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Torna la nebbia in Val Padana

postato il 17 Novembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Jakob Panzeri

Apre il parlamento padano. Per festeggiare é ritornata anche l’ospite d’onore della Padania: la nebbia: “Lassa pure ch’el monde l’ disa / ma Milàn l’è un gran Milàn / Porta Cica e la Bovisa / che d’intorni propi san / e la nebbia che bellezza /la va giò per i polmon”. Una delle ultime apparizioni del parlamento ricorreva nell’anno 2007, per festeggiare il 71° compleanno di Belusconi. Silvio fu omaggiato da un grosso masso con inciso il sole delle Alpi e una maglietta calcistica con la scritta Milàn (con l’accento giusto). I giornalisti maliziosi spettegolarono di una foto incorniciata che ritraeva la Brambilla a “Porta a Porta” vittima di una telecamera birichina e di una gonnella troppo corta, ma noi che siamo puri e candidi non indulgiamo in corrispondenze di amorosi sensi. Curiosando tra i deputati del parlamento del Nord si scoprono cose interessanti e denominazioni ispirate in modo variamente creativo a variegate ideologie politiche: il Salvini che non ti aspetti è leader dei comunisti mentre troviamo un Maroni in veste socialdemocratica difensore dei diritti del lavoro. Sopresa: risultò eletto al parlamento padano anche Benedetto della Vedova nel tentativo di convertire i padani al liberismo e all’antiproibiziosmo. Poi il sipario era calato ma ora si è riaperto, proprio in occasione del conferimento dell’incarico di formare un nuovo governo a Monti, l’inflessibile SuperMario che multò Bill Gates.  Non mi è piaciuta la scelta dei leghisti. Ho avuto l’impressione che si siano distaccati da un governo che sarà e non può non essere “rigore, lacrime e sangue”, cercando qualche espediente per riaccendere demagogicamente l’orgoglio padano su un territorio che in questo momento si allontana da loro drammaticamente. La Lega si ritroverà all’opposizione con un Di Pietro che dopo aver fondato i ¾ della sua politica sull’antiberlusconismo ora deve cercare di inventarsi qualcos’altro oltre “Che c’azzecca?” . E’ un’opportunità sprecata.  Il lombardo vota la Lega perché vede gli imprenditori squali assumere solo clandestini per pagarli quattro soldi, sfruttandoli indecorosamente senza rispettare la loro dignità umana e alimentando il lavoro nero e la disoccupazione, il veneto sente la Lega con il suo linguaggio semplice, legato alla pancia e ai problemi più materiali. Come insegna Spinoza, io non derido e non disprezzo la Lega, cerco di comprenderla. Sono convinto che la Lega capisca in sostanza alcuni problemi del Nord e a modo suo ami il suo popolo e la sua terra. Ma sono anche convinto che sbagli nella forma e che se fosse in grado di liberarsi del folkrole e di alcune venature purtroppo presenti di chiusura e xenofobia, potrebbe un giorno aspirare ad essere un movimento in grado di parlare all’Italia intera . Sogno un giorno in cui Maroni, che stimo ed è stato l’elemento più illuminato di questo governo a parer mio e di Roberto Saviano che lo giudicò uno dei migliori ministri anti mafia di sempre, possa un giorno viaggiare in Meridione e parlare delle bellezze di Napoli e della Sicilia e della necessità di migliorarsi insieme e abbracciarsi in un futuro dal sorriso migliore. Ma così assolutamente no: non crediate, amici leghisti, di salvare l’Italia e con l’Italia il vostro popolo arroccandovi tra gli scranni di un parlamentino con la falsa ambizione di riavvicinare il popolo. Se è così fareste meglio a nascondervi. Siete stati al governo 1284 giorni. Sapete cosa successe nel 1284? Lo so, questo riferimento è un po’ tirato per i capelli, diciamo alla Voyager ma è carino: la battaglia della Meloria e la crisi della repubblica pisana, anni in cui fu protagonista assoluta il conte Ugolino della Gherardesca che sempre più lontano dai suoi cittadini terminò la sua vita negli stenti addentando il cranio e nutrendosi della carne dei propri figli. Cambiate rotta perché non abbiate a fare questo ai vostri figli settentrionali.

 

 

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Un Disegno Comune c’è

postato il 15 Novembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Marta Romano

Le dimissioni di Berlusconi, ne sono convinta, hanno un enorme valore politico e storico. Non é la fine di una persona, Silvio Berlusconi, che probabilmente continuerà a fare politica, imperterrito e testardo; è, piuttosto, la fine di un sistema più vasto, quello del ‘berlusconismo’, fatto di slogan e di apparenza, più che di fatti e di riforme. E’ la fine di quel modo di intendere la politica come sola propaganda, di quell’eterna campagna elettorale e di ciò che ha portato con sé: il sistema malato del bipolarismo all’italiana, con due poli faziosi in eterna lotta tra di loro. Un sistema fallimentare, che lascia alle spalle un vuoto probabilmente incolmabile in breve tempo.
Tuttavia, é finito. E’ iniziato il ‘dopo Silvio’, si aspetta soltanto un ultimo assenso di Mario Monti e poi sarà un periodo nuovo per l’Italia.
C’è chi, forse, mi vorrà contraddire: qualcuno dirà che Berlusconi non é l’uomo sconfitto che si vuole far credere, o qualcun altro dirà che Monti non Può essere considerato il futuro dell’Italia.
Ma io dico di più: non saranno né la ‘fine politica’ di Berlusconi, né Monti in sé per sé a determinare il cambiamento dell’Italia, e la sua risalita: sarà la Speranza a determinarlo.
In queste settimane ho navigato molto nel web, ma ho fatto anche lunghe passeggiate nel mio paese: è palpabile un nuovo entusiasmo, l’aria è diventata frizzante, tutti gli italiani, dai più anziani ai più giovani, sembrano essersi risvegliati da una specie di torpore e sembrano aver ritrovato la voglia di discutere di politica. E’ tornato il dialogo, lo scontro, l’orgoglio degli italiani: c’é voglia di ricominciare.
Io stessa ho sentito rinvigorirsi quella passione politica che brucia nel petto, che spinge ad informarti, a parlare con la gente per provare a spiegare le tue idee, e per renderli partecipi della tua gioia nel fare ciò che ti piace di più: politica. Amo quest’arte così antica ma, allo stesso tempo, sono amaramente cosciente del fatto che spesso il marcio presente al suo interno mini questo fuoco, provi ad affievolirlo: tuttavia, basta un briciolo di speranza per rinforzarlo e farlo rinascere più forte. E basta ancora meno perché una ragazza di 18 anni si renda conto di essere fiduciosa nel futuro, e recuperi quella voglia di fare, di cambiare qualcosa: a volte basta cambiare uno sfondo del desktop.
Un gesto semplice, banale per molti, ma che può significare molto: oggi, ho deciso di riprendere tra le foto che avevo conservato, l’immagine di una campagna elettorale di qualche anno fa. Questo, per me, rappresenta molto: significa rendersi conto che ‘Un Disegno Comune’ esiste, ed è quello di migliorare l’Italia.
E allora, cosa aspettiamo ancora? Forza, Italia: #rimontiamo.

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#ammazzastartup: non confondiamo le startup con le società di comodo

postato il 11 Novembre 2011

di Mario Pezzati.

Nessuno di noi confonderebbe mele con pere: sono entrambi frutti, ma sono differenti.  Allo stesso modo non si dovrebbero confondere le aziende start up (con questo termine si identifica l’operazione e il periodo durante il quale si avvia un’impresa, si tratta di solito di imprese appena costituite, nelle quali vi sono ancora processi organizzativi in corso) e le società di comodo (società costituite per occultare patrimoni, generalmente utilizzate per procedure di evasione fiscale).

Eppure, come fa rilevare Quintarelli, per lo Stato italiano sono la stessa medesima cosa e questo crea notevoli problemi perché rischia di castigare e fare scappare coloro che volessero iniziare nuove attività imprenditoriali, in particolare nel campo dell’alta tecnologia.

E’ normale per una start up avere un periodo iniziale (generalmente un paio di anni) di profondo rosso, ma questo, per il fisco italiano, equivale ad una società di comodo che, tramite perdite fittizie, permette di occultare capitali per evitare che vengano tassati. Lotta dura all’evasione fiscale, ma altra cosa è penalizzare chi, nel rispetto delle regole, decide di investire, creando occupazione e sviluppo, perché se sei considerato società di comodo, non puoi detrarre le perdite pregresse e neppure l’IVA.

Il problema è che il sistema italiano si fonda tutto sulla “presunzione”. Effettuare le verifiche del caso è impegnativo e costoso, allora: tutte le aziende che hanno 3 anni in perdita oppure due anni in perdita e un anno con un profitto inferiore a quanto “previsto” dallo Stato, sono considerate società di comodo. Per evitare questa presunzione, l’imprenditore deve dimostrare (in quanto “presunto colpevole”) la sua innocenza. Tale dimostrazione avviene tramite una sorta di “entità astratta”, ovvero “l’istanza di interpello disapplicativo”, in pratica altra burocrazia inutile, nonostante già nel 2006 fosse stata varata da Visco e Bersani una legislazione molto stringente per le società di comodo.

Il prossimo governo si preoccupi pure di questo.

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Altro che elezioni, prima di tutto (come in Spagna) fronte comune contro la crisi

postato il 10 Novembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

In questi frenetici giorni politici e autorevoli commentatori hanno suggerito a Berlusconi di “fare come Zapatero”. La formula “fare come Zapatero” è piuttosto equivoca, tanto che per alcuni indica il non ricandidarsi alle prossime politiche mentre per altri l’andare senza indugio ad elezioni. Tutti però dimenticano un passaggio fondamentale di questo “fare come Zapatero”: tra la decisione di non ricandidarsi e l’indizione delle elezioni Zapatero ha trovato il tempo di fare alcune riforme necessarie, con l’opposizione, per rimettere in forma la Spagna in attesa del voto. La Spagna, che per molti mesi è stata considerata la candidata più probabile a un’ipotetica deriva greca, negli ultimi tempi sembra essersi un po’ allontanata dall’orlo del precipizio. La Spagna non è ancora fuori dalla crisi, ma la decisione del premier José Luis Rodriguez Zapatero di ritirarsi dalla vita politica, e di condurre il paese a elezioni leggermente anticipate il prossimo 20 novembre, ha avuto un effetto positivo. Questa decisione, in combinato disposto con alcune riforme fatte insieme all’opposizione ha fatto sì che la Spagna potesse guadagnarsi qualche lode dalla Bce e dalla stampa economica internazionale e che Madrid potesse allontanarsi dal mirino degli speculatori.

Nello specifico il governo Zapatero ha proceduto alla ristrutturazione del sistema delle Casse di Risparmio e ha preso altre misure in campo economico che sono state apprezzate dalle istituzioni europee e per le quali ha ricevuto in Parlamento anche l’appoggio “di responsabilità” da parte del Partito Popolare di Mariano Rajoy, su tutte l’inserimento nella Costituzione spagnola di un limite al deficit. Quando dunque si chiede a Silvio Berlusconi di “fare come Zapatero” bisogna ricordare che questo “fare”  non significa solamente farsi da parte o invocare risolutive elezioni anticipate, ma significa, soprattutto, prendere quelle misure necessarie per allontanare dal Paese il rischio Grecia. E’ chiaro che se Berlusconi non ha la forza e il consenso per fare ciò è giusto che ceda il passo a qualcuno che, con il consenso suo e di gran parte del Parlamento, prenda quelle misure che l’Europa e i mercati aspettano da troppo tempo.

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Lo Spread BTP – Bund e il CDS dell’Italia corrono: è un segnale che bisogna fare presto

postato il 9 Novembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Poco prima che la Grecia due anni fa svelasse i suoi conti disastrati, lo spread tra i titoli di Stato greci e il Bund tedesco era andato alle stelle e i tassi di interesse che pagava lo stato ellenico erano di poco superiori al 7%. Se prendiamo queste soglie come dei livelli di guardia, allora l’Italia deve approvare le misure anticrisi rapidamente e senza tentennamenti, perché lo spread tra il BTP e il Bund è andato ben oltre i 500 punti portando il rendimento reale dei titoli di Stato italiani ben al di sopra del 7%, soglia oltre la quale paesi come Grecia, Spagna, Portogallo hanno dovuto ricorrere agli aiuti economici dell’UE.

Intendiamoci: è difficile dire se per l’Italia possa valere lo stesso discorso, anche alla luce del fatto che la stessa Banca d’Italia nei giorni scorsi ha segnalato che tassi all’8% sarebbero sostenibili per i conti italiani, ma è anche vero che questa situazione non può essere mantenuta per lungo tempo.

Che il tempo sia poco ce lo dice soprattutto un altro indicatore, ovvero i Credit Default Swap, in sigla CDS. Perché questi strumenti finanziari sono un indicatore più importante dello spread tra BTP e Bund?

Perché i CDS sono strumenti finanziari utilizzati dagli investitori istituzionali (ovvero grosse banche, grossi fondi di investimento e in generale operatori con molta liquidità che utilizzano analisi e previsioni molto accurate) per proteggersi dal rischio di fallimento. In pratica, supponiamo che un grosso investitore compri titoli di stato italiani, e, volendosi coprirsi dal rischio di fallimento, compri i CDS. Se il rischio di fallimento è alto, chi assicura il rischio vorrà essere pagato di più. In pratica più alto è il rischio di fallimento, più bisogna pagare per assicurarsi contro il rischio di perdere i soldi in seguito al fallimento, proprio per questo gli specialisti seguono l’andamento dei CDS: se questi aumentano di valore, significa che il paese (nel nostro caso l’Italia) aumenta il rischio di dovere dichiarare bancarotta.

Siccomei CDS sono trattati esclusivamente da operatori altamente professionali, diventa logico aspettarsi che se questi aumentano di valore è perché le analisi di tutti questi operatori sono concordi nel ritenere che le probabilità di fallimento siano in deciso aumento.

Per quanto detto sopra, e considerando che in questi due giorni di incertezza politica, sia lo spread che il valore dei CDS è schizzato verso l’alto, diventa logico augurarsi che le misure anticrisi vengano approvate il prima possibile, perché quello che danneggia davvero i mercati, come abbiamo affermato più volte, è l’incertezza (perché in presenza di incertezza il mercato tenderà a scegliere sempre l’ipotesi peggiore).

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Se non si capisce la crisi

postato il 8 Novembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Mantovani

“La crisi non si sente in Italia, i ristoranti sono pieni”.

Esattamente ciò di cui i tedeschi ci accusano: diamo l’idea di essere i pirati che ballano e bevono intorno alla cassa del morto.

Le città tedesche nel 2001 e ancor di più nel 2008 erano piene di negozi chiusi, alla sera sembrava ci fosse il coprifuoco. Risparmiando, investendo nelle aziende, accettando riduzioni temporanee dei salari, puntando sull’export i tedeschi si sono ripresi. E si domandano perché da noi non debba mai arrivare il giorno dei sacrifici.

La realtà è che l’Italia è un Paese con un terziario più forte di quello tedesco. Se Berlusconi avesse detto “i ristoranti di Roma, Venezia, Firenze, delle Langhe e del Chianti sono pieni di stranieri e stiamo lavorando perché accada altrettanto in altre 100 città e cittadine d’Italia” avrebbe messo in luce la più grande riserva di crescita del nostro Paese. Noi potremmo avere un export competitivo quanto quello tedesco ed un incoming molto più forte.

Non è negativo evitare di deprimere troppo i consumi in una fase di crisi, ma occorre comprenderne le dinamiche sociali.

Oggi esistono certamente single o coppie senza figli benestanti, con un discreto lavoro, con qualche proprietà immobiliare ed un po’ di liquidità lasciate dai genitori, che possono frequentare ristoranti e locali più volte la settimana. Ma il numero dei senzatetto di Bologna – tanto per fare un esempio – è raddoppiato nell’ultimo anno. Le famiglie della classe media con figli e reddito fisso hanno tagliato le vacanze invernali e riducono ad una settimana quelle estive; difficilmente li vedrete al ristorante. I nostri pensionati non sono quelli della Florida.

Stiamo rapidamente consumando risorse accumulate in decenni ed il risparmio delle famiglie – ancora significativo – fa il paio con un indebitamento delle medesime in rapida crescita. Senza contare gli effetti di un’inevitabile contrazione del welfare, che porterà ad utilizzare i risparmi (di chi li ha) a sostegno del reddito nei perodi di malattia, disoccupazione o pensionamento.

Se uniamo questo quadro al crescente esodo dei giovani più istruiti e brillanti, non compensato da altrettanti “acquisti” di cervelli, abbiamo la rappresentazione di un Paese nel quale le differenze sociali si accentuano, la classe media e le famiglie si assottigliano e la ricchezza accumulata si consuma rapidamente. Chi dispone di risorse liquide o di aziende sta rapidamente perdendo la fiducia e tenderà sempre di più ad investire all’estero. Abbiamo già visto questo scenario, specialmente in Sud America, ma anche nel Portogallo post-coloniale. Se non interveniamo immediatamente, ci attende un futuro fatto di pochi giovani disoccupati o sotto-occupati, diversi milioni di immigrati per i quali l’ascensore sociale non partirà mai, un grande numero di anziani con forti attese di welfare e bassi redditi, una classe media svuotata ed un nucleo sempre più ristretto di ricchi che, per quanto frequenti i ristoranti, non sarà in grado di sostenere l’attuale livello complessivo di consumi. Un cocktail tossico, questo è il concreto timore dei “mercati”.

Non sentire questa crisi, non percepirne la minaccia epocale è prova del definitivo distacco del nostro Presidente del Consiglio dalla realtà italiana. Un premier che parla più forte degli altri perché non vuol sentire.

 

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Larghe intese, una speranza e un dovere

postato il 8 Novembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Lorenzo Mazzei

Tanto tuonò che piovve, dice un detto italiano e, mai come in questo caso, può esser utilizzato per il momento che stiamo vivendo. Perché dopo tanti tentennamenti e tante, tantissime fiducie richieste, ed ottenute a volte con fatica, sembra essere arrivato alla fine l’ultimo governo Berlusconi.

Per l’Italia si apre una nuova fase, che può e deve essere importante e significativa nel percorso della nostra nazione. L’Italia ha bisogno di riacquistare credibilità a livello  internazionale e per fare ciò l’unica soluzione, per una volta, è dimostrare senso dello Stato e forza di volontà nel mettere da parte le divergenze di pensiero politico. Il tempo per il dibattito è finito ed adesso bisogna tramutare i pensieri in fatti concreti, tangibili.

Ma per fare ciò c’è bisogno che tutti, dal primo all’ultimo parlamentare, inizino a remare nella stessa direzione, quella direzione che possa portare l’Italia fuori da questa pesante ed opprimente crisi.

A questo punto quindi si devono trovare larghe intese, che possano comprendere sia i partiti della maggioranza, che fino a questo momento hanno guidato il governo, sia i partiti dell’opposizione, partendo dal Terzo Polo fino ad arrivare a comprendere senza se e senza ma PD e IDV. Andare a votare in questa situazione sarebbe un terribile errore che, dopo tutti quelli commessi fino a questo momento, non possiamo più permetterci. L’Italia infatti ha bisogno di essere guidata fuori da questa terribile tempesta e non lasciata andare alla deriva verso un futuro ancora più nero.

La speranza quindi è quella di vedere il nostro Parlamento finalmente unito sotto l’unica bandiera tricolore, con l’unico obiettivo di portare fuori da questa crisi il nostro Paese. Ma tutto ciò sarà possibile solamente grazie ad un’intesa ed ad una cooperazione tra i partiti che porterà alla formazione di un nuovo governo di responsabilità nazionale.

 

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L’Italia si mobilita per #Genova. Anche grazie a #Twitter

postato il 6 Novembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Giuseppe Portonera

Ieri per Genova è stata una giornata terribile. Probabilmente la più difficile e luttuosa degli ultimi tempi: un’intera città è stata piegata da un evento naturale catastrofico e ora le lacrime per la morte di 6 persone si mescolano al fango e all’acqua di ieri. Una tragedia, non isolata purtroppo: le immagini di ieri ricordano, del resto, altre alluvioni, altre morti, altra sofferenza. Giampilieri, Ischia, Roma – solo per ricordare gli avvenimenti temporalmente più vicini. Luoghi diversi, uguale sorte. Perché simili eventi non possono essere considerati alla stregua di dolori “locali”, propri solo di coloro che hanno avuto la sventura di doverli sostenere: appartengono a ciascuno di noi e accumunano tutta la Nazione. Nel raccoglimento intorno alla sofferenza, è vero. Ma anche intorno allo spirito di unità, di fratellanza e alla voglia di reagire. Ieri, mentre il fango sommergeva Genova, il resto del Paese non restava alieno, non aspettava di ricevere solo la cronaca dei fatti: si è mosso, ha fatto tutto quello che ha potuto. Ha, per esempio, utilizzato i social network come grande punto di raccordo e di smistamento delle notizie, la maggior parte di esse direttamente di prima mano, ha rilanciato gli appelli alla cautela e alla prudenza, ha funzionato da grande cassa di risonanza. Gli utenti di Twitter, per esempio, con le varie hashtags – in primis #genova, #alluvione, #allertameteoLG – hanno svolto un ruolo cruciale e hanno dimostrato una maturità nell’utilizzo dello strumento davvero encomiabile: c’era chi retwittava il numero verde per le emergenze e chi chiedeva di aprire il wi-fi di casa, per permettere a chi era in strada di potersi collegare e di avere informazioni. La Rete è diventato il modo più immediato per tutti di offrire il proprio contributo, che seppur minimo, è sicuramente indispensabile.

Ricordo di aver visto, una volta, un documentario sul terremoto che devastò Messina nel 1908: si raccontava di come, appena avuta notizia, l’Italia intera si mosse per offrire il proprio sostegno ai cittadini messinesi e si sosteneva che quella grande tragedia fosse stata il primo banco di prova – perfettamente superato – per la coesione nazionale del neonato popolo italiano (che aveva supergiù, almeno formalmente, poco più di 40 anni). Ieri, mentre twittavo e seguivo gli aggiornamenti live, ripensavo proprio a questo discorso (quando il nostro popolo, sempre formalmente, di anni ne ha appena compiuti 150) e riflettevo su come i newmedia di oggi ci aiutino enormemente nel costruire anche la nostra identità collettiva: non lasciatevi, infatti, intortare da chi pensa che lodare la funzione dei social network nella giornata di ieri sia stupido o banale. Di fronte al dolore, certo, ogni entusiasmo svanisce: ma è pur vero che quello che è successo ieri, vedere tutta quella gente mobilitarsi e agire congiuntamente, mi ha rincuorato. Mi ha dimostrato che sì, siamo ancora una Nazione unita. E allora perché, come giustamente ha sottolineato Roberto Rao ieri, non dobbiamo riconoscere il giusto merito anche ai mezzi che hanno permesso che questo accadesse, in primis a Twitter? Proprio per questo dobbiamo ricordare l’importanza della banda larga e la necessità di un accesso libero e veloce alla Rete: la nostra Politica dovrebbe attivarsi per ridurre il gap italiano in materia. E dovrebbe pure farlo assai rapidamente.

 

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G20, la magra figura del governo.

postato il 5 Novembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Dalla conclusione del G20 possiamo dire che sono state spese molte parole, ma sono state prese ben poche decisioni e l’Italia come nazione ne esce sconfitta, pagando le incertezze di questi mesi e l’incapacità del governo di questi anni.

Possiamo affermare che nessun accordo è stato raggiunto per il potenziamento del Fondo monetario internazionale, e questo era un punto fondamentale per l’Europa che, da un potenziamento del FMI, avrebbe potuto ottenere ulteriori risorse finanziarie, mentre l’Italia dovrà ogni tre mesi superare l’esame del FMI che controllerà l’attuazione del paino di riforme promesso dal Governo.

Durante la conferenza stampa conclusiva del vertice il presidente francese Nicolas Sarkozy ha detto c’è un accordo di massima sul potenziamento del rapporto di collaborazione tra Fmi e Fondo Salva Stati (Efsf), ma rimane poco chiaro come questo potrà avvenire, visto che, secondo la Merkel, quasi nessuno stato vuole aprtecipare al potenziamento di tale fondo. In definitiva i leader mondiali del G20 non hanno sottoscritto nessun accordo e non hanno messo nero su bianco alcun impegno che li vincoli a potenziare l’Fmi per aiutare l’Europa.

L’idea originaria era quella di potenziare il Fondo salva Stati europeo tramite un’emissione di Sdr (sono diritti speciali di prelievo), ovvero uno strumento finanziario creato dal Fondo monetario internazionale per aumentare la liquiditá internazionale e per finanziare lo sviluppo economico mondiale. Berlino si sarebbe opposta a questa soluzione perché considerata una monetizzazione del debito. Difatti l’unico impegno preso dal G20 è di lungo periodo, e prevede di rivedere la composizione del paniere di valute alla base dei Sdr entro il 2015 per dare maggiore peso alle economie emergenti.

In tutto questo, l’Italia, subendo le pressioni esercitate dagli altri leader, e in particolare da Germania, Francia e Stati Uniti, ha acconsentito al monitoraggio del FMI. Anche se il presidente della Commissione Europea, Jose Manuel Barroso ha affermato: “l’Italia ha chiesto di sua iniziativa il monitoraggio del Fondo Monetario Internazionale sull’applicazione dei suoi impegni”, in realtà tale controllo è stato imposto all’Italia dalle altre nazioni.

Anche se il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha cercato di sostenere che l’attività di monitoraggio del Fondo a quella di una società di revisione di conti, rimane il dubbio che da un lato si tratti di una prima intrusione delle Autorità internazionali negli affari del Governo, e dall’altro lato, potrebbe sembrare un modo per forzare la mano al Parlamento italiano per ottenere la fiducia sui provvedimenti da prendere senza pagarne il dazio politico e forzare la mano all’opposizione. Con il controllo del FMI l’Italia non può più perdere tempo nelle riforme, e di fatto se venisse a mancare la maggioranza, a livello internazionale Berlusconi potrebbe affermare che la colpa non è sua.

Il Presidente del Consiglio ha sostanzialmente fatto commissariare l’Italia dal FMI per non dovere chiedere i fondi del FMI del Fondo Salva Stati, e al contempo evitare di finire in minoranza nel Parlamento.
Chiudo queste mie riflessioni con una considerazione sull’infelice uscita di Berlusconi che ha detto come secondo lui “in Italia non si avverta una forte crisi. La vita in Italia è la vita di un Paese benestante. I consumi non sono diminuiti, i ristoranti sono pieni, per gli aerei si riesce a fatica a prenotare un posto”. Aggiungendo: “Noi pensiamo che l’avventarsi sui titoli del debito italiano sia una moda passeggera”. Sono parole che ancora una volta dimostrano quanto Berlusconi sconosca la realtà che lo circonda, vivendo in una sua realtà fittizia. Se gli italiani possono spendere è solo perché non risparmiano più (come testimonia Banca d’Italia) e perché vi è il sostegno dei 50-70enni, verso i figli di 30-45 anni che faticano a trovare un lavoro a causa della abssa crescita dell’Italia.

 

 

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Perché salvare un progetto è vitale

postato il 4 Novembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Mantovani

Questa mattina sono dovuto intervenire nella gestione di un progetto aziendale che incontra molte difficoltà: ho sostituito il project manager, che non riusciva a produrre un piano credibile, con responsabilità e tempi certi. Le difficoltà, che pure sono solo in piccola parte dipendenti dalla nostra azienda, non facevano che aumentare e le carenze del piano davano a tutti un alibi perfetto per non assumersi responsabilità.

Ho chiamato i soci di maggioranza e minoranza, ho raccontato la situazione senza nascondere le difficoltà, abbiamo deciso insieme come sostituire il project manager.

Cose di tutti i giorni nelle aziende, ma quando in difficoltà c’è un Paese grande come l’Italia, le preoccupazioni e le complessità sono di dimensioni ben diverse. Però il parallelo aiuta a comprendere problemi e soluzioni.

Quando Tremonti (il nostro project manager nel difficile mare dell’economia) ha mostrato di essere in difficoltà nel produrre un piano credibile per uscire dalla morsa dell’alto debito e della bassa crescita, Berlusconi (l’Amministratore Delegato, che mi perdonerà l’irriverenza del paragone con lo scrivente) ha deciso in sostanza di prendere il suo posto, senza peraltro rimuoverlo dall’incarico. Ha parlato solo con la Lega ed una parte del PdL (i soci di maggioranza), senza considerare tutti gli altri (l’altra parte del Pdl e la minoranza), senza la necessaria trasparenza verso gli italiani e le autorità europee.

Nemmeno lui riesce a fare un piano credibile, nonostante l’architetto (la BCE) gli abbia inviato un progetto abbastanza dettagliato (che è altra cosa da un piano).

Quindi ora anche lui è parte del problema e non può più trovare la soluzione.

Per me salvare il progetto è vitale. Se sbaglio tutto ciò di buono che ho fatto prima non varrà nulla e il mio futuro in azienda sarà compromesso.

Pensi solo a questa crisi, Presidente, non al prima né al dopo. Chieda a tutti i soci di nominare un nuovo amministratore delegato ed un nuovo project manager, che godano di una fiducia largamente condivisa. Un amministratore delegato al quale possa trasmettere ciò che rimane della sua visione e dei suoi obiettivi, un project manager che sappia fare i piani, non guardi in faccia a nessuno e non perda tempo.

Uscire dall’emergenza è più semplice di quanto non sembri. Poi, tra un anno, un nuovo governo potrà affrontare – da pari a pari con gli altri grandi Paesi europei – i veri problemi che pongono nubi nere sul futuro del nostro continente. Quelli per i quali nessuno ancora riesce ad immaginare le soluzioni.


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