Tutti i post della categoria: Economia

Berlusconi pensa alla crisi? E’ spiritoso

postato il 3 Ottobre 2011

Decida almeno la nomina del governatore di Bankitalia

Oggi Berlusconi ha fatto una battuta di spirito non male dicendo che lui si occupa dello sviluppo del Paese. Ma se ne è reso conto solo lui. Abbiamo le parti sociali che lamentano l’assoluta latitanza del governo davanti ai problemi della crescita. Così i costruttori, la Confindustria, i sindacati. Il fronte si sta allargando e non riguarda solo le opposizioni. Se se ne occupa lo fa con poco costrutto. Ma se finalmente ha deciso di fare il Presidente del Consiglio, faccia almeno in una settimana la nomina del governatore della Banca d’Italia, visto che questo dipende solo da lui.

Pier Ferdinando

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E’ necessario un atto di responsabilità per salvare il Paese

postato il 1 Ottobre 2011

Ambiguità e furberie non sono più ammesse. Anche l’appello di Della Valle va in questa direzione

Prima la Bce e poi le parti sociali hanno avanzato rilievi seri al nostro Paese e hanno chiesto al governo di svegliarsi. Ora serve un patto di condivisione del documento della Bce e delle parti sociali.
Chi condivide queste idee è chiamato a salvare il Paese, indipendentemente dall’appartenenza alla maggioranza o all’opposizione. Ambiguità e furberie non sono più ammesse. Chi condivide questo programma di risanamento per l’Italia è chiamato a realizzarlo in Parlamento con una maggioranza per la salvezza nazionale.
Partiamo dai contenuti e non dalle vecchie casacche ideologiche, usciamo dal generico. Scriviamo ricette dure e impopolari per il risanamento. Penso che anche il giusto appello di Diego Della Valle vada in questa direzione. Non perdiamo altro tempo perché la barca sta affondando.

Pier Ferdinando

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Bankitalia, Berlusconi si assuma la responsabilità di governare

postato il 30 Settembre 2011

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Abbiamo un presidente del Consiglio che si lamenta di non avere poteri per governare ma quando ce li ha non decide, è paralizzato dai veti del ministro dell’Economia e non fa una proposta per il nuovo governatore della Banca d’Italia. E’ una proposta che spetta a lui e noi speriamo che si muova, perché tenere la situazione bloccata è da irresponsabili.
Berlusconi non ha bisogno di vertici, si svegli e si assuma la responsabilità di governare.

Pier Ferdinando

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Lo strano caso delle frequenze del digitale televisivo

postato il 30 Settembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

L’asta per le frequenze 4G è andata a buon fine, ma c’è una domanda che sorge spontanea: se avessimo venduto anche le frequenze del digitale televisivo? Il quesito è più che legittimo, perché oggi si è chiusa l’asta per le frequenze 4G, con un incasso di 3,9 miliardi di euro, ovvero circa il 60% in più di quanto preventivato. Da mesi l’Udc sostiene che il governo doveva vendere e non regalare le 6 frequenze del digitale terrestre, soprattutto in un periodo in cui lo Stato cerca di racimolare soldi per rilanciare l’economia e pagare i debiti.

A tal proposito l’on. Roberto Rao si chiede “ora che si è conclusa l’asta per l’assegnazione delle frequenze 4G con un incasso di circa 4 miliardi di euro, circa il 60% in più di quanto previsto del Governo, ci chiediamo cosa sarebbe successo se non si fossero assegnati i sei multiplex delle frequenze radiotelevisive attraverso il beauty contest”.

Ricordiamo che una stima conservativa, attribuiva a queste 6 frequenze un valore complessivo di 3 miliardi di euro, ma il governo ha deciso di rinunciare a questi soldi. Incomprensibile risulta il balletto del ministro Romani a giustificazione dell’ingiustificabile. L’on. Romani afferma che “in caso di gara economica  i nuovi entranti avrebbero protestato sostenendo che il governo vuol far pagare barriere di accesso al settore e avvantaggiato chi è già dentro”. Inoltre, sostiene Romani, “in Europa nessuna concessione televisiva è mai stata data a pagamento”.

Ma allora perché Telecom, Vodafone e Wind hanno pagato oltre 500 milioni di euro per le stesse frequenze che Rai e Mediaset avranno gratis? Il ministro risponde che il “settore tv è diverso da quello delle Tlc, oggi chi fa tv deve poter competere con i nuovi entranti”. Ma quali nuovi entranti se le frequenze sono state regalate ai soliti noti? ovvero a Rai e Mediaset che sono da anni nel mercato televisivo?

Quindi per il Ministro, Rai e Mediaset dovevano avere le frequenze gratuitamente perché sono dei nuovi competitor, ma allora mi chiedo: Canale 5, Rete 4, Italia 1, non sono Mediaset? Per tutelare i nuovi favorisco i vecchi? Da questi quesiti, che non possono avere una risposta coerente, osserviamo che il governo è privo di logica, e, pur di nascondere la realtà, afferma tutto e il contrario di tutto.

I fatti parlano chiaro: avevamo delle frequenze che valevano 3 miliardi di euro, e sono state regalate a Rai e Mediaset, mentre gli altri attori hanno pagato. Poi però il governo parla di valorizzare il proprio patrimonio, potevano pensarci due settimane fa, adesso ci ritroveremmo con 3 miliardi di euro in più in tasca.

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La banda larga per battere la crisi

postato il 29 Settembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Il governo continua nel suo indecoroso balletto di promesse tradite, spot elettorali, ripensamenti.

L’ultima puntata riguarda gli investimenti per lo sviluppo della banda larga: il ministro Romani afferma che la banda larga è un pilastro per la crescita e il suo sviluppo sarà uno dei pilastri del  prossimo piano per lo sviluppo economico dell’Italia, dichiarando che il 50% dei soldi provenienti dalla gara per le frequenze della banda larga della telefonia mobile (asta arrivata a circa 3 miliardi di euro complessivi).

La notizia deve essere accolta con favore, soprattutto visto che da più di un anno proprio l’Udc ha lanciato una campagna per lo sviluppo della banda larga, vista come uno strumento di sviluppo per l’economia italiana. Purtroppo credo che la promessa del ministro Romani sia da prendere con le molle, visto che due mesi fa, ad Agosto, il governo stesso aveva cancellato i fondi per le infrastrutture legate ad internet.

Cosa è cambiato da Agosto ad oggi?

Evidentemente il governo ha imparato a contare e, facendo due conti, si è reso conto di ciò che l’Udc dice da più di un anno, ovvero che lo sviluppo di Internet e la banda larga sono una strada per abbattere il gap tecnologico che ci separa dagli altri paesi e soprattutto che è un investimento con un potenziale enorme che si ripaga da solo.

Secondo le stime della banca mondiale c’è un aumento dell’1,20% del Pil per ogni 10% di diffusione della banda larga, a cui aggiungere un risparmio pari a 40 miliardi di euro annui (2 mld per il telelavoro, 1,4 mld per l’e-learning, 16 mld per l’e-government e l’impresa digitale, 8,6 mld per l’e-health, 0,5 mld per la giustizia e la sicurezza digitale, 9,5 mld per la gestione energetica intelligente).

Ma quanto costerebbe sviluppare la banda larga in Italia? Secondo le ultime stime basterebbero circa 10-14 miliardi di euro, che produrrebbero un aumento del PIL tra il 3 e il 4% del Pil, quindi tra i 55 e i 73 miliardi di euro. Sembrano cifre alte? Mica tanto, infatti se consideriamo il rapporto di Boston Consulting e Google, scopriamo che internet in Italia pesa per il 2% del PIL e produce un fatturato di 31,6 miliardi di euro; se confrontiamo l’Italia con altre nazioni come Gran Bretagna e Danimarca, scopriamo che internet ha un ruolo marginale da noi, infatti nei due paesi il peso è pari rispettivamente al 7,2% e al 7,3%. In questo studio, si scopre che con una crescita annua attesa fra il 13% e il 18% dal 2009 al 2015, l’Internet economy italiana rappresenterà nel 2015 fra il 3,3% e il 4,3% del Pil, cioè fra i 59 e i 77 miliardi di euro.

Riassumendo: con un investimento di 14 miliardi di euro, possiamo risparmiarne 40 e possiamo aumentare il PIl di circa 65 miliardi di euro; ecco perché da un anno proponiamo incessantemente maggiori investimenti sulla banda larga e speriamo che finalmente anche il governo impari a contare e capisca la nostra proposta.

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Il braccio di ferro di Tremonti è degradante

postato il 28 Settembre 2011


Attendiamo i provvedimenti sulla crescita che purtroppo si stanno allontanando, mentre vediamo il ministro Tremonti impegnato in un braccio di ferro spasmodico per imporre un suo uomo in Bankitalia. E’ una cosa degradante rispetto alle difficoltà del Paese.

Pier Ferdinando

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Svimez 2011, dal Sud si continua a emigrare

postato il 27 Settembre 2011

Disoccupazione in aumento, fuga e spreco di cervelli. È un ritratto a tinte fosche quello che emerge dai dati del Rapporto Svimez 2011 sull’economia del Mezzogiorno. Al sud Italia meno di un giovane su tre lavora (meno di uno su quattro per se si parla delle donne), mentre continua il ‘drenaggio’ dalle aree deboli del Paese a quelle con maggiori possibilità di trovare un’occupazione.
Dal 2000 al 2009 sono state quasi 600mila le persone che hanno abbandonato il Mezzogiorno. A livello locale, le perdite più forti si sono registrate a Napoli (-108mila), Palermo (-29mila), Bari e Caserta (-15mila), Catania e Foggia (-10mila).
Secondo lo studio, inoltre, nei prossimi vent’anni il Mezzogiorno perderà quasi un giovane su quattro. Una tendenza che, nel 2050, porterà gli under 30 dagli attuali 7 milioni a meno di 5. Le cause? Bassa natalità, bassissima attrazione di stranieri, emigrazione.
Il rischio paventato è quello di un vero e proprio “tsunami” demografico: da un’area giovane e ricca di menti e braccia, il sud Italia si trasformerà nel prossimo quarantennio in un’area spopolata, anziana, sempre più dipendente dal resto del Paese.
E la politica come incide su questi dati?
Secondo lo Svimez la Manovra economica avrà un effetto ulteriormente depressivo sul Mezzogiorno, e il contributo delle regioni meridionali al risanamento finanziario arriverà al 35% del totale nazionale, una quota superiore di 12 punti percentuali al suo peso economico. I motivi? I tagli agli enti locali (6 miliardi di euro) e la contrazione degli investimenti pubblici nazionali e regionali, per effetto del Patto di stabilità. [Continua a leggere]

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Dopo la notte riprenderemo la crescita?

postato il 23 Settembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Mantovani

Siamo in piena notte, a fari spenti.
Alla guida un uomo che, come altri imprenditori, si rifiuta di accostare e alzare le mani dal volante, convinto di essere l’unico in grado di guidare quell’auto. Ne ho visti tanti nelle aziende in crisi: così muoiono o si degradano irreparabilmente molte aziende; così accadrà al suo partito. E purtroppo anche l’Italia faticherà a rialzarsi.
Ma in questa notte insonne non si può non pensare al dopo. Perché, con o senza un guidatore folle, l’Italia deve capire se può e vuole riprendere la via della crescita.
Le riserve di valore inespresso esistono e se adeguatamente sfruttate possono riavviare in poco tempo un ciclo virtuoso.
1) Tecnologie e applicazioni di rete. E’ un contesto iper-competitivo e non abbiamo grandi imprese nazionali. Ma nella Silicon Valley si parla anche italiano e chi la frequenta sa che là “ognuno ha una start-up”. Può accadere anche da noi, i cervelli non mancano, la creatività neppure, le grandi aziende internazionali sono presenti in modo qualificato. Serve coraggio, fiducia e capitali di rischio per iniziare. Finanziando le persone, i giovani, prima delle aziende.
2) Turismo. Pare un’ovvietà, ma è ancora l’enorme riserva di valore di mezza Italia, specialmente meridionale. Ed è incredibile che non si riesca a sviluppare e promuovere un’offerta competitiva rispetto ad altri paesi, mediterranei e non.
3) Alimentazione italiana. In tutto il mondo la cucina italiana ha una diffusione spettacolare, ma i nostri prodotti e la nostra ristorazione di qualità non altrettanto.
Uno sviluppo accelerato in questi tre settori potrebbe garantire una crescita di 2-3 punti di PIL all’anno, per diversi anni. Sono settori ad alta intensità di occupazione (almeno i primi due), in particolare giovanile.
Tutti gli altri settori, dal made in Italy nella moda e nell’arredamento, alla meccanica e ai servizi in generale, possono in larga parte resistere senza perdere volumi ed aumentando la produttività.
Con idee chiare, serietà e rapidità d’intervento potremmo ripartire in fretta.

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S&P declassa 7 grandi banche italiane

postato il 21 Settembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Oggi S&P, a seguito del declassamento del rating dell’italia e del conseguente innalzamento del rischio paese, ha declassato 7 grandi banche italiane: Mediobanca, Intesa San paolo, Unicredit, Findomestic, Banca IMI, BNL e Banca di Risparmio di Bologna.

Concretamente non sono in pericolo i soldi depositati dagli Italiani, perché il declassamento di queste banche è causato dai forti interessi in Italia, e nell’immediato chi subirà maggiori conseguenze sono gli azionisti e i risparmiatori che hanno investito in queste società. Prevedibilmente le quotazioni potrebbero calare nei prossimi giorni. Ovviamente questa notizia è grave, perché uno dei punti di forza universalmente riconsociuti all’Italia, è proprio la solidità del sistema bancario, che oggi risulta essere un po’ più debole.

Banche declassate significa maggiori difficoltà per il credito sia da richiedere da parte delle banche, sia da erogare, perché dovranno maggiormente stare attente ai bilanci. Mi sembra doveroso ripeterlo di nuovo: non ci sono pericoli per i risparmi depositati da parte degli italiani, ma nonostante quanto detto, risulta però chiaro, che non si può continuare così.

Ma quale maggioranza se ieri è andata sotto ben 5 volte in Parlamento?

Ormai all’estero non abbiamo più credibilità internazionale, Obama ha ringraziato tutti i paesi per l’impegno in Libia tranne l’Italia, e anzi il presidente Berlusconi non è andato all’assemblea generale dell’ONU perché impegnato con il caso Mills. E’ chiaro a tutti che ormai il Premier ha solo un pensiero: i suoi processi e non pensa più a governare l’Italia, e mantiene la sua carica solo per una questione di orgoglio.

Pochi giorni fa la Marcegaglia ha affermato che l’economia italiana è solida e sicura, al contrario del governo, ma questa situazione potrebbe cambiare a breve se non si fanno le riforme necessarie e se non recuperiamo credibilità all’estero. Oggi i problemi del governo si sono trasferiti alle banche italiane.

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Rating

postato il 21 Settembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

La notizia più rilevante di questi giorni è stato il declassamento del rating dell’Italia da parte dell’agenzia internazionale Standard & Poor’s, ma cosa significa esattamente? Sostanzialmente, il rating è un giudizio che indica il grado di affidabilità dell’Italia verso i creditori: in pratica indica se l’Italia è un debitore solvibile (in grado cioè di ripagare i suoi debiti) oppure no.

Ebbene, con questo declassamento noi siamo indicati come un po’ meno affidabili rispetto a prima, e questo ha una conseguenza importante: lo Stato italiano, quando venderà i suoi BTP dovrà assicurare un interesse maggiore per renderli appetibili agli investitori, noi tutti pagheremo di più.

Ci rendiamo conto ovviamente che parliamo di qualcosa di grave, che andrà ad incidere sulle casse dello Stato e quindi sulle nostre tasche, per cui la domanda che ci dobbiamo porre è: perché? Perché siamo stati declassati? Perché siamo ritenuti meno affidabili rispetto a prima?

Le motivazioni di Standard & Poor’s sono ineccepibili: intanto le prospettive della crescita economica si sono indebolite; la seconda motivazione è legata alla tenuta del nostro governo: la coalizione di governo è «fragile» e non si ritiene che sarà in grado di prendere quelle misure necessarie per affrontare problemi che si faranno più profondi. La terza riguarda la dimensione del nostro debito che resta troppo elevata. Per Berlusconi la colpa è tutta della stampa che dà una percezione distorta della realtà italiana, ma solo ieri il Governo è stato battuto ben 5 volte nelle votazioni alla Camera.

Nonostante il taglio del rating, la borsa ha chiuso in territorio positivo, perché? Perché gli operatori avevano già subodorato il declassamento e anzi, probabilmente, si aspettavano un declassamento maggiore; ci rendiamo conto di cosa significa? Per i mercati la situazione dell’Italia è talmente grave che il declassamento odierno è stato “lieve”, e quindi se le cose non cambieranno a breve, potrebbero esservi altri declassamenti e questo influirà ancor più negativamente sulla situazione italiana.

Di contro, come contraltare alla situazione italiana spicca quella turca che è stata promossa dalla stessa Standard & poor’s: l’economia del Paese gode infatti di un buon momento di salute. I dati del Pil del secondo trimestre hanno mostrato una crescita dell’economia dell’8,8% anno su anno, in ribasso dall’11,6% nel primo trimestre ma al di sopra del dato del consensus pari al 6,3%. La produzione industriale di luglio ha segnato + 6,9% anno su anno contro il 4% atteso. Noi questi dati ce li possiamo solo sognare come testimoniano gli ultimi dati del FMI, mentre il nostro governo sogna un harem di belle fanciulle, ignorando la reale situazione dell’Italia.

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