Tutti i post della categoria: In evidenza

Polo per l’Italia per non confondere Aldo Moro con Lele Mora

postato il 28 Gennaio 2011

E’ Ferdinando Adornato ad aprire l’assise tudertina del Polo per l’Italia e a stilare la carta d’identità del nuovo Polo. La riflessione di Adornato sul “cosa sarà” il nuovo Polo però ha la sua necessaria premessa nella necessità del Paese di «uscire dal berlusconismo», da diciassette anni di immobilità politica segnate dalle «metafore berlusconiane eclissate come stelle cadenti», e dal superare il bipolarismo italiano che si è purtroppo configurato come una «nuova guerra civile ideologica tra gli italiani».

E’ una analisi attenta della parabola discendente del Cavaliere quella di Adornato non senza il rammarico per le opportunità perdute di costruire la sezione italiana del Partito Popolare Europeo e la triste constatazione di un Pdl che confonde «Aldo Moro con Lele Mora». Tuttavia – suggerisce Adornato –  non è possibile fermarsi a constatare il desolante quadro politico e a guardare il passato ma è necessario “coltivare il futuro” e questo futuro ha le sue radici nelle scelte di libertà fatte nel 2008 da Pier Ferdinando Casini, nel 2009 da Francesco Rutelli e nel 2010 da Gianfranco Fini. Questo futuro è rappresentato dal Polo per l’Italia, l’alleanza che vede insieme uomini e donne di ispirazione cristiana, liberale, patriottica e repubblicana e  che vuole proporsi come vera chance di cambiamento per un Paese aggredito dai ritardi e dalle incertezze, e di cui Adornato ha stilato una carta d’identità articolata in cinque punti che vede il nuovo Polo come il Polo dell’unità nazionale, della ricostruzione della Repubblica, della modernizzazione liberale, della promozione sociale e della nuova etica pubblica.

E’ anche un ritorno alla politica quello tratteggiato da Adornato, un ritorno che prevede gioco di squadra e la rinuncia al mito dell’uomo solo al comando. Sono parole di speranza e di voglia di cambiamento le prime parole ad uscire dal “conclave” di Todi, ma sembrano anche un percorso politico coraggioso  che non teme il confronto e la prova elettorale.

Adriano Frinchi

Commenti disabilitati su Polo per l’Italia per non confondere Aldo Moro con Lele Mora

A Todi si parla del futuro del Paese… seguiteci!

postato il 28 Gennaio 2011

Oltre cento parlamentari nazionali ed europei appartenenti ad Udc, Fli, Api e alle forze liberali e repubblicane saranno da oggi riuniti in “conclave” a Todi per far muovere i primi passi al “Nuovo Polo per l’Italia”. Primi passi ma anche prime parole dell’alternativa moderata e riformista su come fare uscire l’Italia dal pantano, attraverso una proposta politica nuova e condivisa. L’assemblea di Todi è certamente una novità nel quadro politico italiano, non solo perché è la prima iniziativa  politica unitaria delle forze che fanno riferimento al “Nuovo Polo per l’Italia” ma perché dopo settimane di indegno gossip, di scandali e di intercettazioni finalmente si torna a parlare di politica e soprattutto di ciò che è bene per il Paese.

E’ questa la notizia clamorosa che viene da Todi: si parla del Paese. Le forze politiche riunite a Todi non hanno nessun Presidente del Consiglio da salvare e nessuno scandalo da insabbiare, ma hanno solamente a cuore le donne e gli uomini delle nostre città e dei nostri paesi, i loro sogni, le loro speranze ma anche le loro ansie e paure. A Todi si proverà a fare una proposta a questa Italia che lavora e che spera, una proposta concreta che politicamente si concretizzerà nel “Nuovo Polo per l’Italia” che col suo patrimonio di idee e di proposte non teme la discussione e il confronto in Parlamento, ma nemmeno la prova delle urne: le elezioni amministrative, ed eventualmente le elezioni politiche anticipate, vedranno sicuramente in campo i candidati e i programmi di questo schieramento per l’Italia e per gli italiani. L’appuntamento di Todi si preannuncia dunque importante per le sorti del “Nuovo Polo”, ma anche per quelle del Paese.

I volontari del sito di Pier Ferdinando Casini presenti a Todi seguiranno per voi i lavori con articoli e aggiornamenti mentre la web Tv dell’Udc trasmetterà in diretta i lavori.

Inoltre, grazie al live-twitting continuo sul nostro account, potrete seguire agevolmente i lavori in diretta.

La Redazione

6 Commenti

A Todi per dare forza alla nostra proposta politica

postato il 26 Gennaio 2011

A Todi, Venerdì e Sabato prossimi, si celebrerà la prima assemblea dei parlamentari (italiani ed europei) che hanno scelto di aderire al nuovo Polo. Sarà l’occasione per l’Unione di Centro, Futuro e Libertà, Alleanza per l’Italia, Movimento per l’Autonomia e Liberaldemocratici di mettere in campo una proposta e un progetto, all’insegna – ci auguriamo – di un rinnovato riformismo liberale. Purtroppo il momento non è dei migliori: non passa giorno che i principali istituti di ricerca nazionali non evidenzino lo stato delle cose nel nostro Paese. In Italia il 28,9 per cento dei giovani resta a casa senza lavoro; uno su cinque non studia e non lavora; la soglia di astensionismo tra i laureati aumenta sempre di più. Poche speranze e un probabile futuro grigio e triste: un ventenne, infatti, si ritroverà presto a fare i conti con una società vecchia e in ritardo rispetto al resto del mondo, con un debito pubblico sempre più grande, con delle offerte e opportunità di lavoro risibili, con un Welfare state senza più risorse. Tutto questo sta accadendo nell’indifferenza, o meglio, nell’ignoranza, generale. I nostri giornali e i vari mezzi di informazione sono monopolizzati dalla storia di un vecchio Premier ormai fuori di sé e di un giro di ragazze senza dignità e rispetto: vicende che nel resto del mondo si sarebbero chiuse, cinque minuti dopo essere state aperte, con delle “onorevoli” dimissioni, e che da noi, invece, si ripropongono – ancora una volta – come armi di “distrazione” di massa. Al di là della ferità inferta alla moralità pubblica e alla stessa Ragion di Stato, il Premier Berlusconi sarebbe da condannare, più che per le feste di Arcore, per la sua incapacità di governare. Per il fatto di essere in balia di sedicenti Responsabili (incapaci di mettersi d’accordo tra di loro). Per non essere in grado, nei 150 anni dell’Unità d’Italia, di esprimere gli interessi della nazione tutta. Per aver tradito l’unica cosa che di buono avrebbe potuto fare, una vera e sincera “rivoluzione liberale”.

E proprio da il nuovo Polo deve ripartire. Per ridare voce alla maggioranza degli Italiani, moderata, popolare, liberale, laboriosa e intraprendente, fatta di famiglie; che fa impresa più che negli altri paesi d’Europa; che ha la propria forza nel legame con il territorio, con le associazioni su piccola scala. Un’Italia che chiede, a gran voce, governabilità e non paralisi; riforme e non colpi di mano; impresa e non assistenzialismo; possibilità di inventarsi e reinventarsi, se necessario, non di accontentarsi solo del reddito minimo garantito; un futuro da organizzarsi in modo indipendente, grazie al lavoro e non su precariato e sovvenzioni. È quella parte d’Italia che nel 1994 ha votato con convinzione per Silvio Berlusconi e il Centrodestra e che ha scoperto, con delusione, che le promesse del Cav. non erano tanto diverse da quelle dei politici di professione della Prima Repubblica. e che non ce la fa proprio più a dover assistere inerte alla degenerazione libertina del Pdl, a vedere il proprio il Presidente del Consiglio ostaggio di veline e festini. Ad oggi, questa parte d’Italia è in movimento e la sua insoddisfazione può presto tradursi in qualcosa di più grande (in quest’ottica va letto il messaggio della Marcegaglia): per DNA e formazione non potrà mai votare a sinistra e se non sarà coltivata, migrerà rapidamente verso l’area del non-voto.

L’Udc lavora in questo senso già da un po’: già dalla scorsa assemblea di Milano, abbiamo lanciato un appello proprio a questa grande maggioranza silenziosa del Nord, per uscire – insieme – dal guado in cui siamo cacciati. A Todi rinnoveremo questo appello e lo estenderemo a tutti gli Italiani liberi e forti. Il primo obiettivo della vasta e composita area moderata che stiamo costruendo è proprio questo: l’Italia ha bisogno di una proposta nuova e forte, per ripartire. E quella proposta siamo proprio noi. Ci vediamo a Todi!

“Riceviamo e pubblichiamo” di Giuseppe Portonera

Commenti disabilitati su A Todi per dare forza alla nostra proposta politica

Il Federalismo municipale azzera l’autonomia impositiva dei Comuni

postato il 26 Gennaio 2011

Battute finali per il federalismo fiscale, il cavallo di battaglia della Lega Nord. Eppure le critiche non mancano. Certo, si può sostenere che sono critiche strumentali e di parte, e lo sarebbero se a queste critiche non si accompagnassero delle proposte alternative che, da tecnico che mastica numeri ed economia, trovo condivisibili.

Ad esempio, la “Tassa di soggiorno”: sostanzialmente i comuni potrebbero mettere una tassa giornaliera di massimo 5 euro che pagherebbe il turista. Chiaramente questo non è un provvedimento a favore del turismo e, francamente, trovo la scelta contraddittoria visto che proprio il Governo ha ritenuto il turismo un valore aggiunto per l’economia italiana. Se si vuole incrementare un settore, bisogna che i costi di questo settore siano più convenienti, oltre ad attuare investimenti; ebbene, di investimenti non se ne parla, e neanche di abbassare i costi, se si mette una nuova tassa giornaliera e a persona. Invito tutti a fare due conti: se un turista, italiano o straniero, volesse visitare Firenze per 7 giorni, oltre al costo preventivato, dovrebbe aggiungere questa tassa la quale peserebbe per 35 euro. Sembra poco, ma non lo è se poi andiamo a considerare un nucleo familiare di 4 persone (passiamo a 140 euro complessivi), o se consideriamo le limitate disponibilità economiche di molti turisti (soprattutto giovani). E, signori, guardate che stiamo parlando di un settore che, fino a 3 mesi fa, il governo affermava di volere rilanciare e che incide per il 10% nel PIL italiano e che impiega due milioni e mezzo di addett. Soprattutto questa tassa dimostra ancora di più l’incoerenza di questo governo abituato a governare con gli spot: prima promette fondi per incoraggiare il turismo dei meno abbienti (finanziata però con l’8 per mille e quindi sempre a carico dei cittadini italiani), salvo poi aumentare i costi proprio per i turisti. Ma questa stessa tassa, per altro, è profondamente osteggiata anche dagli operatori del settore come Federalberghi, Assoturismo Confesercenti e Federturismo, come anche le associazioni dei consumatori.

Ovviamente mi rendo conto che il Governo, a furia di tagliare i trasferimenti ai Comuni, ha portato questi ultimi sull’orlo del baratro economico, come afferma l’on.le Occhiuto, ma non possiamo neanche pensare di scaricare il problema sulle spalle dei cittadini, o, se proprio si deve fare, lo si deve fare in maniera ragionata e senza colpire le fasce più deboli della popolazione. A tal proposito è significativa la proposta alternativa dell’UDC e del nuovo Polo: parametrare questa tassa, non sulla persona, ma sulla capacità di spesa della persona, andando ad incidere maggiormente sugli alberghi e le strutture più costose e quindi rivolte ad una clientela agiata e che può permettersi questa ulteriore tassazione, mantenendola sempre nei limiti di pochi euro.

Altro punto controverso è la cedolare secca sulle rendite da immobili, di cui abbiamo già parlato evidenziando i difetti di una proposta che non è abbastanza incisiva per incoraggiare il settore dell’edilizia e combattere l’evasione fiscale, e non aiuta a sufficienza le famiglie, perchè destinare 400 milioni per gli affitti delle famiglie non abbienti o numerose, è assolutamente insufficiente.

Inoltre il Governo, per sopire le proteste dei Comuni ha attuato una mossa assolutamente ridicola: si è fatto carico di coprire le eventuali differenze di entrate, qualora dalla cedolare secca non si riuscissero ad avere sufficienti introiti. Ma il federalismo non doveva portare meno spese per il governo e per il cittadino? Allora, volendo muoverci in tal senso, ovvero favorire i cittadini senza aumentare l’imposizione fiscale, si può scegliere la proposta alternativa presentata sabato scorso dal nuovo Polo: due cedolari secche per le rendite immobiliari, una pari al 20% sui canoni “liberi”, e una al 15% sui canoni concordati (dando quindi un sollievo pari a 2000-2500 euro per i cittadini); per coprire i maggiori costi basterebbe anticipare al 2011 (invece che 2013) i tagli sui consumi intermedi previsti dalla manovra estiva, questo anticipo permetterebbe di reperire risorse pari a 2,8 miliardi di euro. Va da sé quindi che con la proposta dell’UDC e del nuovo Polo, il cittadino ottiene da un lato un risparmio tangibile, l’economia ottiene il rilancio del settore immobiliare, e senza aggravare i conti dello Stato.

Questi 2,8 miliardi, infatti, potrebbero essere così distribuiti: un miliardo per coprire il minore gettito della cedolare secca, mentre 1,8 miliardi di euro andrebbe al fondo per le deduzioni fiscali sugli affitti per le famiglie numerose.

Tutto questo regge anche se non andiamo a considerare la lotta all’evasione fiscale. Se poi andiamo a considerare il possibile recupero delle somme che sfuggono tramite evasione ed elusione fiscale, si potrebbe addirittura prevedere un ulteriore sollievo fiscale per le tasche dei cittadini.

Come si vede, quindi, i punti oscuri e problematici sono numerosi, ma esistono anche delle soluzioni. Sarebbe sufficiente che il governo evitasse di volere a tutti i costi varare un federalismo fiscale imperfetto e decidesse di prolungare per altri 12 mesi lo studio e le discussioni  per trovare delle soluzioni ottimali e condivisibili. In caso contrario è comprensibile che, come ha affermato oggi Casini, l’UDC si schieri contro una riforma che avrà come unico risultato, quello di strozzare i Comuni e le loro autonomie, contraddicendo lo spirito che anima questa riforma.

A ciò si aggiunga il fatto che i Comuni sono praticamente “alla canna del gas”. A tal proposito proprio oggi l’UDC  ha presentato, in una conferenza stampa la proposta di congelare per due anni la restituzione dei mutui accesi con la Cassa depositi e prestiti, che permette ai sindaci di sbloccare investimenti e di potenziare lo stato sociale

In conclusione il problema non è “Federalismo si” o “Federalismo no”, ma se si vuole fare bene o male questa riforma.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

1 Commento

Non esistono strade “facili”, facciamo spirare il vento del cambiamento

postato il 25 Gennaio 2011

Leggendo le vicende degli ultimi giorni, sembra di essere arrivati a toccare il fondo e,una volta arrivati lì, di aver iniziato a scavare. Ogni giorno una notizia nuova, altri particolari scabrosi di vicende che, francamente, al Paese non servono. Un particolare, però, mi ha colpito più di tutti: leggere che c’è un padre che incita la propria figlia ad intraprendere una strada più “facile”, per arrivare al successo. Fa rabbrividire.

Sono cresciuta in una famiglia in cui mi è stato insegnato a coltivare valori come il rispetto, la legalità, la dignità della persona. Queste, per me, non sono parole vuote, ma sono il fondamento della mia formazione.

Ed oggi, che ho 18 anni, e mi accorgo di avere la stessa età di Ruby, soffro nel vedere certe cose. Rimango indignata, allibita, sconvolta.

Soffro nel vedere un Paese in cui tutto è lecito, dove non c’è più alcun limite e alcun freno. E’ un Paese in cui l’ambizione e la brama del successo hanno calpestato l’etica e la morale, dove la legalità è una parola inflazionata, da scrivere su qualche muro, su qualche volantino o su qualche programma elettorale. Mi preoccupa che non ci sia più indignazione.

Ma davvero l’unica soluzione per raggiungere i propri obiettivi è tentare scorciatoie eticamente discutibili?

Non è certo mia intenzione parlare di etica, del suo rapporto (spesso ignorato, per comodità) con la politica. Il mio è, più che altro, una sconsolata presa di coscienza ma, allo stesso tempo, una sorta di appello. Sono convinta che tutti, donne e giovani in particolar modo, si sentano ancora offesi come me da queste notizie e credo ancora che ci sia qualcuno ancora in grado di indignarsi, di vergognarsi per ciò che accade.

C’è bisogno di uno scatto d’orgoglio e spero che questa triste storia possa servire almeno ad innescare il cambiamento che attendiamo da così tanto tempo.

C’è ancora chi, come me, fiero dell’educazione ricevuta, vuole dimostrare che non tutto in questo Paese è da buttare. Forse, dai giovani e dalle donne, nascerà il vento del cambiamento.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Marta Romano

1 Commento

Nec plus ultra Berlusconi?

postato il 24 Gennaio 2011

L’accentuazione della dimensione “leaderistica” nella politica italiana e in particolare nelle singole formazioni politiche è fenomeno  ampiamente documentato e discusso da esperti politologi e attenti osservatori. Si potrebbe rimanere nel campo della teoria e della discussione speculativa se questa tendenza, che si concretizza radicalmente nelle esperienze politiche di cui Silvio Berlusconi è stato capo indiscusso, non avessero delle conseguenze gravi per la vita politica, sociale, ed economica di questo Paese.

Nello specifico l’essenza “berlusconicentrica” di un partito come il Pdl, o della stessa coalizione, produce non solo un danno alla vita democratica del partito in questione ma un danno all’Italia intera nella misura in cui l’azione di un governo, la dialettica di un partito, e l’intero dibattito politico ruotano sistematicamente intorno alla persona, alle scelte e alle vicende del Presidente del Consiglio. E’ del tutto normale che una figura del calibro di Berlusconi abbia una certa centralità e una capacità notevole di calamitare attenzione politica e mediatica, tuttavia è meno comprensibile il fatto che si rapporti a Berlusconi come l’alfa e l’omega di un partito, della politica e di una intera nazione.

A tal proposito sono fortemente indicative le reazioni di alcuni esponenti del Pdl rispetto alla recente proposta politica di Pier Ferdinando Casini e alla “provocazione” della giovane Sara Giudice. Al leader dell’Udc è bastato suggerire a Berlusconi un atto di buon senso, per certi versi “sollecitato” anche dalla presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, come il cedere il passo ad una personalità forte del centrodestra per far ripartire governo e Paese, per essere sommerso da una pioggia di critiche da parte di autorevoli esponenti del Pdl: sostanzialmente dopo Berlusconi c’è solo il diluvio.

Neanche avesse chiesto le dimissioni del Papa! Se si fa muro contro chi “minaccia” la leadership del Cavaliere dall’esterno, figuratevi cosa può accadere a chi dall’interno si fa venire qualche dubbio sulle scelte del leader maximo. E’ il caso di Sara Giudice, consigliere zonale del Pdl milanese, che a seguito dell’apertura delle indagini sul cosiddetto “Rubygate” e delle ombre che getta su Nicole Minetti, ha chiesto le dimissioni (con tanto di raccolta firme) dal Consiglio regionale lombardo dell’ex igienista dentale del Premier che alle scorse elezioni era stata imposta direttamente dal Cavaliere nel listino del Presidente Formigoni. Il fatto stesso che la giovane consigliera zonale abbia osato mettere in dubbio la bontà di questa scelta di Berlusconi le ha attirato addosso le ire del governatore Roberto Formigoni e della dirigenza del Pdl che, a quanto pare, sta meditando di espellerla dal partito.

E’ chiaro che le due vicende, la proposta di Casini e la provocazione della Giudice, sono estremamente lontane e diverse, ma le reazioni a queste due sollecitazioni sono ampiamente rivelative del vissuto politico della maggioranza che vive e si muove esclusivamente in funzione delle necessità del Presidente del Consiglio. Peccato che i membri della maggioranza non si accorgano che così facendo favoriscono l’immobilismo politico e costringono l’Italia in quel pantano che sono le vicende personali di Silvio Berlusconi.

“Nec plus ultra”, così secondo la mitologia stava scritto sulle Colonne d’Ercole che rappresentavano il limite estremo del mondo conosciuto e così sembra che Berlusconi venga percepito dai suoi: non c’è nulla oltre lui. Ma la storia insegna che quel confine tracciato da Eracle è un confine che bisogna prima o poi superare per trovare il “Nuovo mondo”, che per noi è la possibilità di una stagione politica nuova che faccia uscire il Paese dal vicolo cieco in cui è stato irresponsabilmente cacciato.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

Commenti disabilitati su Nec plus ultra Berlusconi?

Telespettatori sull’orlo di una crisi di nervi

postato il 23 Gennaio 2011

Da un po’ di tempo se cerco una notizia o una informazione o se cerco di farmi un’idea su un determinato argomento o su una certa vicenda non accendo più la tv, ma inizio immediatamente a navigare in rete. Non è solo il segno dei tempi e del dominio di internet, ma anche l’orrore per tutto quello che ci propina la nostra televisione. Non basterebbe probabilmente un libro per narrare del museo degli orrori del piccolo schermo, tuttavia è sufficiente considerare questi due aspetti, le notizie e gli approfondimenti, per capire che la tv è il luogo meno adatto per cercarle.

Se cercate una notizia e vi sintonizzate sul telegiornale sbagliato potrebbe accadervi di non sapere assolutamente nulla di fatti e misfatti riguardanti il Cavaliere dimezzato, ma in compenso vi potrete fare un’ampia cultura generale che spazierà dalle meduse-cubo a Charlie lo scimpanzé tabagista, potrete anche scegliere i vasetti per la pupù più alla moda per i vostri pargoli e infine potreste salvare anche la vostra vita seguendo l’intervista a qualche luminare della medicina che rivelerà che per difendervi dal freddo dovete coprirvi e non uscire di notte. Preciso che quelle che precedono non sono banali battute ma servizi realmente mandati in onda dal Tg1 rintracciabili tutti nella mitica rubrica Minzoparade.

Se con le notizie siete stati sfortunati, non pensate di approfondire con qualche talk show, perché sperimentereste la stessa frustrazione di Aldo Grasso nell’assistere a delle vere e proprie messe cantate dove non si approfondisce nulla e si accavallano le voci dei pretoriani del Premier e dei suoi oppositori. Non riesco neanche a capire perché nei vari “Annozero”, “Ballarò”, “Porta a Porta” e “l’ultima parola” bivacchi sempre la stessa combriccola di politici e giornalisti che si muovono come gladiatori ben addestrati a combattere per compiacere i loro padroni. E in questi giorni di fine impero l’arena diventa anche più divertente (o triste a seconda delle prospettive) se la gladiatrice Daniela Santanchè, evidentemente sotto pressione, si esibisce in una vera e propria crisi di nervi che le fa scambiare Zucconi con Zincone, Washington con New York, la fa imbestialire appena Concita De Gregorio o Marco Travaglio aprono bocca e infine abbandonare lo studio a tacchi levati. Un po’ la signora Garnero in Santanchè mi intenerisce: ce la fareste ad andare ogni giorno in Tv a sostenere cose impossibili tipo che la terra è piatta e che oltre lo stretto di Gibilterra si precipita nel vuoto?

Dall’altra non mi inteneriscono i signori conduttori, i sommi sacerdoti di queste messe cantate, per il servizio (?) che continuano ad offrire ai telespettatori: che cosa dovrebbero approfondire, che coscienza critica dovrebbero formarsi mentre va in scena l’ultimo battibecco da pollaio? E mentre notizie e approfondimenti in tv sono merce rara sale la preoccupazione per i telespettatori sull’orlo di una crisi di nervi. Chi li salverà? Una notizia, of course. Con tutto il rispetto per Charlie lo scimpanzé fumatore.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

Commenti disabilitati su Telespettatori sull’orlo di una crisi di nervi

Tunisia: rivoluzione popolare a poche miglia dall’Europa?

postato il 22 Gennaio 2011

Il 14 gennaio 2011, il giorno in cui il presidente tunisino Zine El Abidine Ben Ali, eletto poco più di un anno prima per la quinta volta consecutiva, qualcuno avrà pensato alla fine di un regime in piedi probabilmente dal 1956, anno di nascita della Tunisia indipendente. In realtà il piccolo stato dell’Africa settentrionale si trova ancora imbrigliato nelle vecchie spoglie di regime e la fuga del suo presidente non basterà certamente ad impedire l’esacerbarsi degli animi della popolazione; una popolazione prevalentemente giovane, stanca dell’immobilismo economico, della corruzione dilagante e delle continue limitazioni della libertà di espressione.

La fuga di Ben Ali in realtà non è stata sufficiente a calmare le proteste che reclamano anche le dimissioni dei ministri che facevano parte del vecchio regime: il 20 gennaio migliaia di manifestanti hanno chiesto a Tunisi le dimissioni del governo di transizione.

La “rivoluzione dei gelsomini”, così come è stata ribattezzata, affonda le sue radici nell’ultimo anno ma l’episodio che probabilmente ha innescato la miccia è stato il sequestro del bancone di frutta e verdura di un mercante ambulante, anch’egli un giovane laureato che non riusciva a trovare un posto di lavoro, e che si è dato fuoco in segno di protesta. A partire da quest’episodio la protesta si è allargata a macchia d’olio, fino a raggiungere la captale, Tunisi. La rivolta vede coinvolti diversi attori sociali: studenti, sindacati, mercanti e numerose donne si uniscono rivendicando i loro diritti sociali: cibo, lavoro, libertà etc…

Infatti,  nonostante il miglioramento del grado di istruzione dei giovani tunisini, le èlite al potere non sono riuscite ad adottare politiche soddisfacenti, tese a creare nuovi sbocchi occupazionali in grado di assorbire la forza lavoro locale, quantitativamente elevata e qualitativamente meglio istruita. Molti giovani decidono di espatriare, alla ricerca di nuove opportunità in terra straniera. Il suolo tunisino, al contrario dei suoi vicini (Algeria, Libia …) non è ricco di risorse energetiche pertanto risulterebbe difficile, in tempi di crisi economica, mantenere in piedi il sistema soprattutto grazie ai proventi di una rendita petrolifera.

Le esportazioni industriali si sono fortemente contratte, i turisti europei sono rimasti a casa loro e così anche gli investitori esteri. Risultato: ne ha sofferto l’occupazione e la crescita non assorbe, in media, più che la metà di una fascia d’età (con meno di 35 anni) in forte crescita, a fronte dei 2/3 della popolazione risucchiati dalla crisi. Ricordiamo che la Tunisia vive grazie alle esportazioni di prodotti agricoli e tessili ma soprattutto grazie al turismo.

Ma veniamo all’Europa, che ruolo svolge o ha giocato l’UE all’interno dei confini tunisini? E’ noto il sostegno europeo al governo tunisino, anche prima che scoppiasse la “rivoluzione dei gelsomini” il vecchio continente aveva ben pensato di stanziare una somma di 240 milioni di euro per la cooperazione tecnica tra la stessa UE e il paese africano. Neppure davanti alle forti restrizioni alla libertà d’espressione, alle carenze democratiche, all’imperante corruzione l’Europa hai mai staccato la spina al regime di Ben Ali, il quale contava invece sull’appoggio dei burocrati e dei ministri europei grazie al suo impegno a favore della lotta al terrorismo islamico, evidentemente la prima preoccupazione di Bruxelles, o comunque la conditio sine qua non per avviare dei negoziati o per stipulare accordi.

In tempi recenti o comunque prima che la Tunisia finisse nel caos, erano state varie associazioni a lanciare l’allarme chiedendo esplicitamente all’UE di cessare i negoziati per il partenariato strategico tra Bruxelles e Tunisi; una di queste è Résean Euro-Mediterranéan des droits de l’homme (Remdh).

Dicevamo dunque del sostegno europeo al regime pluri-decennale di Ben Ali; esso si basa sul tacito accordo sulla lotta al terrorismo. Gli islamisti esistono anche in Tunisia, sebbene la maggior parte di loro sia stata eliminata fisicamente dal regime nei passati decenni, mentre i leader sono fuggiti all’estero. La loro possibilità di successo tuttavia si scontra con un movimento molto laico, evidente soprattutto nella partecipazione delle donne alle manifestazioni.

Intanto le proteste non si sono placate nemmeno dopo la destituzione ufficiale del presidente Ben Ali da parte del consiglio costituzionale e la proclamazione di F.Mebazaa quale presidente ad interim. Come suggerisce un giovane blogger tunisino, è tempo di passare da una rivolta popolare ad una situazione che dia stabilità. In quest’ottica, una sola azione è da intraprendere: la costituzione di un collettivo di tunisini tra attori della società civile e di varie parti dell’opposizione al fine di dirigere l’azione della protesta tunisina … “fermiamo le nostre divisioni, mettiamoci insieme e facciamo arrivare alla nostra gente e al mondo una sola voce forte, potente e legittima, con un solo moto: lottiamo insieme fino alla fine di questo regime”.

In ultima analisi potremmo dire che tutta l’area mediterranea è interessata da rivolte e tumulti: la protesta dei tunisini è quella che probabilmente è riuscita ad alzare la voce con più veemenza, ma anche in Grecia, in Algeria, in Marocco, in Egitto, ed ora anche in Albania sembra che la tensione stia salendo sempre più vertiginosamente: venti e tempeste si stanno abbattendo sul Mediterraneo.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Shardana

Altri post di approfondimento li trovate su:

www.courrierinternational.com

www.aljazeera.net

Commenti disabilitati su Tunisia: rivoluzione popolare a poche miglia dall’Europa?

L’assegnazione delle frequenze del digitale terrestre è molto di più di una questione economica

postato il 21 Gennaio 2011

La battaglia per le frequenze del digitale terrestre non è solo una battaglia economica per vendere delle frequenze televisive e fare incassare allo Stato dei soldi (per la precisione si prevede un incasso di circa 2,4 miliardi di euro); è soprattutto una battaglia di diritti e trasparenza, e soprattutto una battaglia per determinare il futuro della televisione italiana che è così importante nelle nostre vite (basti pensare all’intrattenimento, ai modelli culturali, all’informazione che veicola la televisione).

Il ministro Romani ha assicurato che entro breve tempo si concluderà la vendita delle frequenze televisive legate al digitale terrestre, eppure la vicenda si trascina da mesi. Perché?

La gara è stata ripetutamente bloccata, dalle obiezioni sollevate in questi mesi dal ministro Romani sulla partecipazione di Sky all’asta, infatti lo scorso luglio la Commissione Europea aveva autorizzato Sky Italia a partecipare alla gara (beauty contest), ma Romani, allora vice ministro, aveva ipotizzato l’esistenza di una norma italiana che, in presenza di determinate condizioni, vieta il controllo del capitale di un operatore di rete televisiva da parte di un soggetto extra-comunitario. Volendo fare una battuta, potremmo dire che anche alle frequenze televisive serve il permesso di soggiorno, anche se per certi programmi servirebbe “il permesso del buon gusto”; ma torniamo sull’argomento centrale.

Avuto l’OK della Commissione Europea si poteva ipotizzare che la procedura si velocizzasse, invece no, perchè Romani decide di rivolgersi al tribunale amministrativo per un altro parere legale; ma il 20 dicembre la richiesta è rigettata, con la motivazione che il quesito era stato posto male e in maniera troppo generica. A questo punto, forte del parere della UE e senza problemi giuridici in vista, ci si aspetterebe il via libera alla gara, ma il ministro Romani decide di rivolgersi nuovamente al Consiglio di Stato, questa volta facendo bene i compitini e ponendo un quesito ben circostanziato. Secondo Romani, il parere arriverà tra 30 giorni circa, poi si procederà alla gara e per fine Aprile si assegneranno le frequenze.

C’è chi sostiene che tale scrupolo legale da parte del ministro Romani sia da ricercare nel fatto che chi maggiormente si è espresso contro la partecipazione di Sky sia appunto il gruppo televisivo Mediaset controllato dalla Finivest del presidente Berlusconi; a queste ipotesi il ministero risponde che la motivazione è quella di “evitare di esporre la gara ad una serie di ricorsi”.

Al di là di queste considerazioni se si va a considerare i dati Auditel degli ultimi 4 anni, pubblicati da Antonio Genna si osserva come il panorama televisivo stia cambiando, la presenza di Sky è cresciuta e che il digitale terrestre ha spezzettato gli ascolti danneggiando principalmente le “Ammiraglie” di Mediaset e Rai, come si osserva dal semplice sotto:

Ma il punto fondamentale è che se il governo italiano continua con questa “melina” giuridica, rischia una guerra commerciale con gli USA (SKY, che ha già lamentato forti penalizzazioni da parte del governo italiano è americana) e delle multe dalla UE perchè rallentiamo la libera concorrenza, per di più non si capisce perché queste obiezioni non siano sollevate anche in altri campi e altri operatori come Wind.

Su tutta questa vicenda, l’on. Rao, che già in passato era stato testimonial di punta nella battaglia per la liberalizzazione del WI FI ha affermato che frenare un operatore commerciale come Sky significa mettere a rischio investimenti, ma soprattutto, penalizzare i consumatori e che bisogna garantire leale concorrenza nel settore informativo.

Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Commenti disabilitati su L’assegnazione delle frequenze del digitale terrestre è molto di più di una questione economica

100% Made in Italy, il fattore umano dell’impresa, il federalismo: la parola a Confartigianato

postato il 21 Gennaio 2011

La redazione del blog pierferdinandocasini.it intervista quest’oggi il Presidente Nazionale del gruppo Alimentari Vari di Confartigianato, dott. Mauro Cornioli che ringraziamo per la disponibilità.

Il suo settore come sta vivendo la crisi internazionale di questi anni?

Nonostante la crisi finanziaria, posso affermare che il settore alimentare si sta comportando molto bene. Consideri inoltre che la piccola impresa si difende meglio perché realizza un prodotto tipico di una determinata zona, che da un lato non è facilmente omologabile o replicabile altrove, e dall’altro si presta bene anche ad essere esportato quando è un prodotto di qualità.

D’altro canto mi sembra che, nello specifico della sua azienda, il settore erboristico ha vissuto con la globalizzazione e l’import-export con i paesi orientali come ad esempio la Cina, e quindi siete “abituati” a confrontarvi con il Mondo.

Indubbiamente si. Basti pensare a Marco Polo e alla “via della seta” con la Cina su cui transitavano anche spezie e piante officinali. Si importavano prodotti 500 anni fa dalla Cina, si importava dalla Cina 100 anni fa, si continua ad importare dalla Cina anche adesso.

Oggi però vi sono stati alcuni cambiamenti: alcuni prodotti che venivano importati dalla Cina, ad esempio, ora sono importati dall’Est Europa, e certe merci importate dall’Est Europa sono di nuovo prodotte in Italia e poi esportate. Ma questo non è l’unico mutamento.

Un cambiamento molto importante, e che premia l’economia italiana, proviene dal rialzo del costo della manodopera cinese a seguito della crescita di questo paese e il risultato è una crescente difficoltà per i cinesi nei settori dove è preponderante appunto il costo della manodopera.

In molti si lamentano della scarsa capacità competitiva dell’Italia, per migliorare questa situazione, lei cosa farebbe?

E’ importante ripristinare la verità rispetto alla confusione che impera attualmente. Per fare un esempio: una etichettatura trasparente sarebbe molto importante. Ci sono le intenzioni, ma poi queste ultime non si traducono in fatti. La legge Reguzzoni – Versace sul Made in Italy che fine ha fatto? E’ una vergogna che la legge, anche se approvata, sia sparita perchè i decreti attuativi non sono stati fatti. Come vede ci sono buoni slanci, ma poi ci si ferma. E questo non è possibile

Lei cosa suggerisce a tal proposito?

Non mettiamo i dazi, ma trovo che sia una vergogna che i paesi del Nord Europa dicano che l’Italia, paese con una grande tradizione manifatturiera ed estremamente competitivo in termini di manualità, di idee e di inventiva, non possa proteggere il Made in Italy. Il consumatore deve essere informato e deve essere certo che contenuto ha quel prodotto, perché, se vuole un prodotto italiano, deve sapere come e dove è stato prodotto, come diceva le legge Reguzzoni – Versace.

Quindi mi sembra di capire che lei sostenga che la legge Reguzzoni – Versace avrebbe permesso di distinguere tra un prodotto etichettato Made In Italy, ma che di italiano ha solo il passaggio finale e che magari è prodotto altrove, ed un prodotto che è fatto interamente in Italia.

La legge Reguzzoni – Versace cosa diceva? Dava forza ad un nuovo marchio che era culturalmente forte e vincente, ovvero il marchio “100% made in Italy”, così il consumatore sapeva che il marchio “Made in Italy” poteva indicare anche un prodotto che in parte era fatto anche in Cina, mentre il marchio “100% Made In Italy” indicava un prodotto fatto interamente in Italia, tutti così sarebbero stati coscienti di quel che compravano. La piccola impresa che produce esclusivamente in Italia, sarebbe stata premiata.

A proposito di grandi imprese: in questi giorni vi è stato il “referendum” di Mirafiori. A mente fredda, lei che impressione ha avuto dell’intera vicenda?

In questo momento il sindacato deve svincolarsi dal difendere chi fa assenze ingiustificate o chi non comprende l’importanza di essere altamente produttivi. Ecco, se il sindacato continua questa difesa, allora sbaglia.

Ma sbaglia anche Marchionne, perchè non si possono buttare via 60 anni di relazioni in 5 minuti. La trattativa doveva essere gestita meglio e la vittoria è stata sofferta. Per altro nessuno ha parlato della cosa più grave che è successa, ovvero che la Fiat è uscita da Confindustria.

Scusi, potrebbe esplicitare meglio questo suo concetto su Confindustria e Fiat?

Io mi chiedo: cosa farà ora Confindustria senza la Fiat? E le altre imprese resteranno in Confindustria o anche loro se ne usciranno? Lo stile Fiat diventerà un modello per tutti ? Anche perchè bisogna vedere cosa decide di fare la Confindustria che è pur sempre uno dei maggiori sindacati datoriali, inteso come sindacato dei datori di lavoro. Bisogna vedere, infatti, se manterrà un concetto etico fondato sulle relazioni sindacali e il confrontro con lo Stato o se deciderà di raggiungere Fiat nelle sue scelte di rottura. Inoltre si apre un altro quesito molto importante: considerando che all’interno di Confindustria vi sono aziende a partecipazione statale (le ferrovie, Finmeccanica, Enel, Eni per citarne alcune), è giusto che lo Stato paghi Confindustria seppur attraverso il constributo associativo? O questo non genera un conflitto di interessi visto che, senza Fiat, cresce il peso dello Stato all’interno di Confindustria che a sua volta dovrebbe confrontarsi con il governo sui temi lavorativi? Ecco, queste sono domande importanti a cui bisognerebe dare risposta, ma che sembrano non trovare posto nel dibattito odierno.

Sostanzialmente lei afferma che vi è il rischio che in Confindustria restino solo le aziende a partecipazione statale o che quanto meno abbiano un peso preponderante; e considerando che queste stesse aziende pagano un grosso contributo associativo a Confindustria, si potrebbe prefigurare una sorta di conflitto di interessi, giusto?

Assolutamente si, anzi vi è anche una concorrenza sleale verso le altre associazioni datoriali, come Confartigianato, CNA, Confcommercio, e così via, che per essere più forti hanno dato vita a Rete Imprese per porsi come quarta gamba del tavolo nelle trattative. Però noi viviamo solo delle quote associative pagate dalle piccole imprese totalmente private, mentre Confindustria, come detto, ha anche questo contributo da parte delle aziende a partecipazione statale.

A proposito di Rete Impresa, Guerrini, il presidente dell’associazione, ha parlato del rischio che il federalismo fiscale porti nuove tasse alla piccola impresa. Lei che ne pensa?

Consideri che la fiscalità generale è rimasta elevata, e in più sono stati aggiunti in questi anni, tutta una serie di balzelli locali anche in ossequio a direttive europee, come quella per i controlli sui prodotti alimentari attuata dalle ASL ad esempio. E qui mi chiedo: il federalismo fiscale non è che porterà nuove tasse a livello comunale, provinciale, regionale? Tenga presente che il piccolo imprenditore non ha usufruito dello scudo fiscale, perchè la grandissima maggioranza delle piccole imprese pagano regolarmente le tasse. Noi vogliamo vedere, ad esempio, come si svilupperò il discorso sugli studi di settore e il redditometro, che può anche essere utile nella lotta all’evasione. In questo momento bisognerebbe tutelare davvero la piccola impresa che fa fatica a chiudere i bilanci, anzi capita che vi è gente che lavora anche in perdita pur di ammortizzare i costi fissi.

Per finire mi piacerebbe un suo giudizio sul ruolo delle banche in Italia. Verso gli istituti di credito vi è un rapporto ambivalente da parte del grande pubblico: da un lato si chiede rigore agli istituti di credito per evitare che possano esservi fallimenti come è accaduto negli USA, dall’altro si chiede maggiore elasticità verso il credito alle famiglie e alle imprese. Lei da imprenditore, sente le banche italiane come amiche o pensa che sono “fredde” verso il sistema produttivo e le sue esigenze?

Questo inseguire il modello americano, non è l’ideale, perchè il modello anglosassone ha prodotto la crisi, di contro il sistema bancario italiano, con le sue particolarità si è difeso meglio: grazie all’aver evitato di concedere credito facile garantendosi sempre della capacità di rimborso, sul credito al consumo, su investimenti rischiosi. Però il sistema bancario italiano ha perso il rapporto che aveva prima con l’imprenditore. Troppa attenzione ai bilanci e poca verso l’imprenditore, verso la famiglia, verso le persone .

Bisogna recuperare la dimensione dei valori, dove è necessario mantenere l’attenzione ai bilanci delle piccole imprese, ma poi la banca deve anche valutare il passato e le prospettive future dell’imprenditore. Un imprenditore che magari non ha il bilancio in attivo, ma che investe nella propria impresa, dove la famiglia intera partecipa all’attività imprenditoriale , è un imprenditore che meriterebbe di essere aiutato. Bisogna recuperare il rapporto umano tra l’imprenditore e la banca.

Commenti disabilitati su 100% Made in Italy, il fattore umano dell’impresa, il federalismo: la parola a Confartigianato


Twitter


Connect

Facebook Fans

Hai già cliccato su “Mi piace”?

Instagram