postato il 27 Aprile 2014 | in "Spunti di riflessione"

Quella prima volta in Parlamento

Visita Giovanni Paolo II al ParlamentoLa storia mondiale e italiana porta forte il segno dei piccoli grandi gesti di Papa Wojtyla. Uno di questi fu la sua visita al Parlamento italiano che il Pontefice volle fortemente, malgrado le sue già precarie condizioni di salute.
Accogliendo l’invito che Giovanni Paolo II aveva già rivolto più volte al popolo cristiano e all’umanità intera a “non avere paura”, noi non avemmo paura, in quell’occasione, di superare le diffidenze e le inquietudini di quanti temevano che i tempi non fossero maturi e che quella visita potesse rappresentare la sconfitta dello spirito laico della Repubblica e una violazione dell’autonomia della massima istituzione rappresentativa. E avemmo ragione.

Era il 14 novembre del 2002: in veste di Presidente della Camera, ricevetti Karol Wojtyla in un’Aula intimidita e composta, cosciente che un pezzo di storia la stava attraversando. Gratitudine e commozione aleggiavano in tutti, consapevoli dello straordinario omaggio di questo grande Papa che ci invitava a rintracciare il significato profondo dell’impegno politico al servizio dei cittadini e del bene comune.

Quel giorno Giovanni Paolo II manifestò ancora una volta la sua straordinaria capacità di parlare all’animo di ogni persona esortandola a guardare il mondo con la sua stessa grande umanità, col suo senso di giustizia e di infinita speranza.

Ricordo la voce limpida e chiara del Santo Padre, così come il suo volto sofferente e la mano destra alzata in segno di ripetuto, quasi paterno, saluto. Ricordo la sua figura fragile, appesantita dalla vecchiaia e dalla malattia, circondata da un abbraccio ideale nato spontaneamente da un sentimento sincero di ammirazione e gratitudine.

Ricordo il suo intervento, solenne ma concreto, rammentare, a fedeli e non, i doveri che incombono nei confronti degli ultimi e richiamare parlamentari e governanti all’esempio e alla responsabilità: ancora una volta l’identità cristiana dell’Europa diventava denominatore comune dei popoli europei, elemento unificante della storia, delle tradizioni e della nostra comune identità.

Non un’ingerenza negli affari italiani, né tantomeno una generica orazione alla comunità cristiana sui grandi temi dell’apostolato cattolico. Un messaggio invece deciso a interpellare e animare in profondità la dimensione della politica. Un messaggio agli italiani e ai loro rappresentanti.

Quel giorno anche i più scettici riconobbero come evidente la differenza che deve esistere fra uno Stato “laico”, che comprende il valore pubblico della dimensione spirituale e religiosa, e quello “laicista”, che nega alla radice il bisogno di religiosità insito nella dimensione umana.

Da quel “se mi sbaglio mi corrigerete” nel giorno della sua elezione, nessuno dubitò mai che la “cara” e “diletta” Italia fosse per Giovanni Paolo II una seconda patria.

Così, quel suo finale “Dio benedica l’Italia”, pronunciato con una tensione etica che mai si era sentita nel Parlamento e che sembrava costituire una vera e propria rivendicazione di Giovanni Paolo II nel suo dialogo intimo con il Signore, fu accolta da tutti come un grande atto di amore verso il nostro Paese perché avesse “fiducia” nella storia che ci ha fatto grandi e sapesse “spingere audacemente lo sguardo verso il futuro” costituendo “una grande ricchezza per le altre nazioni d’Europa e del mondo”.

Come in tutto il suo magistero, Papa Wojtyla, prima che alla ragione, seppe parlare alle coscienze, sollecitando emozioni e sentimenti.

E oggi possiamo ben dire che Egli è stato un Papa mai sottomesso alle prudenze curiali, capace di proporre posizioni anche impopolari se finalizzate ad annunciare la verità del Vangelo e a difendere la verità sull’uomo: emblematico a tal proposito fu il suo richiamo ad un “segno di clemenza” per i carcerati, umiliati nella loro esistenza da condizioni insopportabili di “penoso sovraffollamento” negli istituti di detenzione. Un atto che avrebbe costituito “una chiara manifestazione di sensibilità” e che non avrebbe mancato di “stimolarne l’impegno di personale recupero in vista di un positivo reinserimento nella società”.

Sono convinto che questa straordinaria disposizione del Santo Padre nei riguardi dell’essere umano, la sua propensione ad abbracciare l’esistenza in tutta la sua complessità, il suo percorso inarrestabile tra gli uomini e tra i popoli, entrando direttamente in contatto con le sofferenze e le attese di tante persone e di tante nazioni, hanno reso i suoi 27 anni di pontificato un percorso straordinario e a suo modo inedito.

Oggi, alla vigilia della sua santificazione, abbiamo ancora una volta l’opportunità di ripercorrere il cammino di Giovanni Paolo II e di rinnovare la riflessione sul patrimonio etico e spirituale che ci ha lasciato. Per molti di coloro che rivestono responsabilità politiche Papa Wojtyla è un riferimento luminoso nella difficile ricerca della via al bene comune.

Per chi ebbe l’onore di riceverlo in quella memorabile mattina si accresce la gratitudine verso la Provvidenza che ci ha consegnato un padre così grande e così capace di far sentire tutti noi piccoli esseri di questo mondo così fortemente amati e mai dimenticati.

Pier Ferdinando Casini



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