Tutti i post della categoria: Economia

Casini: «Flessibilità con paracadute»

postato il 29 Ottobre 2011

Con i licenziamenti serve il salario minimo, troppo poco sulle pensioni

L’intervista a Pier Ferdinando Casini pubblicata su ‘Il Sole 24 Ore’ di Barbara  Fiammeri

“La non credibilità di questo governo è nei fatti. Nonostante il via libera della Ue alla lettera di impegni e il costante lavoro della Bce per calmierare i tassi, oggi per vendere i nostri titoli pubblici siamo stati costretti a offrire un rendimento record, oltre il 6%”.
Il riferimento di Pier Ferdinando Casini è all’asta dei Btp a medio e lungo termine che si è conclusa in mattinata. Il leader dell’Udc scuote la testa lasciandosi cadere sul divano del suo ufficio all’ultimo piano della Camera. Le ultime battute del premier sull’euro («moneta strana che non ha convinto nessuno») le commenta con amara ironia: «A forza di dire sciocchezze in libertà, non meravigliamoci poi degli sberleffi di Sarkozy». Casini resta convinto che senza l’uscita di scena di Silvio Berlusconi e la nascita di un governo di «responsabilità nazionale», l’Italia rischia di precipitare.

Perché è così scettico?
“Berlusconi ha bisogno di prendere tempo. È l’unica cosa che gli interessa. La lettera di impegni alla Commissione Ue rimarrà inattuata, il governo cadrà tra non molto, non appena i tempi consentiranno al premier di poter scongiurare un’alternativa e il documento consegnato a Bruxelles si trasformerà nell’ennesima promessa elettorale del Cavaliere. Il governo già non c’è più. Per evitare una crisi immediata hanno rinviato l’approvazione del decreto sviluppo e hanno alleggerito il calendario della Camera dove continuano ad andare sotto nonostante la massiccia presenza dei ministri. Siamo arrivati al punto che per evitare nuove sconfitte l’esecutivo appoggia mozioni dell’opposizione come è avvenuto su quella dell’Idv relativa ai finanziamenti del Ponte sullo stretto”. [Continua a leggere]

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Riformare. Si deve, si può.

postato il 27 Ottobre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Il Libertarioil.illibertario.libertario63@gmail.com

Occorre poco per cambiare le cose. Riformare, tagliando i conti pubblici, non è sempre la soluzione migliore. Le riforme sono possibili mettendo mano su quello che già c’è. Basta volerlo. Occorre prendere atto che una vera e necessaria riforma economica e istituzionale in questo Paese non puo’ prescindere dall’eliminazione dei diritti acquisiti e dalla consapevolezza della necessità di un richiamo alla responsabilità comune.

L’Ue, come tempo addietro fece la Bce, ci richiama all’ordine. Molte le obiezioni che si fanno su questo. Ma è chiaro che l’ingresso nella moneta unica europea è stata una scelta condivisa. Una scelta che ha chiamato tutti (destra sinistra, forze politiche moderate o extra parlamentari) a prendere una posizione di campo: o fuori o dentro l’Unione europea. Noi abbiamo fatto la nostra scelta e adesso ci chiedono conto. Ci chiedono conto in primis delle mancate promesse di questo governo. Delle politiche di crescita ”sostenute” e mai portate avanti con coraggio e con forza. Ci chiedono conto delle mancate liberalizzazioni (comprese quelle degli Ordini professionali), di adeguare le pensioni d’anzianità e accompagnamento, ci chiedono di rivedere le finestre d’uscita, di riformare il mercato del lavoro e licenziamenti più facili nel settore pubblico. Ma non solo, ci chiedono continuamente di intervenire sull’evasione e la corruzione imperante. La grande sfida che quest’Italia deve e può risolvere.

Basta poco per traghettare questo Paese fuori dalla palude della recessione. Basta prendere atto dell’urgenza e fare appello (al di fuori delle scelte politiche e degli schieramenti) alla drammaticità del momento. Il mio appello è questo: interveniamo presto e subito seguendo questa direttrice:

  1. Defiscalizziamo i datori di lavoro e/o incentiviamo chi assume manodopera giovane (a tempo indeterminato). Oggi spendiamo (un po’), domani avremo nuove imprese giovani e dinamiche sul mercato.
  2. Detassiamo le nuove aziende che si affacciamo sul mercato. Insomma detassiamo chi rischia con professionalità e coraggio il proprio capitale umano ed economico.
  3. Aboliamo gli Ordini professionali. E’ questa l’unica liberalizzazione possibile. Non svendere, come il passato dimostra, quello che è Pubblico. L’Unione Europea ha stimato che grazie alle mancate liberalizzazioni e alla ”stozzatura” degl’Ordini professionali perdiamo 1,6 punti di Pil all’anno. Eliminare il minino tariffario non ha senso, non spingi la crescita. Ha senso eliminare le Caste impediscono l’accesso alle professioni e non generano concorrenza. Partirei dall’eliminazione della legge dello Stato che regola gli accessi a queste categorie. Accesso libero come ci chiede l’Ue. I cialtroni verrebbero eliminati dal mercato per incompetenza. Sul mercato rimarrebbero i più bravi e preparati, e i servizi -non essendoci minimi tariffari- sarebbero sicuramente più convenienti economicamente, più efficienti, migliori di quello che sono ora.
  4. Introduciamo una Patrimoniale sulle rendite finanziarie e/o sui capitali. In questo modo chi ha forti utili pagherà di più di chi non si puo’ permettere di rischiare il proprio capitale. Trovo antidemocratico che chi ha meno (e sempre quello) deva risponderne del proprio capitale allo Stato e chi ha più debba non rispondere al Fisco perché non c’è una norma che lo impone. O se si pensa che ci sia è un palliativo.
  5. Veniamo incontro all’Ue. Rivediamo il nostro sistema di previdenza/pensionistico. Vediamo se ci sono sperperi e ”abusi”. Eliminiamo le maxi pensioni. Rivediamo le finestre d’uscita, e se occorre incentiviamo (seriamente con bonus ad esempio) chi decide di continuare a lavorare. Eviteremo così lavoro nero e abbatteremo nuovi costi sociali.

Quello che vi presento è un pacchetto di spunti per rivedere le politiche economiche. Sono le mie proposte. Proposte e spunti non autorevoli. Semplicemente le proposte di un cittadino italiano che ha a cuore questo Paese.

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Misure subito, ogni ritardo è letale

postato il 25 Ottobre 2011


La dichiarazione del Presidente della Repubblica è  un richiamo all’assunzione di responsabilità forte. Il governo, se c’è, deve evitare ogni ulteriore indugio e portare a Bruxelles le misure richieste a partire dalla riforma previdenziale.
Qui si tratta di salvare l’Italia, si tratta di evitare il baratro e ogni esitazione può essere letale.

Pier Ferdinando

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Dodici condoni dodici

postato il 25 Ottobre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Mantovani

Dodici come gli apostoli, come le porte della città celeste. Si sente la mano evocatrice e visionaria che anima le saghe tremontiane nell’ipotesi dei “dodici condoni”, ma a leggerne i titoli la realtà è banalmente burocratica.
È lo spaccato della complessità e dell’inefficienza della macchina fiscale italiana, sommersa dalle mille norme, dagli errori di contribuenti e fisco e dall’irrilevanza dei controlli: un ottimo pagliaio nel quale occultare le evasioni vere.
Macchina che andrebbe profondamente riformata, senza attendere i diktat europei. Forse i “dodici condoni dodici” non appariranno al supermarket dell’ennesima manovra, ma con o senza di essi il fisco italiano rimarrà una delle palle al piede che frenano la crescita.
Non dico nella realtà, non chiedo tanto, ma almeno nelle bozze un barlume di credibilità e serietà potevano metterlo.

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Bankitalia: 10 per la nomina di Visco, 4 alla gestione del Governo

postato il 21 Ottobre 2011

La nomina di Ignazio Visco merita un bel 10 , il governo 4 per la gesione. Visco è una persona di grande qualità e affidabilità e valorizza la professionalità dell’istituto. Dovremmo ringraziare tutti Fabrizio Saccomanni e se fossimo un paese serio affidare a lui una autorità di garanzia perché in questa inconsulta battaglia ha dimostrato rigore morale e la serietà di cui abbiamo bisogno.

Pier Ferdinando

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Quale sviluppo senza soldi?

postato il 19 Ottobre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Berlusconi da giorni annuncia per questa settimana un Decreto Sviluppo che dovrebbe dare una sferzata all’economia. Francamente questa affermazione mi fa tremare i polsi, visti i magri -se non pessimi- risultati ottenuti a gennaio scorso con la “frustata all’economia”.

Finalmente Berlusconi getta la maschera e ammette che “non ci sono i soldi”, un decreto che nasce monco. Nel frattempo tutto il popolo italiano chiede un intervento deciso e strutturale, e anzi oggi si è saputo dell’ultimo appello lanciato in una nuova lettera inviata al premier Silvio Berlusconi da Abi, Confindustria, Rete imprese Italia, Ania e Alleanza cooperative per affrontare la crisi con misure «concrete e credibili» nel dl Sviluppo, perché ormai «il tempo è scaduto». Che il tempo sia scaduto, lo sappiamo tutti. Lo sanno le famiglie che fanno la spesa, gli italiani senza lavoro, le imprese che faticano a tenere il passo con la concorrenza, anche il resto del mondo sa che per l’Italia il tempo dei temporeggiamenti e delle furbizie è scaduto. Eppure, Berlusconi continua a mostrare la sua noncuranza, sfiorando l’incoscienza, quando dice che soldi per lo Sviluppo non ce ne sono, ma che non ha fretta di presentare questo Decreto; anzi lo presenterà solo quando sarà sicuro. Sicuro di cosa? Non si sa.

Se il problema sono i soldi, allora spero che l’on.le Berlusconi ci legga, perché stavolta glielo scriverò a lettere maiuscole, visto che da questa estate lo ripetiamo e non riesce a comprenderlo: VENDA LE 6 FREQUENZE DIGITALI TELVISIVE CEH HA REGALATO A MEDIASET E RAI; HANNO UN VALORE DI CIRCA 3 MILIARDI DI EURO.

Dopo che abbiamo incamerato questi soldi, li usi per finanziare la banda larga in Italia, visto che il pieno sviluppo di questo strumento, poterebbe risparmi per 40 miliardi di euro e una crescita del PIL di circa 60 miliardi di euro, come abbiamo detto alcune settimane fa.

Come vedete, le idee ci sono, e i metodi per ottenere soldi senza spremere gli italiani pure; basterebbe ad esempio una lotta seria all’evasione, che sottrae ogni anno circa 250 miliardi di euro all’Italia. Questa lotta si dovrebbe fare distinguendo tra grandi evasori e chi è incorso nelle sanzioni, perché ridotto in miseria da questa crisi: nel primo caso sanzionare senza pietà (chi ha i grossi capitali deve pagare, non può evadere); per il secondo caso, la sanzione dovrebbe essere diluita e rateizzata nel tempo per non essere penalizzante.

Queste proposte, sono state portate avanti a più riprese dall’UDC, anche tramite emendamenti e ordini del giorno regolarmente rifiutati dalla maggioranza che dimostra una arroganza che rasenta la follia e l’incoscienza, oltre a produrre perdite enormi per lo Stato italiano, come nel caso della privatizzazione della Tirrenia che costerà allo stato più di quanto incasserà, ovvero a fronte di un incasso di 380 milioni, il governo si è impegnato a restituire agli acquirenti ben 576 milioni di euro (arrivando a perderci circa 200 milioni di euro).

L’ultimo caso di arroganza è legato al Ponte sullo Stretto di Messina: l’Unione Europea ha ritirato i fondi, ma il governo fa sapere che realizzerà lo stesso il Ponte, usando soldi pubblici e capitali dei privati. Ma siamo sicuri che i privati vorranno investire sul Ponte? Domanda legittima alla luce della situazione economica attuale, e soprattutto alla luce di alcune particolarità che esporrò in un successivo articolo.

Intanto il governo annuncia che a breve si saprà il nome del nuovo governatore della Banca d’Italia, che, a mio avviso, sarà quasi sicuramente Bini Smaghi, nome che il premier sta tirando fuori ora, ma che già era noto, visto che, per fare andare Draghi alla BCE, era necessario che Bini Smaghi si dimettesse e, all’epoca (parliamo di pochi mesi fa), il premier gli promise la carica di Governatore di Bankitalia.

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Contro chi dovrebbero manifestare gli indignati

postato il 18 Ottobre 2011

di Marco Bigelli, Professore di Corporate Finance (Università di Bologna)

Gli indignati non dovrebbero prendersela con Draghi perché in realtà è il loro migliore amico. Il futuro dei giovani dipende infatti dalle capacità di crescita del paese, e queste sono legate alle riforme che Draghi ha sempre indicato per liberalizzare l’economia, renderla più competiti va e più meritocratica.

Non dovrebbero prendersela neanche con le banche italiane perché non hanno colpe per la crisi finanziaria attuale, che è un’evoluzione della crisi subprime nata oltreoceano e ora diventata crisi dei debiti sovrani europei a causa dell’esplosione del debito di alcuni paesi per il salvataggio delle banche e della riduzione del PIL a seguito della recessione economica.

Il debito italiano non è esploso perché non è stato necessario salvare alcuna banca, è solo sceso il PIL. Ora però anche il nostro debito è a rischio perché il mercato pensa che non riusciremo mai ad abbatterlo grazie a una robusta crescita, come invece dovremmo per il nuovo patto di stabilità europeo (secondo cui dovrebbe scendere dal 120% al 60% in 20 anni).

Fra poco potrebbe arrivare il default della Grecia e allora si dovranno salvare altre banche in Europa con ulteriore crescita del debito pubblico di alcuni paesi. Le banche italiane saranno a rischio solo se anche il debito pubblico italiano diventerà più rischioso e scenderà ulteriormente di valore, essendo molto presente nei loro bilanci.

Se i giovani indignati vogliono un futuro devono sperare che le banche italiane vadano bene e che l’Italia riconquisti la fiducia dei mercati sul suo debito pubblico. Per questo obiettivo il tempo rimasto è poco. Ogni mese che passa il debito in scadenza viene rinnovato a tassi più alti del 3-4%. Se non si riconquisterà la fiducia in fretta, si dovranno fare manovre solo per pagare il maggiore livello dei tassi di interesse, e ad ogni manovra diminuiranno le aspettative economiche future delle giovani generazioni.

In Italia gli indignati dovrebbero prendersela con chi nel paese ha generato una montagna di debito pubblico e ha soffocato la sua crescita: la criminalità organizzata, gli evasori fiscali, i pensionati baby, i finti pensionati di invalidità, i raccomandati, i politici corrotti, gli amministratori pubblici che hanno sperperato il denaro pubblico ed altri.

In conclusione, non dovrebbero andare a manifestare a Roma, o a New York ma ogniqualvolta si imbattono in uno dei soggetti che gli sta rubando il futuro.

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Nuovi calcoli per le pensioni del futuro

postato il 10 Ottobre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Secondo nuovi calcoli elaborati dall’INPS le pensioni del futuro saranno leggermente più alte di quanto ipotizzato alcuni mesi fa, quando si scatenò una polemica sulle pensioni del futuro (e tutti paventavano pensioni al 30%). Stando ai nuovi calcoli, un lavoratore dipendente andrà in pensione con il 70% dell’ultimo stipendio, mentre un lavoratore autonomo andrà in pensione con il 57% dell’ultimo reddito; tale differenza è da ricercare, motiva l’INPS, nel differente grado di contribuzione: mentre il dipendente versa il 33% dello stipendio lordo, la percentuale del lavoratore autonomo è del 20%.

Ma come si sono svolti questi calcoli? Si è partito dall’assunto che chi ha iniziato a lavorare dopo il 1995 potrà andare in pensione solo con 65 anni e 3 mesi (nel 2046), qualora avesse i 35 anni di contributi necessari per la pensione anticipata (ovviamente non si calcolano le differenze tra uomini e donne). In alternativa, dovrà attendere fino a 69 anni e 3 mesi, ovvero l’età di pensionamento di vecchiaia richiesta nel 2046, per effetto di tre misure: finestra mobile (la pensione decorre con ritardo di 12-18 mesi rispetto alla maturazione dei requisiti); aumento a 65 anni dell’età di vecchiaia per le donne; adeguamento automatico ogni tre anni dell’età pensionabile alla speranza di vita. In ogni caso anche le pensioni di vecchiaia avranno alla fine almeno 35 anni di contributi alle spalle.

Ma torniamo ai calcoli. Stefano Patriarca, responsabile dell’area pensioni dell’ufficio studi dell’Inps, afferma che se una persona inizia a lavorare oggi, e decide di andare in pensione con 35 anni di contributi nel 2046, avrà il 70% dell’ultimo stipendio (percentuale che, come detto, scende al 54% per un lavoratore autonomo).

Se ipotizziamo invece un lavoratore precario a vita, la pensione sarebbe pari al 57% dell’ultimo stipendio. Certo sono cifre più alte rispetto ai calcoli di qualche mese fa, quando si parlava di pensioni pari al 30% dell’ultimo stipendio, almeno per i precari.
Ovviamente tutti questi calcoli sono al netto delle tasse, e se consideriamo che nelle pensioni non si pagano contributi e si pagano meno tasse rispetto alla retribuzione lavorativa, ecco che il pensionato migliora la propria situazione, rispetto a quanto ipotizzato alcuni mesi fa, soprattutto se andiamo a considerare anche il TFR. Questo miglioramento riguarda anche l’ipotesi di un lavoratore discontinuo, che riesce ad avere “almeno 10 anni di lavoro in nero, 6 da parasubordinato e 22 da lavoro dipendente, si arriverebbe a un assegno pari al 59% dell’ultima retribuzione”.

Patriarca, tra l’altro, ci da ragione su tutta la linea relativamente al considerare il vecchio sistema pensionistico non più sostenibile, affermando che “bisogna dire una volte per tutte che il vecchio mix anzianità-sistema retributivo, che ancora si applica alla stragrande maggioranza dei nuovi pensionati, chi nel ’95 aveva meno di 18 anni di servizio, è insensato”. E questa affermazione nasce da alcuni calcoli elementari, infatti Patriarca ha calcolato che un lavoratore che nel 2010 è andato in pensione a 59 anni con 2.031 euro al mese, che poi è quanto viene liquidato in media dall’Inps ai pensionati di anzianità, avrebbe dovuto prendere, ipotizzando che i contributi versati siano indicizzati e rivalutati con un interesse annuo generoso del 9,5%, non più di 1.050 euro. “La differenza è come se fosse pagata con le entrate dei parasubordinati, degli immigrati, dai contributi di coloro che non arriveranno ad avere la pensione previdenziale anche se hanno pagato i contributi, e con i trasferimenti dello Stato. I 2.031 euro al mese sarebbero equi e corrispondenti ai contributi pagati andando in pensione a 75 anni”.

Allora tutto è a posto? A mio avviso non condivido il leggero ottimismo che pervade l’analisi dell’INPS; non contesto i calcoli, ma è chiaro che se parliamo di un lavoratore precario che arriva a 1000 euro al mese (uno stipendio medio), allora questa persona prenderebbe il 59%, ovvero 590 euro al mese, che è una cifra bassa per poterci vivere con tranquillità. Anche se aumentiamo lo stipendio di partenza, e lo portiamo a circa 1300 euro, che è lo stipendio medio in Italia, otteniamo 767 euro. Non è certo tantissimo, se consideriamo il costo medio della vita. Se parliamo di un lavoratore dipendente, otteniamo rispettivamente 700 euro e 910 euro, cifre che non permettono certo una vecchiaia tranquilla.

Allora il problema è nel calcolo delle pensioni? La realtà è che il vecchio sistema non è sostenibile, quindi bisogna passare al sistema contributivo. Il vero problema è nel mercato del lavoro: lo stipendio medio degli italiani deve essere necessariamente innalzato e bisogna sostituire contratti di lavoro stabili, ai contratti di lavoro precari. Questo non può avvenire con una imposizione da parte dello Stato, ma creando le condizioni per rilanciare lo sviluppo in Italia, che si traduca in maggiori posti di lavoro e quindi un innalzamento delle retribuzioni (è storicamente dimostrato che durante le crisi o durante la stagnazione economica, gli stipendi tendono a contrarsi, mentre quando vi è un aumento dell’occupazione, gli stipendi per effetto del mercato del lavoro e delle sue dinamiche, tendono ad aumentare).

A tal proposito, fa bene l’on.le Casini a volere proporre delle proposte per favorire i contratti a tempo indeterminato tra i giovani, combattendo in tal modo il precariato a vita, come ha affermato recentemente.

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Ecco perché non sono favorevole al condono

postato il 8 Ottobre 2011

Lettera in redazione

Caro Pier Ferdinando,

si torna a parlare di condono, lei continua a dichiararsi contrario. Non ritiene che con il condono lo Stato potrebbe incamerare molti soldi?

Francesca Crivelli

Risponde il Leader UDC

Cara Francesca,

la prima regola per stare in rete è essere sé stessi, dire sempre la verità. Sono contrario al condono: lo ritengo immorale e diseducativo rispetto ai cittadini che fanno il loro dovere. Peraltro, continuare a parlare di condono è un modo certo per favorire l’evasione fiscale.

Pier Ferdinando

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Nuovo condono per premiare i disonesti, una idea che mi fa ribrezzo

postato il 8 Ottobre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Come già ventilatoprende copro l’idea di un condono fiscale ed edilizio, e questa ipotesi mi fa ribrezzo. Dirò di più, mi fa schifo. Scusate le parole forti, sono opportune. Per finanziare lo sviluppo, invece di andare a colpire l’evasione, si preferisce premiare chi viola la legge, chi evade il fisco, chi deruba gli italiani onesti, chi costruisce in barba ad ogni legge ambientale e di sicurezza. Si dica chiaramente, a questo punto, che lo scopo di questo governo è penalizzare i cittadini onesti, perché non possiamo chiedere sacrifici agli italiani, alle famiglie e ai pensionati se poi premiamo gli evasori.

Se l’idea del condono su cui riflette Berlusconi coincidesse con quella di Scilipoti, sarebbe davvero una tragedia. Cosa prevedeva l’ipotesi di Scilipoti? Far pagare agli evasori solo il 5-10% di quanto dovuto e, in caso di cifre molto pesanti, una rateizzazione pluriennale; a questo condono, poi, si doveva associare un condono edilizio «per i piccoli abusi» residenziali, ovvero tutti gli abusi realizzati fino al 31 dicembre 2010, per una volumetria pari a 400 metri cubi (una casa di circa 150 metri quadri) anche se non «aderente alla costruzione originaria» e indipendentemente dai vincoli ambientali, demaniali, storici.

Da quanto detto, si capisce perché il mio giudizio sia così negativo; se l’ipotesi di questo condono passasse, sarebbe uno schiaffo in faccia a chi paga regolarmente le tasse, uno schiaffo per chi si impegna, e per chi lavora onestamente o che paga regolarmente le tasse, sia che parliamo di pensionati sia di pubblici dipendenti o del “POPOLO DELLE PARTITE IVA”.

Su questa linea si inserisce l’on.le Galletti che ha dichiarato: “Ammesso e non concesso che sia eticamente accettabile che in un periodo di grave crisi si premino ulteriormente i furbetti, il condono sarebbe una medicina peggiore del male. Non è premiando gli evasori che si favorisce lo sviluppo e la crescita di un Paese”. Ed ancora:”Puo’ servire a far cassa ma continuare a riempire una bottiglia bucata non serve a nulla se non la si ripara. All’Italia come ha dichiarato in maniera esemplare il governatore Draghi occorrono riforme strutturali pesanti e incisive per rilanciare sviluppo e crescita e chi pensa di non farle utilizzando il condono, somministra a un malato grave un farmaco inefficace che renderà la malattia irreversibile”.

Naturalmente, da parte del Governo c’è subito stato un balzello di dichiarazioni, c’è da fidarsi?

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