L’insegnamento di Giovanni Paolo II: un programma per la politica
La beatificazione di Giovanni Paolo II può senza dubbio diventare una preziosa occasione per i cattolici e anche per i laici per riflettere e confrontarsi sul vasto e profondo insegnamento sociale del papa polacco. Ma prima di buttarsi a capofitto nel Magistero e negli scritti di Giovanni Paolo II è indispensabile, e soprattutto molto utile per capirlo, guardare alla sua vicenda personale di figlio del novecento, di uomo che ha vissuto in tutto e per tutto il “secolo breve”. Il lavoro come manovale nelle cave di calcare della Solvay all’inizio degli anni quaranta, il seminario clandestino durante la guerra, le perquisizioni della Gestapo, cui sfuggì in modo miracoloso, il continuo braccio di ferro col regime comunista polacco da giovane prete e poi da vescovo, sono tutte esperienze che hanno messo Karol Wojtila a contatto con i drammi e le speranze della condizione umana, influenzando in maniera indelebile la sua fede e la sua azione pastorale. Ma più forte dell’esperienza del male in Giovanni Paolo II è l’esperienza di Cristo, come egli stesso scrive nel racconto autobiografico “Memoria e Identità”: «non è possibile separare Cristo dalla storia dell’uomo». E’ Cristo che da nuovo senso alla storia dell’uomo, e non è un caso che la chiave di volta del pensiero sociale di Giovanni Paolo II sia la necessità di un nuovo umanesimo che vede nel Dio che diventa uomo, non solo l’essenza del cristianesimo, ma il fondamento di ogni progetto autenticamente umano, il perno per un movimento di rinascita. L’umanesimo auspicato da Giovanni Paolo II contiene una visione della società centrata sulla persona umana e i suoi diritti inalienabili, sui valori della giustizia e della pace, su un corretto rapporto tra individui, società e Stato, nella logica della solidarietà e della sussidiarietà. È un umanesimo capace di infondere un’anima allo stesso progresso economico, perché esso sia volto “alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo”. Tutto ciò traspare dall’insegnamento di Giovanni Paolo II e dal suo ampio magistero, e sicuramente ci sono tanti altri aspetti da sottolineare e da approfondire. Molti sono i politici che hanno incontrato Giovanni Paolo II, e molti di questi saranno presenti a Roma per la sua beatificazione ma quanti di loro si sono soffermati a riflettere sulla portata dell’insegnamento sociale di Papa Wojtila? La beatificazione, come si diceva all’inizio, può allora essere una preziosa opportunità per iniziare questo proficuo studio e forse si potrebbe iniziare da un testo agile e per molti aspetti poco conosciuto. Si tratta di uno degli ultimi discorsi di Giovanni Paolo II, fatto nel gennaio del 2005 e indirizzato al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, un discorso che secondo alcuni è possibile definire il “testamento sociale” di Papa Wojtila e che il pontefice non voleva rivolto solo ai diplomatici ma in particolare ai governi che questi rappresentavano. In questo testo Giovanni Paolo II indica ai governanti “le quattro sfide dell’umanità di oggi” – la vita, il pane, la pace, la libertà – ovvero le questioni prioritarie per costruire quella che soleva chiamare la “civiltà dell’amore”.
La prima sfida – esordiva Giovanni Paolo II davanti agli ambasciatori presso la Santa Sede – è la sfida della vita. La vita è il primo dono che Dio ci ha fatto, è la prima ricchezza di cui l’uomo può godere. La Chiesa annunzia il ‘Vangelo della Vita’. E lo Stato ha come suo compito primario proprio la tutela e la promozione della vita umana”. La sfida della vita si sta facendo oggi sempre più vasta e drammatica, ma la parola di Giovanni Paolo II è chiara: nulla che violi l’integrità e la dignità dell’essere umano, compreso la fase embrionale, può essere ammissibile. La ricerca scientifica va incoraggiata e promossa, ma non può considerarsi al di sopra della sfera morale. Una scienza che degrada l’uomo ad uno strumento non è degna dell’uomo. La vita, dunque, va protetta, tutelata, servita in ogni momento, in ogni angolo della terra. Essa non sopporta riduzioni. Difendere la vita significa anche difendere la famiglia: dare forza e solidità alla famiglia – ci insegna Giovanni Paolo II – significa contribuire ad una società ancora in grado di scommettere sull’umano; su relazioni profonde e responsabili; sulla vita; sulla dedizione come espressione naturale della maturità umana; sul futuro, su un’esperienza umana e sociale di qualità. La seconda sfida è quella del pane, ossia quella di far sì che ogni persona possa godere dei mezzi necessari alla sua vita, che nessuno debba più soffrire la povertà e la denutrizione, essere calpestato nel suo onore e reso vittima dell’ingiustizia. Sono ancora troppi oggi gli esseri umani cui non viene riconosciuta la dignità di persone o vengono di fatto privati dei diritti fondamentali. Davanti a questa considerevole porzione di umanità non possiamo restare muti, come non è rimasto Giovanni Paolo II, che ha dato voce alle folle degli esclusi e degli affamati – di pane e di giustizia- in ogni angolo della terra.
Con la stessa tenacia e determinazione, Giovanni Paolo II ha affrontato la terza delle grandi sfide dell’umanità del nostro tempo: la pace. Il secolo XX –ha scritto – ci lascia in eredità soprattutto un monito: le guerre sono spesso causa di altre guerre, perché alimentano odi profondi, creano situazioni di ingiustizia e calpestano la dignità e i diritti delle persone. Esse, in genere, non risolvono i problemi per i quali vengono combattute e pertanto, oltre ad essere spaventosamente dannose, risultano anche inutili. Con la guerra, è l’umanità a perdere”. Giovanni Paolo II ci ha anche insegnato che la pace è un dono che si invoca, incessantemente, con quella preghiera che crede nell’impossibile di Dio e dunque rende sempre possibile la speranza, anche nelle ore più buie. La pace è un valore che si paga: non può essere a basso prezzo: sarebbe un surrogato. Deve scomodarci e comprometterci. Per questo il Papa ha chiesto il digiuno per la pace; per sperimentare anche il disagio di qualcosa che ci manca, in solidarietà con tanti popoli cui manca il pane; per sentire nel nostro corpo quell’esperienza del limite che ci fa gridare, per noi e per il mondo, “Signore, pietà”. La pace, quindi, domanda l’impegno a costruire conoscenza e amicizia tra i popoli, a cominciare dal nostro quotidiano, riconoscendo nello straniero che incontriamo un fratello e stimando la cultura che egli esprime.
Anche quello della libertà è un altro tema particolarmente caro a Giovanni Paolo II: è lui stesso a riconoscere come alla base delle sue encicliche sociali (Laborem exercens, Sollicitudo rei socialis, Centesimus annus). La libertà è la aspirazione massima di ogni donna e di ogni uomo, profonda, scritta nell’anima. È il valore per cui tanti, di ogni credo e di ogni bandiera, hanno rischiato la vita dimostrando così che solo nel rispetto della libertà si può essere persone. Oggi educare alla libertà significa riconoscere i condizionamenti, individuare le manipolazioni spesso subdole e mascherate di un consumismo che tende ad orientare comportamenti e stili di vita, riconoscere le false promesse di ogni riduzione dell’uomo alla sola dimensione orizzontale. La libertà è sacra, ma non è un assoluto, come oggi alcune correnti di pensiero tendono ad affermare. Ne è negata dal dovere di obbedire al bene che è Dio stesso. Egli ha voluto donare all’uomo la libertà perché potesse amare e riconoscere il suo amore. Non è possibile infatti amare se non nella libertà. Ed è nel nucleo più intimo di noi stessi, in quello spazio interiore che è la nostra coscienza, che sperimentiamo la libertà come grandezza, come rischio, talvolta anche come dramma. È nella coscienza che avviene la rielaborazione di tutto ciò che accade e che interpella la nostra libertà e la capacità di dare senso alla vita.
Queste quattro sfide sono senza dubbio un compito per la politica, che ne deve assicurare le condizioni fondamentali e difenderne il valore, sono in se stesse un imperativo etico, inscritto da Dio nel cuore di ogni uomo e tracciano un cammino di santità, ossia di conoscenza di Dio per la via dell’amore. Ricordare Giovanni Paolo II significa innanzitutto ricordare e mettere in pratica il suo insegnamento.
“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi