postato il 11 Novembre 2010 | in "Esteri, In evidenza, Riceviamo e pubblichiamo"

Immigrati, il Governo nella trappola libica

Corsi e ricorsi storici sulle sabbie dei deserti libici. Sembra non far eccezione questo esecutivo, che come tanti altri ha avuto a che fare con problemi legati a quella terra.

Lunedì, nel corso di un voto alla Camera sulla ratifica del Trattato di amicizia italo-libico, la maggioranza è stata battuta dal voto dell’opposizione. La mozione rimarcava ciò che l’UDC chiede a gran voce da oltre due anni, da quando cioè è stato siglato il patto tra i Roma e Tripoli: maggiori garanzie sui diritti umani dei rifugiati.

Il governo ha dapprima acconsentito, in seguito con un inspiegabile passo indietro, si è rifiutato di riconoscere l’estensione della tutela ai migranti nei confronti degli abusi libici. Sono note le vicende dei migranti che oltrepassano il confine libico da sud, per dirigersi verso la costa: coloro che scampano alle terribili condizioni ambientali del deserto, si trovano catapultati in quelle quasi peggiori dei campi di prigionia.

Nel caso degli eritrei, oltre al rimpatrio, si aggiunge la consapevolezza che il regime di Asmara ha già provveduto a punire anche i congiunti. Persino il costo economico, non solo quello umano dell’accordo è esorbitante: 180 milioni di Euro all’anno per 18 anni.

La crisi di governo si acuisce quindi su un tema fondamentale quali sono i diritti umani e che, a quanto pare, agli occhi del PDL e della Lega, non sono temi così assodati.

Anche la sponda opposta del Mediterraneo non sembra essere immune a crisi politiche. E’ in corso da tempo una battaglia politica tra ciò che è definibile la vecchia e la nuova guardia del regime: da una parte l’establishment che fa capo al primo ministro Baghdadi Ali al-Mahmudi, interessato a conservare l’attuale struttura di potere; dall’altra il figlio del leader stesso, Seifulislam Gheddafi, che con questa mossa tenta di ipotecare il potere per sé nel momento in cui si dovesse aprire la successione.

Lo scontro ha raggiunto il suo acme venerdì, quando per ordine del primo ministro, 20 giornalisti del quotidiano “al-Ghad”, critico nei confronti dell’operato del governo al punto da accusarlo di corruzione, sono stati tratti in arresto sino a domenica. Solo l’intervento di Gheddafi in persona ha sbloccato la situazione.

Suo figlio Seifulislam sponsorizza Jallud, già capo dell’esecutivo dal 1972 al 1977 ed allontanato dalla vita politica nel 1988 in seguito a dei contrasti nati con il Colonnello in occasione della strage di Lockerbie. Le ripercussioni politiche internazionali di questa lotta di potere potrebbero essere nel breve periodo irrilevanti: la struttura è infatti saldamente nelle mani della famiglia Gheddafi, che con l’esclusione di al-Mahmudi accentrerebbe ulteriormente nelle proprie mani il controllo del paese, con scarse possibilità di assistere ad un cambiamento sostanziale di politica, anche in materia di rispetto dei diritti umani.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Federico Poggianti



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