postato il 19 Novembre 2012 | in "Politica, Spunti di riflessione"

Coniugare rigore e solidarietà

C’e’ la necessità di continuare con l’agenda Monti. L’importante e’ che si riparta dalla vera rivoluzione di questo governo che parla un linguaggio duro, impopolare, senza demagogie e populismi. La politica dei prossimi mesi dovrà essere capace di esprimere anche solidarietà. Si deve parlare di economia sociale di mercato, dove il rigore parte dai sacrifici di chi ha di più. Un rigore che va coniugato con la solidarietà verso i più deboli. E anche l’Europa si deve svegliare, perché di solo rigore si rischia di morire.

Pier Ferdinando

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citoyenne
citoyenne
11 anni fa

Stendo un velo pietoso sulla vostra (parlo sempre di tutti i partiti istituzionali) “pelosa” solidarietà. Gli Italiani hanno bisogno solo di lavoro dignitosamente retribuito, dopo di che potrebbero fare a meno della carità.
Ma, considerato che ci avviciniamo a grandi passi al voto, io voglio sottoporle un articolo del segretario dei radicali italiani (penso che anche lei non metterà in dubbio l’onestà intellettuale dei radicali, qualsiasi sia la testata che ha il coraggio di pubblicarlo).

Leggo da “il fatto….” un articolo del segretario dei radicali italiani, Mario Staderini:

“Il Presidente Napolitano ha oggi affermato che “quando ci sono elezioni libere nessuno può prevedere il risultato. C’è sempre un certo grado di rischio quando si vota, vogliamo per questo non votare? O per essere tranquilli vogliamo scrivere a tavolino il risultato delle elezioni? Vedremo come si esprimeranno i cittadini”.
Non me ne voglia il Presidente della Repubblica, ma le prossime elezioni saranno tutto fuorché libere e democratiche.
Sarà perché ha parlato dopo un incontro con il Presidente tedesco, ma per un attimo ho pensato che si riferisse a Die Macher, il famoso gioco da tavolo in cui si simulano le elezioni.

Allora, facciamo il punto.

Mancano pochi mesi dal voto e non sappiamo ancora quale sarà il sistema elettorale. Una cosa del genere in Germania o in Inghilterra non sarebbe neanche immaginabile. Le modiche di cui il Parlamento discute, peraltro, nascono proprio dalla volontà di costruire a tavolino il risultato in virtù dei sondaggi che escludono la formazione di maggioranze solide. In pratica, si manipolano le leggi elettorali per evitare che sia il Regime a dover cambiare. Proprio per questo il Consiglio d’Europa e la Corte europea dei diritti dell’uomo riconoscono come parametro di democraticità il principio di stabilità dei sistemi elettorali, secondo il quale non si modificano le leggi elettorali un anno prima del voto. Eppure in Italia è la prassi: è accaduto alle elezioni politiche del 2006, alle europee del 2009, alle regionali del 2010, e accade di nuovo oggi, con Lombardia e Lazio che hanno di già cambiato sistema. Nel 2010 noi Radicali lo denunciammo per tempo, pagando in solitudine i costi di quella battaglia. Dallo scorso 17 settembre il deputato Maurizio Turco è in sciopero della fame affinché questa realtà possa essere almeno conosciuta.
A tavolino verrà deciso persino chi potrà partecipare alle elezioni, considerato che sarà consentito presentarsi solo a chi accetterà di fare firme false “alla Formigoni”. La presentazione delle liste, infatti, avverrà con le stesse modalità che hanno generato i casi che occupano le procure in Lombardia, in Piemonte, in Liguria. E al peggio non c’è mai fine: in Lombardia hanno appena cambiato la legge elettorale esentando dalla necessità di raccogliere le firme chi è presente in Consiglio regionale, cioè proprio coloro che stanno li anche grazie alle firme false. Movimento 5 stelle e Radicali, invece, dovranno raccoglierle.
Dire, poi, che “si esprimeranno i cittadini” è un eufemismo. Come potranno esprimersi gli italiani se arriveranno al voto con le stesse illegalità che da tempo impediscono un libero confronto tra le diverse proposte politiche? Da oltre 4 anni, ad esempio, le tribune politiche, obbligatorie per legge, sono cancellate. Mentre la circolazione delle idee rimane un miraggio, tra conflitti di interessi irrisolti e una Rai incapace di essere servizio pubblico.
In verità, caro Presidente, l’unica cosa certa di queste elezioni è il loro carattere antidemocratico.
Per questo la nostra priorità è restituire agli italiani i loro diritti civili e politici, compreso quello di un voto libero e consapevole. Con la nonviolenza, con le iniziative giuridiche, nella convinzione che siano in molti a non rassegnarsi di fronte a una partita truccata.”

E’ così che funzionerà la macchina elettorale?
Poichè con i radicali ho sempre avuto un rapporto di amore/odio per alcune proposte condivisibili, ma tante altre da non prendere in considerazione (secondo il mio personale punto di vista), pongo il mio bravo punto interrogativo.
Di una cosa mi pare di poter essere certa: i radicali sono sempre stati onesti nelle battaglie che hanno portato avanti; non hanno mai avuto grande visibilità proprio perchè le problematiche che pongono non godono dei favori della classe politica dirigente nè del giornalismo partitico (e in Italia un po’ tutte le testate sono aggregate a partiti di riferimento, così come i vari tg e le trasmissioni di approfondimento).
Ma se dovesse rispondere a verità quanto scritto dal segretario radicale, ci troveremmo in una Italia tutt’altro che democratica, dovremmo diffidare pure del PdR che, fino a poco tempo fa, godeva di una vasto consenso.
Perchè, mi chiedo, nessuna trasmissione di approfondimento pone l’accento su questa forma di “dittatura illuminata” che ci sta piovendo dall’alto?
Una citoyenne

freeskipper
11 anni fa

Homo maialis: l’involuzione del genere umano.

A Darwin o ci credi oppure no, prendere o lasciare. E se ci credi, allora vuol dire che anche tu accetti il fatto di essere l’ultimo anello della catena evolutiva che ti vuole strettamente imparentato alla scimmia. La teoria dell’evoluzione, però, non è detto che muti sempre in meglio le cose e la specie umana, nella fattispecie! Anzi, a volte fa addirittura retromarcia, rompe gli anelli della catena evolutiva e si perde lungo la strada dell’involuzione e degenerazione del genere umano. Così può succedere che l’homo sapiens nell’era della malapolitica, dei festini, delle ruberie e delle porcherie a gogo, involva nell’homo maialis! Uno dei meccanismi principali che regola l’evoluzione della specie è l’influenza che l’ecosistema esercita sul ciclo vitale della natura e degli organismi viventi. L’essere umano, ad esempio, si è trovato in passato nelle condizioni di subire dei grossi cambiamenti: il clima glaciale e desertico, e i grandi predatori. Questi elementi ormai sono stati superati, si sono estinti nella notte dei tempi. Oggi, l’influenza che subisce il genere umano viene più dai suoi simili che da altri fattori naturali e da elementi esterni. Più precisamente da quella sottospecie di uomini che pensano solo a fare soldi, carriera e successo. Una sottospecie del genere umano, risoluta e dissoluta, che in nome del proprio benessere e in virtù del dio denaro è disposta a tutto: rubare, tradire, ammazzare, darsi al vizio! Allora, secondo la teoria dell’evoluzione, o meglio la teoria dell’involuzione della specie, si aprono davanti a te due strade e ti ritrovi inesorabilmente, davanti ad un bivio, a dover scegliere: o ti adegui e ti trasformi in un maiale famelico come “loro”, pronto a divorare tutto quello che ti capita a tiro, oppure ti rassegni a soccombere e a fare da preda ai moderni predatori. Ma c’è una terza via che va ben oltre l’involuzione: la rivoluzione del genere umano. La ribellione dell’homo iracundo, che una volta per tutte s’incazza sul serio e ristabilisce il naturale equilibrio delle cose: “loro” nel porcaio e la “gente per bene” in Parlamento!!!

Francesco
Francesco
11 anni fa

Certo che questa sera mi sono fatto un bel pò di risate a leggere dell’homo maialis, ho pensato che sia la naturale evoluzione del porcellum. Il panegirico dei radicali mi ha fatto ridere di meno, anche se ritengo che in un certo periodo della politica italiana, abbiano avuto un ruolo positivo, ora non più. Eppure siamo in un periodo triste, ormai non è più solo un problema esclusivamente di politiche economiche, per superare la crisi, ma si evidenzia sempre più nettamente che la crisi è di tipo politico culturale. Quelle economiche sono solo le conseguenze (come al solito).
Nei prossimi anni, volenti o nolenti, saremo costretti a cambiare il nostro modo di vivere e di pensare, il mondo non và più nella direzione in cui è andato negli ultimi 50 anni, parlo del mondo occidentale, perchè quel modello di sviluppo non è più sostenibile,
che poi è il modello del consumismo liberale. In politica ed in economia io sono liberale e ritengo che il mercato detta le regole, anche sui salari. Però l’Europa non può restare inerme, lasciandoci scivolare nella regressione senza dettare delle regole. Se si vuole salvaguardare la nostra civiltà dall’imbarbarimento, occorre mettere in campo politiche che pretendano che anche i paesi emergenti comincino ad adottare gli stessi principi sulle politiche ambientali, salariali ecc. In parte ha ragione chi afferma, dateci i diritti, piuttosto che la solidarietà, ma dimentica che esistono i soggetti deboli, che vanno tutelati sempre. Dopo le elezioni ci aspettiamo politiche che vadano nella direzione del futuro, con le politiche di rigore non resisteremo per altri 5 anni, considerato che già negli ultimi 20 siamo rimasti al palo.

Gattestro
Gattestro
11 anni fa

@ freeskipper
Grazie per il tuo commento sull’involuzione del genere umano: assolutamente godibile e in larga parte condivisibile 🙂

@Francesco
Non si può certo in un commento di poche righe affrontare ed esaurire argomenti così complessi, tuttavia vorrei commentare un paio di cose. E’ vero che in un’ottica liberale è il mercato che detta le regole. E’ anche vero però che la grande depressione americana del 29 e la crisi mondiale di questi utimi anni sono nate e sono state create proprio dal mercato. Tutto ciò dimostra che il mercato (questa entità metafisica, oggi venerata quasi come fosse un dio) non si autoregola da sè. Ma questo è ovvio, perché tutti gli operatori lavorano in base ad un solo criterio: il massimo profitto. Questo ad esempio nella crisi di questo periodo storico, ha portato il “capitale” (non sono comunista, giuro) a spostare il proprio interesse dall’economia reale alla finanza, con gli effetti che tutti conosciamo.
Pertanto, dal mio modesto punto di vista, rivendico il ruolo della politica anche come strumento di regolazione dei processi economici. Quando la politica abdica a questa sua funzione, il mercato non può fare altro che seguire il suo naturale corso, senza preoccuparsi minimanente degli effetti del proprio operato.
Facendo un esempio concreto vorrei far notare che nella crisi greca e anche in altri scenari europei, i consulenti dei vari governi e ministeri del tesoro erano contemporaneamente (guardacaso) anche consulenti di investitori privati che hanno speculato sui titoli derivati degli stessi stati, coinvolti dalla crisi. Questo è un esempio di come la politica debba esercitare un suo ruolo, dettando poche e chiare regole, che impediscano situazioni del genere di palese conflitto di interessi.
Sarebbe un po’ come farsi installare un sistema antifurto da una banda di ladri professionisti (rendo l’idea ?).
Infine vorrei far notare che altri paesi europei, nonostante la crisi, non hanno dovuto mettere in discussione né il proprio welfare né il livello di vita delle classi più deboli. Questo nonostante la crisi e i mercati. Segno evidente che la gestione della cosa pubblica influisce, e parecchio, sul livello di vita di un popolo.

Cordiali saluti

citoyenne
citoyenne
11 anni fa

Buongiorno

Ho letto tutti i commenti (godibilissimo ed istruttivo, nella conclusione, quello di freeskipper) e vi propongo quest’altro articolo (mio padre mi diceva che “la verità” va vista da destra e da sinistra… io continuo che va vista in tutte le sue sfaccettature).

“”Riceviamo e pubblichiamo come semplice invito alla riflessione

Ho riflettuto a lungo come cristiano e come missionario, nonché come cittadino, sulla crisi economico-finanziaria che stiamo attraversando, e sono riandato alla riflessione che noi missionari avevamo fatto sul debito dei paesi impoveriti del Sud. Per noi i debiti del Sud del mondo erano ‘odiosi’ e ‘illegittimi’ perché contratti da regimi dittatoriali per l’acquisto di armi o per progetti faraonici , non certo a favore della gente. E quindi non si dovevano pagare! “E’ immorale per noi paesi impoveriti pagare il debito” – così affermava Nyerere, il ‘padre della patria ‘ della Tanzania, in una conferenza che ho ascoltato nel 1989 a Nairobi (Kenya). “ Quel debito – spiegava Nyerere – non lo pagava il governo della Tanzania, ma il popolo tanzaniano con mancanza di scuole e ospedali.” La nota economista inglese N.Hertz nel suo studio Pianeta in debito, affermava che buona parte del debito del Sud del mondo era illegittimo e odioso.

Perché abbiamo ora paura di applicare gli stessi parametri al debito della Grecia o dell’Italia? Nel 1980, il debito pubblico italiano era di 114 miliardi di euro, nel 1996 era salito a 1.150 miliardi di euro ed oggi a quasi duemila miliardi di euro. “Dal 1980 ad oggi gli interessi sul debito – afferma F. Gesualdi – hanno richiesto un esborso in interesse pari a 2.141 miliardi di euro!”. Lo stesso è avvenuto nel Sud del mondo. Dal 1999 al 2004 i paesi del Sud hanno rimborsato in media 81 miliardi di dollari in più di quanto non ne avessero ricevuto sotto forma di nuovi prestiti.

E’ la finanziarizzazione dell’economia che ha creato quella ‘bolla finanziaria’ dell’ attuale crisi. Una crisi scoppiata nel 2007-08 negli USA con il fallimento delle grandi banche, dalla Goldman Sachs alla Lehman Brothers, e poi si è diffusa in Europa attraverso le banche tedesche che ne sono state i veri agenti, imponendola a paesi come l’Irlanda, la Grecia… ”Quello che è successo dal 2008 ad oggi – ha scritto l’economista americano James Galbraith – è la più gigantesca truffa della storia.”
Purtroppo la colpa di questa truffa delle banche è stata addossata al debito pubblico dei governi allo scopo di imporci politiche di austerità e conseguente svendita del patrimonio pubblico. Queste politiche sono state imposte all ’Unione Europea dal ‘Fiscal Compact’ o Patto Fiscale , firmato il 2 marzo 2012 da 25 dei 27 capi di Stato della UE. Con il Fiscal Compact si rendono permanenti i piani di austerità che mirano a tagliare salari, stipendi, pensioni, a intaccare il diritto al lavoro, a privatizzare i beni comuni. Per di più impone il pareggio in bilancio negli ordinamenti nazionali. I governi nazionali dovranno così attuare, nelle politiche di bilancio, le decisioni del Consiglio Europeo, della Commissione Europea e soprattutto della Banca Centrale Europea(BCE) che diventa così il vero potere ’politico’ della UE. Il potere passa così nelle mani delle banche e dei mercati. La democrazia è cancellata. L’ ha affermato la stessa Merkel: ”La democrazia deve essere in accordo con il mercato.” Siamo in piena dittatura delle banche.

E’ il potere finanziario che ha imposto come presidente della BCE, Mario Draghi, già vicepresidente della Goldman Sachs, e a capo del governo italiano Mario Monti, consulente della Goldman Sachs e Coca-Cola, nonché membro nei consigli di amministrazione di Generali e Fiat (Monti fa parte anche della Trilaterale e del Club Bilderberg). Nel governo Monti poi molti dei ministri siedono nei consigli di amministrazione dei principali gruppi di affari della Penisola: Passera, ministro dello Sviluppo Economico, è ad di Intesa San Paolo; Fornero, ministro del lavoro , è vicepresidente di Intesa San Paolo; F. Profumo, ministro dell’istruzione è amministratore di Unicredit Private Bank e di Telecom Italia; P.Gnudi, ministro del Turismo, è amministratore di Unicredit Group; Piero Giarda, incaricato dei Rapporti con il Parlamento, è vicedirettore del Banco Popolare e amministratore di Pirelli. Altro che ‘governo tecnico’: è la dittatura della finanza! (Dati in riferimento alla data d’insediamento del Governo tecnico nel 2011)

Infatti sotto la spinta di questo governo delle banche, il Parlamento italiano ha votato il ‘Patto Fiscale’, il Trattato UE che impone di ridurre il debito pubblico al 60% del PIL in vent’anni. Così dal 2013 al 2032, i governi italiani , di destra o sinistra che siano, dovranno fare manovre economiche di 47-48 miliardi di euro all’anno, per ripagare il debito. “Noi italiani siamo polli in una macchina infernale – commenta giustamente F.Gesualdi – messa a punto dall’oligarchia finanziaria per derubarci dei nostri soldi con la complicità della politica”. E ancora più incredibile è il fatto che sia stato proprio il Parlamento , massima istituzione della democrazia, a mettere il sigillo “a una interpretazione del tutto errata della crisi finanziaria, ponendola nell’eccesso di spesa dello Stato, soprattutto della spesa sociale – così pensa L. Gallino – la crisi, nata dalle banche, è stata mascherata da crisi del debito pubblico”.

Il problema non è il debito pubblico (anche se bisogna riflettere per capire perché siamo arrivati a tali cifre!), ma il salvataggio delle banche europee che ci è costato almeno 4mila miliardi di dollari , a detta dello stesso presidente della UE, Barroso (Sembra che il salvataggio delle ‘banche americane’ fatto da Obama sia costato su 14mila miliardi di dollari!).

E’ chiaro che non possiamo accettare né il Patto fiscale della UE, né la sua ratifica fatta dal Parlamento italiano ,né la modifica costituzionale dell’articolo 81, perché a pagarne le spese sarà il popolo italiano.
C’è in Europa una nazione che ha scelto un’altra strada:l ’Islanda. La nostra stampa non ne parla. L’Islanda pittosto che salvare le banche (non avrebbe neanche potuto farlo, dato che i suoi debiti si erano gonfiati fino a dieci volte del suo PIL!), ha garantito i depositi bancari della gente ed ha lasciato il suo sistema bancario fallire, lasciando l’onere ai creditori del settore piuttosto che ai contribuenti. E la tutela del sistema di welfare, come scudo contro la miseria per i disoccupati, ha contribuito a riportare la nazione dal collasso economico verso la guarigione. E’ vero che l’Islanda è un piccolo paese ma può aiutarci a trovare una strada per tentare di uscire dalla dittatura delle banche .

Per questo suggeriamo alcune piste per una seria riflessione e conseguente azione:

1) Richiesta di una moratoria per il pagamento del debito pubblico;
2) Indagine popolare (audit) sulla formazione del nostro debito pubblico allo scopo di annullare la parte illegittima, rifiutando di pagare i debiti ‘odiosi’ o ‘illegittimi’, come ha fatto l’Ecuador di R. Correa nel 2007;
3) Sospensione dei piani di austerità che, oltre essere ingiusti, fanno aumentare la crisi;
4) Divieto di transazioni finanziarie con i paradisi fiscali e lotta alla massiccia evasione fiscale delle grandi imprese e degli straricchi;
5) Messa al bando dei ‘pacchetti tossici’ e della speculazione finanziaria sul cibo;
6) Divisione delle banche ‘troppo grandi per fallire’ in entità più controllabili, imponendo una chiara distinzione tra banche commerciali e banche di investimento;
7) Apertura di banche di credito totalmente pubbliche,
8 ) Imposizione di una tassa sulle transazioni finanziarie per la ‘tracciabilità’ dei trasferimenti e un’altra sui grandi patrimoni;
9) Rifondazione della BCE riportandola sotto controllo politico (democratizzazione), consentendole di effettuare prestiti direttamente ai governi europei a tassi di interesse molto bassi.

Sono solo dei suggerimenti per preparare un piano serio ed efficace per uscire dalla dittatura delle banche.

Per chi è interessato alle campagne in atto per un’altra uscita dal debito, consulti: smonta il debito,www.cnms.it. ; rivolta il debito, http://www.rivoltaildebito.it; no debito, http://www.nodebito.it
Se ci impegniamo, partendo dal basso e mettendoci in rete, a livello italiano ed europeo, il nuovo può fiorire anche nel vecchio Continente.
Da parte mia rifiuto di accettare un Sistema di Apartheid mondiale dove il 20% della popolazione mondiale consuma l’80% delle risorse: un pianeta con un miliardo di obesi tra i ricchi, e un miliardo di affamati tra gli impoveriti, e dove ogni minuto si spendono tre milioni di dollari in armamenti e nello stesso minuto muoiono per fame la morte di quindici bambini. Il mercato, la dittatura della finanza si trasformano allora “ in armi di distruzione di massa”, dice giustamente J. Stiglitz, premio Nobel dell’economia. “Il potere economico-finanziario lascia morire – afferma F. Hinkelammert – e il potere politico esegue…. Entrambi sono assassini.”

Diamoci da fare perché vinca invece la vita!””

Interessante, non è vero?
Una citoyenne

andrea
andrea
11 anni fa

ciao Pierferdi, un consiglio: cerca le alleanze giuste per le prossime politiche, le stesse alleanze che ti hanno permesso di rimanere seduto in Parlamento per anni con risultati anonimi ed inconcludenti perchè, assieme a tanti altri come te che ci hanno condotto nel baratro, hai una buona possibilità di essere spazzato via. E, in tutta sincerità, lo spero tanto.
Auguri

mario pezzati
mario pezzati
11 anni fa

@ citoyenne: interessante per il cumulo di sciocchezze che contiene.
Vediamo di smontarle una ad una.
finanziarizzazione dell’economia. Che significa? si parla di “colpa delle abnche e degli investitori”. Ok, prendiamo per buona questa tesi. Ma chiedo: chi sono gli investitori? In ultima analisi siamo noi. Siamo noi che ci facciamo ingolosire e ci buttiamo in investimenti rischiosi, senza capirci magari un’acca, ma solo perchè gli altri lo fanno. Poi, quando arriva il danno non diciamo mai “siamo stati troppo ingordi”, ma diciamo “è colpa degli altri”. Chi sono gli altri? Non si sa, l’importante è sentirsi incolpevoli. Anzi vittime di truffe. Eppure il meccanismo è sempre il solito, come ebbe a dire acutamente John Galbraith (padre del james sopra citato e, secondo me, molto più dotato del figlio…), il genio finanziario è tale fintanto che non crolla. Aggiungendo che le bolle specultavie sono colpa nostra.
Si dice: facciamo fallire le banche, ma tuteliamo i conti correnti dei risparmiatori. Secondo voi, quando obama e la ue mettono liquidità nelle banche, cosa stanno facendo? Perchè fors enons apete che la maggiro parte di fondi di investimento, azioni e così via, sono detenuti da piccoli risparmiatori. Ma anceh volendo ipotizzare che i piccoli abbiano i soldi solo sui conti correnti, sappiate che in ogni caso, per tutelare i conti correnti, devi pompare liquidità nelle banche (perchè se falliscono, va da sè, spariscono e con loro spariscono i conti correnti).

Ma parliamo dell’Islanda, isola felix che non paga il debito, utela i suoi cittadini e rinasce economicamente.
Ehm, sono in imbarazzo, non so come dirvelo, ma sono un cumulo di bufale (quasi pari a quelle di hollande che avrebbe fatto di tutto e di più…solo che, se consultate i lavori parlamentari, di tutte le mirabilie di hollande non c’è traccia…strano, vero???). Basta solo documentarsi su siti italiani e siti islandesi.
Intanto partiamo da un punto: ipotizziamo che la bufala islanda sia vera. E’ applicabile in italia? Ma manco per idea. Perchè?
Intanto l’Islanda è un paese con una popolazione ridicola (300.000 abitanti) e una estensione enrome 8rapportta alla popolazione) circa 1/3 dell’Italia (che ha una popolazione di circa 60 milioni di abitanti).
L’Islanda è un paese ricchissimo, tra materie prime, petrolio, gas, immense risorse geotermiche, minerali, ecc. Dal punto di vista delle sole risorse naturali risulta essere il paese più ricco del mondo. Per l’Italia tutto questo non si applica, ansi Sicuramente ci sono efferati sprechi della politica, ma le spese maggiori, in italia, sono per lo stato sociale (pensioni, sanità, servizi pubblici, ecc.) e per il costoso funzionamento della macchina statale, che però dà un numero di posti di lavoro superiori a quello di qualunque azienda privata.

E se l’Italia facesse lo stesso dell’Islanda e rifiutasse di onorare il debito pubblico?
1. L’ipotesi è di pura fantapolitica e fantaeconomia. Ma la affronto per divertimento intellettuale e per mostrare quanto il populismo spicciolo si possa reggere unicamente sull’assenza di ragionamento da parte dei cittadini. Premetto che le conseguenze sarebbero tali e tante che non potrebbero venire compiutamente computate, pertanto mi diverto ad elencarne solo alcune.

2. Essendo legati alla Comunità Europea e all’Euro, il non onorare il debito sarebbe comunque tecnicamente impossibile, ma forziamo ulteriormente il lume dalla ragione e della legalità internazionale e fingiamo che il 100% dei cittadini italiani scenda in piazza, cambi governo e costituzione e decida per l’autarchia finanziaria.

3. Non potendo più rinnovare le aste di titoli pubblici non verrebbero più pagati stipendi e pensioni, verrebbero azzerati i risparmi dei cittadini, perché direttamente e indirettamente legati ai titoli pubblici, e si bloccherebbero tutti i servizi, uffici, scuole, ospedali, ecc. Potrei fermarmi qui e sarebbe già sufficiente. Ma voglio infierire.

4. L’Italia dovrebbe imporre ai Poligrafici dello Stato di stampare carta moneta a bizzeffe, ovviamente le vecchie lire, visto che verrebbe esclusa automaticamente dall’euro, ma questa moneta non varrebbe nulla, non solo nei rapporti con l’estero, ma nemmeno i cittadini l’accetterebbero come stipendio o pensione. Il denaro buono rimarrebbe comunque l’euro.

5. L’economia italiana, non avendo noi materie prime, è di trasformazione: compriamo all’estero le materie, le elaboriamo e le vendiamo. Ma, rifiutandoci di pagare il debito pubblico e quindi esclusi dall’euro, chi mai accetterebbe in pagamento della carta straccia?

6. Il mancato acquisto di prodotti dall’estero vuole dire crollo dell’industria, crollo dei trasporti (chi ci venderebbe il petrolio), crollo del gas (con cosa cucineremo e riscalderemo le case?), crollo dell’energia elettrica (la produciamo in massima parte da idrocarburi).

7. L’eventuale confisca dei beni italiani all’estero sarebbe letale: la maggior parte delle aziende italiane hanno filiali e fabbriche all’estero, per non parlare di investimenti finanziari, beni mobili e immobili, ecc. Pensate aziende come FIAT, che hanno la maggior parte degli stabilimenti all’estero, sarebbero confiscate subito e gli impiegati italiani potrebbero occuparsi solo di giocare a briscola.

8. La produzione autarchica dell’Italia sarebbe una barzelletta, non ci si riuscì nemmeno durante il fascismo in periodo di guerra. Pensate che non siamo autosufficienti nemmeno in agricoltura, per esempio siamo il primo paese consumatore di caffè in Europa e non ne produciamo neppure un chicco, per non parlare di grano (in gran parte importato), di banane (ne siamo immensi consumatori), e mille altri prodotti agricoli dove le importazioni superano le esportazioni.

Ma tutto questo non si pone, perchè come ho detto, il discorso “l’islanda non ha apgato il debito” è una bufala clamorosa (per altro, nata in Italia, perchè all’estero e nelals tessa islanda, sanno la verità…)
Dopo l’ondata di liberalizzazione che investì l’isola negli anni ottanta, dal 1998 inizia il processo di privatizzazione delle banche e dei fondi di investimento sino a quel momento di proprietà dello Stato. Le banche non furono vendute a gruppi bancari stranieri come accaduto nell’Est dell’Europa, ma a privati islandesi molto vicini ai partiti di governo. Con le banche libere dal controllo statale (in realtà primo complice), questi soggetti si diedero alla pazza gioia, concedendo e riscuotendo prestiti in grande quantità, come mai avvenuto in passato, facendo impennare il credito interno del sistema bancario dal 100% del Pil nel 2000 al 450% del 2007.

La krona islandese è storicamente una valuta fluttuante, esposta all’influenza dei mercati mondiali e perciò facilmente sopravalutabile, per questo si decise di puntare sul cambio con le monete estere e sugli alti tassi di interesse (5-6%, contro il 2-4% dell’area euro-USA, e soprattutto lo 0-1% del Giappone) per attirare investitori stranieri, sia sotto forma di correntisti che di speculatori (ricordatevelo, si chiama carry trade e ne riparliamo tra poche righe).

E così il “fratello” islandese del nostro Conto Arancio, Icesave, vide crescere vertiginosamente in pochi anni il numero di correntisti da tutto il nord Europa. Simili condizioni, ovviamente, attirarono gli speculatori finanziari di tutto il mondo. Un esempio? Immaginiamo di chiedere in prestito cento euro al paese “x” a un ipotetico tasso di 1%, sapendo quindi di dover restituire 101 euro; a quel punto si va in Islanda con i nostri cento euro e si acquista un titolo di stato (in pratica “prestando” a mia volta i cento euro all’Islanda…), il tasso islandese, infatti, garantisce che mi verranno restituiti 106 euro, ovvero 5 euro di guadagno senza aver investito un centesimo.

L’Islanda, però, non avrebbe mai potuto reggere un simile indebitamento, basti pensare che nel 2007 i debiti a breve termine verso l’estero del sistema bancario arrivano ad essere quindici volte superiori alle riserve in valuta estera della banca centrale d’Islanda.

Nell’estate del 2008 viene dichiarato il fallimento delle tre banche del paese, l’Islanda si ritrova a picco con un debito estero di 50 miliardi di euro (per l’80% rappresentato dal debito delle banche) a fronte di un Pil di 8,5 miliardi! La moneta nazionale subisce una pesante svalutazione sino al -35% rispetto all’euro e l’ inflazione sale al 14%. Intanto, più di mezzo milione di correntisti esteri si ritrovano con il conto congelato.

questo punto il governo islandese non ha altra scelta che nazionalizzare le banche fallite e affidarsi al Fondo Monetario Internazionale. L’Islanda accetta il finanziamento di 2,1 miliardi di prestito secco dal FMI a cui si aggiungono 5 miliardi dagli istituti centrali della banca scandinava e dalla banca del Giappone e accetta anche le condizioni imposte dal Fondo e dettate dal programma di ristrutturazione dell’economia interna. Contemporaneamente i paesi dell’Ue, in primis Inghilterra e Olanda, risarciscono i propri risparmiatori (correntisti di Icesave) convinti poi di potersi rifare sul “colpevole”, la banca islandese, che però adesso è nuovamente di proprietà dello Stato. In parole povere, il debito delle banche contratto da ricchi imprenditori del credito, dopo la “nazionalizzazione obbligata” diventa debito pubblico dell’Islanda e si aggiunge a quello con il FMI.
Inghilterra e Olanda, con la regia del Fondo, propongono all’Islanda un programma per la restituzione in 15 anni di quasi 3,4 miliardi e il governo islandese “gira” la patata bollente sui cittadini chiedendo loro poco più di 100 euro al mese per quindici anni. Siamo nei primi mesi del 2009.
Poi ci sono un pò di proteste da aprte dei cittadini, perchè effettivamente si parla di debiti tra privati e chi non ne ha non li vuole pagare…
Cade il governo, ne viene fuori uno nuovo…E???????????????

Un mese dopo, agosto 2011, si è concluso il piano del FMI con tanto di annunci e soddisfazione da parte di tutti. L’Islanda finirà di pagare il debito con FMI nel 2014, fino all’ultimo centesimo, fra tagli delle spese pubbliche e aumento dei tributi sulla testa della popolazione. E che cosa ne è del debito Icesave dopo il risultato del referendum? Nel marzo 2011, con un nuovo referendum, i cittadini hanno respinto la seconda proposta di restituzione. Olanda e Inghilterra hanno allora concesso un rinvio dei pagamenti, poi, lo scorso settembre, l’annuncio del ministro dell’economia islandese ha rassicurato tutti: “…entro la fine del 2012 il patrimonio della nuova Landesbanki (Icesave era una filiale di Landesbanki n.d.r) sarà sufficiente per coprire i debiti della vecchia gestione privata e risarcire le perdite dei risparmiatori. Per questo motivo cambia radicalmente la nostra interpretazione della disputa relativa ad Icesave – ha detto il ministro in quell’occasione – Non c’è più alcun motivo di contendere”. Anche il debito di Icesave verrà quindi regolarmente pagato ma, stando alle dichiarazioni del politico islandese, non saranno direttamente le tasse dai cittadini a finanziarlo. Se invece il patrimonio della Landesbanki non dovesse bastare le possibilità sono due: o si continuerà a respingere proposte di restituzione all’infinito o si arriverà ad un accordo tra le parti.

In conclusione, l’Islanda non è ancora uscita dal terremoto finanziario che l’ha sconvolta, ma piano piano ha risalito la china e lo ha fatto seguendo scrupolosamente il piano del Fondo Monetario Internazionale. Insomma, nessun rifiuto irriverente… Inoltre, nel 2009, ha ufficialmente presentato richiesta per essere ammessa nell’Unione Europea. Certo, la leggendaria rivoluzione islandese raccontata sul web, quella dell’impertinente e coraggioso rifiuto di sottostare alle regole dell’economia globale, il complotto dei media di tutta Europa che nascondono la verità su quel che è accaduto nell’isola di ghiaccio… beh, sarebbe stata una bella storia da raccontare, sicuramente più avvincente come lettura, ma accontentiamoci: nella realtà rimane l’attesa per la decisione della commissione che dovrà esprimersi sull’entrata in vigore di una costituzione compilata sul web e partecipata dai cittadini, rimane la caparbietà di un popolo che stretto nella morsa del crac finanziario è riuscito a far sentire la propria voce ed il proprio peso politico, regalando all’Europa, qualunque sia l’epilogo della disputa Icesave, una lezione di democrazia.

Gattestro
Gattestro
11 anni fa

@ Mario Pezzati

intervengo non per polemizzare, le assicuro, ma giusto per contestualizzare una affermazione che lei contesta. Con l’espressione “finanziarizzazione dell’economia” si intende comunemente un processo che ha avuto il suo storico inizio nel 1999 negli Stati Uniti con il Gramm-Leach-Biley Act, firmato dal presidente Clinton, che ha abrogato la distinzione tra banche commerciali e banche di investimento. Questo atto politico ha di fatto dato la possibilità a tutte le banche di gettarsi nella mischia dei mercati finanziari, dove i profitti (sapendoci fare naturalmente) sono mediamente 20 volte i profitti di chi investe nella cosiddetta economia reale. Mi sembra ovvio che una simile tentazione non poteva lasciare indifferente nessun istituto di credito 🙂 In altre parole le risorse economiche si sono spostate dal credito alle imprese ai mercati finanziari in modo, per così dire, del tutto naturale. Le banche perciò non sono in crisi di liquidità solo perché impegnate a comprare titoli di stato e sovvenzionare così il debito pubblico, ma anche perché preferiscono investire nei mercati finanziari piuttosto che erogare credito alle famiglie e alle imprese. In questo senso si può parlare di “finanziarizzazione dell’economia”.
Infine mi permetta di osservare, con simpatia, che la sua critica iniziale sugli investitori va bene, anzi benissimo, se rivolta al singolo risparmiatore che si lamenta e grida al complotto quando perde soldi giocati in borsa in modo improvvido. Tuttavia gli investitori non sono solo i piccoli azionisti e risparmiatori (spesso denominati “parco buoi” dagli addetti ai lavori 🙂 ). Come lei saprà benissimo tra gli investitori si annoverano anche banche, imprese, società assicurative, holding finanziarie e società di investimento che certamente movimentano somme e capitali al di là dell’immaginazione del piccolo risparmiatore. In questo senso forse è un po’ improprio concludere che gli investitori siamo noi, solo perché abbiamo un conto corrente o perché abbiamo comprato un pacchetto di mille azioni di una società quotata in borsa.

Cordiali saluti

mario pezzati
mario pezzati
11 anni fa

@ gattestro: tutto giusto quello che dici. però è anche vero che la crisi del 2008 l’abbiamo provocata anche noi.
Se qualcuno, in un futuro più o meno prossimo, avessete tempo e pazienza, potrebbe riprneder ein mano i quotidiani (bastano quelli italiani) dal 2003 al 2008 e leggere tutti i commenti finanziari ed economici: tutti affermavano che il mercato europeo era poco sviluppato e che anzi l’economia andava avanti grazie agli USA che consumavano (in tal senso erano illuminanti certi fondi di repubblica) quello che produceva l’europa, alimentando, quindi, le esportazioni europee.
Ma gli USA i soldi d a dvoe li prendevano? o meglio gli statunitensi? si indebitavano sempre di più. Non si sapeva questo’ CERTO CHE SI SAPEVA, MA SOPRATTUTTO IN europa si preferiva ignorare questo fatto.
alla fine, nel 2008, il giochino non è stato più sostenibile.

sulla finanziarizzazione dell’economia: verissimo quello che dici, ma perchè le abnche e i cda vanno a guardare i profitti a 3 mesi? perchè alla fine devono rendere conto agli zionisti.
Che sono avidi, grandi e piccoli.

Racconto un fatto vero accadutomi nel 2000: ad una cliente consigliai di comprare enel. MI disse di no perchè crescevano poco e lei voleva guadagnare. Comprò azioni di tecnodiffusione, tiscali (a 1000 euro) e prima industrie. Perse un sacco di soldi.
Era una persona colta, informata, intelligente, ma si comportò stupidamente.
Il problema è che il piccolo (e ci sono tantissimi piccoli) vogliono guadagnare tanto e in poco tempo (lo so, perchè ci sono cascato anche io). Il grosso può permettersi rendimenti minori, ma più sicuri.
D’altronde se io investo 10.000 euro, per avere qualcosa di apprezzabile (diciamo 1000 euro) devo investire con rendimenti almeno del 10%. Ma se io investo 100.000 euro, mi basta un rendimento anche dell’1% per avere 1000 euro e quindi posso permettermi un profilo più prudente.

Gattestro
Gattestro
11 anni fa

@ Mario Pezzati

non contesto neanche una parola di ciò che lei scrive. Mi limito però ad osservare che probabilmente vediamo lo stesso problema da due diversi punti di vista. Personalmente preferisco analizzare ogni problema, per quelle che sono le mie limitate capacità, da un punto di vista più macroscopico, per scendere solo in un secondo momento nel dettaglio. Per questo motivo ho cercato di riassumere, in modo molto sintetico, uno dei principali problemi dell’attuale crisi economica che sta travolgendo la piccola e media impresa italiana, a cui viene negato l’accesso al credito. Con tutto il corollario di gravi consegenze per l’occupazione e il disagio sociale (ci sono stati anche imprenditori che si sono suicidati per l’insopportabilità del fallimento!), nonché la vera e propria fissazione europeista di salvaguardare la moneta unica senza fare l’unico vero passo in avanti che ci metterebbe tutti più la sicuro: gli Stati Uniti d’Europa! Concludo perciò osservando che se i problemi economici del nostro periodo storico sono di natura globale e perciò molto complessi, tuttavia bisogna pur cominciare ad aggredirli. In questo senso, al netto dell’avidità degli investitori (grandi e piccoli) che considero fisiologica, “naturale” e che non mi sorprende, la mia modesta opinione è che la politica torni a giocare un ruolo da protagonista, per prima cosa calmierando gli eccessi di chi opera sul mercato, che certamente non si pone alcuno scrupolo nella ricerca del proprio massimo profitto, e in secondo luogo dando vita ad una realtà, oggi solo virtuale, che è quella di una Europa davvero unita, anche e soprattutto politicamente.
Viceversa a mio parere, l’obiettivo di salvare l’euro è destinato a fallire miseramente, sotto i colpi di chi ha tutto l’interesse a farlo sparire o, volendo essere ottimisti, grazie a chi non ha nessun interesse a farlo sopravvivere.

cittadino
cittadino
11 anni fa

Perché ci si avvii realmente verso gli Stati Uniti d’ Europa ci vorrebbero alla guida dei maggiori stati dell’ area (che unita sarebbe la più grande aggregazione economica del mondo) dei veri statisti, ma a ben guardare purtroppo l’ ultimo leader degno di questo nome è stato Khol e, ad oggi, non se ne vedono altri a quel livello. La speranza è l’ ultima a morire, ma se ci sono, come ad esempio in Italia, milioni di persone che non vanno a votare o che votano personaggi antieuropeisti o che firmano per proporre a premier politici del tutto inadeguati (ce la immaginiamo la Meloni, con tutto il rispetto per il suo impegno, a trattare temi internazionali?) sarà veramente dura perché è indubbio che ce la possiamo cavare solo se ci sarà un’ Europa unita sia economicamente che politicamente. Cittadino.



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