postato il 3 Febbraio 2011 | in "Economia, Federalismo, In evidenza, Riceviamo e pubblichiamo"

Il nostro “NO” ad un federalismo che aumenta le tasse

Oggi la Commissione bicamerale ha di fatto respinto il federalismo municipale (ricordiamo che il pareggio, viene visto per i regolamenti della Camera, come una bocciatura) e questo apre degli scenari che a livello politico possono pure essere affascinanti (il governo presenterà il vecchio decreto o lo metterà nel congelatore? E la Lega terrà fede a quanto detto e farà cadere il governo per andare a nuove elezioni?), ma che, probabilmente, interessano relativamente al comune cittadino che di questa bagarre rischia di capire poco e di essere, anzi, travolto da vuoti proclami.

Intanto, vorrei chiarire un punto: come ho avuto modo di dire, il punto non è “federalismo si o no”. Il concetto del federalismo in sé non porta svantaggi o vantaggi, il vero problema è come viene realizzato questo federalismo. Avevo già parlato di quali problemi ponesse questo decreto e le modifiche proposte dal governo, per le tasche dei cittadini e per la tenuta dei conti dei comuni italiani, ma mi sembra giusto chiarire ulteriormente questi punti.

Intanto partiamo da un dato di fatto: nessun Comune italiano, del Sud, del Nord o del Centro, è immune ai rischi sulla sua tenuta dei conti, con questo federalismo. Inoltre, questo federalismo, secondo i proclami della Lega, avrebbe dovuto abbassare le tasse recuperando efficienza nella spesa pubblica. Ebbene non è così.

Intanto l’IMU, l’Imposta Municipale Unica, è di fatto una sorta di patrimoniale, seppur mascherata; il quadro della cedolare secca sugli affitti, si presentava come un regalo per i redditi alti senza contenere alcun accenno di vantaggio per le famiglie numerose e per quegli italiani che faticano ad arrivare a fine mese (il governo ha cancellato dal decreto il famoso fondo di solidarietà che sarebbe servito per calmierare gli affitti delle famiglie numerose).

Infine, altro punto dolente, riguarda la famigerata TARSU, ovvero la Tassa sui Rifiuti Solidi Urbani, che se collegata direttamente alla rendita catastale rischia di diventare altamente iniqua e illogica: la TARSU dovrebbe essere proporzionale a quanto una persona, o un nucleo familiare, inquina e produce rifiuti, e non a quanto grande o quanto vale una casa. Direi che su questo punto la logica è semplice e cristallina: se io inquino tanto, devo pagare tanto. Un controllo puntuale dei rifiuti, inoltre, permette di attuare la raccolta differenziata con notevoli punte di efficienza, come è dimostrato dall’esempio della provincia di Treviso dove la Tarsu è commisurata alla quantità di rifiuti prodotta dai nuclei familiari.

Il rischio, quindi, era quello di dare vita ad un federalismo di facciata, che servisse come bandierina alla Lega per il suo elettorato, ma che non portasse alcun vantaggio ai cittadini, i quali non si fanno certo ingannare da un paio di proclami ben piazzati. Dire che il federalismo municipale permette una diminuzione delle tasse è una affermazione che deve essere dimostrata dai fatti concreti, inoltre bisogna chiarire, di quali tasse si parla. Con un abile gioco di prestigio, infatti, il governo ha fatto sparire alcune imposte, salvo farle riapparire sotto altro nome: se mi tolgono le tasse di registro, la tassa ipotecaria, e altre tasse, ma poi me le ripresentano con il nome complessivo di IMU, è chiaro che per le mie finanze di cittadino, non è cambiato nulla.

Ma il gioco di prestigio non si ferma a questo, perchè il governo gioca abilmente con le parole, infatti parla di “diminuzione di tasse”, ma non parla delle imposte comunali o delle tariffe: tagliando i trasferimenti ai Comuni, e girando ai comuni maggiori “responsabilità sui servizi”, ha anche bisogno di meno soldi (perché diminuisce la spesa statale), ma per il cittadino non cambia nulla, perchè l’esborso monetario è sempre uguale (non ha importanza che io paghi allo Stato o al Comune, alla fine i soldi escono dalle mie tasche).

Purtroppo per Berlusconi e Bossi, questo giochino ormai è palese, infatti, stando al Censis, il 42% degli Italiani teme che il federalismo fiscale porti nuove tasse, mentre il 25% pensa che la pressione fiscale resterà invariata, e solo il 23% pensa che diminuirà, mentre il 10% degli italiani non ha un’idea in merito.

Per il 35,1% degli intervistati, aumenterà anche la complessità degli adempimenti fiscali, contro il 31,1% di chi pensa che resterà invariata e il 22% di chi pensa che invece diminuirà.

Stando ai dati diffusi dal Censis, “quattro italiani su dieci (il 41%) credono che il federalismo fiscale possa contribuire a migliorare la gestione della cosa pubblica, ma la metà dei cittadini (il 50,2%) è del parere che la riforma aumenterà il divario economico e sociale tra il Nord e il Sud. Il timore è avvertito soprattutto dalle persone più istruite (il 53,2% tra i diplomati, il 54,1% tra i laureati) e dai lavoratori dipendenti (il 51,3%). Infine, l’8,8% afferma di non sapere cosa sia il federalismo fiscale, un gruppo che pesca soprattutto tra i meno istruiti (il dato sale in questo caso al 17,8%)”.

A questo punto, io mi preoccuperei, invece di volere approvare a tutti i costi un federalismo di dubbia utilità, di tornare a studiarlo per avanzare proposte condivisibili, chiare e comprensibili da tutti gli italiani, perché questi ultimi non sono stupidi, e si accorgono quali politici hanno posizioni concrete, e quali invece producono solamente spot elettorali che resteranno irrealizzabili.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati



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