postato il 1 Giugno 2012 | in "Economia, In evidenza, Riceviamo e pubblichiamo"

L’abbandono dell’euro: una scelta con tanti rischi e nessun vantaggio.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Uno dei cardini del “programma” di Grillo, a cui si sta accodando anche la Lega, è l’uscita dall’euro e la svalutazione della lira come soluzione alla crisi economica italiana.

Questa soluzione, in realtà, è peggiore del male e va a colpire non i ceti abbienti, ma soprattutto gli strati più poveri della popolazione. Analizziamo cosa comporterebbe seguire il “consiglio” di Grillo e quali sarebbero le conseguenze:

1. ESPORTAZIONI E IMPORTAZIONI

E’ vero che per effetto della svalutazione, le esportazioni risultano più competitive, mentre le importazioni, aumentando di prezzo, perderebbero quote nel mercato italiano, ma è anche vero che si avrebbe un aumento proporzionale in senso inverso dei prezzi delle materie prime (più si svaluta la nostra moneta, maggiormente costano le importazioni di materie prime) e questo danneggerebbe le nostre esportazioni annullando quasi del tutto gli effetti della svalutazione.

Per effetto della svalutazione, infatti, i prezzi delle materie prime aumentano con due ovvie conseguenze: aumento dei costi per le aziende (che trasferiranno questo aumento nei prezzi finali, con conseguente aumento nel prezzo delle merci vendute) e aumento dei costi per i consumatori. Il risultato è che l’azienda produttrice vedrà ridotto (o annullato) il vantaggio competitivo della svalutazione, mentre il consumatore vedrà l’aumento non solo sui beni importati come l’energia, ma anche sui prodotti finali, e questo impoverirà ulteriormente i ceti meno abbienti, con il risultato che saranno i più penalizzati dal provvedimento auspicato da Grillo.

2. MUTUI, TASSI, RISPARMI

Se andiamo a guardare il settore bancario e i clienti, le conseguenze dell’uscita dall’euro e della svalutazione propugnata da Grillo, sono ancora più esiziali.

Intanto dobbiamo chiederci se il mutuo resta in euro o viene convertito in lire. Nel primo caso, ovvero se il mutuo resta in euro, la svalutazione della lira vedrebbe gli italiani percepire uno stipendio in lire (svalutate) e pagare una rata in euro, ma siccome l’euro si apprezzerebbe sulla lira (cioè avrebbe più valore della lira), ecco che subentra per il cliente un ulteriore costo, quello legato al cambio lira-euro.

Si potrebbe obiettare, allora, che si può convertire il mutuo in lire per legare salari e rate, ma in questo caso ci rimetterebbero le banche e i fondi di investimento, perché la lira perderebbe subito di valore e in termini reali i loro crediti si vedrebbero ridotti, con il risultato che il sistema bancario italiano dovrebbe fare i conti con ingenti perdite e il rischio concreto di dichiarare fallimento (e quindi azzerando i conti dei clienti).

Per quanto riguarda il debito pubblico il problema è più complesso: intanto non si può di fatto dichiarare il default dell’Italia (anche se pilotato) come è stato fatto per l’Argentina, perché in quest’ultimo caso la maggior parte dei titoli argentini erano allocati all’estero, mentre qui in Italia la maggior parte del debito pubblico è in mano agli italiani medesimi e alle banche italiane.

Questa situazione di fatto viene a creare un cortocircuito logico-economico: se lo stato italiano dichiara default e non paga i titoli di stato (BTP, BOT, ecc.), di fatto azzera i risparmi di tantissimi italiani e il patrimonio delle banche e quindi lo strumento (il default appunto) che dovrebbe “salvarci” finisce con l’affossarci definitivamente (sull’Argentina parleremo più diffusamente in seguito).

A questo punto abbiamo due strade: o si converte in lire o si lascia in Euro. Se si lascia in Euro, con la svalutazione della lira, lo Stato di fatto vede moltiplicato il debito pubblico in maniera più che proporzionale rispetto a quanto viene svalutata la lira sull’euro: in concreto, se la lira dimezza il suo valore (ovvero perde il 50%), il debito pubblico in euro raddoppia (aumenta del 100%).

Se invece si converte in lire, si rischiano una valanga di cause da tutto il mondo da parte di detentori dei nostri titoli di Stato che non accetterebbero il tasso di conversione deciso da noi. Dunque, il debito rimarrebbe in euro.

3. STIPENDI E PENSIONI

Gli stipendi convertiti in lire, vedrebbero il loro potere d’acquisto ridotto in seguito alla svalutazione della lira (si veda quanto detto al punto 1), in pratica se la lira viene svalutata del 50%, di fatto il mio stipendio viene dimezzato e questo riduce ancora di più le probabilità di sopravvivenza di tantissimi italiani già sulla soglia dell’indigenza.

A fine mese, per pagare la solita rata del muto o del frigo bisognerebbe mettere cioè molti più soldi. L’onere sui prestiti di ogni tipo balzerebbe molto al di sopra del livello attuale (si parla di almeno il 7% in più), e questo potrebbe innescare il fenomeno del «bank running», ovvero la corsa a ritirare i soldi dai conti e dai depositi che è uno scenario tipico, in questi casi.

4. ARGENTINA

Chi invoca la svalutazione della lira e/o il default dell’Italia cita come esempio l’Argentina, ma non considera che la realtà argentina è ben diversa da quella italiana, inoltre nonostante la crescita attuale, non si può dire che il default del paese sudamericano sia stato indolore per i suoi abitanti.

E’ vero che oggi il Pil viaggia tutti gli anni a più 8 o lì intorno, e il tasso di disoccupazione è sceso da un numero angosciante (25% nel 2002) al 7,5 del 2011, ed il reddito medio è tornato ai livelli pre crisi, e anche un po’ sopra, 7400 dollari pro capite, dopo essere crollato nell’annus terribilis a 2670, però non dobbiamo scordare che l’Argentina è benedetta da un immenso territorio ricco di materie prime, dal mais alla farina, al grano. Nel momento più nero, l’Argentina ebbe un aiuto eccezionale da Cina e India: questi paesi (come altri) sono grandissimi importatori di soia, e l’alto prezzo della soia sui mercati internazionali (più che triplicato in quel periodo) determinò un grande afflusso di valuta estera. Per capire il fenomeno: la sola Cina ha importato, nel 2009, soia per 19 miliardi di dollari

Ancora oggi, la domanda di soia di Cina e India è in continuo aumento tenendo alti i prezzi e garantendo un notevole afflusso di denaro verso l’Argentina e uno sbocco verso, nel momento in cui la gente ritirava in massa i soldi dalle banche per mandarli all’estero, provocando così il loro fallimento assieme a quello dello Stato.

22 Commenti
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FRANK
FRANK
11 anni fa

EGREGIO SIGOR PEZZATI, NON SO QUANTI ANNI LEI HA:
IO 65, PRIMA DELL’EURO CI SIAMO SEMPRE SALVATI IN UNA MANIERA E/O NELL’ALTRA.
LAVORAVO DA SOLO CON REDDITO MEDIO DICIAMO ANCHE MEDIO BASSO, A VENEZIA PAGAVO AFFITTO DI LIRE 52.OOO AL MESE CON REDDITO DI 165.000 AQL MESE: BENE CON ATTENZIONE AVEVO L’AUTO,MANDAVO MOGLIE (CASALINGA E FIGLIA IN SPIAGGIA AL LIDO DI VENEZIA) E AD LUGLIO MONTAGNA PER GIORNI 15 , QUALCE COSA E’ CAMBIATA:NON DICO BUGIE MANGIAVO E VIVEVO MEGLIO DI ADDESSO .PERTANTO NON VEDO QUESTO MORBOSO ATTACCAMENTO ALL’EURO, MI RISPONSDA GRAZIE FRANCO SCARPI VENEZIA

mario pezzati
mario pezzati
11 anni fa

non si tratta di attaccamento all’euro, ma di semplici fatti.
se abbandoniamo l’euro e torniamo alla lira, il primo effetto sarebbe una inflazione galoppante, fino al 50%.
IN pratica lei si vedrebbe dimezzato il potere d’acquisto del suo attuale stipendio/pensione.
Crede davvero di potere sopravvivere con simile cifra?
MA soprattutto, passare dall’euro alla lira, risolverebbe davvero i problemi del paese?
A me sembra hce invece i problemi (burocrazia, infrastrutture vecchie, arretratezza nella rete informatica e via dicendo) resterebbero tutte.

Infine, sig. Frank, le cifre che lei dice forse andavano bene negli anni 70 (ho i miei dubbi, però), già negli anni 80, un affitto a venezia credo che fosse ben più di 52.000 lire al mese.

Giovane Informato
Giovane Informato
11 anni fa

Passare dall’ euro alla lira non è la soluzione magica che risolverebbe tutti i nostri problemi ma è il presupposto per interrompere la contrazione del poco di tessuto industriale che ci rimane e per lanciare una politica di piena occupazione che solo il settore PUBBLICO può fare, e di cui l’ Italia ha un bisogno enorme. L’ Euro è oggettivamente un problema, questa non è una crisi di debito pubblico ma una crisi di bilancia dei pagamenti causata in larga parte dall’ euro che ha portato il settore privato del sud europa ad indebitarsi troppo con l’ estero. Quindi per un paese come l’ Italia tornare alla lira non implica necessariamente un default. E questo dovremmo saperlo, perché la crisi del ’92 fu causata dall’ adesione dell’ Italia allo SME nella banda ristretta e alla liberalizzazione dei movimenti di capitale. Quella storia dovrebbe averci insegnato che unioni valutarie tra paesi così diversi possono funzionare solo se viene concessa una banda larga ai paesi del sud. Invece di capire quella storia ci siamo intestarditi entrando in un sistema ancora più rigido, ovvero l’ Euro. Ed ora è inutile tentare di contrattare con la Germania dopo che gli abbiamo concesso di plasmare i trattati a suo piacimento pur di trattenerla dentro l’ Euro. Ed è anche inutile fare terrorismo sul ritorno alla lira perché se ben gestito ( ovvero non scaricandolo sulla classi povere e evitando di svendere come nel 92 i settori strategici ) sarà si difficile ma non la fine del mondo: tutti gli studi ci dicono che la svalutazione si aggira intorno al 20 – 30% semplicemente perché va calcolata in base ai punti di inflazione accumulati dall’ entrata in vigore nell’ euro, e l’ incidenza della svalutazione nell’ inflazione non è un rapporto 1 a 1 ( ovvero se svaluti del 20% l’ inflazione non aumenta del 20%… tanto che quando si uscì dallo sme nel 92 l’ inflazione addirittura diminuì) e se è anche vero che importare alcune merci costerà di più ( amen… il cellulare lo cambieremo meno spesso ) i prodotti italiani saranno più convenienti non solo per le esportazioni ma anche per il mercato interno. E per quanto riguarda il costo del carburante, sappiamo benissimo che sono le accise che incidono molto e quindi abbiamo ampi spazi di manovra per rendere il prezzo più abbordabile al consumatore.

Quindi:

– mettere fine alla moneta unica possibilmente in modo concertato o con ritorno alla libera fluttuazione delle monete o con un ristabilimento di un sistema nominale unico europeo che conceda almeno 2 bande diverse se non tre per i paesi più deboli, altrimenti non funzionerebbe nemmeno questo sistema.

– revisione totale dei trattati europei oppure fine dell’ unione europea. Da Maastricht in poi non vi è un principio accettabile per una politica economica nel nostro paese in quanto proprio in virtù delle richieste europee sono stati eliminati tanti strumenti economici di cui il paese ha bisogno come: controllo dei movimenti dei capitali ( totalmente liberalizzati alla fine degli anni 80), vincoli di portafoglio alle banche commerciali, possibilità della Banca d’ Italia di intervenire nell’ acquisto dei titoli ( se si ha paura dall’ inflazione basta fissare un tetto massimo ) e nel fissare i tassi d’ interesse.

– Lanciare una politica PUBBLICA di piena occupazione basta su opere infrastrutturali ( aree dissestate, assetto del territorio, banda larga, messa in sicurezza dei centri storici, tutela del paesaggio, ferrovie e non TAV ) di cui l’ Italia ha un bisogno a dir poco urgente. Abbassare la pressione fiscale alle piccole imprese e incentivare il settore agricolo e quello delle energie rinnovabili. Ri – nazionalizzare, se necessario, i settori strategici del paese.

mario pezzati
mario pezzati
11 anni fa

sig. Giovane Informato, veramente l’Italia era da parecchi anni nello SME, la crisi del 1992 fu causata dall’elevato debito pubblico italiano, accumulato negli anni 80 in cui lo stato spendeva e spandeva a piene mani.
Tale debito pubblico non siamo poi riusciti ad intaccarlo e oggi ne paghiamo ancora le conseguenze.
Lei inoltre parla del costo del carburante, ma non considera tutte le altre materie prime che importiamo.
Non considera inoltre i mutui in euro, che resterebbero tali e quindi la gente si troverebbe un aumento della rata da pagare.

trackback
11 anni fa

[…] già detto in proposito come la penso (fonte: https://www.pierferdinandocasini.it/2012/06/01/labbandono-delleuro-e-la-svalutazione-della-lira-una-s…), e cioè che l’uscita dall’euro comporta moltissimi rischi, molti problemi per le famiglie e […]

Un semplice studente di economia
Un semplice studente di economia
11 anni fa

secondo quale riscontro empirico lei crede che ci sarà un’inflazione del 50%? L’unico vero problema sarebbe il petrolio, da cui realmente dipendiamo. Per superare questo scoglio basterebbe dimezzare le accise che lo Stato italiano impone e che sono le piu’ alte al mondo. Per il resto l’Italia ha sempre potuto contare di un tessuto produttivo competitivo a livello internazionale con esportazioni sempre crescenti anche adesso, nonostante le industrie debbano accollarsi il peso di una moneta così forte (ALTRO CHE ARGENTINA CHE ESPORTA SOLO SOIA).

mario pezzati
mario pezzati
11 anni fa

@ semplice studente: bravo, continua a studiare, perchè noi non dipendiamo solo dal petrolio, ma anche da gas, ferro, rame, e quasi tutte le commodities. Forse te lo eri scordato.

L’evidenza empirica sono gli anni 70 e 80 con una inflazione che si aggirava tra il 10 e il 20% /in alcuni anni superò il 20%) e avevamo una dinamica di risparmio interno e debito pubblico diverso (molto migliore) rispetto ad ora.

In ogni caso, il calcolo della potenziale inflazione in caso di uscita dall’euro è supportato da tutti gli studi che attualmente circolano. Mi dirai che non vi è evidenza empirica, ma se usciamo dall’euro e abbiamo davvero questa inflazione al 50%, non potremo tornare indietro. Sulla competitività del tessuto produttivo italiano, ci andrei piano: se fosse davvero competitivo non si capirebbe perchè il nostro pil fa una tale fatica ad andare avanti.

Ma anche a non considerare il 50% e consdierando il 25%, assistiamo ad una decurtazione del potere di acquisto pari ad 1/4 degli stipendi, senza contare l’aumento di mutui e beni da acquistare.

Intanto la lira si svaluta, di conseguenza esportare i prodotti italiani diventa più facile. Peccato solo che l’uscita dall’euro e la cancellazione del debito pubblico ha fatto collassare anche il sistema del commercio internazionale, visto che metà del debito pubblico italiano (circa 900 miliardi di euro) è in mano a investitori stranieri, e ciò ha comportato un collasso del sistema bancario e megarecessione anche all’estero (cui si aggiunge anche una certa dose di diffidenza verso il Paese che ha portato il mondo occidentale alla bancarotta). Per questo l’export potrebbe non andare poi troppo bene per le imprese che non sono fallite per i motivi riportati al paragrafo precedente.

Poi importare diventa più costoso: l’Italia dipende, anche per il suo export, dall’import, a cominciare dal petrolio, e a causa della svalutazione della lira tutti i beni che da fuori vengono sul suolo patrio costano di più, creando ulteriori problemi alle imprese.

un semplice studente di economia
un semplice studente di economia
11 anni fa

La ringrazio del consiglio, continuerò certamente a studiare per non fidarmi di chi come lei fa del catastrofismo apocalittico senza porsi minimi dubbi sulle alternative esistenti. Io, ovviamente, la certezza che uno sganciamento da un cambio fisso possa portarci alla luce non ce l’ho, ma mi spiace che di fatto nei media se ne escluda a priori la possibilità.
Detto questo e parlando di dati, mi risulta, che negli anni 70 e 80 il costo del petrolio fece un balzo clamoroso e il mondo dovette affrontare una grande crisi energetica: di questo non può non tenerne conto quando dice che ci fu un’inflazione sostenuta.
Come mi spiega allora che quando c’è stato lo sgancio dallo SME l’inflazione è addirittura scesa dal 5 al 4 % ? Da cosa è dipeso? Eppure (per avere un punto di riferimento) la lira svalutò del 40% rispetto al marco in 3 mesi.
In ogni caso, pur ipotizzando surrealmente un’inflazione a due cifre, tale aumento dei prezzi dovrebbe riguardare solamente i prodotti esteri e non quelli italiani; sicchè crescerebbe non solo la domanda estera verso i nostri beni, ma anche quella interna a causa dei prezzi relativamente stabili dei prodotti italiani!

Lei si chiede Come mai non cresca il Pil? Beh come potrebbe nella situazione nella quale ci troviamo? Con tutta questa austerità inutilmente imposta allo Stato italiano dai soldati del nord Europa! Una pressione fiscale spaventosa, i consumi ovviamente non possono che diminuire in queste circostanze. E’ evidente che il Pil non può crescere e che facciamo fatica. Che sia Inutilmente imposta lo si rileva dal semplice accostamento di dati fra economie: perchè il Giappone ha il 300% del pil di debito pubblico e non va incontro a problemi di interessi sui titoli del debito pubblico? Perchè la Spagna ha un rapporto minore del nostro ma ha uno spread maggiore? E’ evidente che non ci troviamo di fronte a un problema di debito PUBBLICO. Semmai a un problema di debito estero e privato, guarda caso accumulato per quali motivazioni?
Come mi spiega che dall’entrata nell’euro l’italia ha sistematicamente visto ridursi le sue current account fino a diventare pesantemente negative? E simmetricamente come spiega che alla Germania è successo il contrario? Sono dati del FMI, non inventati.
http://www.imf.org/external/pubs/ft/weo/2012/01/weodata/WEOApr2012all.xls

Almeno si riconosca che l’euro sia stato un grandissimo fallimento e un grandissimo errore a causa degli evidenti squilibri presenti fra gli stati dell’eurozona. Da qui, una volta riconosciute queste cose, se proprio non si volesse nemmeno parlare di un passo così forte verso il ritorno alla sovranità monetaria degli Stati, che si andasse pure verso gli Stati Uniti d’Europa, ma solo con la realizzazione di quelli che sono i veri squlibri e i veri problemi (attuando una rivisitazione di tutti i trattati, specificatamente quelli sulla bce) e non continuando con questa austerità e queste angoscie sullo “Stato cattivo”.

Ah per inciso, non vi viene qualche dubbio sapendo che tutti i più importanti e famosi premi nobel/studiosi di economia recenti, prendano per pazzi tutti coloro che sostengono la necessità della moneta unica in Europa?
Krugman, Stiglitz, Roubini. Non vi viene qualche dubbio?

mario pezzati
mario pezzati
11 anni fa

@ studente: ma io i dubbi li ho avuti e li ho. Per questo mi informo e ci ragiono. E non mi interessa se una soluzione è propugnata da sticlits o da roubini, perchè se non mi convince, non mi convince. Sui tuoi appunti ora ti risponderò e siccome sarà una rispsota unga e articolata la spezzerò in vari commenti (ti chiedo scusa fin d’ora).
Inizio dalal fine: Roubini è il primo ad affermare, in una sua intervista, che uscire dall’euro porterebbe solo danni all’italia, tagleirebbe radicalmente il potere d’acquisto delle famiglie e avvantaggerebbe solo gli evasori fiscali e chi ha capitali all’estero. Roubini non ha mai detto che bisogna usicre dall’euro, ma che l’euro è nato male perchè non ha dietro una unità politica. Prorpio roubini è fautore di una maggiroe coesione politica dell’europa a detrimento delle singole nazioni.

E ora passiamo agli altri punti da te enunciati (per altro parlerò anche di produttività e di spesa pubblica, andando un pò fuori tema, ma dando, a mio avviso, una visione più completa).

Intanto tu parli di prodotti italiani. QUali? Noi importiamo anche prodotti agricoli, ma supponiamo che diventiamo autarchici nella produzione agricola (ma non lo siamo neanche lontanamente). Consideriamo che per produrre beni agricoli, utilizzi strumenti spesso improtati, ma evitiamo di considerare ciò e diciamo che diventiamo autarchici. E sul resto? Forse non ti è chiaro che l’Italia è una nazione “trasformatrice”: ovvvero trasforma le amterie e i semilavorati che importa. Ripeto: coa produciamo? Auto? Ma per farle hai bisogno di energia (importata), plastica <8derivato del petrolio che importiamo), metalli (che importiamo). Produciamo navi? Ci servono metalli che importiamo. Produciamo elettronica? (Micata tanta, ma vabbè) A parte che non produciamo tantissima elettronica, ma ci servono semilavorati e commodities che importiamo (una su tutte, le terre rare che esporta solo la cina). Mi parlerai della nostra industria tessile e di mobili. Peccato che anche qui importiamo prodotti semilavorati e grezzi. Anzi, molte industrie producono all'estero direttamente (ad esempio, la natuzzi). nel complesso ecco alcun idati relativi ai primi sei mesi del 2011 (dati istat): nell’ambito delle importazioni, l’incremento per i beni di consumo è stato pari a +17% (+3,4% per i beni durevoli e +19,1% per i beni non durevoli), in crescita anche i beni strumentali (+19,9%), l’energia (+24,3%) e soprattutto i prodotti intermedi (+62,3%).

Se togliamo questi beni strumentali e intermedi, blocchi l'industria italiana.
QUesto è il primo pezzo.

mario pezzati
mario pezzati
11 anni fa

@ studente: premetto che sono profondamente contro l’utilizzo delle manovre sul cambio per compensare buchi strutturali di efficienza produttiva e di spesa pubblica improduttiva (sarà il piatto forte del mio successivo intervento) riconosco che è vero quel che dici sulla crisi energetica del 1973, ma l’inflazione negli altri paesi fu minore rispetto che l’Italia (da noi l’inflazione era guidata dalla cosiddetta scala mobile). Inoltre la crisi energetica esplose nel 1973 appunto, ma coinvolse tutti i paesi. Se il problema fosse stato solo il petrolio, non vi sarebeb stato cambiamento a livello concorrenziale…

ma passiamo un attimo al 1992-1994
Quella deflazione di 1% a cosa fu dovuta? A parte che lo SME era un sistema di cambi semifissi e non una moneta (come è invece l’euro), ma davvero fu dovuta all’uscita dallo sme? A parte che a deflazione indicherebbe un ralelntamento economico, ti scordi che in quegli anni vi furono: nel 1992 una manovra da 55.000 miliardi di lire, nel 1993 la manovra amato da 90.000 miliardi di lire e nel 1994 la manovra ciampi da 30.000 miliardi di lire (fonte: http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Speciali/2007/finanziaria2008/finanziarie-1992-2008.shtml?uuid=8c98dac2-6f4f-11dc-8fa3-00000e25108c). IN pratica nel giro di 24 mesi il popolo italiano pago tra prelievi forzosi (amato) e aumento di tasse (ciampi, amato, andreotti), 175.000 milairdi dlire. Se convertiamo con l’euro abbiamo un totale di circa 90 miliardi di euro, di cui 45 concentrati solo nel 1993.Direi che questo provoco un effetto “impoverimento” nelle famiglie e nelle imprese a favore di una stretta monetaria che permise al governo dell’epoca di ridurre il debito ed ebbe come effetto secondario di ridurre la circolazione di moneta (e quindi ebbe un effetto deflattivo).

Ma, ed ecco il meglio, sono soldi al valore di quegli anni, se applichiamo il dcf model e riportiamo ad oggi la sola manovra Amato (quella che fu fatta in risposta all’uscita dallo sme da parte della lira) abbiamo che dai 45 milairdi di euro (lo so, ho fatto una conversione alla carlona di 90.000 miliardi di lire, ma mi semplifico la vita e non inficia il ragionamento di fondo), passiamo ad una cifra superiore ai 100 miliardi di euro e a questa cifra ci arrviamo se consideriamo il tasso di inflazione. e questa valutazione è corroborata da un altra consderazione: all’epoca la manovra amato fu pari al 6% del Pil dell’epoca, se usassimo tale percentuale anche oggi, sfonderemmo il tetto dei 100 miliardi di euro. Una manovra simile è ovvio che ti deprime la domanda interna e ha un effetto deflattivo.
Sempre per inciso, nel momento in cui l’effetto shock delal manovra amato si esaurì, l’inflazione riprese la sua solita strada e si riallineo a valori “normali”.
Ma questo momento di deflazione, non portò ad un aumento significativo delle esportazioni (anche perchè 1% in più o in meno ha un effetto molto limitato).

e con questo spiego il biennio da te citato.
nei prossimi due pezzi sistemo krugman, la Nuova teoria monetaria e poi parlo di spesa pubblica…

(ringrazio però te e macleod, un utente di fb, perchè con le vostre osservazioni mi avete “costretto” a spiegare e ricercare cose che davo per scontate e quindi è stato un pungolo interessante).

mario pezzati
mario pezzati
11 anni fa

E passiamo a krugman. il problema della analisi di tipo keynesiano è che i tempi sono diversi. All’epoca di keynes meno del 20% del pil di una nazione era legato allo stato. Oggi tale percentuale (grazie ai vari settori pubblici, come scuola, sanità e così via) è pari a circa il 40% (in realtà poco sopra tale livello), in pratica lo stesso livello che gli usa raggiunsero nel 1939 con la politica keynesiana e poco prima di entrare nella seconda guerra mondiale.

peraltro se si va considerare il pil usa dal 1929 al 1945, si vede ceh in realtà la maggior parte di pil era privato, e non pubblico, anche dopo il varo del new deal di roosevelt. molti keynesiani considerano la secondas guerra mondiale al apri del new deal di roosevelt vista l’alta spesa pubblica, mas in realtà negli anni di maggiore impegno bellico, il PIL aumenta, ma perchè aumenta a dismisura la spesa pubblica (destinata all’acquisto dei beni per l’esercito), ma al contempo crolla il pil privato, segno che le famiglie vedono i loro introiti diminuire. Lasciateci supporre, allora, che il governo oggi ha fatto esattamente quello che suggerisce Paul Krugman, e si è impegnato in massicci acquisti comparabili a quelli durante la Seconda Guerra Mondiale. Quindi, invece di costruire carri armati e bombardieri, il governo oggi compra cose socialmente utili (nella visione di Krugman) come strade, ponti, servizi supplementari di polizia e pompieri, etc. Gli americani sarebbero felici se le faccende di ora rispecchiassero quelle degli anni di guerra?
Io suggerisco di no; rifiuterebbero l’affare, anche nei termini di Krugman. Supponiamo che oggi una persona prenda l’equivalente del 1941, che il paese proceda con una spesa governativa e che l’economia viaggi come nelle statistiche della Seconda Guerra Mondiale. Questo significa che la produzione economica privata crollerebbe del 55% nel 2015, ad un tasso annuale del 24%. I proprietari di casa medi americani accetterebbero ora di subire un calo annuale del 24% del loro tenore di vita per tre anni di fila? Sarebbe come riportarli ai loro standard di vita del 1984 (e ancora non ho nemmeno conteggiato i cambi della popolazione). La risposta dell’ americano medio verrebbe influenzata se gli dicessimo di quante buche potremmo riempire e di quante nuove scuole potremmo costruire in questi tre anni?
Ma aspettate, c’ è di peggio. In cambio dei servizi offerti dal governo, soffriremmo di una estrema penuria (in termini di beni privati e servizi) per un periodo di tre anni. Dopo questa esplosione di keynesismo – usando ancora la Seconda Guerra Mondiale come modello, facendo un confronto con gli anni 1941-1946 – il debito del governo federale detenuto dal pubblico aumenterebbe di 5 volte. Dato che il debito federale detenuto dal pubblico al momento ammonta a circa 10 trilioni di dollari, imitando l’ esperienza della Seconda Guerra Mondiale si porterebbe il debito a 50 trilioni di dollari nel 2017. Questo porterebbe il debito al livello del 1984. Domando ancora: C’ è un numero di nuovi insegnanti e ponti che compensino queste due tendenze?
In conclusione, fatemi essere corretto e sottolineare che Paul Krugman e gli altri credono che durante la Seconda Guerra Mondiale gli standard di vita privati siano calati per la razionalizzazione, non per un errore nello stimolo statale keynesiano. Forse, o forse no. Il punto è che, prendendo il valore nominale delle statistiche governative, la maggioranza degli americani non vorrebbe una “soluzione” keynesiana per l’ attuale crisi economica, nel modo in cui la Seconda Guerra Mondiale avrebbe “risolto” l’ ultima depressione.

se consideriamo i salari dei dipendenti USA e consideriamo 100 tale indice nel 1918, il valore aumentò a 112 nel 1923, a 122 nel 1929, a 81 nel 1933 (il punto peggiore), a 116 nel 1940, ovvero sotto il puto massimo pre crisi.
provvedimenti presi da roosevelt nei primi 100 giorni del suo primo mandato, furono efficaci per fermare il crollo di wall street (quindi alivello finanziario), ma a livello di economia non riuscirono ad essere altrettanto efficaci per la disoccupaione e la ricchezza del cittadino usa.

indubbiamente lo stato devve intervenire, sono il rpimo a dirlo, ma deve anche evitare di andare in deficit strutturale. Considera che vi è una fondamentale differenza con il 1929: all’epoca il peso dello stato sociale nel pil era bass, meno del 20%; oggi invece si aggira a poco sopra il 40% quindi già vi è una sorta di redistribuzione (quantunque imperfetta per le inevitabili storture provocate dalla realtà). La crisi del 1929 si innescò sugli stessi motivi di quella del 2008 e di tutte le crisi finanziarie: euforia; si creano nuovi strumenti finanziari e si cavalca al tigre, finchè la salita è insostenibile e si crolla. Alla fine cambiano gli strumenti, ma sostanzialmente la politica di fondo non cambia: si prendono soldi per investirli e avere alti rendimenti. Per avere rendimenti sempre più alti (sotto la spinta dei clienti che vogliono arricchirsi in fretta) si aumenta il rischio, finchè non si cade inevitabilmente.

mario pezzati
mario pezzati
11 anni fa

il problema delle esportazioni italiane è un vecchio e annoso problema. Parliamoci chiaro, il nostro tessuto imprenditoriale è vitalissimo su alcune cose, ma poi si tradisce per alcuni vecchi “vizi”: 1) troppo piccoli e non si vuole realmente crescere per non dovere sottostare a regole stringenti o condivider eil comando con qualcuno; 2) la decisione di molte aziende di concorrere in maniera “furbetta” e non impegnandosi realmente. Quando i nostri imprenditori si sono liberati dei problemi di cui sopra, hanno fatto grandi cose e sto pensando a Barilla, Luxottica, Tod’s, e così via. I mobilifici di cantù e del nord persero occasioni d’oro perchè si arroccarono, di contro, nel loro “artigianato”, e ora subiscono la concorrenza spietata di ikea e anzi sono diventati fornitori di ikea che determina i prezzi e tutto. Questo per le esportzioni 8su cui però sto andando molto superficialmente, ma un discorswo approfondito ci porta fuori tema). Ripeto: abbiamo tanti esempi positivi, ma anche moltissimi esempi negativi. Sull’andamento del pil e del debito pubblico. QUello che krugman utilizza alla base della sua teoria è una duplice ipotesi: 1) produrre moneta a go go, considerandola come una merce; 2) le serie storiche americane.
Krugman porta avanti la sua tesi supportato da una ipotesi stringente e da un dato. L’ipotesi è la produzione di moneta senza limiti trattandola come emrce. Ma se la tratti come emrce (ed effettivamente per certi versi lo è), allroa devi considerare che uanq uantità crescente di una data merce, fa tendere verso zero il valore di tale emrce (a meno che la domanda non sia molto più elevata). Ma se la moneta/merce tende a zero come valore (il valore d’uso o utilità non si può applicare pienamente alla moneta), allora abbiamo da un lato inlfazione (per compensare la tendenza verso zero emetti sempre più moneta, ma questo genera inflazione e quindi ti avviti su te stesso), e quindi diminuisce il potere di acqusito di famiglie eimprese, e dall’altro abbiamo la trappola della liquidità che rischia di rendere anelastica la rispsota agli stimoli economici (ovvero, gli oepratori si mostrano poco reattivi verso le politiche espansioniste).
E quanto sopra sistema 8semplificando e accorciando il discorso di molto) l’ipotesi di krugman che per quanto mi riguarda cade (e per inciso, inficia anche la NMT ovvero la Nuova teoria monetarista). Il discorso sulla moneta operato da krugman e dalla nmt è valido fintanto che ci troviamo in un modello teorico chiuso. ma se consideriamo un sistema aperto (QUINDI UNA ANZIONE NON AUTARCHICA) ecco che sorgono i problemi. L’analisi di krugman può andare bene solo per unanazione che decide di isolarsi, ma siccome noi siamo dipendenti dalle materie prime estere, non possiamo ripercorrere la strada dell’autarchia mussoliniana. A questo punto, se vogliamo limitare la produzione di moneta, lo stato per avere fondi deve necessariamente ricorrere anche all’indebitamento (con btp, bot e cct). Ovviamente non si può indebitare eccessivamente pena il default (la soluzione della NMT è quella di indebitarsi e produrr emoneta indefinitamente per ripagare tutto, ma andiamo nei problemi che ho sopra esposto). Ma che succede se uno stato non è finanziariamente credibile, ovvero non da garanzia di potere essere solvibile in fuutro? Ovviamente nessuno compra i titoli di debito emessi da quello stato che si trova tagliato fuori da una fonte di finanziamento molto importante.
passiamo alle serie storiche usate da krugman e dalla NMT. Intanto loro si focalizzano sugli USA. ma gli USA hanno un grande vantaggio: tendenzialmente sono, con URSS, Sud Africa (forse) e Brasile le uniche nazioni che potrebebro, limitando i consumi (anche se con limiti abbastanza forti) essere autarchiche, in quanto possiedono grandi risorse di materie prime. Ovvio che si può teorizzare un sistema chiuso, il che semplifica enormemente il discorso teorico. Ma tralasciamo l’autarchia. Le serie storiche usate d queste due scuole di pensiero si fermano al 1973 per krugman (e se va oltre, krugman non considera le crisi); e i periodi per 2001 e pre 2008 per la NMT. quale è il problema? Sono periodi di forte espansione economica, indubbiamente, MA a cui seguirono poi delle crisi altrettanto violente e sistemiche. Queste crisi furono innescate da cosa? Proprio dall’eccesso di debito. Mi riferico alla crsii innescata nel 1973 dallo shock petrolifero e dalla crisi del 2008 (innescata da un eccesso di debito da aprte di privati e di spesa allegra da aprte di nazioni). Se nelle nostre analisi consideriamo solo un periodo temporale e non quello che lo ha causato e/o quello he lo ha seguito, la nsotra analisi è necessariamente parziale

mario pezzati
mario pezzati
11 anni fa

@ studente: ultimo pezzo….
e questo riguarda monti e la spesa pubblica…

Dire che il problema non è il deficit pubblico, come fanno alcuni, significa sviare il problema senza indagarne le cause. Il punto è: come è originato questo deficit? Che natura ha questo deficit? Se è un deficit per investimenti produttivi, ben venga. Ma se è un deficit per foraggiare rendite parassitarie, allora non ci sarà mai una vera ripresa.
Per alcuni Monti sta cercando una svalutazione del salario tramite disoccupazione, ma secondo me, chi afferma ciò, sbaglia clamorosamente. L’intervento pubblico c’e stato in passato, c’è e ci sarà. In fondo quando monti rilancia le infrastrutture usando i fondi FAS, non è forse intervento (e spesa) pubblico? Il punto è portare avanti le liberalizzazioni e semplificaziopni chieste da imprenditori e cittadini (e Monti lo sta facendo seppur tra mille problemi) e soprattutto riqualificare la spesa pubblica passando da una spesa improduttiva, ad una spesa produttiva. E qui il problema è enorme, perché bisogna cambiare la mentalità degli Italiani. In Italia il tempo dedicato al lavoro è visto come un sacrificio, come tempo rubato alla vita, come un sopruso perché altrimenti potremmo vivere una vita migliroe e più piena. Negli altri paesi, forse per l’influsso del pensiero calvinista e protestante, il concetto è diverso: il lavoro è visto come una benedizione, come tempo speso bene e in maniera produttiva, come qualcosa che ti rende orgoglioso di quello che fai e proprio per questo motivo sei stimolato a farlo al meglio.
In Italia, il punto non è il diritto al lavoro, che è sacrosanto, ma il diritto allo stipendio. Con questo non intendo che dobbiamo lavorare gratis. Assolutamente no. Ma se noi parliamo di diritto al lavoro, noi parliamo di una attività per la quale riceviamo uno stipendio. In altre parole nel momento in cui parliamo di diritto al lavoro, in senso pieno, noi incentriamo il discorso sul fatto che riceviamo uno stipendio in cambio di una nostra controprestazione (il lavoro appunto) che deve essere svolta al meglio. Oggi molti parlano di diritto al lavoro, ma in realtà intendono diritto allo stipendio, senza considerare la controprestazione lavorativa, e quindi passiamo dal concetto di reddito a quello di rendita, ovvero, percepisco del denaro indipendentmente dalla mia attività lavorativa.
E questo non va.
Altro punto è la riqualificazione della spesa pubblica. E a tal proposito ti invito a leggere un libro di circa 5 anni fa, scritto da Geminello Alvi e intitolato “una repubblica fondata sulle rendite”, dove troverai dei dati interessanti (oltrea d alcuni capitoli antieuropeisti che ti piaceranno). Analizziamone qualcuno.
Nel 2004 in italia vi erano 17,5 milioni di lavoratori. Di questi, 3,5 milioni erano lavoratori statali. Restano 14 milioni di alvoratori. A questi rapportiamo una cifra: 16 milioni e trecentomila. Bel numero, vero? Ebbene, erano, nel 2004, i pensionati. Significa che per ogni lavoratore non statale, vi erano 1,2 pensionati con un ammontare medio lordo di 12.039 euro. Se noi togliamo i dipendenti statali vediamo che i pensionati, nel 2004, erano più dei lavoratori. Queste sono le cifre ufficiali. E non è finita qui. Di questi 16,3 milioni di pensionati, 4 milioni e novecentomila erano pensionati tra i 40 e i 64 anni (età che dovunque è considerata lavorativa,da noi invece già buona per la pensione) e questo porta ad un fatto: il tasso di occupazione della nostra economia nella fascia di età tra i 55 e i 64 anni arriva solo al 30,5% (dati del 2004), quello generale è di 17,1 punti al disotto dei danesi e di 2,1 punti inferiroe persino ai greci. Chi lavora? Al 90% lavoravano i maschi tra 35 e 54 anni, e meno della metà delle donne. Ma torniamo alle pensioni. Se togliamo 4,9 milioni da 16,3 milioni di pensionati e rapportiamo di nuovo i pensionati ai lavoratori non statali otteniamo 0,8 pensionati per lavoratore. Ovviamente la differenza tra ai contributi e le pensioni erogate, chi le pagava? Lo stato che nel 2004 trasferì all’INPS il 5,1% del PIL. Oltre ai contributi, insomma, gli attivi pagano agli inattivi, in rendite sussidiate, l’equivalente di 1.600.000 salari lordi, l’11% di tutti i salari produttivi.
Nei commenti passati ti ho parlato di produttività: ebbene nel 2004 vi erano 5.370.000 occupati nell’industria. Ebbene questo numero era abnorme se lo paragoniamo a Francia e Inghilterra: avevamo circa il 25% de i lavoratori italiani impiegati nell’industria, mentre in Francia e Inghilterra tale percentuale scendeva al 20%, con una produzione quantitativa paragonabile alla nostra: significa che quella differenza del 5% era dovuta alla nostra minore produttività ed efficienza. Inefficienza, che riguarda anche altri settori: nel 2004 Germania, Francia e Gran Bretagna vedono che l’11% della popolazione lavorativa ha la partita iva; da noi la percentuale era del 25% (più che in Portogallo e Grecia); siamo il paese delle consulenze, soprattutto delle consulenze fornite al settore pubblico, ma non si sa per cosa (forse che tra 3,5 milioni di dipendenti statali non vi siano persone con competenze pari a questi consulenti esterni? Mistero). Questa differenza di produttività si vede nel confronto tra i profitti delle imprese: le grandi hanno profitti maggiori (pur pagando stipendi in media più alti) delle piccole, anzi per quantificare tale dislivello, si sappia che le prima hanno un profitto pari al 40,5% sul valore aggiunto, mentre le piccole imprese hanno il 20,5% e sono al di sotto della redditività media europea. La retorica politica, vuole che tra il 1992 e il 1998 si risanasse l’Italia. Tutte balle, perché il risanamento fu dovuto ad un notevole risparmio negli interessi pagati dallo Stato per le manovre che ci hanno portati nell’euro: da una spesa per interessi pari al 12,6% del PIL, si passa, nel 1998 all’8%, ovvero quasi 5 punti percentuali in meno. La spesa corrente era calata, invece, solo dell’1,4%
Passiamo allo Stato italiano, anzi ai dipendenti statali. Premetto che mia madre è una 71enne ex insegnate, in pensione e lo dico per togliere ogni dubbio: quello che dirò non è per pregiudizio. Ebbene prendiamo i dati del 1993 e quelli del 2004, osserviamo che la spesa per stipendi pubblici è rimasta inalterata al netto della inflazione e anzi i dipendenti pubblici sono cresciuti, mentre in altri settori come poste e telecomunicazioni si è provveduto a tagliare. Anzi se i dipendenti statali avessero seguito il percorso di Poste e telecomunicazioni, sarebbero dovuti calare di circa 700.000 unità, e invece aumentano di 100.000 unità. Il reddito da lavoro dipendente pubblico nel 1995 era maggiore del 16% rispetto al privato; nel 2003 il vantaggio sale al 37% (cioè, per dire, se il dipendente privato prende uno stipendio pari a 100, il dipendente pubblico prende, in media, 137).
Questi sono i mali dell’Italia e, dati ISTAT e internazionali alla mano, la realtà non è molto cambiata dal 2004 ad oggi, se non in peggio a causa della concorrenza internazionale.

kthrcds
kthrcds
11 anni fa

A mio modo di vedere, uscire dall’euro non comporterebbe conseguenze più traumatiche di quelle che subiremo rimanendovi ad oltranza, nonostante i segnali del suo fallimento siano evidenti ai più sin dall’estate scorsa. Che l’EZ non funzioni, e stia producendo più danni che benefici, è opinione condivisa da centinaia tra studiosi, economisti, accademici nazionali e internazionali, come, ad esempio, Lidia Undiemi, Claudio Borghi Aquilini, Alberto Bagnai, Paolo Savona, Nino Galloni, Giovanni Zibordi, Sergio Cesaratto, Emiliano Brancaccio, Gennaro Zezza, Andrea Mazzalai, Bruno Amoroso, e altri ancora, tra cui il Nobel Joseph Stiglitz, Wolfgang Münchau, economista e fondatore del quotidiano Financial Times Deutchland, Daniel Cloud docente di filosofia all’Università di Princeton, e socio fondatore degli hedge fund Firebird Fund Management e Capital Management Quantrarian, Peter Bofinger, uno dei cinque saggi economisti del governo Merkel, Paul De Grauwe della London School of Economics, e decine di altri.

Anche volendosi sforzare, una nazione di 60 mln di persone come l’Italia, con ancora settori industriali di eccellenza come Nuovo pignone, Finmeccanica, Ansaldo, ecc., sede del più completo arsenale militare Usa fuori dai loro confini, non sarebbe condannata all’isolamento totale per la semplice ragione che, euro o non euro, è un mercato ed un alleato strategico dell’occidente troppo importante per essere “isolato”.
Siamo al quinto anno di crisi, e la situazione della Grecia dovrebbe aver reso evidente che una ristretta élite di avidi e annoiati miliardari si è attribuita la missione di far vivere l’inferno su questa terra a milioni di persone, a colpi di “spread”, e altri artifici tecnici e retorici su cui la maggior parte della popolazione non ha alcun controllo.
Per anni schiere di “esperti” in materie economiche hanno ripetuto incessantemente sui principali media che l’Ue e l’euro ci avrebbero garantito un futuro di benessere e serenità. Non deve stupire
che le cose siano andate in maniera opposta, dal momento che tali esperti sono stati rigorosamente selezionati tra i corifei di quel liberismo che, dopo aver distrutto le economie di un paio di continenti, sta per mandare in rovina anche l’Europa tramite l’adozione dell’euro e l’implementazione delle stupide regole che stanno alla base dei trattati di Maastricht e di Lisbona. Dopo averli ascoltati in tanti talk show tv, mi sono finalmente reso conto che la verità si trova molto spesso dalla parte opposta a quella da loro indicata. Così ho smesso di prenderli sul serio ed ho iniziato a documentarmi sulle centinaia di valide fonti che internet ci mette a disposizione. E si è rafforzata la mia convinzione che la soluzione dei nostri problemi non potrà venire da chi è convinto, come i liberisti, che ci sia una ricetta unica valida per tutti i periodi e a tutte le latitudini, e che l’euro è “irreversibile”.

Carlo
Carlo
11 anni fa

Quanti bei luoghi comuni,
io ne aggiungo un altro,
se si torna lla lira,mi cadranno i capelli,
risparmierò di barbiere,ma spenderò di parrucche.

Quello che ho detto io ha lo stesso valore di tutte le cavolate che ha detto lei.

Dove sono i dati,le tabelle i grafici,per dimostrare quello che dice ??
Con le sue chiacchiere da bar,dimostra ignoranza,oppure è in malafede.
Prima di scrivere articoli,si informi,e non sul corriere di Topolinia per cortesia,la rete è piena di persone intelligenti che ne sanno di economia,viceversa è piena anche di persone come lei.
Un saluto

mario pezzati
mario pezzati
11 anni fa

@carlo: per l’argentina, controlli pure le tabelle del commercio mondiale e le dichiarazioni della stessa argentina. per quanto riguarda il discorso sull’inflazione, le potrei dire di studiarsi qualche libro, ma per lei sarebbe troppo faticoso. le basta se le cito roubini e stiglitz? anche loro riconoscono che l’uscita dall’euro comporterebbe una inflazione altissima. se non le basta questo, la invito a studiarsi un pò di storia, vi sono molti esempi di dinamiche di iperinflazione, tra cui l’italia degli anni ’80. se vuole dati, potrà trovarne a iosa, anche tra i commenti.

Francesco
Francesco
11 anni fa

Egregio Sign Pezzati,

innanzitutto la ringrazio per la precisa e puntuale esposizione che riesce a mettere a proprio agio anche i lettori che come me non sono assolutamente esperti in economia.
La mia formazione è, infatti prettamente scientifica, e quello che vado a presentarle qui di seguito vuole essere il ragionamento di una persona di media cultura e media intelligenza (per intenderci l’elettore medio).

Punto 1
la conoscenza dei fenomeni, siano essi fisici, chimici, o economici passa attraverso l’osservazione di essi stessi e si conclude con la formulazione di leggi che “governano” tali fenomeni. Pensiamo alla legge Domanda-Offerta che regola i prezzi di un prodotto.

Punto 2
La formulazione di tali leggi è lo strumento che permette agli scienziati, ma anche agli economisti di fare delle previsioni e, quindi prendere delle decisioni operando scelte precise.

Punto 3
Le leggi formulate dagli esperti devono essere affidabili, se domani ci trovassimo davanti ad un masso che lasciato a se stesso non precipitasse ma venisse espulso verso l’alto, occorrerebbe mettere in discussione la legge di gravitazione cercando di capire il motivo per cui in quell’occasione, anche fosse una sola occasione, la teoria non abbia funzionato

Punto 4
se un fenomeno reale smentisce la legge teorizzata dagli esperti, quest’ultima non dovrebbe essere utilizzata per “predire” almeno fino a quanto non si sono sciolti tutti i dubbi su di essa.
Fino a quel momento infatti la teoria sarebbe del tutto OPINABILE.

Punto 5
Una legge da lei esposta, come da molti altri economisti, regola il rapporto tra svalutazione della moneta ed inflazione.
” Per effetto della svalutazione, infatti, i prezzi delle materie prime aumentano…” Nei primi mesi di vita dell’euro c’è stata una svalutazione dell’euro rispetto al dollaro di quasi il 30%, ma il prezzo del petrolio non è salito del 30% a e l’incremento di inflazione registrato era inferiore ad un punto percentuale o poco più.

Punto 6
Sembrerebbe che la suddetta legge da lei formulata in quel caso abbia fallito nel predire un fenomeno inflattivo.
PER QUALE MOTIVO L’INFLAZIONE E” STATA DI GRAN LUNGA INFERIORE ALLA SVALUTAZIONE?
In assenza di una risposta la teoria va sospesa e non deve essere utilizzata perché inattendibile

Punto 7
potrei fare molti altri esempi di leggi poco attendibili e di eminenti economisti che sono in totale disaccordo su vari fenomeni economici.
Il che ci porta ad una situazione di OPINABILITA’

Punto 8
Ciò che invece non è opinabile è che siamo all’interno di una tempesta fatta di speculazione, debito e spread ma non sappiamo in che direzione andare, non potendo fare previsioni siamo ciechi e sordi: Opinabile sbattere a destra o sbattere a sinistra, lanciarsi col paracadute o sperare in un atterraggio di fortuna (EURO – LIRA)

Punto 9
Siamo in mezzo ad una tempesta, ma siamo anche nudi, non abbiamo moneta ed abbiamo rinunciato a molta della nostra sovranità.
I trattati comunitari prevalgono sulla nostra stessa costituzione qualora in disaccordo

Punto 10
Sulla tempesta non possiamo farci nulla, siamo ciechi e sordi perché i nostri esperti in economia ci forniscono solo leggi opinabili.
PERCHE’ NON DOVREMMO RIPRENDERCI SOVRANITA’ E MONETA? QUANTOMENO NON SAREMMO NUDI E DISARMATI DI FRONTE ALLA TEMPESTA.

Punto 11
Nella fattispecie facendo appello alle mie misere conoscenze di economia:
USCITA DALL’EURO ==> Posso spendere a debito. Aumento i miei spazi di manovra. Adesso ho una palla al piede.
IL DEBITO PUBBLICO SI TRIPLICA NOMINALMENTE ==> stampo moneta
INFLAZIONE ECCESSIVA ==> tolgo del denaro circolante tramite tasse
NESSUNO VUOL COMPERARE IL DEBITO ==> Continuo ad indebitarmi a tassi elevati con gli italiani riportando a casa il debito
IL PROBLEMA DEI CONTRATTI IN EURO (Es MUTUI) ==> Stampo moneta aiutando le famiglie ad estinguere il debito e non le banche.
GLI SPECULATORI CI ATTACCANO FACENDO SVALUTARE LA NOSTRA MONETA ==> stampo ancora, dal 15 agosto del 1971 non siamo legati da nessun vincolo, posso andare avanti all’infinito creando una bolla che si rivolterà contro lo stesso sistema finanziario (PAZIENZA)

La ringrazio in anticipo e le sarò estremamente grato se vorrà onorarmi di una sua risposta, andando, ovviamente a dipanare i miei dubbi.

Grazie
Francesco

mario pezzati
mario pezzati
11 anni fa

@ francesco: le sue obiezioni sono corrette e condivisbili in molti punti, e mi permettono di approfondire alcuni argomenti.
Il fenomeno inflattivo dovuto alla svalutazione ha, storicamente, molte prove, la più eclatante sarebbe quella dell’immediato dopo guerra dove una inflazione a 3 cifre, portò ad una perdita del potere d’acquisto della lira e conseguente svalutazione. Altro fenomeno lo si ebbe più recentemente con l’Argentina 8anche se qui poi vi foruono altri fattori).
Il fenomeno che dice lei è corretto nella’analisi degli effetti, non delle cause, in quel periodo (parliamo della seconda metà del 2000 e tutto il 2001), si andò a verificare un duplice fenomeno: da un lato abbiamo una crisi legata allo scoppio della bolla speculativa legata all’High Tech e che comportò un rallentamento dell’inflazione, dall’altro una politica monetaria restrittiva da aprte della BCE che tenne ferma l’inflazione. Ma quello che tenen davvero giù l’inflazione fu l’aumento di capacità produttiva legata alla trasformazione tecnolgoica che era partita dagli USA e arrivò in Europa.

Il punto 11 da lei enunciato, lo trovo criticabile. Io sono convinto di una cosa (e magari sbaglierò), io posso spendere a debito, finche gli altri lo accettano, ma se io divento un pagatore cattivo, allora i miei fornitori mi chiudono i rubinetti. La soluzione può essere stamapre moneta ad libitum? Potrebbe, ma consideriamo per un istante la moneta come merce. Quale è il suo valore? Il valore di una merce è legato principalmente al suo valore d’uso e alla sua “rarità” (semplifico un pò per brevità). Se io stampo moneta, quest’ultima perde l’effetto rarità e quindi perde valore.
Arrivando ad estremizzare quanto detto sopra, se stamiamo moneta all’infinito, il valore delal moneta tenderà anch’esso a zero (è il motivo per cui molte nazioni, quando fanno scambi con l’estero, invece che con la loro moneta pagano con una moneta terza, di solito dollaro, euro, o yen).

Infine chiudo ricordando che lo stesso Krugman e roubini hanno affermato che l’uscita dall’euro dell’italia avrebbe l’effetto di svalutare enormemente la neonata lira, e di favorire principalmente chi ha capitali all’estero (che resterebbero denominati in euro).

Francesco
Francesco
11 anni fa

Gentilissimo Sig Pezzati,

Innanzitutto la ringrazio per l’attenzione ed il tempo che mi ha dedicato nel rispondermi. Un’altro merito che sicuramente le va riconosciuto è quello di mettere a disposizione dei cittadini la sua competenza su un sito che, intriso di una rilevanza politica di alto profilo, aiuta gli elettori ad orientarsi in questo marasma.

Mi Rimane tuttavia un dubbio che mi permetto di esporle.



il premio Nobel da lei citato Krugman ha sì detto che ci sarebbe stata una significativa svalutazione della moneta, ma – nello stesso tempo – in un intervista rilasciata alcuni mesi fa ( di cui riporto il link http://www.youtube.com/watch?v=pQuLxig1TwI ) affermava che vi sono due soli modi per uscire dalla crisi:

1) creare un’unione politica europea e fare della BCE un prestatore di ultima istanza ( Io non ce li vede i tedeschi, almeno nel breve termine, a pagare per i nostri debiti)

2) uscire dall’euro inflazionando il sistema in modo da far ripartire l’economia testualmente augurava “un inflazione del 4%” ( Anche questa situazione avrebbe dei risvoloti diplomatici da non sottovalutare).

Quello che però escludeva categoricamente è che una politica deflazionistica fatta di rigore ed austerità potesse aiutare l’Italia (e gli altri paesi del sud Europa) ad uscire dalla crisi.
Aggiungeva inoltre che le soluzioni da lui proposte dovevano essere poste in essere nel brevissimo tempo.

—-

Ammetto di essere ancora più confuso di prima, SICURAMENTE ESISTE LA POSSIBILITA CHE IO ABBIA MALE INTERPRETATO IL PENSIERO ESPOSTO DAL PROFESSORE, ma se così non fosse riprecipito nel disorientamento più totale.

non essendo d’altronde un addetto ai lavori trovo veramente ardui questi concetti, in fisica è tutto più semplice: l’analisi infinitesimale mi garantisce che se possedessi un numero infinito di monete il cui valore tende a zero potrei comunuque essere più ricco di zio paperone. (ovvero potrei stampare danaro all’infinito senza nè aumentare nè diminuire la mia ricchezza)

I concetti economici professati in questo periodo, accessibili a pochi eletti, sembrano quasi consacrare druidi di un era moderna in giacca e cravatta che non leggono più le stelle o le interiora degli animali, ma scrutando UMORE dei mercati, riescono ad evocare quel senso di autorevolezza, imperscrutabilità ed infallibilità che lasciano impotente e distaccato il cittadino, rendendolo sempre meno partecipe della vita pubblica e meno artefice del proprio destino.

Le assicuro che, sebbene la metafora possa sembrare irrivirente mi sento davvero preoccupato come elettore, ci siamo affidati al milgior chirugo in circolazione (l’idea del medico meno irriverente di quella del druido) ..
ma…
se dopo un interveto perfettamente riuscito il paziente morisse perchè l’apparato su cui intervenire fosse un’altro?

PERCHE’ CONTINUARE COL RIGORE E NON RINEGOZIARE IL FISCAL COMPACT?

PERCHE’ PAVENTARE L’IPOTESI DI UNA PRIVATIZZAZIONE DELLA SANITA’ SE NON SI E’ STATI IN GRADO DI REGOLARE LE FREQUENZE TV?

DA DOVE PRENDEREMO IL GETTITO SE LA DISOCCUPAZIONE AUMENTA E NON METTIAMO LE AZIENDE IN GRADO DI ASSUMERE?

RIFINANZIARE LE BANCHE, SENZA PRENTENDERE UNA DISTINZIONE TRA BANCHE DI INVESTIMENTO E BANCHE DI DEPOSITO?

SOTTOPORCI A DEI SALASSI SENZA PRETENDERE LA REGOLAMENTAZIONE DEI DERIVATI?

Il paragone col chirurgo è presto fatto: SISTEMO IL PROBLEMA FINANZIARIO MENTRE L’APPARATO ECONOMICO PRODUTTIVO MUORE…

le chiedo, in tutta onestà intellettuale se sono davvero populismi o .. anche questa è economia?

Concludo ringraziandola nuovamente

Sento davvero una grossa responsabilità nel prendere in mano la penna con cui inciderò nel mio piccolo, sulla scheda elettorale, il futuro dell’Italia e forse dell’Europa.

Francesco

Francesco
Francesco
11 anni fa

Gentilissimo Sig Pezzati,

Innanzitutto la ringrazio per l’attenzione ed il tempo che mi ha dedicato nel rispondermi, un’altro merito che sicuramente le va riconosciuto è quello di mettere a disposizione dei cittadini la sua competenza su un sito che, intriso di una rilevanza politica di alto profilo, aiuta gli elettori ad orientarsi in questo marasma.

Mi Rimane tuttavia un dubbio che mi permetto di esporle.


il premio Nobel da lei citato Krugman ha sì detto che ci sarebbe stata una significativa svalutazione della moneta, ma – nello stesso tempo – in un intervista rilasciata alcuni mesi fa ( di cui riporto il link http://www.youtube.com/watch?v=pQuLxig1TwI ) affermava che vi sono due soli modi per uscire dalla crisi:

1) creare un’unione politica europea e fare della BCE un prestatore di ultima istanza ( Io non ce li vede i tedeschi, almeno nel breve termine, a pagare per i nostri debiti)
2) uscire dall’euro inflazionando il sistema in modo da far ripartire l’economia testualmente augurava “un inflazione del 4%” ( Anche questa situazione avrebbe dei risvoloti diplomatici da non sottovalutare).

Quello che però escludeva categoricamente è che una politica deflazionistica fatta di rigore ed austerità potesse aiutare l’Italia (e gli altri paesi del sud Europa) ad uscire dalla crisi. Aggiungeva inoltre che le soluzioni da lui proposte dovevano essere poste in essere nel brevissimo tempo.

—-

Ammetto di essere ancora più confuso di prima, SICURAMENTE ESISTE LA POSSIBILITA CHE IO ABBIA MALE INTERPRETATO IL PENSIERO ESPOSTO DAL PROFESSORE, ma se così non fosse riprecipito nel disorientamento più totale.

non essendo d’altronde un addetto ai lavori trovo veramente ardui questi concetti, in fisica è tutto più semplice: l’analisi infinitesimale mi garantisce che se possedessi un numero infinito di monete il cui valore tende a zero potrei comunuque essere più ricco di zio paperone.

I concetti economici professati in questo periodo, accessibili a pochi eletti, sembrano quasi consacrare druidi di un era moderna in giacca e cravatta che non leggono le stelle o le interiora degli animali, ma scrutando UMORE dei mercati, riescono ad evocare quel senso di autorevolezza, imperscrutabilità ed infallibilità che lasciano impotente e distaccato il cittadino, rendendolo sempre meno partecipe della vita pubblica e meno artefice del proprio destino.

Le assicuro che, sebbene la metafora possa sembrare irrivirente mi sento davvero preoccupato come elettore, ci siamo affidati al milgior chirugo in circolazione (l’idea del medico meno irriverente di quella del druido) ma se dopo un interveto perfettamente riuscito il paziente muore… perchè l’apparato su cui intervenire era un’altro??

PERCHE’ CONTINUARE COL RIGORE E NON RINEGOZIARE IL FISCAL COMPACT?
PERCHE’ PAVENTARE L’IPOTESI DI UNA PRIVATIZZAZIONE DELLA SANITA’ SE NON SI E’ STATI IN GRADO DI REGOLARE LE FREQUENZE TV?
DA DOVE PRENDEREMO IL GETTITO SE LA DISOCCUPAZIONE AUMENTA E NON METTIAMO LE AZIENDE IN GRADO DI ASSUMERE?

Il paragone col chirurgo è presto fatto: SISTEMO IL PROBLEMA FINANZIARIO MENTRE L’APPARATO ECONOMICO PRODUTTIVO MUORE…

le chiedo, in tutta onestà intellettuale sono davvero populismi o .. anche questa è economia

Concludo ringraziandola nuovamente

Sento davvero una grossa responsabilità nel prendere in mano la penna con cui inciderò nel mio piccolo, sulla scheda elettorale, il futuro dell’Italia e forse dell’Europa.

Francesco

mario pezzati
mario pezzati
11 anni fa

@ Francesco: il problema è che l’economia è una “scienza sociale” e, come tutte le scienze sociali ha un certo grado di indeterminatezza, che invece non troviamo (per fortuna) in altre scienze (mi riferisco in primis alla fisica, dove a parità di condizioni, il risultato sarà sempre uno ed uno soltanto).
detto questo, il fiscal compact siglato da Monti fu negoziato e approvato da Berlusconi in data 24 marzo 2011. Successivamente Monti lo ha ratificato una volta che era stato ratificato dai vari parlamenti europei e si erano risolti alcuni problemi legati ad alcune tecnicalità.
E’ vero che il fiscal compact sarebbe da rivedere. Infatti Monti ha chiesto e ottenuto che l’UE votasse a favore dello scorporo delle spese per investimenti. In altre parole: se lo stato spende per realizzar einvestimenti produttivi, questi soldi non vengono contegiati nelle grandezze esaminate dal fiscal compact. SIgnifica quindi fare una netta seprazione tra ciò che è produttivo e ciò che non lo è: se lo stato realizza una strada è un investimento produttivo, se invece eroga un contirbuto a pioggia e genericamente, allroa è spreco di denaro pubblico.

Su Krugman: ripeto, il suo impianto è corretto, anche se , secondo me, un pò troppo teorico. sa qule è il mio vero timore? che nel caso di una politica statale di indebitamento (cosa ben diversa da BCE che si rende garante del debito statale a fronte di precisi piani di drientro) noi italaini ci adagiamo. Ho paura che con la possibilità di indebitarsi senza fine, noi italaini rinunciamo a gareggiare sulla competitività. Questo è stato uno dei mali degli anni 80 che si fanno sentire tutt’oggi e che hanno creato il debito pubblico italiano odierno.
Cosa si è fatto in questi anni per risolvere questa situazione? Poco o nulla. Siamo nesti e ammettiamolo. Spesso la politica ha cercato la via più semplice e badando solo al tornaconto elettorale (penso alle quote latte per le quali abbiamo pagato multe su multe, solo per difendere meno del 10% dei produttori che avevano sforato le quote e votavano lega); penso alla vicenda alitalia; penso al mancato taglio delle province. Sono esempi in cui è palese il viziaccio italiano della ricerca della via più facile e di contentare tutti. Oppure di cercare la scappatoia per al quale sono altri a apgare, e qui penso all’acquisto di cacciabombardieri F35 effettuato nel 2009 da berlusconi, la cui fattura è giunta però ora, ostringendo il govenro attuale ad onorare questo contratto.

se mi concede infine di tirarmela un poco, la invito a vedere questo link: https://www.pierferdinandocasini.it/2012/09/03/spesa-pubblica-e-produttivita/ che parla di spesa pubblica, dipendenti pubblici e produttività

e quest’altro link: https://www.pierferdinandocasini.it/2012/09/19/i-finanziamenti-pubblici-ci-sono-ma-gli-italiani-non-sanno-usarli/ sui finanziamenti pubblici e il pessimo utilizzo che ne fanno gli italiani.
(e sia chiaro: quando parlo di italiani, intendo me stesso in primis…sono italaino ed orgoglioso di esserlo nel bene e nel male).

guido
guido
11 anni fa

La lista Monti punta a completare l’opera iniziata a garanzia dei poteri forti. Il loro scopo? Diventare determinanti al Senato, indebolendo il Pd ed estromettendo Sel. C’è solo da augurarsi una Caporetto dei “tecnici dello strozzinaggio fiscale”
Per quasi un ventennio, la sinistra ha avuto il suo nemico di elezione nel Cavalier Berlusconi, giungendo a forme di odio feroce ed irrazionale. Sicuramente, c’erano ottime ragioni per detestarlo: per la sua volgarità, il suo cinismo, la sua assenza del benché minimo scrupolo morale, per il suo malcelato odio per la cultura, per il suo debordante egocentrismo, per il suo autoritarismo e potremmo proseguire anche per tutta la pagina. Il punto è che l’odio è un pessimo consigliere, soprattutto in politica. Impedisce di valutare razionalmente le cose ed ha una serie di “effetti collaterali” del tutto indesiderabili.
Uno di essi è la “rivalutazione per riflesso” di altri soggetti, che non sono affatto migliori di quello odiato, ma che lo diventano perché li si vede come potenziali alleati. A beneficiare di questo irragionevole credito è stata spesso la Lega (in particolare dal suo “ribaltone” del 1995) a lungo vezzeggiata, corteggiata e mai seriamente combattuta per il suo ruolo eversivo e reazionario. Anzi, la sinistra ha finito con l’esserle subalterna, mutuandone interi pezzi di cultura politica, come dimostra la sorprendente conversione al “federalismo” che produsse la scellerata riforma del Titolo V della Costituzione, voluta dal governo Prodi.
In tempi più recenti, a beneficiare della “rivalutazione per riflesso” è stato Mario Monti ed il suo governo di commessi del Gran Capitale, impropriamente definiti “Tecnici”. Nei suoi tredici mesi di vita il governo Monti ha realizzato più contro-riforme di quante ne abbiano prodotte gli otto anni dei governi Berlusconi (dalle pensioni, all’articolo 18 della l. 300, per citare solo i casi più noti). Soprattutto, il governo dei bocconiani ha imposto una politica economica di brutale esazione fiscale e taglio della spesa sociale, che non ha precedenti nella storia dell’Italia repubblicana.
Tutti questi provvedimenti sono stati sostenuti dall’appoggio del Pd, molto più convinto ed acritico di quello del Pdl che, almeno, esibiva una calcolata ritrosia. Bersani non ha esitato neppure a mettersi contro la Cgil, ma questo non ha evitato il paradosso per il quale la maggioranza degli italiani hanno percepito il governo Monti come un governo “di sinistra”. In questo rovesciamento del senso -colpevolmente assecondato dal gruppo dirigente del Pd- la sinistra moderatissima di Fassina e Vendola sarebbe conservatrice, mentre il “riformismo” sarebbe rappresentato dal verbo liberista della feroce disuguaglianza sociale. Anzi Monti si definisce non “moderato” ma un “riformista radicale”, ed ha qualche ragione, perché lui ed i suoi non sono moderati: sono i “talebani del Capitale”. Gli esponenti di questo governo di pretesi tecnocrati hanno ripetutamente offerto la prova della loro qualità umana con battute come quella sugli “sfigati che a 28 anni non sono laureati” o i “giovani troppo choosy”, che rivelano l’arroganza del privilegio contrabbandato per merito.

Colpisce che il gruppo dirigente del Pd non abbia colto tutto questo e non abbia provato nessuna ripugnanza per questi compagni di viaggio.

Oggi il maggiore partito della sinistra -candidato quasi sicuro alla vittoria- non esita a far sua l’agenda Monti e promettere quelle stesse “riforme”.

Monti ha goduto di un eccezionale riflesso psicologico a suo favore: al suo comparire, è parso come il “liberatore” che ha cacciato Berlusconi da palazzo Chigi e tutta la tifoseria anti berlusconiana gli ha volentieri perdonato molte colpe. Ma, diciamocelo, per quanto fosse infima la qualità della corte berlusconiana, i “bocconiani” sono molto più spregevoli. E, lo sguaiato populismo berlusconiano è cento volte preferibile all’algido odio di classe di questi lacchè delle banche. Berlusconi non ha mai usato i toni sprezzanti di una Fornero o di un Martone, perché è uomo che viene dal nulla e si è fatto da solo -lasciamo stare come!-, i montiani sono nati nella bambagia e sono convinti che questo sia un merito. Cosa ne sanno questi signorini di cosa significa studiare la notte perché di giorno bisogna fare tre mestieri precari, per mettere insieme qualche centinaio di euro? Hanno idea di che significa fare un concorso senza nessuna spinta e vedersi passare avanti fior di bestie blasonate? Hanno mai provato la durezza della fatica o il maltrattamento di un caporeparto isterico? Sanno cosa significa far le capriole per pagare un mutuo? E, allora, di che merito parlano?

Dunque, non ci fossero altre ragioni per individuare nella lista Monti il primo nemico da battere, basterebbero queste di natura antropologica. Ma ce ne sono anche di ordine più propriamente politico: il “montismo” (dedicheremo diversi pezzi all’analisi critica della sua “agenda”) è anche una linea di politica economica che ci porta dritti alla catastrofe. In 13 mesi di governo, abbiamo registrato una recessione di oltre due punti che, per riflesso, ha portato il debito al 126% del Pil dal 121% iniziale. Non sembrano dati di cui andar fieri e tutte le previsioni dicono che nel 2013 saremo ancora in caduta: nonostante la grandinata fiscale, la situazione non è migliorata ma peggiorata. Unico risultato “positivo”, ampiamente sbandierato con la compiacenza di tutta la stampa di regime, l’abbassamento dello spread dai vertici toccati nel novembre 2011. Un risultato tutto sommato modesto (il picco di quasi 600 era con ogni evidenza eccezionale mentre bisognerebbe avere come parametro un valore più “medio” di quel periodo che oscillava fra i 400 ed i 480) se si considera che ci si è attestati intorno ai 300 punti (cioè 100-150 in meno rispetto alla media dell’autunno precedente) e che questo è rimasto sensibilmente al di sopra dei valori del periodo precedente alla crisi di ottobre-novembre 2011.

Ma, soprattutto, un risultato solo in parte ascrivibile a merito di Monti, perché hanno inciso altri due fattori: la copiosa emissione di liquidità della Bce e la “tregua elettorale” dei mercati finanziari in attesa delle elezioni prima francesi e poi americane. Vedremo ora come evolverà la situazione. Nel frattempo osserviamo che il debito è tutto là, intatto, e la torchiatura fiscale è servita essenzialmente a pagare gli interessi.

Possiamo parlare di fallimento del governo Monti? Si e no. Certamente si se l’obbiettivo era quello dichiarato: risanare le finanze pubbliche italiane e rimettere in moto la crescita economica. Ma era davvero questo l’obiettivo o si trattava solo della copertura di ben altro fine? Se quello che si cercava era la garanzia dei creditori, la stabilizzazione dell’Euro, del sistema di potere attuale ed, in particolare, la salvaguardia degli interessi tedeschi, non si può dire che il governo Monti abbia fallito; anzi, per ora l’obbiettivo è raggiunto, anche se questo ha significato il massacro della nostra economia -ma cosa volete che gliene importi?-.

Ora la lista Monti punta a completare l’opera iniziata a garanzia dei poteri forti: loro sanno perfettamente di non avere alcuna speranza di vincere alla Camera e sarebbe già un clamoroso risultato (ad oggi molto distante dalla realtà) se arrivassero secondi e non terzi. Lo scopo è un altro: diventare determinanti al Senato, dove si spera che la coalizione di Bersani non conquisti la maggioranza. Il bersaglio ulteriore è quello di ottenere un numero di seggi che renda irrilevante Sel che, così potrebbe essere sbarcata, per consentire un pieno accordo Pd-Monti. E per questo secondo esito occorrerebbe conquistare una ventina di seggi a Palazzo Madama.

Considerato che:

a. nelle regioni minori (Val d’Aosta, Liguria, Trentino, Marche, Umbria, Abruzzo, Molise, Basilicata e Sardegna) occorrerebbe ottenere ben di più dell’8% e che si tratta di regioni di debole insediamento dei montiani

b. che salvo, una sorpresa siciliana, il centro-destra montiano non dovrebbe conquistare il premio di maggioranza in nessuna regione

questo significa che occorrerebbe prendere mediamente 1,75 senatori nelle restanti 12 regioni, cioè una media del 16-17% dei voti opportunamente distribuiti. Un risultato possibile ma non facilissimo, anzi… Però è evidente che la lista unica del centro ci proverà.

Dunque: la vittoria parziale sarebbe un Pd privo di maggioranza al Senato costretto ad allearsi, ed una vittoria piena rendere non determinante Sel. Vice versa, vediamo quali sarebbero i livelli al di sotto dei quali si potrebbe parlare di sconfitta o di disastro del centro.

Ovviamente, se Pd e Sel fossero autosufficienti anche al Senato, questo significherebbe che l’obiettivo principale è stato mancato -almeno per il momento-. Ma, se questo dipendesse da un crack della destra e ad una buona affermazione del centro (poniamo un 20-22% che rappresenta una raccolta all’80% dell’elettorato potenziale, un risultato altissimo) si tratterebbe pur sempre di una vittoria, perché questo significherebbe che il gruppo montiano si avvia a sorpassare la coalizione berlusconiana, candidandosi così alla guida della destra. Inoltre, il centro-destra montiano potrebbe sedersi sulla riva del fiume ad aspettare che passi il cadavere di Bersani: a consegnarglielo potrebbe essere una offensiva dei “mercati” paragonabile a quella dell’autunno 2011 o le fratture interne alla coalizione (non importa se sulla destra ad opera dei renzian-montiani o sulla sinistra ad opera di Vendola e Fassina).

Se, invece, il risultato dovesse attestarsi al di sotto del 15% sarebbe un insuccesso dichiarato, perché vorrebbe dire che o il Pd o il Pdl hanno avuto un risultato al di là delle previsioni e questo “cancellerebbe” politicamente l’area di Monti. Inoltre, inizierebbe ad esserci il rischio di arrivare non terzi ma quarti, alle spalle del M5s, il che sarebbe un segnale psicologico molto negativo.

Al di sotto del 12% sarebbe una Caporetto: considerato che l’Udc, negli anni scorsi, ha sfiorato il 7% e che ora c’è anche Fini (presumibilmente con un 1,5-2%), questo significherebbe che il “valore aggiunto di Monti sarebbe intorno al 3%. Se, poi, “Verso la Terza Repubblica” di Montezemolo e Riccardi (il cuore del montismo) raccogliesse uno striminzito 5%, questo sarebbe la fine della coalizione. Casini e Fini (che già ora stanno maledicendo il momento in cui hanno deciso di mettersi sotto l’ombrello del Professore) sono considerati da Monti e dai suoi “terzo-repubblichini” come alleati che non si lavano e che è imbarazzante portare nei salotti buoni dei poteri tecnocratico-finanziari, sono dei politici, con decenza parlando! Se poi venisse fuori che questi professorini così pieni di sé, prendono più o meno quanto gli odiati “politici”, l’operazione sarebbe pienamente fallita e Udc e Fli sarebbero felici di rompere le righe alla ricerca di intese dirette con il Pd.

Se le cose finissero così sarebbe un’ottima cosa. Quante probabilità ci sono? Consideriamo che lo slancio iniziale sembra già affievolito, che la Chiesta ha ridotto i suoi entusiasmi, che i sondaggi si fanno più sfavorevoli, segnando una crescita dei due poli maggiori ed il richiamo del “voto utile” non gioca a favore dei terzi e dei quarti, non è impossibile una Caporetto dei “tecnici dello strozzinaggio fiscale”.

E c’è anche da considerare che Monti si sta rivelando simpatico come il vomito dei gatti. E in politica la simpatia vuol dire molto…

Dal blog di Aldo Giannuli



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