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Elezioni USA: «I dem hanno esagerato sulla cultura woke. Per Trump non sarà così semplice il nodo Ucraina»

postato il 7 Novembre 2024

Temo ora una Ue disunita, serve una sveglia per uscire dall’infantilismo. Appelli inutili dai billionaire di Hollywood. Trump plasma il conservatorismo su basi nuove. Ma conta Musk, altro che l’agricoltore dell’Ohio

L’intervista di Eugenio Fatigante pubblicata su Avvenire

Nelle dichiarazioni di voto di quelli che chiama «i “billionaire” di Hollywood» Pier Ferdinando Casini dice di aver visto il presagio della sconfitta dei democratici Usa: troppe, evidentemente, le distanze dalle esigenze più sentite dalle masse popolari. Al telefono dalla Cina, dove si trova per un’iniziativa parallela alla visita del presidente Mattarella, il senatore e già presidente della Camera indica un’altra causa negli eccessi della “cultura woke” («Il troppo stroppia»), non scommette su novità immediate per la guerra in Ucraina e spera, a questo punto, in uno scatto della Ue in risposta ai nuovi equilibri mondiali, per uscire da quello che definisce «un infantilismo politico».

Casini, cosa ci insegna questo voto americano?

Il voto insegna che la democrazia è una cosa meravigliosa: decide il popolo e uno vale uno. Il risultato può piacere o dispiacere, ma va comunque rispettato perché è la volontà degli americani.

Quattro anni fa con la sconfitta di Donald Trump si diceva che il sovranismo era finito alle corde. Nel 2024 invece è di nuovo forte, negli States come in Europa. Quale lezione si può ricavarne?

È giusto ricordare che appunto il sovranismo di Trump segna una netta discontinuità con la tradizione conservatrice repubblicana. Così come in Italia la destra che governa ha segnato una netta discontinuità con Berlusconi e con Fini. Bisogna però riconoscere una cosa: che nel reinventarsi la destra è stata più capace di interpretare i malumori crescenti della popolazione. Per ora siamo alla “capacità di intercettare”; perché ben altra è la possibilità di risolvere quelle questioni che stanno davvero a cuore alla gente. In poche parole, io credo che difficilmente le grandi aspettative suscitate troveranno risposta nei fatti. Ma naturalmente questo oggi nessuno è in grado di saperlo, “lo scopriremo solo vivendo’!

In qualche modo Trump ha spostato il senso del limite in politica e ha seguaci anche fuori degli Usa, è quasi un’icona mondiale. Cosa rappresenta nella politica internazionale?

Che Trump sia un’icona non c’è dubbio e che oggi stia plasmando su basi nuove il conservatorismo mondiale, altrettanto. Tra l’altro il suo profeta oggi è Elon Musk, che conta molto di più di tutta la sua squadra elettorale. Chiediamoci che cosa questo significa e le conseguenze che comporterà. Altro che l’agricoltore dell’Ohio!

L’errore dei dem negli Usa, e della sinistra in genere nel mondo, non è quello di trattare con disprezzo l’elettorato di parte avversa?

In quanto a disprezzo, Trump su questo terreno non ha rivali, non credo che sia questo l’errore principale. In verità i democratici americani sono parsi incerti tra la continuità con l’amministrazione uscente e una campagna più accentuata sui diritti. E poi le dichiarazioni di voto dei “billionaire” di Hollywood hanno fatto opinione più sulle elites che sul popolo.

Harris ha impostato in larga parte la sua campagna sui cosiddetti diritti civili. La sua sconfitta prova che si dà loro troppo peso, negli Usa come da noi?

Le espressioni woke hanno certamente finito col favorire la destra: il troppo stroppia. Harris lo ha capito, ma ormai la marcia era innestata.

Pensa che Trump ora abbandonerà in parte l’Ucraina?

Non credo che sia tutto così semplice.

Lei è ora in Cina. Come vede l’evoluzione dei rapporti con Pechino nella nuova era Trump?

La Cina ha apprezzato certe dichiarazioni di Trump su Taiwan, ma teme fortemente la politica dei dazi. E forse dovremmo temerlo anche noi in Europa.

Della premier Meloni aveva colpito la sintonia col dem Joe Biden. La vittoria di Trump sarà o no un “vantaggio” per Palazzo Chigi?

Meloni si era intelligentemente posizionata con l’equilibrio che deve avere il capo del governo. Aveva sintonia con Biden, ma si è anche fatta premiare da Musk. Non credo che avrà particolari problemi.

A proposito di dazi: Trump li minaccia anche contro l’Europa. Pensa che l’Ue saprà reagire a una sola voce o teme il fatto che ogni Stato vada a cercare una sua via d’uscita in un rapporto privilegiato con Washington?

Temo esattamente la seconda cosa.

Per chiudere, è più rasserenato o preoccupato da questo voto? Mi ero preparato per tempo a questa eventualità: penso che a volte da un presunto male può nascere un bene. In questo caso riguarda l’Europa, che finalmente deve assumersi le sue responsabilità ed uscire da uno stadio di infantilismo politico.

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Venezuela: «Risultato poco credibile. Evitiamo che finisca in un bagno di sangue»

postato il 30 Luglio 2024

«Il governo acconsenta a un’indagine Onu»

L’intervista di Mario Ajello pubblicata sul Messaggero

Presidente Casini, il Venezuela ancora nelle mani di Maduro è una buona o una cattiva notizia per quel Paese e per il mondo?
«La notizia era largamente prevedibile. Soltanto gli sprovveduti potevano pensare che Maduro lasciasse spontaneamente il potere. D’altronde, il fatto che sulla regolarità del processo elettorale ci siano tanti dubbi è dimostrato dal rifiuto di Maduro di avere osservatori internazionali indipendenti per il voto. Questa è una cosa molto triste, perché il Venezuela necessita di un po’ di tranquillità e di pace».
Come si possono avere queste condizioni di tranquillità e di pace?
«L’unico modo per dimostrare la buona fede il governo l’avrebbe. Ed è questo: acconsentire a un’indagine internazionale sotto l’egida dell’Onu e a un controllo di tutto il materiale elettorale».

E lei crede che Maduro possa avere questo senso di responsabilità?
«In queste ore, il presidente da un lato sta parlando di una riconciliazione nazionale, e dall’altro denuncia complotti e tentativi di ucciderlo. Evidentemente avverte l’enormità di ciò che è avvenuto. Maduro tutto sommato sarebbe il primo a essere interessato a una transizione pacifica. Io, prima delle elezioni, avevo detto che chiunque avesse vinto non poteva aprire una stagione di vendette. E’ necessario anche a chi eventualmente perde il potere dare delle garanzie o addirittura garantire un’immunità. So che in termini teorici questa strada potrebbe non essere giusta. Ma, come dice il proverbio, delle migliori intenzioni sono lastricate le vie dell’inferno».

Lei sta ipotizzando una pacificazione modello Sud Africa post-apartheid?
«Io lavoro perché non si finisca in un bagno di sangue. Se chi lascia il potere non riceve le necessarie garanzie, è interessato a tenerlo a qualsiasi costo. Ciò vale per Maduro, per i vertici del Paese e per l’esercito: del resto, la cautela della comunità internazionale nel commentare ciò che sta accadendo in Venezuela è proprio finalizzata a esorcizzare questo pericolo di caos e di violenze».
Ma insomma, i dati del voto sono giusti o manipolati?
«I dati affluiti nelle urne, secondo l’opposizione, corrispondevano ai sondaggi pre-elettorali. Si fa fatica a credere alla veridicità di questo risultato».

Si fa meno fatica a constatare che Iran, Cuba e Putin hanno subito gioito per l’esito del voto e si stanno complimentando con Maduro?
«Questo non mi fa impressione, perché conosco il Venezuela e so che quei Paesi che lei ha citato sono la testa di ponte degli Stati canaglia in Sud America. La drammatica situazione internazionale, tra guerra in Ucraina e conflitto in Medio Oriente, paradossalmente avvantaggia Maduro. Perché, da un lato, distrae la comunità internazionale dalla vicenda venezuelana e, dall’altro lato, rende tutti esitanti ad aprire un altro fronte».

Gli Stati Uniti però sembrano duri contro il presidente venezuelano.
«Il segretario di Stato americano, Blinken, e i governi europei hanno fotografato la situazione. Il problema vero è che è difficile trovare una via d’uscita. Perché nessuno, a cominciare dal sottoscritto, vuole un bagno di sangue. Tutti auspicano una soluzione pacifica. Ma per averla, serve la disponibilità degli attori in gioco. E’ stato molto significativo anche che gli esponenti dell’opposizione, che pure hanno una posizione di avversione totale a Maduro, si erano detti disponibili a dare le garanzie per un trapasso ordinato, nel caso avessero vinto loro. Ma evidentemente, un passaggio come questo è quasi proibitivo per un gruppo dirigente che tiene in ostaggio il Paese e che ormai nella comunità internazionale tutti conoscono».

Lei, qualche anno fa, ha negoziato direttamente con Maduro il rilascio dei parlamentari d’origine italiana trattenuti nella nostra ambasciata. Come fu il suo rapporto con il dittatore sudamericano?
«Io mi sono mosso secondo un principio di realismo. Solo Maduro poteva consentire un’uscita tranquilla per i due colleghi, Mariela Magallanes e Americo Di Grazia, e con lui, dopo aver informato l’opposizione, ho negoziato. Con me è stato corretto ed evidentemente attento a cercare di salvaguardare un suo rapporto con l’Italia e con la comunità dei nostri residenti. Ha anche trovato il tempo, per esibire un ottimo italiano, imparato nel quartiere di Caracas più popolato dai nostri connazionali e per dichiarare il suo amore per la Juventus».

E i suoi oppositori lei li conosce?
«Conosco bene la leader dell’opposizione, Maria Corina Machado: una donna di grande coraggio e di una fede incrollabile verso la democrazia. Non mi meraviglio che in queste ore la indaghino per frode elettorale: è lei la vera nemica da abbattere».

Ha visto che il presidente argentino, Milei, consiglia all’esercito di ribellarsi contro Maduro?
«Milei dice tante cose. Ma dimentica che tra l’esercito e Maduro c’è un patto di complicità e non credo che per scardinarlo basti una dichiarazione di un Capo di Stato straniero. La realtà è che tutti parlano del Venezuela ma nessuno ha la chiave della soluzione. Non ce l’ha nemmeno Lula, il quale si è segnalato nei giorni scorsi come uno di quelli che detto le cose più giuste. Ha detto che Maduro deve imparare questa regola: quando si vince, si resta; quando si perde, si va via e ci si prepara a un’altra elezione. Dobbiamo dire che Lula questa regola la conosce bene, come dimostra la sua parabola di vittorie e sconfitte».

In un mondo già incendiatissimo, mancava solo il Venezuela?
«Purtroppo il Venezuela è un problema drammaticamente aperto da tempo: si è trasformato uno dei Paesi più ricchi del mondo in una terra che spinge milioni di cittadini all’espatrio. E’ una tragedia che riguarda un’intera generazione e che non a caso ha visto più volte il santo padre, Francesco, prodigarsi per trovare una soluzione. La Chiesa, bisogna riconoscerlo, è rimasta un baluardo di difesa dei diritti di quel popolo».

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Navalny: L’Italia ora è unita. Il sì a Kiev sia convinto

postato il 20 Febbraio 2024

«Il sostegno all’Ucraina non è uguale per tutti ma il no alla Russia dei gulag è netto» Le identificazioni a Milano? Sarà stato un funzionario poco intelligente»

Presidente Pier Ferdinando Casini, anche lei era alla fiaccolata in Campidoglio?

«Sì, in certe circostanze la presenza non è un’opzione, è un obbligo morale: il posto della politica era in quella piazza», spiega il senatore eletto nelle liste del Pd ed ex presidente della Camera. 

Perché era così importante una manifestazione unitaria?

«Perché è la dimostrazione simbolica che l’Italia è unita nel ritenere la morte di Navalny una gigantesca ricaduta nella Russia dei gulag. La politica estera di un grande Paese del G7, qual è il nostro deve essere, per quanto è possibile, unitaria. I governi passano ma i Paesi rimangono».

Alla fine una delegazione leghista, guidata dal capo dei senatori Romeo, è venuta alla fiaccolata ma è stata oggetto di contestazioni e insulti.

«Io non li ho sentiti, ma se ci sono stati contraddicono certamente il sentimento collettivo di una piazza che voleva manifestare per la libertà in modo unitario». 

Pensa che l’adesione di M5s e della Lega fosse sincera? 

«È una domanda che va rivolta a loro. Io mi auguro che la solidarietà ai dissidenti russi non sia a intermittenza, secondo le convenienze o le circostanze, ma sia un’adesione di fondo». 

Il consigliere leghista dell’Emilia Romagna, Bargi, ha definito ipocrita la fiaccolata.

«Mi pare che stia facendo autocritica. C’è una famosa frase che dice che la democrazia si deve difendere soprattutto per chi non la pensa come noi. Io difendo la democrazia anche per i filo-putiniani italiani. Non voglio che finiscano in un gulag. Troppi non capiscono le implicazioni che questa vicenda ha con alcune aree di guerra come quella ucraina».

Vale a dire?

«Se non siamo sordi e ciechi dobbiamo aprire i nostri occhi e le nostre orecchie: non abbiamo bisogno di altre dimostrazioni. Se ci eravamo dimenticati chi è Putin, questa vicenda ce lo ricorda. E se noi accettiamo un mondo costruito sull’arroganza e la prevaricazione, è difficile dire dove finiremo».

Dunque? Occorre sostenere Zelensky?

«La resistenza ucraina va sostenuta perché in questo modo difendiamo noi stessi. Tutti noi ci interroghiamo su chi vince tra Trump e Biden. Ma nessuno si chiede chi vince tra Putin e il signor nessuno, perché le prime sono elezioni democratiche, le seconde una finzione. Io voglio vivere in una società in cui non si sa chi vince. Se qualcuno preferisce una società in cui il gioco è truccato, è affar suo».

Si riferisce a qualcuno?

«In linea di massima i partiti italiani, come si è visto nei voti per l’Ucraina, sostengono e hanno sostenuto una posizione prima di Draghi e poi della Meloni».

La sostengono tutti allo stesso modo?

«Certo che no. C’è chi la sostiene per finzione e chi per convinzione. Io mi auguro che emergano i secondi».

A Milano chi manifestava per Navalny è stato identificato. Le sembra normale?

«Secondo me sarà stata l’iniziativa di un funzionario molto zelante, quanto poco intelligente».

Lei ha proposto al sindaco di Bologna, Lepore, di concedere la cittadinanza onoraria per Navalny: lui ha replicato che si può dare solo ai vivi, ma dice che la città lo ricorderà.

«Non mi interessava la cittadinanza onoraria in sé, ma attribuire un riconoscimento alla memoria per sottolineare che, in linea con la sua grande tradizione, Bologna è solidale. Possiamo attribuire un archiginnasio d’oro o un’altra onorificenza per riaffermare quel principio».

C’è altro che può fare l’Italia? Il renziano Nobili propone di intitolare a Navalny la via dell’ambasciata russa a Roma. 

«Al di là dei temi più o meno estemporanei, è importante che l’Italia faccia la sua parte difendendo gli aiuti all’Ucraina e andando avanti su questa strada. E soprattutto, è importante che il nostro Paese capisca quanto sia necessaria una politica di difesa europea, altrimenti ci dobbiamo rassegnare a diventare irrilevanti». 

Qual è il senso politico della morte di Navalny?

«Certamente è un messaggio di Putin agli oppositori interni e all’opinione pubblica che restaura la società della paura: per lui è un’assicurazione sulla vita. È una prova di forza e di debolezza assieme».

Perché Navalny, che era in carcere, rappresentava ancora un pericolo per Putin?

«Mandela, che era in carcere, era un pericolo? No e sì allo stesso tempo. I testimoni disarmati, che hanno quel quid di profetico che li porta a non avere paura, sono i più pericolosi per un regime perché rompono le categorie del terrore che i leader vogliono instillare. Dieci anni fa abbiamo assistito alle manifestazioni di Navalny che non erano represse, oggi si reprime chi deposita un fiore. L’ escalation del terrore serve a Putin per perpetrare il potere».

La morte di Navalny può essere un boomerang per Putin nella guerra in Ucraina?

«Sarà un boomerang per la guerra in Ucraina. Come sarà un boomerang la testimonianza disarmata della moglie di Navalny. In queste ore, ha dato la dimostrazione di come può essere straordinario il coraggio di una famiglia. Lui si era curato in Germania, ed è rientrato in Russia convinto che non gli avrebbero fatto niente». 

Vittima dell’ottimismo della volontà?

«I patrioti veri, quelli che hanno costruito l’Italia, quelli che hanno fatto la resistenza, erano muniti di questo coraggio, quasi ai limiti dell’incoscienza».

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“Se negli Usa vince Trump, sarà un futuro di terrore”

postato il 14 Febbraio 2024

«Netanyahu ha gravi responsabilità. La questione palestinese è un buco nero nelle nostre coscienze»

Io amo Israele ma dissento dalle politiche del governo Netanyahu che ha gravissime responsabilità». Pier Ferdinando Casini, ex presidente della commissione Esteri del Senato, osserva il dibattito sulla guerra in Palestina e dice: «Basta avallare la politica di Netanyahu».

Senatore, torna da una setti­mana negli Stati Uniti dove con l’Unione interparlamentare ha partecipato alle audizioni   con   il   presidente dell’assemblea     generale dell’Onu a New York.  Che aria si respira dall’altra parte dell’oceano?

«Cresce il tema della crisi del multilateralismo   costruito nel dopoguerra per interpretare un mondo che oggi non c’è più e che paralizza le istituzioni internazionali. I sovranisti dicono “il multilateralismo non funziona, buttiamolo via”, io dico riformiamolo e facciamolo funzionare».

E la campagna elettorale americana?

«È forse la più singolare degli ultimi anni. Abbiamo un presidente che io ritengo abbia fatto bene, ma che viene percepito in gran parte inadatto a governare perché troppo vecchio.  Dall’altra parte c’è un signore, quasi coetaneo, che trasmette maggiore vitalità ma che mette sul tavolo questioni che fanno presagire un futuro del terrore. Basti pensare alle parole sulla Nato».

Chi vincerà?

«La mia aspettativa è che vinca Biden, il mio timore e il mio pensiero è che possa vincere Trump. Noi italiani, però, dobbiamo distinguere tra le linee di fondo della politica americana e le estremizzazioni che i candidati ne fanno. Il tema delle spese militari è ineludibile: se l’Europa vuole uscire dall’infantilismo politico ed essere autonoma, non possiamo pensare di affidarci sempre agli americani».

Cosa manca?

«La consapevolezza del momento che stiamo vivendo. Ci sono responsabilità a cui stiamo venendo meno per vigliaccheria.  Oggi la pace in Ucraina non può essere a condizione della scomparsa di Kiev perché significherebbe portare il terrore in Europa. Gli ucraini combattono anche per noi».

Parliamo di Medio Oriente. Ieri alla Camera prove di dialogo tra Pd e maggioranza. Come le giudica?

«Un fatto positivo. La politica estera, per quanto possibile, deve stare al riparo delle turbolenze della politica nazio­nale, proprio perché si tratta di dare un’immagine seria e risoluta del nostro Paese all’estero.  Vorrei dire una cosa scomoda sulla Palestina…».

La dica.

«Amare Israele come io e noi lo amiamo non può interdirci dal dire che la questione palestinese è un buco nero nelle nostre coscienze.  Abbiamo parlato di due popoli e due Stati e non abbiamo detto nulla degli insediamenti israeliani che hanno spezzato la continuità territoriale in Cisgiordania.  Insediamenti illegali che il governo Netanyahu ha aumentato e   incentivato. Mai confondere Hamas con la Palestina, ma abbiamo avallato la politica di Netanyahu che è stata quella di indebolire l’Anp».

Critica il governo israeliano?

«Amare Israele non può significare dover amare il governo Netanyahu. Io dissento dalle sue politiche che hanno gravissime responsabilità.  Due popoli e due Stati è una formula vuota o reale? Perché se è reale non possiamo consentire gli insediamenti nei territori occupati».

Cosa propone?

«Rilanciare davvero la politica due popoli due stati e un cambiamento dell’Anp: penso per esempio a Marwan Barghuthi come personalità nuova.  Altrimenti regaliamo la questione palestinese ad Hamas che agisce per conto dell’Iran e probabilmente della Russia».

È pronto alle critiche?

«Non accetto lezioni. Mi rifaccio alla Dc, a Craxi, alla parte migliore della prima Repubblica. Queste cose le ho imparate quando la politica mediterranea era una cosa seria. L’identificazione tra Israele e Netanyahu serve a Netanyahu, ma non serve a lsraele».

Come giudica l’azione del governo?

«Ritengo che sul piano internazionale si stia muovendo meglio che in altri ambiti. Per il rapporto che Giorgia Melo­ni ha costruito in Europa con Von der Leyen e per come si muove Tajani: non hanno sovvertito i pilastri della politica estera italiana.  Tutto sommato merita un 6, e di questi tempi non è poco»

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Chiedo i negoziati ma la Russia si ritiri da Kiev

postato il 6 Novembre 2022

L’intervista pubblicata su La Repubblica a cura di Matteo Pucciarelli

Pier Ferdinando Casini è stato il primo politico di peso ad arrivare in piazza Sempione. A differenza degli altri, però, non è andato nel retropalco, ha seguito i vari interventi tra il pubblico. Perché ha scelto questa piazza?
«Mi hanno invitato in tempi non sospetti, non ieri, e condividendo pienamente l’obiettivo della manifestazione, cioè chiedere la pace giusta, sono venuto. Ho sentito tante voci diverse dal palco ma concordo: non c’è pace vera senza giustizia».

Cosa pensa della manifestazione romana?
«Rispetto profondamente tutti coloro che chiedono la pace, ne colgo un anelito autentico di libertà e giustizia. Sono il primo ad aver paura della guerra ma non mi piacciono quelli che mettono una manifestazione contro l’altra, come qualcuno ha fatto a Roma».
Però anche in questa di Milano si sono dette cose anche pesanti rispetto alla piazza romana.
«Beh sì qualcuno ha ripetuto lo schema a parti inverse, quando parlano in tanti possono scappare dei toni fuori misura».
In un intervento un ragazzo ha detto che l’obiettivo è fermare la Russia, anche a costo di distruggerla.
«Una sciocchezza totale detta da un giovane delle scuole superiori, mi sembra che obiettivamente non sia stato quello il senso generale delle cose sentite».
Le due piazze sarebbero potute stare insieme?
«Entrambe rappresentano l’Italia, non dobbiamo chiedere a tutti di avere la stessa sensibilità. Però sono in linea con ciò che il mio schieramento politico ha assunto in questi mesi, un quadro di responsabilità chiare dove non si confondono le vittime con gli aggressori e viceversa. Chiedo i negoziati ma il presupposto è che la Russia si ritiri dai territori occupati fuori dal diritto internazionale, diritto che è stato violato. Poi spero che l’obiettivo di pace significhi che i due popoli, al termine di un percorso, si prendano per mano e non coltivino l’inimicizia».
Alimentare il conflitto con altre armi non è un rischio?
«Quando la richiesta arriverà in Parlamento ne discuteremo con serietà e senza strumentalizzazioni. Finora i nostri aiuti militari hanno evitato che l’Ucraina venisse sopraffatta. Che il Parlamento non verrà espropriato di una decisione del genere è una ovvietà, ma è importante che ci siano una unità di intenti come avvenuto finora. Mi auguro che come in passato con FdI all’opposizione che votò a favore di un sostegno, in futuro possa avvenire lo stesso. E che nessuno voglia lucrare politicamente».
Si riferisce ai 5 Stelle?
«Certo non parlo del Pd che finora è stato coerente e questo può essergli costato caro. Non è un caso che il Pd era in piazza a Roma e in diversi qui a Milano».
Spesso si accusa Conte di putinismo o qualcosa del genere, perché lo si fa meno con Berlusconi che invece, a conti fatti, ha detto e fatto ben di peggio?
«Ma perché Berlusconi ne dice una e la smentisce il giorno dopo e non ci si sta più dietro».
La piazza di Milano è stata un tentativo politico di unificare un’area cosiddetta riformista?
«Si tratta di un tentativo che non mi interessa…».
Ha incrociato Letizia Moratti?
«No, mi sono accomodato in piazza per non stare in mezzo al chiacchiericcio, davvero avevo in mente l’argomento della manifestazione».

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«I propositi di Salvini sono buoni, ma non diventi un burattino nelle mani del presidente russo»

postato il 29 Maggio 2022

In certe circostanze è bene lasciare l’azione al governo. Siamo nella Nato e nell’Europa, non possiamo essere artefici in solitudine del nostro destino.
L’intervista di Fabrizio Caccia pubblicata sul Corriere della Sera

Presidente Casini, venerdì era a Nusco al funerale di Ciriaco De Mita. Ha pensato a cosa avrebbe fatto lui oggi in questi tempi di guerra?
«Sì, ci ho pensato. E credo che non solo lui, ma i nostri padri della Prima Repubblica, oggi si sarebbero fatti guidare prima di tutto dal senso del limite, una cosa che in politica è bene non perdere mai».

Sarebbe?
«Capire che siamo un Paese incardinato nella Nato e nell’Europa e che non possiamo essere artefici in solitudine del nostro destino. Perciò De Mita e gli altri oggi avrebbero lavorato per la pace, ma senza indebolire l’Alleanza atlantica e non prestandosi al rischio di essere strumentalizzati da Putin. E mi riferisco a Matteo Salvini…». [Continua a leggere]

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Da Draghi posizione solida. Come la migliore Prima Repubblica

postato il 20 Maggio 2022

Il partito antiamericano, mai dormiente, dimentica che questa guerra rilancia la Nato

L’intervista di Marco Galluzzo pubblicata sul Corriere della Sera

Presidente Pier Ferdinando Casini, lei in Parlamento ha fatto un lungo elenco delle presunte mistificazioni del dibattito politico italiano sulla guerra. A chi si riferisce?
«In Italia abbiamo il girone degli ingenui e quello della malafede. E non si sa, in politica, cosa sia più pericoloso. Il primo annovera coloro che proclamano principi giusti e ritengono che questo sia sufficiente per realizzarli, insomma si appellano al mondo dei sogni, ma sono lontani dai dati di realtà. Qualcuno vuole tornare allo spirito di Pratica di Mare e alla collaborazione fra Putin e la Nato, altri dicono che il Muro di Berlino non si deve riedificare, che la Guerra Fredda non deve ripetersi. Tutti siamo d’accordo su queste affermazioni ma sono, in sostanza, ovvie, se non banali».

E il girone della malafede? Chi ci mette?
«Quelli che utilizzano questa ingenuità per un’operazione speculativa, per innestare delle domande maliziose sulla vicenda dell’Ucraina: “In fondo è Kiev che ha provocato Mosca…”, “la Nato si è allargata troppo…”, “noi non dovremmo armare gli ucraini visto che è meglio che la guerra finisca prima possibile…”. Ma in realtà non c’è una persona dotata di un minimo di senno che non capisca che il conflitto oggi è fra dittature e democrazia, con qualcuno al nostro interno, che ha cominciato a parlare di democratura». [Continua a leggere]

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Ucraina: Se non vogliamo subire un ricatto crescente dalla Russia dobbiamo fare dei sacrifici

postato il 9 Aprile 2022

In realtà Putin non teme l’allargamento della Nato ma la democrazia. Dall’Ucraina alla Bielorussia non può accettare il “contagio democratico” ai suoi confini

L’intervista sul Corriere della Sera a cura di Paola di Caro

La «postura» di Mario Draghi mostrata fin dal primo momento e anche ponendo il Paese davanti ad una scelta drastica — «O la pace o i condizionatori» — è per Pier Ferdinando Casini «ineccepibile». E lo dice pur convinto che «non esistono uomini della Provvidenza: una democrazia solida non deve averne mai bisogno». Così come, un plauso va «alla triade, Draghi appunto ma anche i ministri di Esteri e Difesa Di Maio e Guerini» che stanno dando prova di «grande affidabilità istituzionale».

L’ex presidente della Camera, della commissione Esteri, in corsa fino all’ultimo per il Quirinale — che sostiene le ragioni dell’invio delle armi e anche di sanzioni severissime, fino allo stop dell’importazione del gas russo — non ha dubbi sulla linea di fermezza sposata dal governo italiano e sostenuta sostanzialmente da tutti i partiti, seppure con i distinguo di Lega e M5S. Ma ai «giovani colleghi» dall’alto della sua «lunga esperienza» dà un consiglio che è quasi un monito di chi vede che qualcosa non va: «La diplomazia parlamentare è una cosa seria. È importante avere rapporti e relazioni, ma quando un parlamentare gira il mondo e lo fa su terreni e con Paesi “pericolosi”, o comunque non nostri alleati come la Russia e la Cina, per non creare problemi seri a sé e al Paese, deve essere libero».

Significa che non si devono avere rapporti troppo intensi con certi Paesi, come il M5S e la Lega magari hanno fatto?
«Non intendo questo, perché al di là del merito o del giudizio politico su certe relazioni, voglio credere che a livello di prima linea nessuno sia così sprovveduto da prendere soldi da questi Paesi. Mi auguro che a tutti stia a cuore la propria libertà».

Si sta riferendo allora al monito di Draghi al Copasir ai parlamentari a muoversi «in trasparenza»? O magari al presidente della commissione Esteri Petrocelli, filo-putiniano? Secondo lei dovrebbe dimettersi?
«Mi riferisco a tutti quelli che, forse difficilmente ricandidabili in futuro e molto disinvolti nei loro rapporti di diplomazia con potenze straniere, si muovono in modo da cagionare problemi al Paese, magari pensando alle proprie prospettive personali. Di Petrocelli non parlo: è ovvio che la posizione è come minimo imbarazzante».

Parliamo allora di Draghi, dell’atteggiamento dei partiti italiani rispetto alla guerra…
«Bravo lui, bravi Letta, Renzi, Meloni, Tajani, che hanno concorso a rinsaldare la posizione seria dell’Italia. Il problema di questa guerra semmai si trova a monte: noi ci siamo illusi di ritenere che i russi fossero soddisfatti dell’occupazione della Crimea (dove alcuni politici sono anche stati in visita…), poi del Donbass, poi abbiamo sperato che l’invasione non si verificasse… Tutte previsioni errate. In realtà Putin non teme l’allargamento della Nato ma la democrazia. Dall’Ucraina alla Bielorussia non può accettare il “contagio democratico” ai suoi confini».

Ci sono partiti come M5S e Lega che fanno molta fatica a mantenere la posizione interventista dell’Italia.
«Devo dire che in Parlamento hanno votato coerentemente, ma il loro “sentiment” mi lascia molto perplesso… ».

Però gli italiani non sono così compatti sulla linea dell’intransigenza, dall’invio delle armi alle sanzioni.
«Io, da credente, sono stato molto felice invece di vedere il Papa con la bandiera ucraina. Perché il ruolo della Chiesa è chiedere pace, ma non si può confondere mai l’aggredito con l’aggressore. E sulle armi la mia risposta è in una sola domanda: la Resistenza italiana è stata fatta con i fiori o con le armi? E sul territorio ucraino ci sono truppe straniere o no?».

Fino a che punto possiamo spingerci con le sanzioni senza pagare un prezzo troppo alto?
«Dalla caduta del Muro ci siamo illusi che il sistema democratico fosse ormai acquisito permanentemente, non fosse più in discussione. Abbiamo commesso errori politici, come dipendere per il 40% del nostro fabbisogno energetico di gas dalla Russia. Ma oggi è tutto cambiato. Dobbiamo riaprire gli occhi e pensare che se i poveri ucraini pagano con le loro vite, a noi toccherà farlo con le nostre comodità. Sono stati troppo a lungo sottovalutati i problemi di non autosufficienza alimentare ed economica, si è persa la lezione di De Gasperi che 70 anni fa chiedeva una difesa europea, una integrazione dei bilanci europei. Siamo in drammatico ritardo. Ma oggi, se non vogliamo subire un ricatto crescente e continuo, dobbiamo essere pronti a sacrifici».

Quindi rinunciare anche al gas russo
«Dobbiamo salvaguardare la nostra indipendenza e autonomia politica. Per essere liberi non si può essere sotto perenne ricatto. Ridurre la dipendenza energetica dalla Russia è una strada senza ritorno che costerà a noi non meno che a loro. Non si cambiano i destinatari di forniture di gas dal mattino alla sera: anche loro avranno problemi immensi a ricollocare il loro gas».

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Ucraina: «Kiev combatte pure per noi. Nato forte per avere la pace»

postato il 26 Marzo 2022

«Ucraina frontiera d’Europa, difende la nostra libertà e la democrazia. Va aiutata. Su Putin abbaglio collettivo, non si continui a chiudere gli occhi: è un aggressore e va fermato»

L’intervista di Alberto Gentili  pubblicata sul Messaggero

Presidente Casini, in Parlamento a Draghi è stato dato del falco, del guerrafondaio perché ha sostenuto la necessità di armare gli ucraini per difendersi dall’aggressione di Putin. Cosa ne pensa?
«È triste che in Italia si continuino a usare luoghi comuni e categorie del passato senza capire che il mondo ci impone dei mutamenti epocali. Draghi ha risposto in Parlamento in sintonia con il capo dello Stato, sapendo distinguere l’aggredito dall’aggressore e mostrando la solidarietà che si deve a un Paese che vive sul suo territorio un’invasione russa ed è martoriato con bombe che cadono a grappoli. E Draghi sarebbe un falco? Dico solo e semplicemente che questa è la risposta che le persone per bene e in buona fede devono dare».

Però Salvini dice che non riesce ad applaudire quando si parla di armi e Conte è ancora più critico…
«Mi sembra che in Italia molti uomini politici siano più preoccupati di coltivare il proprio orticello e le piccole rendite di posizione, piuttosto che guardare in faccia la realtà e svolgere analisi serie. Certo, è difficile davanti a un’opinione pubblica spaventata e a sacrifici che bisogna mettere in conto, dire la verità. La vecchia politica che tanto si critica aveva il coraggio di assumersi le proprie responsabilità: quando i sovietici puntarono gli SS20 contro le città italiane, fu una scelta dolorosa per Cossiga e Craxi decidere di installare gli euromissili in Italia. Ma quella scelta ha garantito l’equilibrio e la pace negli anni successivi». [Continua a leggere]

Commenti disabilitati su Ucraina: «Kiev combatte pure per noi. Nato forte per avere la pace»

Noi con Kiev. Qui non c’è Ponzio Pilato 

postato il 20 Marzo 2022

Da Mosca toni irricevibili. Il paragone con Hitler? Guai a ripetere gli errori del passato, anche Putin non si fermerà. Difesa comune UE e Nato devono essere progetti in sintonia. Giusto il riarmo, è per difenderci

L’intervista di Ettore Maria Colombo pubblicata sul Resto del Carlino.

Presidente Casini, la Russia ci minaccia. Con altre sanzioni, dice il loro ministero degli Esteri, ci saranno “sanzioni irreversibili”. Come rispondere?

“Sono toni inaccettabili. Già nella lettera dell’ambasciatore russo in Italia inviata al Parlamento erano stati usati toni che, un tempo, avrei definito imperialisti. Un rappresentante di un governo presso l’Italia deve mostrare maggiore responsabilità. Oggi c’è stato un pericoloso inasprimento di quei toni. Erano sbagliati i primi e i secondi. In ogni caso hanno ottenuto l’effetto opposto a quello che si erano prefissato. Hanno rafforzato l’unità della Ue. Saldato il rapporto tra gli Stati Uniti e la Ue. Restituito una chiara identità alla Nato. Se i russi pensavano che l’Italia fosse l’anello debole dell’alleanza si è sbagliato di grosso. L’Italia sceglie la Ue, la Nato e l’alleanza con gli Usa nei momenti più drammatici della storia”. [Continua a leggere]

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