo

postato il 16 Maggio 2012

Catastrofe dietro l’angolo e la Grecia lo dimostra

Al di là del mare, dietro l’angolo, c’è la catastrofe e lo dimostra il fatto che ieri dalle banche greche è stato ritirato un miliardo di euro. Le file dei greci davanti alle banche devono far riflettere anche in Italia, perché in quel Paese la catastrofe è dipesa dalla litigiosità e dagli errori di chi non ha saputo intraprendere le giuste strade. In Italia non servono le false rassicurazioni, non è il momento del populismo e le scelte dolorose e difficili del governo Monti sono l’unico modo per evitare lo spettro della Grecia. Non si può scherzare, la politica mostri lo stesso senso di responsabilità che ha avuto al momento della costituzione del governo.

Pier Ferdinando

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Dalle agenzie di rating disegno criminale anti Italia

postato il 15 Maggio 2012

 
Ieri le agenzie di rating erano distratte, oggi rischiano di essere parte di un disegno criminale anti europeo e anti italiano. E’ una vergogna che in presenza di nessun elemento nuovo, salvo il deterioramento della situazione economica che vale per tutti i paesi del mondo e per l’Europa, oggi ci sia il declassamento delle nostre banche: è un attentato all’economia del Paese. Ecco perché è importante avanzare al più presto la proposta di un’agenzia di rating europea.

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Presto sbloccati i pagamenti della Pubblica amministrazione

postato il 15 Maggio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Il governo si preparerebbe a sbloccare i pagamenti da parte della Pubblica Amministrazione verso le aziende creditrici.

Questa notizia è stata fornita dal sottosegretario allo Sviluppo economico, Claudio De Vincenti che ha affermato: “Presto sarà possibile per le piccole imprese compensare i crediti verso la Pubblica amministrazione con i debiti verso il fisco, i debiti del passato. Per ora si potranno compensare sicuramente i debiti del passato. In settimana faremo tre decreti ministeriali – ha spiegato – che serviranno a sbloccare i pagamenti da parte della Pubblica amministrazione, un problema patologico del nostro Paese che si trascina da almeno un decennio ed è aumentato nel corso del 2011. Tutto questo non sarà sufficiente ma sarà una boccata d’ossigeno importante”.

Al momento non sappiamo con precisione quale sarà il meccanismo con cui le aziende potranno compensare i crediti, ma è altamente probabile che le imprese potranno farsi certificare i propri crediti per poi andarli a “scontare” in banca. Nella fattispecie, il viceministro alla Finanze, Grilli ha specificato: “Sarà un meccanismo semplice basato su due moduli elettronici approntati dalla Consip. Questa certificazione unica permetterà sia lo sconto dei crediti presso le banche (per cui si sta realizzando una convenzione) ma anche la compensazione con i debiti iscritti a ruolo con il fisco”.

Questa novità permetterà due enormi ricadute positive sull’economia italiana.

La prima, come ha sottolineato De Vincenti è quella di fornire liquidità alle aziende, e si tratta di una montagna enorme di denaro perché se si va a considerare la pubblica amministrazione statale, arriviamo a circa 37 miliardi di euro ovvero circa il2,4% del PIL nazionale. Questa cifra, inoltre, aumenta se andiamo a considerare anche i rapporti che le imprese hanno con le amministrazioni locali (si dovrebbe arrivare a circa 60 miliardi di euro complessivi).

Il secondo vantaggio da sottolineare, che non è stato considerato da De Vincenti, è anche l’enorme risparmio sulla spesa pubblica, infatti le imprese private, al momento di prendere in carico lavori e forniture alla PA, considerano anche il rischio connesso alla dilazione dei pagamenti e l’onere finanziario da ciò derivante, con il risultato che vi è un aumento delle richieste finanziarie da parte dei fornitori, oltre la rinuncia da parte di molte imprese a partecipare a gare di appalto, con conseguente impoverimento della competitività delle offerte.
A quanto detto, dobbiamo anche aggiungere l’obbligo di corrispondere gli interessi di mora conseguenti al ritardato pagamento e le spese per le cause legali che i creditori attivano verso la Pubblica Amministrazione, con la conseguenza di un aumento delle risorse economiche necessarie per il conseguimento delle prestazioni oggetto di appalto (risorse che, come è intuibile, potrebbero essere diversamente e più utilmente investite). Infine, il ritardo nei pagamenti non incide solo sul contraente privato che ha l’appalto con la Pubblica Amministrazione, ma anche con le aziende dell’indotto sulle quali i ritardi vengono spesso ribaltati.

Un esempio di quanto sopra si è visto con la riduzione dei deficit delle ASL di Napoli e Salerno, dove anche grazie ad una maggiore puntualità nei pagamenti (e quindi evitare spese legali e pignoramenti) il deficit nel giro di un anno è stato dimezzato.

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Un futuro con tecnici e politici

postato il 29 Aprile 2012

L’intervento di Pier Ferdinando Casini pubblicato su ‘Il Sole 24 Ore’

Gentile direttore, Le chiedo ospitalità perché l’articolo di Sergio Fabbrini, da lei pubblicato venerdì con il titolo «La politica e le ragioni dell’Italia», ha descritto con precisione le ansie e le preoccupazioni, ma anche le speranze, che mi hanno recentemente convinto a lanciare il progetto di un nuovo partito, moderato e riformista, capace di consolidare nella storia italiana, anche dopo il 2013, l’esperienza del governo Monti, che non è e non può restare una parentesi. Perché, purtroppo, la crisi dell’Europa non è una parentesi. Le analisi di Fabbrini mi consentono di spiegare meglio cosa ho in mente. [Continua a leggere]

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«Sindacati responsabili, Fornero eviti strappi»

postato il 15 Marzo 2012

Pubblichiamo da ‘Avvenire’ l’intervista a Pier Ferdinando Casini

di Arturo Celletti ed Eufenio Fatigante

«Sto vedendo un sindacato maturo. Affidabile, Tutti, senza distinzioni, stanno dando prova di responsabilità: Cgil, Cisl, Uil, Ugl… ». Pier Ferdinando Casini parla da qualche minuto della trattativa sul lavoro e, dopo aver apprezzato la condotta delle parti sociali, manda un messaggio al ministro del Lavoro, Elsa Fornero: «Serve cautela e sensatezza, servono toni giusti. Perché questo negoziato deve chiudersi senza morti e feriti. E la gente deve capire il senso delle scelte fatte».

Siamo al quarto piano di palazzo Montecitorio, nell’ufficio del leader dell’Udc e del Terzo Polo. Casini parla dell’Italia. Di un’emergenza ancora tutta da superare. Elenca obiettivi e ammette che la fase dei sacrifici non si è ancora conclusa. Tra poche ore l’ex presidente della Camera sarà davanti al premier con Bersani ed Alfano. E il primo punto sarà proprio la riforma del lavoro. Ma forse non il solo, come ha provato nelle ultime ore a ripetere Alfano. «Non mi piace questo tentativo di spiegare a Monti l’agenda che dobbiamo discutere. Di fissarne i punti. Di dire “questo sì, ma questo no “. Se il premier ci chiede di parlare di ambiente lo facciamo. E se è vero che questo è un governo di scopo prevalentemente economico, è altrettanto vero che il Paese va avanti e che tutto si lega all’economia. Anche la giustizia. Anche la Rai»

Torniamo al lavoro. Presidente, Elsa Fornero ha commesso imprudenze?
«Il fronte è delicato, la trattativa complessa e, certo, qualche battuta poteva evitarla. Oggi bisogna evitare strappi, mediare, capire le ragioni di chi ti siede davanti e avere la forza e il coraggio di rinunciare a un risultato magari in apparenza più significativo ma che lacera socialmente il Paese, e di accettare una conclusione meno appariscente ma dove le parti sociali siano pienamente coinvolte». [Continua a leggere]

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