postato il 23 Dicembre 2010 | in "Economia, Politica"

Non siamo un problema, siamo la soluzione

Pubblichiamo l’intervista a Pier Ferdinando Casini su ‘Liberal’ di Vincenzo Faccioli Pintozzi

Il Polo della Nazione nasce in un momento estremamente difficile per l’Italia, caratterizzato da una crisi economica e politica. Ha suscitato tante attese, ma anche più di un’obiezione. Per rispondere alle une e alle altre interviene Pier Ferdinando Casini, leader dell’Unione di Centro, che in un’intervista a Liberal spiega genesi e obiettivi della nuova formazione politica.

Presidente Casini, come è nata l’avventura di questo nuovo Polo?
Il Polo della Nazione nasce non per dividere il Paese, come hanno finora fatto destra e sinistra, ma per unirlo. Abbiamo bisogno di uno sforzo di unità nazionale se vogliamo uscire da una crisi che non è soltanto economica, ma anche, e forse, soprattutto politica e morale. Per farlo dobbiamo liberarci dal giogo della scelta secca tra le proposte fino ad ora presentate dal Popolo delle libertà e dal Partito democratico, che si sono dimostrate fallimentari. A noi interessa parlare degli italiani e dei loro problemi e lanciare un messaggio di pacificazione nazionale.

Chi sarà il leader del Polo della Nazione?
Questa area non nasce attorno a un leader ma a un progetto: qui da noi non c’è un predellino. Stiamo costruendo un disegno politico e credo che vada apprezzata la nostra idea di lavorare per il bene del Paese, anche stando all’opposizione.

Cosa risponde a Berlusconi, che vi ha definito”irrilevanti”nel panorama politico italiano?
Se siamo così irrilevanti, lui e Bossi non si dovrebbero occupare così tanto di noi. Mi viene il dubbio, però, che tutte le critiche che abbiamo ricevuto e stiamo ricevendo siano la conferma del fatto che siamo noi la vera novità politica del Paese.

Da Pdl e Pd vengono in maniera alternata critiche e offerte di collaborazione…
Le loro sono due proposte politiche che si sono dimostrate fallimentari. Parlano i fatti, non sono opinioni. Noi vogliamo che il Paese abbia un’alternativa e lavoriamo per dargliela.

Il premier ha ottenuto la fiducia in Parlamento per soli tre voti. Può continuare a governare?
Quella di Berlusconi è una vittoria numerica. Prima del 14 dicembre io indicavo il modello della Germania, dove gli interessi comuni hanno prevalso sui calcoli personali. Il premier, però, ha scelto di andare alla conta parlamentare e ha vinto, ma di poco. Pensa di poter governare con pochi voti di maggioranza? Bene, auguri e buon lavoro. Se invece accetta l’idea della responsabilità nazionale, noi siamo pronti a fare la nostra parte. Se Silvio Berlusconi, come ha fatto Obama negli Stati Uniti, farà un appello alle forze politiche in nome della responsabilità, viste le difficoltà economiche che attraversa il Paese, l’Udc non si sottrarrà. Ma senza chiedere posti nel governo, che non ci interessano: noi non siamo trasformisti, guardiamo all’interesse del Paese non alle poltrone.

Come giudica l’operato di questo governo?
In questi anni dall’esecutivo abbiamo visto e sentito solo tanti slogan e tante promesse. Le faccio alcuni esempi. Il Cipe si è riunito una quarantina di volte annunciando sempre opere mirabolanti mai viste. La tanto sbandierata riforma della giustizia non è neppure sulla carta; in Italia, secondo l’Istat, un giovane su quattro è disoccupato; le famiglie del ceto medio scivolano ogni giorno di più verso la povertà. Intanto fino ad oggi non sono stati colpiti gli sprechi: i tagli lineari hanno penalizzato soprattutto cultura, ricerca, sviluppo e sicurezza creando un clima di disagio enorme senza che il governo si assumesse la responsabilità di scelte politiche che è invece il primo compito di un esecutivo.

Cosa pensa delle proteste studentesche e delle polemiche che le hanno accompagnate?
Ne ho parlato nei giorni scorsi con mia figlia, che contesta la riforma: è un suo diritto. Anche noi siamo stati giovani e siamo scesi in piazza. Ma è assurdo prendersela con i poliziotti che per 1.200 euro al mese garantiscono il rispetto della democrazia e la difesa delle istituzioni. Con quei facinorosi che spaccano vetrine e incendiano automobili bisogna essere severi e gli studenti che sfilano in piazza devono prendere le distanze da questi violenti che rischiano di vanificare la loro protesta. La politica deve ascoltare le ragioni di una generazione che si ritiene – non del tutto a torto – “senza futuro”, che inizia ad avere sfiducia, o addirittura terrore, vero il suo futuro. Le tensioni di questi giorni dimostrano una volta di più che nel nostro Paese sta maturando un’emergenza sociale che non può risolversi senza un armistizio, una pacificazione nazionale. In questo contesto la classe politica non può incendiare: al contrario deve ascoltare e trovare soluzioni.

Come intendete muovervi in un’alleanza che conta anche alcuni laicisti?
Per noi cattolici esistono valori indisponibili, come la difesa della vita, che sono prioritari. Noi non ci proponiamo di rialzare lo steccato fra laici credenti e non credenti o fra cattolici e non: cerchiamo un voto unitario, trasversale di tutti i cattolici che siedono in Parlamento e di coloro che hanno la nostra sensibilità. Prendiamo ad esempio il Garante per la famiglia, una nostra proposta dei giorni scorsi con la quale vogliamo passare dalle parole ai fatti. Un conto è l’esibizionismo valoriale, altro è scrivere, discutere e approvare una legge.

Quindi i richiami della Chiesa, come quello apparso su Avvenire, non la preoccupano?
Come credente leggo sempre Avvenire con attenzione e considerazione. I suoi moniti vanno tenuti in debito conto. Le parole del cardinale Bagnasco e il suo appello al dialogo sono molto significativi, testimoniano una volta di più il grande amore della Chiesa per l’Italia. Ma sollevare oggi, come fanno altri, il problema della distanza sui valori etici fra me e Gianfranco Fini – che è sempre esistita anche quando militavamo insieme nel centro destra e quando poi lui è diventato cofondatore del Pdl – è strumentale: le mie opinioni sono note, ma sarebbe un errore enorme alzare uno steccato. Dobbiamo affermare il comune denominatore che ci unisce, l’identità cristiana dell’Italia e dell’Europa.

1 Comment
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francesco(aq)
francesco(aq)
13 anni fa

Del suo discorso non vorrei assistere,per qualsiasi motivo e da parte di qualche,in senso lato,componente dell’UDC o alleati di esso,al siparietto “Prestigiacomo” che prima esce in lacrime e poi rientra nel PDL,si sta fuori dalla maggioranza a menochè non entri,in rappresentanza,tutto il terzo polo e non solo chi fa comodo all’attuale governo.Per quanto riguarda i laici,cattolici ed etica della chiesa domando: in politica,ma anche fuori da essa,ci sono più credenti poco praticanti o più praticanti poco credenti?Questo per capire eventuali tornaconto.



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