Tutti i post della categoria: Spunti di riflessione

Ricuciamo l’Italia

postato il 6 Ottobre 2011

di Adriano Frinchi

In politica accade che ogni tanto qualche slogan venga riciclato, lo ha fatto persino il comunicatore per eccellenza Berlusconi che nel 1994 per il suo neonato movimento politico pensò al nome di una fortunata campagna elettorale democristiana: “Forza Italia!”. Più recentemente, nel 2008, Walter Veltroni ha riciclato l’obamiano “Yes, we can” con un meno altisonante “si può fare”.

Nulla di strano allora se l’associazione “Libertà e giustizia” del prof. Gustavo Zagrebelsky ha riutilizzato per la prossima manifestazione milanese una delle campagne più riuscite dell’Udc con tanto di ago e filo nel manifesto. C’è da augurarsi di non assistere alla replica del Palasharp con tanto di tredicenne imbufalito contro Berlusconi, ma di vedere finalmente una mobilitazione che, anche se non condivisibile in tutte le sue parti, possa essere un progetto, un “per” e non un semplicemente un “contro”. Dispiacerebbe vedere l’ago, che nei manifesti dell’Udc ricuciva il Paese, utilizzato per il più classico dei riti voodoo.

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Il pericolo dello Stato criminogeno

postato il 6 Ottobre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Roberto Dal Pan

Qualche tempo fa mi è capitato fra le mani un libretto del 1997 edito da Laterza ed intitolato “Lo Stato criminogeno”; il suo autore era un professore universitario che da poco aveva iniziato la sua carriera politica peraltro con un certo successo avendo rivestito per qualche mese anche il ruolo di Ministro delle Finanze: il suo nome era, ed è, Giulio Tremonti. Quel volumetto, che ho tratto dall’oblio in cui giaceva sui miei scaffali, era una coraggiosa opera di denuncia contro “lo stato giacobino che tutto vorrebbe controllare” ed anche “un manifesto liberale per ritrovare la via dello sviluppo”; i tre lustri seguiti all’uscita del volume hanno provveduto a dimostrare quanto sia difficile in questo Paese passare dalle parole ai fatti.

La definizione di “Stato criminogeno”, usata da Tremonti per indicare un Governo che “obbliga” i propri amministrati a trasgredire le leggi che lo stesso produce, mi è tornata in mente quando ho avuto modo di leggere una relazione a firma di Corrado Baldinelli, capo del Servizio Supervisione Intermediari Specializzati della Banca d’Italia, in cui si tratta di intermediazione finanziaria e comparto del “gaming”. L’alto funzionario nella sua nota si sofferma ad analizzare gli aspetti meno conosciuti ma non meno preoccupanti del fenomeno del gioco d’azzardo legalizzato e ne delinea uno scenario non proprio tranquillizzante.

Tanto per dare un’idea delle dimensioni del fenomeno, guardiamo alle cifre ufficiali fornite dall’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato che gestisce l’intero comparto: nell’anno 2010 la raccolta totale delle giocate effettuate ammontava a 61,4 miliardi di euro, nel solo periodo gennaio-agosto 2011 siamo già arrivati a 48,3 miliardi con un aumento pari al 23,85 % rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente che, se mantenuto, porterebbe l’ammontare annuale delle giocate per l’anno in corso alla fantastica cifra di 76 miliardi di euro .

Analizzando più in dettaglio le cifre e prendendo ad esempio il mese di agosto 2011, ultimo dato definitivo finora disponibile, si scopre che nel mese in esame sono stati giocati dagli italiani ben 6.418 milioni di euro di cui 3.229 milioni provenienti dagli “apparecchi di intrattenimento” cioè le macchinette da videopoker e simili che vediamo installate nei locali pubblici. Non meno sorprendente appare la rilevazione disaggregata su base regionale da cui emerge che la parte del leone la fanno le regioni del nord ed in particolare la Lombardia che contribuisce al totale già citato di 6.418 milioni di euro con la ragguardevole quota di 1.070 milioni di cui ben 632,7 provenienti da slot machines e videopoker. Il dettaglio più preoccupante, tuttavia, deriva non già dalla raccolta delle giocate ma dalle vincite dichiarate in quanto, sempre per rimanere ai dati di agosto 2011 resi noti dall’AAMS, a fronte della raccolta di 6.418 milioni di euro di giocate sono stati pagati 4.955 milioni di euro di vincite di cui 2.571 pagati da videopoker e slot machines. Nel periodo gennaio-agosto 2011 sono state pagate vincite dagli apparecchi da intrattenimento per un totale di 21,8 miliardi di euro e di questo fiume di denaro in moltissimi casi si fatica a conoscere la provenienza e soprattutto la destinazione.

L’allarme sulle zone d’ombra del sistema dei giochi in Italia era stato già lanciato, tra gli altri, da un corposo e documentato saggio apparso su GNOSIS, rivista dell’AISI – Agenzia Informazioni Sicurezza Interna, all’inizio del 2010; in quel pregevole lavoro si passavano in rassegna gli aspetti normativi del comparto e le sue più recenti evoluzioni con particolare attenzione all’esposione dei giochi on-line e relative problematiche. Nelle considerazioni finali del rapporto si rilevava come la preoccupazione investigativa dovesse rivolgersi, oltre che al tradizionale settore dei giochi illegali, anche verso il gioco regolamentato poichè la stessa Direzione Nazionale Antimafia aveva richiamato l’attenzione sul fatto che l’interesse della criminalità organizzata sia ultimamente rivolto verso il gioco legale “sia per scopi di riciclaggio sia per consentire alla propria rete territoriale di usurai di disporre di un numero enorme di potenziali clienti”.

Tornando alla relazione della Banca d’Italia citata in apertura, in essa si rileva come nel gioco tramite rete fisica “le prassi operative fondate sull’anonimato e sull’utilizzo di contante possono favorire comportamenti irregolari e l’infiltrazione della criminalità organizzata”, arrivando poi a segnalare il fatto che “si è creato una sorta di mercato secondario dei ticket vincenti che, configurandosi come titoli di incasso anonimi sostitutivi del contante, sono in grado di alimentare fattispecie di riciclaggio”. La relazione si conclude quindi con l’auspicio dell’adozione di nuove e più stringenti normative che vadano verso l’adozione obbligatoria di mezzi di pagamento tracciabili anche in relazione al gioco in sede fisica oltre che a quello on-line per finire alla necessità di applicazione di standard di tipo finanziario a tutela degli ingenti trasferimenti di valuta originati dal mondo del gaming. A riprova della correttezza dello scenario ipotizzato si consideri che, secondo il bollettino dell’Unità di Informazione Finanziaria della Banca d’Italia, le segnalazioni di attività sospette nel settore dei giochi connesse ad ipotesi di riciclaggio sono state 34 nel 2010 e ben 48 nel solo primo semestre dell’anno in corso.

Pur considerata la massima latina secondo la quale “pecunia non olet”, non può non rilevarsi che il settore del gioco legale – che pure garantisce circa il 15% del fatturato totale delle casse dello Stato – trae la sua sussistenza in un segmento sociale spesso costituito da soggetti deboli ed in condizione di minorata difesa a causa di carenze personali, educative o di censo. Non sono poche ormai le strutture che si occupano di ludopatie, ossia dei comportamenti compulsivi legati al gioco, anche perché il numero stimato dei soggetti potenzialmente esposti alla problematica viene valutato dell’Organizzazione Mondiale della Sanità attorno al 3% della popolazione italiana con già 700.000 soggetti affetti da sindrome del gioco patologico.

Il pericolo di un indiscriminato aumento delle possibilità di gioco d’azzardo, ancorchè sotto il controllo statale, era peraltro già stato abbondantemente segnalato in passato; basti citare la conclusione dello studio del dott. Mauro Croce pubblicato sulla Rivista della Scuola Superiore dell’Economia e delle Finanze già nel 2005: “Attraverso il gioco, infatti, la criminalità può ricattare persone indebitate od usurate sotto diverse forme. Concedere credito a tassi di usura a cittadini insospettabili ed incensurati, favorire il loro accesso a forme di gioco controllate direttamente dalla criminalità permette alla stessa di potersi avvalere di persone successivamente ricattabili chiedendo di prestarsi ad azioni delittuose, a coperture, protezioni, all’avere accesso ad informazioni riservate o di infiltrarsi e controllare sotto coperture in imprese, esercizi, e quant’altro”.

Di tali preoccupazioni si sono opportunamente fatti interpreti due illustri esponenti dell’Unione di Centro, che proprio nelle ultime ore hanno fatto sentire la loro voce in merito alla problematica evidenziata. Il capogruppo UDC in Senato Gianpiero D’Alia, durante la discussione della relazione Antimafia sul gioco d’azzardo, ha rilevato come affrontare il tema delle ludopatie e del gioco o d’azzardo voglia dire spalancare gli occhi su di una vera e propria emergenza sociale che pervade l’intera nazione e rende necessario calendarizzare leggi di contrasto al gioco d’azzardo perché esso rappresenta il punto d’incontro di gravi distorsioni dell’assetto socio-economico e favorisce il crimine organizzato anche attraverso il collegamento con fenomeni quali usura, estorsione e riciclaggio. Il Senatore D’Alia ha sottolineato inoltre che si sarebbe aspettato un vero dibattito parlamentare sulla questione mentre invece il Governo é rimasto cinicamente assente disinteressandosi del tutto, a maggior riprova del fatto che le evidenti incentivazioni a comportamenti patologici sul fronte del guioco corrispondono alla volontà di introdurre forme occulte di prelievo dalle tasche dei cittadini mascherandole con ammiccanti forme di intrattenimento.

Nell’altro ramo del Parlamento, l’On. Antonio De Poli, membro della Commissione Affari Sociali della Camera, ha presentato un progetto di legge teso a modificare il Regio Decreto n. 773 del 1931 (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza) al fine di impedire l’installazione delle slot machine nei luoghi pubblici o aperti al pubblico, nei circoli e nelle associazioni. Nel presentare la proposta di legge, anche l’On. De Poli ha rilevato come negli ultimi anni si sia potuto assistere ad una evidente incentivazione del gioco d’azzardo anche attraverso la legalizzazione di giochi prima proibiti. Ciò che doveva rappresentare solo un piacevole passatempo rischia però di trasformarsi per molte persone in una vera e propria dipendenza del tutto assimilabile a quella da sostanze stupefacenti, con la conseguenza che il benessere futuro di intere famiglie viene messo a repentaglio dal comportamento compulsivo di chi si trova imprigionato nei meccanismi del gioco patologico. Una analoga proposta di legge volta a modificare il Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza era già stata presentata in Consiglio Regionale del Veneto dal Capogruppo dell’UDC Stefano Valdegamberi.

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L’autonomia dei direttori è sacrosanta come il diritto di critica

postato il 29 Settembre 2011
Inutile negare la profonda crisi nel rapporto tra politica e giustizia: per noi il garantismo è una vocazione autentica e non può essere confuso con l’impunità o con l’idea di una casta che si autoassolve sempre.
Detto questo, c’è da preoccuparsi per la spettacolarizzazione di alcune inchieste giudiziarie e per l’invasione impropria di sfere che appartengono alla discrezionalità e al libero arbitrio professionale.
E’ il caso dell’irruzione della Guardia di Finanza nella sede Rai disposta dal magistrato titolare dell’inchiesta, nell’ambito della vertenza di lavoro tra il direttore del Tg1 Minzolini e la giornalista Tiziana Ferrario.
In uno stato liberale l’autonomia dei direttori è sacrosanta almeno quanto il nostro diritto di criticarli poiché la scelta di chi conduce un Tg non può spettare a un giudice. Una democrazia muore anche per le continue invasioni di campo e per la confusione di competenze.

 

Pier Ferdinando

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Bisogna rinnovare l’impegno dei cattolici in politica

postato il 28 Settembre 2011

Questa triste stagione sta per finire, ora servono i valori

La partecipazione dei cattolici deve essere aggiornata, nuova. C’e’ bisogno dei democratici cristiani e di rinnovare l’impegno dei cattolici in politica per costruire una politica che sia fondata sulle grandi idealità, perché quello attuale è diventato un mercato indecente in cui tutto interessa, salvo il bene del Paese.
E’ chiaro però che le forme della presenza cattolica devono essere aggiornate: non può trattarsi della riproposizione di quelle pagine grandi che furono della Dc di Moro e De Gasperi. Le stagioni cambiamo e bisogna adeguarsi ai cambiamenti ma tornare alle sorgenti è importante: è una stagione triste quella che si avvia a finire e dobbiamo evitare di ricostruire sulle sabbie mobili il futuro dei democratico cristiani.
Non è un caso che la Chiesa ci richiami a ritrovare la politica alta, costruita sui valori, e abbattere le barriere di egoismo e individualismo che stanno distruggendo le società contemporanee. E’ molto importante la coincidenza tra la celebrazione della storia dell’unione internazionale dei democratico cristiani e il richiamo della Chiesa italiana, che si dimostra grande ricchezza e forza per tutti noi.
Dobbiamo dire ai giovani che la politica non e’ solo la cosa triste che sta emergendo sui giornali, ma e’ una cosa nobile, costruita su valori e grandi idealità, se risponde alle esigenze del Paese, sennò e’ una cosa degradata.

Pier Ferdinando

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Svimez 2011, dal Sud si continua a emigrare

postato il 27 Settembre 2011

Disoccupazione in aumento, fuga e spreco di cervelli. È un ritratto a tinte fosche quello che emerge dai dati del Rapporto Svimez 2011 sull’economia del Mezzogiorno. Al sud Italia meno di un giovane su tre lavora (meno di uno su quattro per se si parla delle donne), mentre continua il ‘drenaggio’ dalle aree deboli del Paese a quelle con maggiori possibilità di trovare un’occupazione.
Dal 2000 al 2009 sono state quasi 600mila le persone che hanno abbandonato il Mezzogiorno. A livello locale, le perdite più forti si sono registrate a Napoli (-108mila), Palermo (-29mila), Bari e Caserta (-15mila), Catania e Foggia (-10mila).
Secondo lo studio, inoltre, nei prossimi vent’anni il Mezzogiorno perderà quasi un giovane su quattro. Una tendenza che, nel 2050, porterà gli under 30 dagli attuali 7 milioni a meno di 5. Le cause? Bassa natalità, bassissima attrazione di stranieri, emigrazione.
Il rischio paventato è quello di un vero e proprio “tsunami” demografico: da un’area giovane e ricca di menti e braccia, il sud Italia si trasformerà nel prossimo quarantennio in un’area spopolata, anziana, sempre più dipendente dal resto del Paese.
E la politica come incide su questi dati?
Secondo lo Svimez la Manovra economica avrà un effetto ulteriormente depressivo sul Mezzogiorno, e il contributo delle regioni meridionali al risanamento finanziario arriverà al 35% del totale nazionale, una quota superiore di 12 punti percentuali al suo peso economico. I motivi? I tagli agli enti locali (6 miliardi di euro) e la contrazione degli investimenti pubblici nazionali e regionali, per effetto del Patto di stabilità. [Continua a leggere]

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Più veloci della luce e delle polemiche

postato il 25 Settembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Jakob Panzeri

Faster than light, più veloce della luce. La comunità scientifica internazionale è sospesa tra incredulità ed entusiasmo. Ci vorranno mesi probabilmente per avere conferma del risultato da parte di altri esperimenti, e almeno un anno per studiare l’effetto su altre particelle dotate di massa, come l’elettrone. Ma una cosa è certa. Se davvero questo evento sarà confermato, ci troveremmo in una nuova stagione della fisica, paragonabile alla straordinaria avventura di inizio Novecento, che portò allo sviluppo della meccanica quantistica e alla teoria della relatività. Ma se allora protagonisti di questa rivoluzione furono individualità geniali, anticonformisti giganti della scienza come Max Planck ed Albert Einstein, ora si tratta di un vero e proprio lavoro di squadra che ha coinvolto circa 160 fisici, ingegneri, tecnici di 31 istituzioni e 11 paese diversi coordinati da Antonio Ereditato, ricercatore napoletano alla guida dell’Istituto di Fisica delle particelle dell’Università di Berna. Questo progetto, denominato “Opera” ha visto l’Italia svolgere una parte da leone, con la mobilitazione di nove centri universitari, da Padova a Bari passando per Bologna a Roma e il sostegno economico di 45 milioni di euro del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca. Ma la scossa parte in profondità, a circa 1800 metri sotto Campo Imperatore, nei Laboratori Nazionali del Gran Sasso, intuizione del noto fisico Antonino Zichichi che li volle nel 1982. Un vero terremoto, che potrebbe rivelarsi la scoperta del secolo. La velocità della luce nel vuoto è infatti il massimo valore per trasmettere segnali ed è considerato un vero e proprio limite universale. La cosiddetta “Relatività ristretta” che Einstein sviluppò partendo dalla relatività galileiana ha come base fondamentale il fatto che non deve esistere alcuna particella che possa viaggiare a velocità superiore a quella della luce, che è di circa un miliardo di chilometri l’ora. Eppure, neutrini che scorrono sotto la superficie terrestre tra i laboratori europei del CERN, a Ginevra, e i Laboratori nazionali del Gran Sasso sono un po’ più veloci della luce.

Nel percorso tra il CERN e il Gran Sasso, circa 732 km, se viaggiasse nel vuoto la luce impiegherebbe circa 2,4 millesimi di secondo. I neutrini inviati da Ginevra ci mettono un po’ meno. La differenza è di appena 60 nanosecondi (un nanosecondo è un miliardesimo di secondo) : poco in assoluto ma una differenza significativa se si pensa che oggi esistono orologi con precisione molto più accurata e che l’incertezza sulla distanza misurata con il GPS non è più di 20 centimetri. Già da tre anni circa erano noti questi risultati ma, con la cautela tipica del metodo scientifico, si è prima cercato di verificare accuratamente i risultati considerando anche eventuali errori dovuti alla strumentazione se non addirittura al terremoto dell’Aquila. Lunedì sarà un giovane ricercatore italiano dal nome ancora poco conosciuto, Pasquale Migliozzi, ad esporre agli occhi e alle orecchie del mondo questa importante scoperta avvenuto per caso, o per serendipità come dicono gli addetti ai lavori. Questa rivelazione avviene pochi giorni dopo che l’European Physical Society ha assegnato i suoi riconoscimenti, considerati inferiori solo ai Nobel, a cinque fisici italiani tra cui il presidente del Centro Nazionale di Ricerca Luciano Maiani. La fisica italiana è sul tetto del mondo. Dobbiamo essere fieri dei giovani e anche dei meno giovani, come il celebre Antonino Zichichi, che si sono resi protagonisti del progetto Opera. Giovani che rappresentano davvero l’Italia migliore. “Chi ha raggiunto lo stadio di non meravigliarsi più di nulla dimostra semplicemente di aver perduto l’arte del ragionare e del riflettere”. Queste parole di Max Planck celebrano a mio parere il vero senso della scienza: una continua lotta, una continua scoperta in un mondo immenso, misterioso, magnifico, un universo dalle mille forze, mille amori e profondità. Dedicare la propria vita alla ricerca è una scelta ardua sorretta dalla passione dove spesso si rimane soli e privi di considerazione , di fondi e di sostegni, ma se non si demorde mai si può giungere a risultati straordinari. Onore davvero alla fisica italiana e ai suoi giovani, onore anche al nostro Ministero dell’Università e della Ricerca nonostante la brutta gaffe del ponte sotterraneo apparsa in un comunicato… ma oggi non vogliamo fare polemica, oggi si deve imbandire il vitello grasso per festeggiare i fisici italiani simbolo di un’Italia migliore augurandoci che aprano una nuova stagione nella fisica e anche una nuova stagione sulla considerazione e l’economia della ricerca italiana.

PER APPROFONDIRE:

Per i meno esperti: una spiegazione semplice e divulgativa di Antonino Zichichi

Per gli appassionati e gli studiosi, il paper della scoperta

Per i curiosi, un consiglio di lettura sul mondo delle scienze

“Solo lo stupore conosce, l’avventura della ricerca scientifica” di Marco Bersanelli e Mario Gargantini

 

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Ecco perché gli italiani sono un popolo e i padani no

postato il 21 Settembre 2011

di Jakob Panzeri

« Una d’arme, di lingua, d’altare, di memorie, di sangue, di cor » scrive Alessandro Manzoni nella lirica Marzo 1821, l’ode patriottica in cui celebra i primi moti carbonari piemontesi e immagina il varco del Ticino di Carlo Alberto di Savoia. Più prosaicamente  la Dichiarazione Universale dei Diritti dei Popoli , siglata a Barcellona nel 1990, così definisce un  “popolo”: Ogni collettività umana avente un riferimento comune ad una propria cultura e una propria tradizione storica, sviluppate su un territorio geograficamente determinato la quale ha diritto a sentirsi popolo e a dichiararsi nazione”.

Il primo utilizzo della parola “Italia” è documentato nello storiografo greco Erodoto di Alicarnasso che fa derivare l’etimologia dal nome dal nome greco “italòs” che significa “vitello”, l’Italia viene identificata come una terra ricca di mandrie, di tori e di vitelli. Questo nome sarà in seguito ripreso da Tucidide, Aristotele, Antioco di Siracusa, Strabone tra gli storici greci, lo troveremo anche in Aulo Gellio, Varrone, Sesto Pompeo Festo e Virgilio presso i  latini. Il primo utilizzo della parola “Padania” invece risale al noto e simpatico giornalista sportivo Gianni Brera che usò poeticamente e forse ironicamente il termine Padania in alcune cronache degli anni ’60.

Le origini di un primitivo popolo italiano risalgono al Neolitico, quando diverse ondate migratorie portano alcuni popoli indoeuropei a coabitare pacificamente e a mescolarsi tra loro nella bella terra dei vitelli, popoli come i Liguri, i Paoleoveneti, gli Umbri, i Latini, i Lucani… popoli che ancora oggi rivivono nei nomi dei nostri enti regionali! Popoli che saranno conquistati dai romani e riuniti con il nome di “soci italici”.  Un popolo padano invece nella storia non è mai esistito e nessuno ha mai rivendicato l’unione di questo popolo prima della Lega Nord con la Dichiarazione di Indipendenza della Padania del 15 settembre 1996.

Un popolo inoltre deve riconoscersi in una comune lingua e tradizione. La lingua italiana è una lingua romanza, erede del latino, basata sul fiorentino letterario del trecento e ha come padre indiscutibile Dante Alighieri e la Commedia. La lingua padana non esiste, esiste solo un miscuglio di idiomi galloitalici retroromanzi. Ancora,  un popolo deve avere un’espressione geografica. L’Italia, unificata nel 1861 e infine allargata a Trento e Trieste al termine della prima guerra mondiale, ha avuto la fortuna di essere già prima unificata non dalle armi e dalla storia ma da una forte tradizione e cultura che la faceva respirare Italia anche se geograficamente divisa. Sui confini della Padania ancora oggi si discute: se la dichiarazione di indipendenza del 1996 dichiarava la Padania divisa in dieci stati federali nordisti  (Valle d’Aosta-Piemonte-Liguria-Lombardia-Trentino-Alto Adige-Friuli-Emilia-Romagna) e  tre regioni centrali ( Toscana-Umbria-Marche), Renzo Bossi, inaugurando il giro di Padania, ha di fatto smentito il padre e tagliato le gambe al centro, affermando che Padania è “dalla Alpi al Po”. I Romani, popolo pragmatico e quadrato, organizzando le suddivisioni amministrative avevano definito una Gallia cispadana e una Gallia transpadana per una ragione geografica molto semplice: la presenza del Po, il fiume più lungo d’Italia. Gallia perché in quella terra abitavano i galli, cis e trans perché gli uni stavano “al di qua” e gli altri “al di là” del Po. Ma da qui a definire la Padania ne passa di acqua sotto i ponti.

Dunque senza una lingua, senza una precisa espressione geografica, senza una tradizione e la consapevolezza espressa nella storia di essere popolo, non si è popolo. L’Italia è un popolo, la Padania non lo è.

Un ultima parola agli amici leghisti: siate fieri della vostra tradizione, siate fieri soprattutto pensando ai Longobardi. I longobardi, il cui patrimonio storico e culturale è stato recentemente dichiarato patrimonio mondiale dell’Umanità (e io in quell’occasione ho avuto l’onore di vincere il Certamen Giannoniano) hanno assolto per l’Italia una missione fondamentale: hanno saputo tenere salda la fierezza delle loro origine, ma allo stesso tempo si sono aperti al diritto romano e ai principi cristiani portando in salvo la tradizione romana dai tempi oscuri di fine impero, hanno abbracciato il sud e il nord Italia facendo risplendere città come Monza e Pavia ma anche Spoleto e Benevento,  infine si sono fusi con i franchi ponendo l’origine del Sacro Romano Impero e della nostra odierna Europa.

L’Italia, e nemmeno la Padania, in questo momento ha bisogno di secessione, servono misure strutturali, riforme fiscali, un rilancio dell’economia. Serve un nuovo spirito nazionale per costruire qualcosa per valga ancora la pena vivere e non sopravvivere. Serve unirsi , da nord e sud, e tutti insieme, abbracciarci.

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Cari amici del Pdl, vi auguro una crisi…

postato il 21 Settembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

Pur giudicando duramente certe storture ed anche certi personaggi, non ho mai considerato il Pdl una specie di associazione a delinquere. Contrariamente dunque a quanto pensa e propaganda  una certa sinistra forcaiola, contrariamente ai ben pensanti  di una certa elite culturale che la notte leggono Kant, penso che il Popolo delle Libertà annoveri tra le sue fila anche delle persone per bene che hanno creduto sinceramente di poter costruire un partito moderato e popolare.  A queste donne e a questi uomini, che spesso provengono dalla nobile esperienza politica della Democrazia Cristiana, sento di dover rivolgere un accorato appello alla responsabilità. In questa drammatica congiuntura politica ed economica il nostro Paese non si può permettere un premier “a tempo perso”, non si può permettere soprattutto che alcune delle sue migliori risorse continuino a prestar fede e sostenere chi ha sempre dimostrato di anteporre il suo interesse personale a quello del popolo italiano. A voi care amiche e cari amici del Popolo delle Libertà spetta di dire la verità a Berlusconi.  Non è più il momento dell’adulazione e degli osanna ma è giunta l’ora della franchezza e delle verità, di avere il coraggio di dire che nessuno è eterno e che è bene che si chiuda un capitolo della vita politica di questo Paese.

In gioco non c’è il vostro seggio parlamentare o un futuro incarico in un fantomatico governo tecnico o di unità nazionale, bensì i destini dell’Italia e anche la vostra dignità politica. Care amiche ed amici del Pdl, vi auguro una crisi, una crisi della vostra coscienza di uomini e donne liberi e di politici impegnati e rigorosi. Badate la mia non è una sorta di maledizione, perché in origine la  parola “crisi” non aveva l’attuale accezione negativa. “Crisi” deriva dal verbo greco “krino” che vuol dire separare, cernere, in senso più lato, discernere, giudicare, valutare.  Se dunque riflettiamo sull’etimologia della parola crisi, possiamo cogliere una sfumatura positiva, in quanto un momento di crisi cioè di riflessione, di valutazione, di discernimento, può trasformarsi nel presupposto necessario per un miglioramento, per una rinascita, per un rifiorire prossimo.Questo miglioramento che tutti auspichiamo si verificherà solamente se ci sarà verità nelle vostre scelte e nelle vostre azioni, se saprete essere uomini e donne di buona volontà.

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Se ognuno fa qualcosa, allora si può fare molto

postato il 15 Settembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

Diciotto anni fa un sicario mafioso freddava con un colpo alla nuca il parroco della borgata palermitana di Brancaccio Padre Pino Puglisi. Lasciando da parte ogni retorica credo sia importante ricordare questo uomo buono e coraggioso, questo pastore che ha saputo conformarsi totalmente all’icona del Buon Pastore fino a dare la vita per il suo gregge, soprattutto in questo momento di difficoltà del nostro Paese. Padre Puglisi nel suo ministero pastorale aveva sempre vissuto in realtà precarie se non difficili, ma aveva sempre avuto la capacità di trovare la possibilità nella difficoltà. L’esperienza di Padre Puglisi si può racchiudere tutta in una frase che lui ripeteva spesso: “se ognuno fa qualcosa, allora si può fare molto”. Padre Puglisi credeva in Dio, ma credeva anche nell’uomo, nella capacità degli uomini di cambiare il mondo e la  storia.  Palermo e l’Italia intera sono sfiduciate, mangiano il pane quotidiano della precarietà e dell’incertezza, allora il ricordo di Padre Puglisi lungi dall’essere  un vano esercizio della retorica antimafia  può diventare una ricetta per uscire dalla crisi politica, economica e sociale. Oggi non ci manca solo la presenza mite e rassicurante di Padre Pino Puglisi, ma ci manca soprattutto la sua fiducia negli uomini, il suo sorriso mite e rassicurante, le sue parole piene di speranza: “se ognuno fa qualcosa, allora si può fare molto”.

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11 settembre 2001: dieci anni dopo

postato il 11 Settembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Jakob Panzeri

“Ero a casa, la mia casa è nel centro di Manhattan, e alle nove in punto ho avuto la sensazione d’ un pericolo che forse non mi avrebbe toccato ma che certo mi riguardava. La sensazione che si prova alla guerra, anzi in combattimento, quando con ogni poro della tua pelle senti la pallottola o il razzo che arriva, e rizzi gli orecchi e gridi a chi ti sta accanto: «Down! Get down! Giù! Buttati giù». L’ ho respinta. Non ero mica in Vietnam, non ero mica in una delle tante e fottutissime guerre che sin dalla Seconda Guerra Mondiale hanno seviziato la mia vita! Ero a New York, perbacco, in un meraviglioso mattino di settembre, anno 2001. Ma la sensazione ha continuato a possedermi, inspiegabile, e allora ho fatto ciò che al mattino non faccio mai. Ho acceso la Tv. l’ audio non funzionava. Lo schermo, sì. […] E su ogni canale, qui di canali ve ne sono quasi cento, vedevi una torre del World Trade Center che bruciava come un gigantesco fiammifero. Ero un pezzo di ghiaccio. Anche il mio cervello era ghiaccio” (Oriana Fallaci)

L’attacco fu così devastante da non aver precedenti in tempo di pace: ad essere colpita era l’invulnerabilità degli Stati Uniti d’America e con loro di tutto l’Occidente. Chi non aveva trovato subito la morte bruciato vivo nell’impatto dei due aerei, si buttava giù dalle finestre schiantandosi al suolo per evitare una morte atroce tra i tormenti delle fiamme. Immagini raccapriccianti, il riconoscimento delle vittime polverizzate tramite i loro effetti personali, immagini toccanti, il ritrovamento di una croce di legno tra le macerie delle torri, testimonianze di autentici eroi come l’italoamericano Daniel Nigro, il capo dei pompieri chiamati in soccorso.

Quel giorno il mondo conobbe un uomo, Osama Bin Lader, di cui non aveva mai sentito parlare e la sua organizzazione terroristica Al Quaeda, la base. Il movimento era nato negli anni Ottanta per liberare l’Afghanistan dai carri armati e dalle ambizioni dell’Unione Sovietica, giovani studenti di teologia, i mujaddin,costrinsero al ritiro l’Armata Rossa. Al Quaeda a partire da quegli anni ha iniziato una politica di decentramento organizzativo che ha iniziato a diffondere l’islamismo radicale in versione terroristica nel mondo arabo ma senza risultare evidente ai nostri occhi. Gli occhi del mondo occidentale si aprirono in modo drammatico e inaspettato sullo sconosciuto divenuto lo sceicco del terrore. Da quel terribile giorno in un crescente clima di terrore, nel nome della sicurezza e dell’ordine sono stati calpestati i più basilari diritti umani, altri attentati terroristici sono sorti penetrando nel centro dell’Europa, nelle metro di Londra e Madrid, nelle sue città e nei suoi cuori dilaniati.

Proprio quest’anno, il decennale del tragico episodio delle Twin Towers, ha visto la morte di Osama Bin Lader ma soprattutto ha visto migliaia di giovani del Medio Oriente ribellarsi e mettersi in gioco non per il fanatismo e la guerra santa ma per la libertà e la democrazia. E’ questa la vera morte di Osama, la primavera araba e l’inesprimibile sete di libertà del cuore umano che hanno saputo abbattere il fanatismo e il terrorismo e stanno costruendo un nuovo mondo arabo, o forse no, stanno facendo vedere e crescere ciò che i nostri occhi e i nostri cuori avvelenati ci impedivano di scorgere. Non abbandoniamoli, vinceremo insieme.

 

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