postato il 8 Luglio 2016
Al di là dei dubbi, se vincesse il no si tornerebbe ad un sistema di veti incrociati che farebbe male al Paese

La lettera di Pier Ferdinando Casini, presidente della Camera dei deputati dal 2001 al 2006, e
Marcello Pera, presidente del Senato dal 2001 al 2006, pubblicata su Il Corriere della Sera.
È noto che veti contrapposti e paure incrociate spinsero l’Assemblea costituente ad una scelta compromissoria riguardo all’assetto delle istituzioni repubblicane, in particolare il bicameralismo perfetto.
È noto anche che fin da subito forze politiche e espressioni della cultura costituzionale espressero molte riserve su questo punto. Due camere elette diversamente ma contemporaneamente, con la stessa durata e con la stessa funzione legislativa, non costituiscono un’istituzione che esalta il Parlamento e controbilancia l’azione del governo, ma un meccanismo pesante e faticoso che produce instabilità e lentezza. Durante i decenni, tentativi di correggere questa situazione non sono mancati, dalla commissione Bozzi, a quella De Mita, a quella D’Alema, alla riforma Berlusconi.
Tutti sono falliti e il prezzo in termini di inefficienza della Repubblica è diventato particolarmente oneroso. La lentezza politica ha un costo economico. La diluizione delle responsabilità politiche ha un costo democratico. Nonostante la consapevolezza del problema denunciato per tanto tempo, siamo rimasti un’anomalia costituzionale, perché nessun ordinamento, in Europa e altrove, conosce un sistema di produzione legislativa come il nostro.
In tutte le grandi democrazie, il ruolo delle seconde Camere nell’approvazione delle leggi è sempre limitato e la decisione definitiva è affidata alla Camera politica, dove i Parlamenti decidono le sorti dei governi. Il Parlamento ha ora approvato, dopo due anni di ampio e approfondito dibattito, una incisiva riforma della seconda parte della Costituzione. Non si tratta di una Costituzione nuova, ma di una Costituzione rinnovata, che promette e precostituisce altri interventi.
In ogni caso, non possiamo dire che la riforma sia improvvisata, perché il confronto tra le forze politiche è stato lungo e meditato. Ora tocca ai cittadini esprimersi con un referendum: sta a loro decidere, come richiede la democrazia sulle scelte fondamentali, se confermare o respingere le scelte compiute dal legislatore. Noi siamo a favore dell’approvazione della riforma.
Comprendiamo le perplessità di quanti con condividono alcune delle soluzioni adottate, in particolare in tema di modalità di composizione del Senato e di coordinamento con la legge elettorale della Camera dei deputati. E tuttavia la scelta di trasformare il Senato in organo rappresentativo dei territori, la riduzione del decentramento legislativo, l’attribuzione alla Camera dei deputati del ruolo di organo politico di ultima istanza, salvi gli opportuni temperamenti, il mantenimento e anche il rafforzamento degli organi di garanzia, ci sembrano, tra gli altri, obiettivi ai quali sarebbe grave rinunciare, anche in presenza di pur legittime riserve su questo, o quell’aspetto della riforma. Così come ci sembrerebbe incomprensibile tornare ad un sistema in cui il governo è costretto ad avere la fiducia in due Camere diverse, che, essendo elette con criteri diversi, non garantiscono omogeneità di maggioranza. [Continua a leggere]