Tutti i post della categoria: Economia

Per crescere non bastano le infrastrutture fisiche. Ripartiamo da Agenda Digitale e Giustizia

postato il 23 Agosto 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Giuseppe Portonera

Forse ci siamo. Domani, il CDM tornerà a riunirsi dopo la breve pausa estiva e il tema all’ordine del giorno sarà solo uno: trovare, inventare, rendere fattibili le misure necessarie alla crescita. Dopo una lunga, forse troppo, fase 1 dedicata al rigore e all’austerità (costellata di alcune riforme riuscite bene, le pensioni, altre riuscite meno, il lavoro, altre ancora da far riuscire, la spending review) è giunto il momento della tanto attesa fase 2, quella dedicata alla crescita e allo sviluppo. Dopo l’intervista del Presidente Monti a Tempi, e gli interventi dei ministri Passera e Fornero e del viceministro Ciaccia, comincia a delinearsi la strategia che il Governo ha deciso di mettere in campo: defiscalizzare i cantieri delle nuove opere pubbliche, per invogliare gli imprenditori a impegnarsi, tagliare le tasse (ormai insostenibili) sul lavoro, ridurre ancora la spesa pubblica. Si è scelto quindi di intraprendere un cammino vecchio stampo, con la messa in opere di nuovi cantieri, che – secondo le stime dei tecnici del ministero dello Sviluppo – dovrebbero portare ad aumentare il nostro PIL di almeno 5 punti entro il 2020.

È una via solida per tornare a crescere. Eppure, forse, insufficiente. La fase 1 del Governo Monti ci ha insegnato infatti che lo sviluppo si insegue, prima di tutto, rimettendo in piedi i fondamentali della nostra economia: le riforme strutturali, infatti, hanno avuto il compito – spesso ingrato, forse addirittura truce per la rapidità dei tempi – di correggere le profonde storture e distorsioni del nostro sistema Paese. Su questa strada noi dobbiamo continuare: ok ai nuovi cantieri, ma non si può pensare che altri ponti, strade o tunnel possano bastare al nostro PIL. Più che di altre infrastrutture fisiche, noi abbiamo bisogno di un altro tipo di infrastrutture, che sono quelle che riguardano – in primis – lo spread digitale che ci separa dal resto d’Europa e la riforma della Giustizia (che come abbiamo detto e ripetuto, è la prima grande riforma economica di cui necessitiamo).

Ieri, Massimo Sideri sul Corriere, ha messo in luce il grave e colpevole ritardo del nostro Paese su Agenda Digitale, che sembra non capire che un provvedimento del genere non è un semplice palliativo ma è “una politica economica che dovrebbe fare da collante a tutto il resto” e pertanto non va approvata “«dopo» la crescita, la spending review e le politiche per l’occupazione, ma di pari passo”. Questo viene però osteggiato da due fattori: il primo, il nostro elefantiaco Stato-Moloch difficilmente accetta qualche cambiamento che potrebbe rivoluzionarlo; il secondo, il radicato pregiudizio nostro e nei nostri confronti, che ci porta a credere poco nella possibilità di usare Agenda Digitale come strategia per la crescita e che allontana da noi la possibilità di investimenti esteri. Su questo il Governo deve intervenire, con decisione, perché un’Italia veramente 2.0 garantirebbe la creazione di migliaia di posti di lavoro nel futuro, riattivando le energie migliori del nostro tessuto imprenditoriale (fatto storicamente da PMI: sarà un caso che stiano nascendo sempre più start up?).

E due. Trasporti più veloci e efficienti servono sicuramente a garantire un commercio più veloce e redditizio: ma risparmiare una, due ore di strada ci servirà sul serio, quando però un’impresa deve aspettare diversi anni per la risoluzione di una causa civile e la corruzione divora metà dei nostri fondi? Ovviamente no, e non è un caso che nell’Indice di libertà economica l’Italia si collochi solo al 92°, tra i paesi mostly unfree. Ecco perché la riforma della Giustizia è più urgente che mai, perché se non riformiamo le nostre infrastrutture giudiziarie, a ben poco varranno nuove colate di cemento: snelliamo i tempi del sistema giudiziario, riorganizziamo e razionalizziamo sul territorio le sedi giudiziarie, assicuriamo la certezza del diritto e della legge.

Perché per crescere le infrastrutture fisiche non bastano: se contiamo solo su queste, potremmo anzi ottenere un effetto contrario a quello sperato, con un aumento ingiustificato e inutile del debito pubblico. Se invece, insieme a queste, sceglieremo di intraprendere finalmente misure alternative e nuove, potremo dire di aver davvero dato il via a una “fase 2”. Non solo del Governo attuale, ma della storia del Paese.

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I passi del governo per rilanciare la crescita

postato il 21 Agosto 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Il governo sta studiando i vari dossier presentati dai ministri per rilanciare la crescita dell’Italia  e una prima risposta dovrebbe essere data nel Consiglio dei Ministri del 24 agosto in cui si dovrebbero partorire le linee guida dell’agenda programmatica (in pratica quello che il governo vorrà fare per lo sviluppo economico dell’Italia), come è stato affermato dal Premier al Meeting di Rimini.

Attualmente pare che l’azione del governo sarà sostenuto da tre “gambe”, ovvero tre direttrici attorno alle quali organizzare tutta l’attività futura; in concreto i tre punti sono gli investimenti e le agevolazioni per le imprese; tagliare la spesa pubblica improduttiva; ridurre il debito pubblico.

A questi tre punti si aggiungeranno gli investimenti per la banda larga e le agevolazioni per le nuove aziende (le famose start up) tramite un decreto legge che dovrebbe essere varato dal ministro Corrado Passera. In concreto il decreto dovrebbe prevedere come obiettivi l’e-government (portare i rapporti tra pubblica amministrazione e utenti a livello telematico) e una maggiore diffusione dell’economia online. Per questo bisognerà portare, entro il 2013, la copertura della banda larga di base (2 megabit per secondo) al 100% della popolazione e avviare la realizzazione della banda ultra larga (100 megabit) nelle grandi città. Per quanto riguarda le start up, si riuniranno presso un unico soggetto le risorse che sono invece sparse in diverse voci del bilancio pubblico, questo favorirà una maggiore efficienza, un risparmio nell’utilizzo delle risorse, e la possibilità di concentrarsi sui progetti migliori.

Per realizzare questi due punti, sarebbero necessari investimenti massicci (per la banda larga si parla di circa 16 miliardi di euro), mentre al momento si può avere una disponibilità di due-tre miliardi, ma altre risorse potrebbero essere trovate tramite la lotta all’evasione (che ha già superato gli obiettivi di tutto il 2012) e dai fondi comunitari, oltre che dai project bond. In ogni caso questi investimenti avrebbero fortissime ricadute come occupazione e come pil (per il potenziamento della banda larga, si prevede che si avrebbe un aumento del Pil di circa 60-70 miliardi di euro).

Le agevolazioni per le imprese prevedono numerose semplificazioni (provvedimento a costo zero e che libererebbe risorse da destinare ad altri settori) suggerite, tra l’altro, dalle varie associazioni imprenditoriali e che coinvolgerebbero procedure, autorizzazioni e concessioni.

Per le infrastrutture, invece, si parla di molte opere, in particolare per gli assi viari, per una cifra totale di 25 miliardi di euro di investimenti, reperiti tra fondi europei e capitali privati (questi ultimi coinvolti tramite project bond).

Tutto questo senza andare a considerare piani di più ampio respiro, come il piano aeroporti (che dovrebbe portare ad una razionalizzazione del settore, considerando che molti aeroporti sono in crisi finanziaria), e la Strategia energetica nazionale, documento che verrà sottoposto alla consultazione pubblica online e che prevede l’aumento della produzione nazionale di idrocarburi (anche attraverso le trivellazioni in mare) e punta a fare dell’Italia il principale hub per l’ingresso di gas verso l’Europa con la costruzione di rigassificatori, gasdotti di importazione e impianti di stoccaggio.

Sulla revisione della spesa pubblica, i tempi sono più veloci, e si punta a tagliare a spesa pubblica improduttiva e socialmente inutile: dopo il taglio di 280 milioni di euro delle auto blu, il governo, punta, ad esempio, a dimezzare tutte le auto blu entro il 2013, ma la vera rivoluzione saranno i costi standard (che dovrebbero mettere sotto controllo la spesa pubblica) e il CONSIP che dovrebbe ridurre gli sprechi centralizzando gli acquisti della pubblica Amministrazione. Tradotto in cifre, si sparla di risparmi per 10-15 miliardi di euro.

Per quanto riguarda il debito pubblico, memori dei fallimenti avuti con gli Scip 1 e 2 (le società veicolo create da Tremonti e che hanno completamente fallito le attese per una pronta vndita degli immobili), il governo procede con prudenza e sono state individuate dismissioni per 15-20 miliardi l’anno che, accompagnate a un consistente avanzo primario di bilancio e a una moderata crescita del Pil, ridurranno il debito in linea con gli obiettivi del Fiscal compact, cioè del 3% l’anno.

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La Windjet affonda. Cosa succede nei cieli italiani?

postato il 16 Agosto 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

L’estate è divenuta improvvisamente molto amara per tutti i viaggiatori che avevano scelto la Windjet come compagnia aerea. A questi problemi, dobbiamo aggiungere da un lato i rischi professionali per gli 800 dipendenti che adesso vedono per loro un futuro molto nero e dall’altro i tanti interrogativi che solleva una vicenda che si presenta alquanto intricata, tanto che il Segretario regionale dell’Udc Gianpiero D’Alia afferma: “è vicenda molto grave e dai contorni oscuri. Bisogna fare subito chiarezza sul perché Alitalia rompe la trattativa alla vigilia di ferragosto e su quali sono le reali condizioni economiche di Windjet e se ci sono responsabilità dell’attuale management”.

E aggiunge: “esprimiamo totale solidarietà ai lavoratori Windjet. Non si può pensare di fare una trattativa al ribasso sulla pelle di 800 lavoratori. Auspichiamo che il tavolo convocato dal ministro Passera possa produrre risultati e sollecitiamo tutte le parti in causa ad adoperarsi con senso di responsabilità perché la Sicilia e l’Italia non possono permettersi un ennesimo fallimento”.

Recentemente un articolo de Linkiesta a firma di Marco Giovanniello ha lanciato l’ipotesi di “licenziare” Riggio, presidente dell’ENAC, perché non avrebbe vietato alla compagnia aerea catanese di vendere biglietti aerei, oltre che avere impedito a Lufthansa di insediarsi a Malpensa.

Duole dirlo, ma la vicenda è più complicata di così.

Chiariamo alcuni punti, dicendo alcuni fatti certi (ma, mi rendo conto, noti solo a pochi) e poi avanzerò alcune considerazioni:

1) che windjet fosse in via di fallimento, si sapeva da mesi. E per mesi intendo almeno 12-18 mesi;

2) non sta all’ENAC stabilire se una compagnia è finanziariamente solida. Questo spetta ai giudici (in caso di fallimento e/o truffa), o ai proprietari. In ogni caso ricordo che ci sono organi preposti al controllo e verifica dei bilanci, ma non si tratta dell’ENAC, che deve solo verificare il rispetto delle norme di sicurezza e all’assegnazione degli slot (ovvero le finestre di atterraggio e decollo), assieme all’Antitrust, sugli aeroporti italiani.

3) Lufthansa decise di non investire su Malpensa, non certo per i capricci dell’Enac, ma perchè si ritrovò una situazione “pesante”: stiamo parlando del 2008, ovvero del piano di salvataggio Alitalia. All’epoca il governo decise: A) di tutelare Alitalia-Cai, mantenendo e rafforzando il monopolio su Roma (i vincoli che bloccavano l’antitrust sono caduti solo in questi mesi e l’antitrust sta già imponendo a Cai di lasciare alcuni slot); B) di non aiutare l’altro hub, Malpensa, che ha sempre avuto il problema di una fortissima concorrenza con Linate (e anche Bergamo-Orio al Serio) che, unito ai collegamenti non proprio ottimali, ha sempre reso problematica lo scalo di Malpensa (per inciso, ha problemi anche come scalo merci, visto che la tav latita ancora).

4) Windjet, è posseduta da una finanziaria chiamata Finaria (posseduta a sua volta da Pulvirenti), la quale è finanziariamente solidissima (secondo Pulvirenti ha un giro di affari di 400 milioni a fronte di un indebitamento di 20 milioni), semplicemente non vuole più operare in perdita e non si vogliono fare travasi di risorse dalla suddetta finanziaria a Windjet.

5) chiudendo windjet, gli slot saranno liberi, ma non credo che, per motivi di antitrust, Cai possa prenderseli (se non quelli in fasce secondarie). Più probabile Meridiana (che attualmente li sta occupando) o Ryan Air o altri operatori.

Questi sono i fatti, certi e acclarati.

Passiamo ad altri fatti e alcune considerazioni.

La trattativa per l’acquisizione di Windjet, da parte di Alitalia Cai, va avanti da mesi (per inciso pare che vi sia anche una trattativa sotterranea tra Cai e Meridiana; la trattativa in questione è stata chiusa e riaperta varie volte a seconda delle disponibilità degli Emiri arabi e di Cai), ma solo recentemente si era giunti alla stretta finale. In base all’acquisizione, Alitalia doveva (per imposizione dell’antitrust) cedere alcuni slot altrimenti avrebbe operato in posizione di monopolio assoluto. A questo punto, Alitalia Cai fece una offerta che Pulvirenti giudicò irricevibile e la rispedì al mittente (fine giugno 2012) e quindi la compagnia guidata da Ragnetti decise di alzarsi dal tavolo non proseguendo più con le trattative (per inciso, Cai non si siederà al tavolo convocato da Passera e ha chiarito che non intende in alcun modo proseguire la discussione con Windjet mentre Pulvirenti fa sapere di stare trattando con altri vettori e di volere proseguire le trattative in solitario.

Detto quanto sopra, facciamo un esercizio di ipotesi (ed ecco le famose considerazioni).

Probabilmente, stiamo assistendo ad un gioco delle parti.

Avendo chiuso la partita con la vecchia Alitalia che verrà liquidata definitivamente (quando si chiuderà la CIG straordinaria per i dipendenti rimasti e non inseriti in CAI, la vecchia società potrà chiudere definitivamente i battenti, anche perché gli asset venduti e vendibili non bastano a rimborsare tutti i creditori integralmente), Alitalia Cai ha interesse a cercare di sopravvivere (ha i bilanci in perdita) fino al Gennaio 2013 e presentarsi a quella data con una certa “consistenza” in termini di slot, aerei, traffico. Perchè? Perchè (altro fatto noto e acclarato e lo trovate negli accordi del 2008) nel 2013 vi sono due scadenze importanti: nel gennaio 2013 scade la prima clausola di Lock-up per gli azionisti, ovvero il divieto di vendere la propria quota, e quindi gli azionisti potranno vendere agli altri azionisti (tra cui figura Air France) la propria quota. Si sa per certo che molti azionisti non vedono l’ora di liquidare , anche in perdita, la propria quota (per inciso hanno provveduto, Autostrade, Marcegaglia e Benetton in primis a svalutare in bilancio la quota Alitalia di loro pertinenza). Si pensava che Air France si sarebbe fatta avanti, ma anche AF ha i suoi problemi di bilancio e per un paio di anni non credo se ne parli dell’acquisto di Alitalia (almeno stando alle dichiarazioni ufficiali dell’Amministratore Delegato di Air France). La seconda scadenza è settembre 2013, in cui scade la seconda clausola di lock-up, alla scadenza della quale gli azionisti potranno vendere a chi vogliono la loro quota.

Quindi, da gennaio a settembre 2013, potranno vendere la loro quota solo agli altri azionisti, da settembre 2013 potranno venderla a chiunque si presenti alla loro porta.

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L’intervento del Gip di Taranto sull’Ilva danneggia tutti

postato il 12 Agosto 2012

L’ordinanza del gip di Taranto sull’Ilva rischia di segnare il punto di non ritorno di una vicenda drammatica che coinvolge migliaia di lavoratori e le loro famiglie e arriva dopo anni di incuria e di noncuranza in primo luogo da parte delle autorità locali preposte alla funzione di vigilanza e di controllo della salute dei cittadini.
In tutto il mondo questa decisione verrà interpretata come esempio di una cultura anti-industriale che sta sedimentandosi nel nostro Paese. Tanto era ragionevole la decisione del tribunale del riesame che conciliava l’esigenza di risanamento e la difesa dei posti di lavoro, così questo intervento a gamba tesa del gip fa solo danni a tutti.
L’autonomia della magistratura è un principio che va difeso e che sempre abbiamo difeso ma il protagonismo di certi magistrati di dubbia competenza fa più male alla credibilità della magistratura di tanti suoi incalliti denigratori.

Pier Ferdinando

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Ecco il “Percorso famiglia” del governo

postato il 3 Agosto 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Il governo Monti prosegue la sua attività e ha lanciato il progetto “Percorso Famiglia” con lo scopo di lanciare una serie di misure urgenti per sostenere i nuclei in difficoltà, e associa misure strutturali e misure di emergenza.

Questo progetto, presentato lo scorso 31 luglio dal Ministro della Cooperazione Internazionale e dell’Integrazione, con delega alla Famiglia, Andrea Riccardi, dal Presidente dell’ABI, Giuseppe Mussari e da alcune associazioni dei consumatori firmatarie dell’accordo (Acu, Adiconsum, Adoc, Asso-Consum, Assoutenti, Casa del consumatore, Cittadinanzattiva, Confconsumatori, Federconsumatori, Lega Consumatori, Movimento Consumatori, Movimento Difesa del Cittadino, Unione Nazionale Consumatori), è stato quasi totalmente ignorato dai grandi media, pur presentando delle misure molto importanti per le famiglie. Questo progetto è la risposta a quanti accusano questo governo di inerzia verso i problemi delle famiglie.

Sostanzialmente cosa prevede questo “Percorso Famiglia”?

Prima di tutto un sostegno per l’acquisto dell’abitazione, tramite la modifica del Fondo Per la Casa, un fondo consente alle giovani coppie di ottenere un mutuo agevolato per l’acquisto della prima casa anche se sono precari. Le modifiche renderanno l’accesso più semplice e renderà i tassi maggiormente in linea con il mercato attuale, abbassando il tasso di interesse. Concretamente, le associazioni prevedono di sbloccare 1 miliardo di euro di mutui per le giovani coppie italiane (in cui uno dei due componenti ha un contratto precario).

Il punto successivo è la proroga triennale (proroga che è stabilità dall’articolo 12 della legge di stabilità 2012) del Fondo di credito per i nuovi nati. Il fondo risale al 2009 e nacque con lo scopo di permettere, ai genitori di figli nati tra il 2009 e il 2014, di richiedere prestiti a tasso agevolato fino ad un massimo di 5mila euro. Per inciso, la domanda deve essere presentata entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello di nascita o di adozione del figlio per cui si richiede il prestito (quindi fino a giugno 2015), indipendentemente dal reddito e dalle motivazioni alla base della richiesta.
Dal 1 gennaio 2010 al 30 giugno 2012, le banche hanno confermato 25.986 garanzie e sono stati erogati finanziamenti per 127.266.226,70 euro, concessi da 141 banche in tutte e 20 le regioni.
Oltre che sul sito del fondo (di cui abbiamo riportato il link) maggiori informazioni si possono avere al numero verde 803-164.

Il progetto prevede altri due punti denominati “crescita della famiglia” e “maturità della famiglia”.

Il primo prevede un sostegno per lo studio dei figli facilitando l’erogazione dei finanziamenti del Fondo Studenti (sbloccando finanziamenti per 400 milioni di euro).

Il secondo, invece, prevede la proroga della sospensione dei mutui per le famiglie con difficoltà a pagare le rate. La sospensione ha validità per un anno e si può attivare in caso di perdita del posto di lavoro, cessazione del contratto a termine, morte, grave infortunio, entrata in cassa integrazione. Su invito del governo, inoltre, le associazioni di categoria e l’ABI si sono formalmente impegnate a trovare misure aggiuntive a sostegno delle famiglie che, scaduto l’anno di moratoria, abbiano ancora problemi con le rate e tale impegno ha prodotto dei risultati concreti fin da subito, infatti, hanno determinato che:

– le domande possono essere presentate entro il 31 gennaio 2013
– la scadenza entro cui si devono verificare gli eventi che determinano l’avvio della sospensione, è prorogata al 31 dicembre 2012
– sulla base delle disposizioni di vigilanza per le banche, per l’accesso alla misura di sospensione, l’arco temporale per la definizione di ritardo nel pagamento delle rate è rimodulata a 90 giorni;
– alla sospensione delle rate dei mutui potranno essere ammesse soltanto le operazioni che non ne abbiano già fruito.

Secondo i dati forniti, al 31 marzo 2012 i mutui sospesi dalle banche sono circa 68.000 (8 miliardi di debito residuo). Questo ha garantito alle famiglie interessate una liquidità aggiuntiva di circa 7mila euro a nucleo, 513 milioni di euro in totale.

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Se i consumatori sono costretti a pagare i costi di investimenti sbagliati

postato il 27 Luglio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Giovanni Portonera

Qualche giorno fa la Camera ha approvato, all’interno del decreto sviluppo, un emendamento bipartisan che introdurrà il capacity payment, una remunerazione degli impianti calcolata in base alla potenza messa a disposizione e non alla semplice produzione. Si tratta di un salvagente per le centrali termoelettriche messe in difficoltà in questi mesi dall’alta penetrazione delle fonti rinnovabili, in particolare il fotovoltaico, che ormai sono arrivate a produrre kwh a costi minimi e con priorità di dispacciamento.

Le fonti rinnovabili sono però intermittenti e non programmabili, quindi è necessario tenere centrali termoelettriche a ciclo combinato in funzione, pronte a riequilibrare il sistema elettrico in caso di mancanza di approvvigionamento da energia verde. I costi saranno pagati però dai consumatori e la bolletta potrebbe subire un aumento di 500-800 milioni di euro, con un carico maggiore per le pmi e le famiglie. Questo senza contare che nel mercato elettrico italiano c’è una sovraccapacità di circa il 30%, che in questo momento non serve ai consumatori: con il capacity payment questa potenza in eccesso verrà remunerata e per il consumatore si tratterà di una doppia beffa, perché si tratterebbe di un prelievo oneroso per un bene di cui non ha bisogno.

A cosa si deve questa situazione di stallo? Principalmente alla mancanza di un serio piano energetico nazionale, più volte chiesto dagli operatori del settore, e da scelte avventate – e alla prova dei fatti, non proficue – di imprenditori che, pur consapevoli della possibile espansione del settore delle rinnovabili, hanno continuato a fare investimenti sbagliati. Infatti le centrali termoelettriche dovrebbero lavorare per circa 5000 ore  per ripagare i costi fissi: oggi, però, ne lavorano per 3000-4000 a causa del fotovoltaico e per rifarsi dei mancati guadagni alzano il prezzo dell’energia durante le ore serali in modo ingiustificato. Un comportamento economico, suicida e ingiustificato, oltre che inaccettabile per i consumatori.

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Se la Grecia diventa un monito

postato il 24 Luglio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

In questi giorni i mercati finanziari europei sono scossi da impetuosi venti ribassisti che hanno molteplici radici accomunate tutte da un palese nervosismo motivato da una paura verso il fallimento della Spagna. I recenti sviluppi, alla luce di alcuni fatti riportati in passato, impongono una riflessione molto seria.

Se la Spagna cadesse, la prossima a rischiare potrebbe essere la Germania a causa della fragilità del sistema bancario tedesco, inoltre ho affermato che se la Grecia dovesse dichiarare fallimento, le perdite per il sistema industriale tedesco si aggirerebbero intorno ai 200 miliardi di euro (circa il 10% del PIL tedesco); la Cina sta rallentando pesantemente e questo apre un possibile scenario di crisi anche in Asia; questi sono fatti oggettivi. In questi giorni, tra altro,  l’agenzia Moody’s ha abbassato a “negative” le prospettive future per l’economia tedesca.

I recenti sviluppi sono legati ad alcune dichiarazioni: pochi giorni fa il ministro spagnolo Montoro ha dichiarato che, se la BCE non avesse comprato i titoli di stato spagnoli (Bonos), il paese iberico non avrebbe avuto la liquidità (ovvero i soldi in cassa) per pagare i servizi.

E’ una dichiarazione pesante, resa al parlamento spagnolo, quindi un contesto ufficiale e nel quale le parole vengono scelte accuratamente e pesate e sono state dette per motivare le pesantissime misure prese dal governo spagnolo. A questo aggiungiamo le recenti richieste da parte di alcune regioni spagnole (Valencia e soprattutto la Catalogna, che, per importanza economica, è la seconda regione del paese iberico). Domenica, invece, il ministro tedesco Rosler ha affermato che l’eventualità del default della Grecia è una ipotesi concreta e che non preoccupa. Ipotesi che anche l’FMI sembra che stia considerando.

Detto ciò, cosa possiamo concludere? E’ possibile che la Germania accetti tranquillamente il costo che comporta il default greco per il suo sistema industriale?

La risposta è si. Nonostante le recenti dichiarazioni da parte del Presidente dell’Eurogruppo Juncker. Evidentemente la riflessione della Germania parte dal presupposto che ormai per la Grecia non ci siano più speranze, ma questo non basterebbe a giustificare l’uscita del ministro.

A mio avviso, la dichiarazione tedesca fa eco a quella del ministro Monitoro e ha un duplice scopo: da un lato spingere affinché Madrid approvi il prima possibile il piano stabilito dal governo, e dall’altro lato usare la Grecia (e le conseguenze che avrebbe il popolo greco uscendo dalla UE) come monito e come esempio verso quelle persone che non accettano il piano di tagli e risanamento varato dai vari governi.

Insomma, si può ipotizzare che la Grecia venga usata come esempio (in negativo) di quel che può accadere se non si rispetta un piano di austerity e si va in default.

Se questa mia personale riflessione è corretta, nel giro di poche settimane vedremo l’uscita della Grecia dalla UE e la sua contestuale dichiarazione di default, con tutto quello che comporterà (aumento dell’inflazione, della disoccupazione e, potenzialmente, disordini).

In ogni caso, nei prossimi giorni vedremo un aumento della volatilità sui mercati finanziari e altri ribassi, come avevo affermato in passato, ma ribadisco che se la Spagna cade, la prossima a seguirla potrebbe essere il sistema bancario tedesco.

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Cosa è il fiscal compact

postato il 21 Luglio 2012

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Nell’era della globalizzazione fa figo parlare in inglese e così sappiamo che in questi giorni il parlamento ha approvato il “Fiscal Compact”. Stupendo. Ma cosa è?
Per dirla in “politichese” è stato ratificato il Trattato di stabilità sul coordinamento e sulla governance nell’Unione economica e monetaria, che detto così fa ancora più impressione, ma non c’è nulla di strano in quanto il fiscal compact è semplicemente un accordo di diritto internazionale, stipulato al di fuori del diritto comunitario. L’accordo riprende le norme del Six-pack, ovvero il nuovo Patto di stabilità e crescita, e impone di inserire nella costituzione il principio del pareggio di bilancio e la correzione automatica in caso di sforamento. La convergenza verso gli obiettivi di medio termine potrà avere uno scostamento massimo per il deficit strutturale pari allo 0,5% del Pil, salvo in caso delle circostanze eccezionali considerate nel Six-pack. In caso di sforamenti o deviazioni dai target stabiliti, vi saranno dei meccanismi automatici di correzione, mentre è confermato l’obbiettivo di ridurre, a partire dal 2015, di un ventesimo l’anno del debito eccedente il 60% del Pil, salvo periodi di congiuntura particolarmente sfavorevole.
Con l’approvazione del fiscal compact abbiamo dimostrato responsabilità e soprattutto svincoliamo la finanza pubblica dagli interessi individuali, in quanto non potrà più essere usata per ottenere voti e per sprechi, perché per attuare questa norma vi dovrà essere non solo maggiore rigore, ma soprattutto dei controlli oggettivi sui conti pubblici, svincolandoli dalle beghe dei partiti e dall’utilizzo improprio (ad esempio approvare progetti inutili che hanno lo scopo di cercare facile consenso).
Ora abbiamo una tabella da rispettare, in soldoni si tratta di trovare 50 miliardi di euro l’anno e come possiamo trovarli? La risposta è molto semplice: dalla lotta all’evasione che sta venendo attuata, finalmente, in forma dura. Ogni settimana sui giornali leggiamo di indagini della guardia di finanza che trovano irregolarità, d’altronde secondo l’Agenzia delle Entrate sarebbero circa 120 miliardi i capitali sfuggiti alle casse dello Stato e in base ai dati raccolti dall’Istat, il valore dell’economia sommersa e dell’evasione in Italia, sarebbe quantificabile tra i 250 e i 275 miliardi di euro. Per intenderci tra il 16 e il 18% circa del Pil. Secondo Confcommercio questo significa circa 154 miliardi di tasse non pagate. Basterebbe fare emergere questa massa di denaro per avere i soldi necessari per rilanciare la crescita e diminuire il debito pubblico, riuscendo anche ad abbassare le tasse.
Indubbiamente il fiscal compact si può prestare a critiche, ma è indubbio che fosse necessario ed è un passo verso l’integrazione fiscale europea, obbiettivo divenuto imprescindibile alla luce degli ultimi sviluppi in Spagna, dove, pur essendo in crisi da un anno, solo ora si stanno prendendo misure urgenti e pesanti (diminuite le tredicesime, blocco delle assunzioni nel settore pubblico, privatizzazioni, aumento dell’iva). D’altronde questo era un passo necessario, soprattutto alla luce di quanto affermato dal ministro delle finanze spagnolo, Cristobal Montoro, il quale ha detto che senza l’intervento della BCE, la Spagna non avrebbe avuto i soldi per pagare i servizi. In pratica il paese iberico sarebbe stato ad un passo dal default.
Ovviamente la situazione spagnola, unita all’annuncio che la regione di Valencia chiederà un intervento statale per ripianare i suoi debiti, mentre come se non bastasse l’esecutivo spagnolo ha rivisto al ribasso le stime del pil per il 2013 e la Bce, con un tempismo davvero fatale, ha fatto sapere che i titoli di Stato della Grecia non saranno più idonei come collaterali. Questo mix di notizie ha generato pessimismo e ha spaventato gli operatori finanziari, facendo partire vendite a raffica e consegnando un venerdì nerissimo per la borsa, ulteriore riprova che vi è un diffuso clima di sfiducia sulla tenuta dei conti.
Proprio per questo dobbiamo continuare sulla strada tracciata di rigore e di attenti interventi nel taglio delle spese improduttive.

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Nessuna nuova manovra

postato il 19 Luglio 2012

Sintonia su progetto Stati Uniti UE

Questa mattina ho incontrato il Presidente del Consiglio Mario Monti: c’e’ sintonia sulla necessità di procedere non verso una nuova manovra, perché il Paese ha già fatto i compiti a casa, ma verso un’iniziativa europea che porti progressivamente agli Stati Uniti d’Europa.

Pier Ferdinando

 

 

 

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Pier Ferdinando Casini ospite di Radio Anch’io

postato il 18 Luglio 2012

Ospite di ‘Radio Anch’io’ Pier Ferdinando Casini risponde a giornalisti e ascoltatori sui principali temi dell’attualità  politica:  dal sostegno a Monti alle strategie per affrontare un possibile attacco dei mercati, dallo scontro Quirinale-Magistrati alle alleanze in vista della scadenza elettorale di inizio 2013.

Riascolta la puntata

 

 

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