Tutti i post della categoria: Economia

Misure subito, ogni ritardo è letale

postato il 25 Ottobre 2011


La dichiarazione del Presidente della Repubblica è  un richiamo all’assunzione di responsabilità forte. Il governo, se c’è, deve evitare ogni ulteriore indugio e portare a Bruxelles le misure richieste a partire dalla riforma previdenziale.
Qui si tratta di salvare l’Italia, si tratta di evitare il baratro e ogni esitazione può essere letale.

Pier Ferdinando

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Dodici condoni dodici

postato il 25 Ottobre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Mantovani

Dodici come gli apostoli, come le porte della città celeste. Si sente la mano evocatrice e visionaria che anima le saghe tremontiane nell’ipotesi dei “dodici condoni”, ma a leggerne i titoli la realtà è banalmente burocratica.
È lo spaccato della complessità e dell’inefficienza della macchina fiscale italiana, sommersa dalle mille norme, dagli errori di contribuenti e fisco e dall’irrilevanza dei controlli: un ottimo pagliaio nel quale occultare le evasioni vere.
Macchina che andrebbe profondamente riformata, senza attendere i diktat europei. Forse i “dodici condoni dodici” non appariranno al supermarket dell’ennesima manovra, ma con o senza di essi il fisco italiano rimarrà una delle palle al piede che frenano la crescita.
Non dico nella realtà, non chiedo tanto, ma almeno nelle bozze un barlume di credibilità e serietà potevano metterlo.

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Bankitalia: 10 per la nomina di Visco, 4 alla gestione del Governo

postato il 21 Ottobre 2011

La nomina di Ignazio Visco merita un bel 10 , il governo 4 per la gesione. Visco è una persona di grande qualità e affidabilità e valorizza la professionalità dell’istituto. Dovremmo ringraziare tutti Fabrizio Saccomanni e se fossimo un paese serio affidare a lui una autorità di garanzia perché in questa inconsulta battaglia ha dimostrato rigore morale e la serietà di cui abbiamo bisogno.

Pier Ferdinando

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Quale sviluppo senza soldi?

postato il 19 Ottobre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Berlusconi da giorni annuncia per questa settimana un Decreto Sviluppo che dovrebbe dare una sferzata all’economia. Francamente questa affermazione mi fa tremare i polsi, visti i magri -se non pessimi- risultati ottenuti a gennaio scorso con la “frustata all’economia”.

Finalmente Berlusconi getta la maschera e ammette che “non ci sono i soldi”, un decreto che nasce monco. Nel frattempo tutto il popolo italiano chiede un intervento deciso e strutturale, e anzi oggi si è saputo dell’ultimo appello lanciato in una nuova lettera inviata al premier Silvio Berlusconi da Abi, Confindustria, Rete imprese Italia, Ania e Alleanza cooperative per affrontare la crisi con misure «concrete e credibili» nel dl Sviluppo, perché ormai «il tempo è scaduto». Che il tempo sia scaduto, lo sappiamo tutti. Lo sanno le famiglie che fanno la spesa, gli italiani senza lavoro, le imprese che faticano a tenere il passo con la concorrenza, anche il resto del mondo sa che per l’Italia il tempo dei temporeggiamenti e delle furbizie è scaduto. Eppure, Berlusconi continua a mostrare la sua noncuranza, sfiorando l’incoscienza, quando dice che soldi per lo Sviluppo non ce ne sono, ma che non ha fretta di presentare questo Decreto; anzi lo presenterà solo quando sarà sicuro. Sicuro di cosa? Non si sa.

Se il problema sono i soldi, allora spero che l’on.le Berlusconi ci legga, perché stavolta glielo scriverò a lettere maiuscole, visto che da questa estate lo ripetiamo e non riesce a comprenderlo: VENDA LE 6 FREQUENZE DIGITALI TELVISIVE CEH HA REGALATO A MEDIASET E RAI; HANNO UN VALORE DI CIRCA 3 MILIARDI DI EURO.

Dopo che abbiamo incamerato questi soldi, li usi per finanziare la banda larga in Italia, visto che il pieno sviluppo di questo strumento, poterebbe risparmi per 40 miliardi di euro e una crescita del PIL di circa 60 miliardi di euro, come abbiamo detto alcune settimane fa.

Come vedete, le idee ci sono, e i metodi per ottenere soldi senza spremere gli italiani pure; basterebbe ad esempio una lotta seria all’evasione, che sottrae ogni anno circa 250 miliardi di euro all’Italia. Questa lotta si dovrebbe fare distinguendo tra grandi evasori e chi è incorso nelle sanzioni, perché ridotto in miseria da questa crisi: nel primo caso sanzionare senza pietà (chi ha i grossi capitali deve pagare, non può evadere); per il secondo caso, la sanzione dovrebbe essere diluita e rateizzata nel tempo per non essere penalizzante.

Queste proposte, sono state portate avanti a più riprese dall’UDC, anche tramite emendamenti e ordini del giorno regolarmente rifiutati dalla maggioranza che dimostra una arroganza che rasenta la follia e l’incoscienza, oltre a produrre perdite enormi per lo Stato italiano, come nel caso della privatizzazione della Tirrenia che costerà allo stato più di quanto incasserà, ovvero a fronte di un incasso di 380 milioni, il governo si è impegnato a restituire agli acquirenti ben 576 milioni di euro (arrivando a perderci circa 200 milioni di euro).

L’ultimo caso di arroganza è legato al Ponte sullo Stretto di Messina: l’Unione Europea ha ritirato i fondi, ma il governo fa sapere che realizzerà lo stesso il Ponte, usando soldi pubblici e capitali dei privati. Ma siamo sicuri che i privati vorranno investire sul Ponte? Domanda legittima alla luce della situazione economica attuale, e soprattutto alla luce di alcune particolarità che esporrò in un successivo articolo.

Intanto il governo annuncia che a breve si saprà il nome del nuovo governatore della Banca d’Italia, che, a mio avviso, sarà quasi sicuramente Bini Smaghi, nome che il premier sta tirando fuori ora, ma che già era noto, visto che, per fare andare Draghi alla BCE, era necessario che Bini Smaghi si dimettesse e, all’epoca (parliamo di pochi mesi fa), il premier gli promise la carica di Governatore di Bankitalia.

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Contro chi dovrebbero manifestare gli indignati

postato il 18 Ottobre 2011

di Marco Bigelli, Professore di Corporate Finance (Università di Bologna)

Gli indignati non dovrebbero prendersela con Draghi perché in realtà è il loro migliore amico. Il futuro dei giovani dipende infatti dalle capacità di crescita del paese, e queste sono legate alle riforme che Draghi ha sempre indicato per liberalizzare l’economia, renderla più competiti va e più meritocratica.

Non dovrebbero prendersela neanche con le banche italiane perché non hanno colpe per la crisi finanziaria attuale, che è un’evoluzione della crisi subprime nata oltreoceano e ora diventata crisi dei debiti sovrani europei a causa dell’esplosione del debito di alcuni paesi per il salvataggio delle banche e della riduzione del PIL a seguito della recessione economica.

Il debito italiano non è esploso perché non è stato necessario salvare alcuna banca, è solo sceso il PIL. Ora però anche il nostro debito è a rischio perché il mercato pensa che non riusciremo mai ad abbatterlo grazie a una robusta crescita, come invece dovremmo per il nuovo patto di stabilità europeo (secondo cui dovrebbe scendere dal 120% al 60% in 20 anni).

Fra poco potrebbe arrivare il default della Grecia e allora si dovranno salvare altre banche in Europa con ulteriore crescita del debito pubblico di alcuni paesi. Le banche italiane saranno a rischio solo se anche il debito pubblico italiano diventerà più rischioso e scenderà ulteriormente di valore, essendo molto presente nei loro bilanci.

Se i giovani indignati vogliono un futuro devono sperare che le banche italiane vadano bene e che l’Italia riconquisti la fiducia dei mercati sul suo debito pubblico. Per questo obiettivo il tempo rimasto è poco. Ogni mese che passa il debito in scadenza viene rinnovato a tassi più alti del 3-4%. Se non si riconquisterà la fiducia in fretta, si dovranno fare manovre solo per pagare il maggiore livello dei tassi di interesse, e ad ogni manovra diminuiranno le aspettative economiche future delle giovani generazioni.

In Italia gli indignati dovrebbero prendersela con chi nel paese ha generato una montagna di debito pubblico e ha soffocato la sua crescita: la criminalità organizzata, gli evasori fiscali, i pensionati baby, i finti pensionati di invalidità, i raccomandati, i politici corrotti, gli amministratori pubblici che hanno sperperato il denaro pubblico ed altri.

In conclusione, non dovrebbero andare a manifestare a Roma, o a New York ma ogniqualvolta si imbattono in uno dei soggetti che gli sta rubando il futuro.

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Nuovi calcoli per le pensioni del futuro

postato il 10 Ottobre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Secondo nuovi calcoli elaborati dall’INPS le pensioni del futuro saranno leggermente più alte di quanto ipotizzato alcuni mesi fa, quando si scatenò una polemica sulle pensioni del futuro (e tutti paventavano pensioni al 30%). Stando ai nuovi calcoli, un lavoratore dipendente andrà in pensione con il 70% dell’ultimo stipendio, mentre un lavoratore autonomo andrà in pensione con il 57% dell’ultimo reddito; tale differenza è da ricercare, motiva l’INPS, nel differente grado di contribuzione: mentre il dipendente versa il 33% dello stipendio lordo, la percentuale del lavoratore autonomo è del 20%.

Ma come si sono svolti questi calcoli? Si è partito dall’assunto che chi ha iniziato a lavorare dopo il 1995 potrà andare in pensione solo con 65 anni e 3 mesi (nel 2046), qualora avesse i 35 anni di contributi necessari per la pensione anticipata (ovviamente non si calcolano le differenze tra uomini e donne). In alternativa, dovrà attendere fino a 69 anni e 3 mesi, ovvero l’età di pensionamento di vecchiaia richiesta nel 2046, per effetto di tre misure: finestra mobile (la pensione decorre con ritardo di 12-18 mesi rispetto alla maturazione dei requisiti); aumento a 65 anni dell’età di vecchiaia per le donne; adeguamento automatico ogni tre anni dell’età pensionabile alla speranza di vita. In ogni caso anche le pensioni di vecchiaia avranno alla fine almeno 35 anni di contributi alle spalle.

Ma torniamo ai calcoli. Stefano Patriarca, responsabile dell’area pensioni dell’ufficio studi dell’Inps, afferma che se una persona inizia a lavorare oggi, e decide di andare in pensione con 35 anni di contributi nel 2046, avrà il 70% dell’ultimo stipendio (percentuale che, come detto, scende al 54% per un lavoratore autonomo).

Se ipotizziamo invece un lavoratore precario a vita, la pensione sarebbe pari al 57% dell’ultimo stipendio. Certo sono cifre più alte rispetto ai calcoli di qualche mese fa, quando si parlava di pensioni pari al 30% dell’ultimo stipendio, almeno per i precari.
Ovviamente tutti questi calcoli sono al netto delle tasse, e se consideriamo che nelle pensioni non si pagano contributi e si pagano meno tasse rispetto alla retribuzione lavorativa, ecco che il pensionato migliora la propria situazione, rispetto a quanto ipotizzato alcuni mesi fa, soprattutto se andiamo a considerare anche il TFR. Questo miglioramento riguarda anche l’ipotesi di un lavoratore discontinuo, che riesce ad avere “almeno 10 anni di lavoro in nero, 6 da parasubordinato e 22 da lavoro dipendente, si arriverebbe a un assegno pari al 59% dell’ultima retribuzione”.

Patriarca, tra l’altro, ci da ragione su tutta la linea relativamente al considerare il vecchio sistema pensionistico non più sostenibile, affermando che “bisogna dire una volte per tutte che il vecchio mix anzianità-sistema retributivo, che ancora si applica alla stragrande maggioranza dei nuovi pensionati, chi nel ’95 aveva meno di 18 anni di servizio, è insensato”. E questa affermazione nasce da alcuni calcoli elementari, infatti Patriarca ha calcolato che un lavoratore che nel 2010 è andato in pensione a 59 anni con 2.031 euro al mese, che poi è quanto viene liquidato in media dall’Inps ai pensionati di anzianità, avrebbe dovuto prendere, ipotizzando che i contributi versati siano indicizzati e rivalutati con un interesse annuo generoso del 9,5%, non più di 1.050 euro. “La differenza è come se fosse pagata con le entrate dei parasubordinati, degli immigrati, dai contributi di coloro che non arriveranno ad avere la pensione previdenziale anche se hanno pagato i contributi, e con i trasferimenti dello Stato. I 2.031 euro al mese sarebbero equi e corrispondenti ai contributi pagati andando in pensione a 75 anni”.

Allora tutto è a posto? A mio avviso non condivido il leggero ottimismo che pervade l’analisi dell’INPS; non contesto i calcoli, ma è chiaro che se parliamo di un lavoratore precario che arriva a 1000 euro al mese (uno stipendio medio), allora questa persona prenderebbe il 59%, ovvero 590 euro al mese, che è una cifra bassa per poterci vivere con tranquillità. Anche se aumentiamo lo stipendio di partenza, e lo portiamo a circa 1300 euro, che è lo stipendio medio in Italia, otteniamo 767 euro. Non è certo tantissimo, se consideriamo il costo medio della vita. Se parliamo di un lavoratore dipendente, otteniamo rispettivamente 700 euro e 910 euro, cifre che non permettono certo una vecchiaia tranquilla.

Allora il problema è nel calcolo delle pensioni? La realtà è che il vecchio sistema non è sostenibile, quindi bisogna passare al sistema contributivo. Il vero problema è nel mercato del lavoro: lo stipendio medio degli italiani deve essere necessariamente innalzato e bisogna sostituire contratti di lavoro stabili, ai contratti di lavoro precari. Questo non può avvenire con una imposizione da parte dello Stato, ma creando le condizioni per rilanciare lo sviluppo in Italia, che si traduca in maggiori posti di lavoro e quindi un innalzamento delle retribuzioni (è storicamente dimostrato che durante le crisi o durante la stagnazione economica, gli stipendi tendono a contrarsi, mentre quando vi è un aumento dell’occupazione, gli stipendi per effetto del mercato del lavoro e delle sue dinamiche, tendono ad aumentare).

A tal proposito, fa bene l’on.le Casini a volere proporre delle proposte per favorire i contratti a tempo indeterminato tra i giovani, combattendo in tal modo il precariato a vita, come ha affermato recentemente.

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Ecco perché non sono favorevole al condono

postato il 8 Ottobre 2011

Lettera in redazione

Caro Pier Ferdinando,

si torna a parlare di condono, lei continua a dichiararsi contrario. Non ritiene che con il condono lo Stato potrebbe incamerare molti soldi?

Francesca Crivelli

Risponde il Leader UDC

Cara Francesca,

la prima regola per stare in rete è essere sé stessi, dire sempre la verità. Sono contrario al condono: lo ritengo immorale e diseducativo rispetto ai cittadini che fanno il loro dovere. Peraltro, continuare a parlare di condono è un modo certo per favorire l’evasione fiscale.

Pier Ferdinando

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Nuovo condono per premiare i disonesti, una idea che mi fa ribrezzo

postato il 8 Ottobre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Come già ventilatoprende copro l’idea di un condono fiscale ed edilizio, e questa ipotesi mi fa ribrezzo. Dirò di più, mi fa schifo. Scusate le parole forti, sono opportune. Per finanziare lo sviluppo, invece di andare a colpire l’evasione, si preferisce premiare chi viola la legge, chi evade il fisco, chi deruba gli italiani onesti, chi costruisce in barba ad ogni legge ambientale e di sicurezza. Si dica chiaramente, a questo punto, che lo scopo di questo governo è penalizzare i cittadini onesti, perché non possiamo chiedere sacrifici agli italiani, alle famiglie e ai pensionati se poi premiamo gli evasori.

Se l’idea del condono su cui riflette Berlusconi coincidesse con quella di Scilipoti, sarebbe davvero una tragedia. Cosa prevedeva l’ipotesi di Scilipoti? Far pagare agli evasori solo il 5-10% di quanto dovuto e, in caso di cifre molto pesanti, una rateizzazione pluriennale; a questo condono, poi, si doveva associare un condono edilizio «per i piccoli abusi» residenziali, ovvero tutti gli abusi realizzati fino al 31 dicembre 2010, per una volumetria pari a 400 metri cubi (una casa di circa 150 metri quadri) anche se non «aderente alla costruzione originaria» e indipendentemente dai vincoli ambientali, demaniali, storici.

Da quanto detto, si capisce perché il mio giudizio sia così negativo; se l’ipotesi di questo condono passasse, sarebbe uno schiaffo in faccia a chi paga regolarmente le tasse, uno schiaffo per chi si impegna, e per chi lavora onestamente o che paga regolarmente le tasse, sia che parliamo di pensionati sia di pubblici dipendenti o del “POPOLO DELLE PARTITE IVA”.

Su questa linea si inserisce l’on.le Galletti che ha dichiarato: “Ammesso e non concesso che sia eticamente accettabile che in un periodo di grave crisi si premino ulteriormente i furbetti, il condono sarebbe una medicina peggiore del male. Non è premiando gli evasori che si favorisce lo sviluppo e la crescita di un Paese”. Ed ancora:”Puo’ servire a far cassa ma continuare a riempire una bottiglia bucata non serve a nulla se non la si ripara. All’Italia come ha dichiarato in maniera esemplare il governatore Draghi occorrono riforme strutturali pesanti e incisive per rilanciare sviluppo e crescita e chi pensa di non farle utilizzando il condono, somministra a un malato grave un farmaco inefficace che renderà la malattia irreversibile”.

Naturalmente, da parte del Governo c’è subito stato un balzello di dichiarazioni, c’è da fidarsi?

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Il pericolo dello Stato criminogeno

postato il 6 Ottobre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Roberto Dal Pan

Qualche tempo fa mi è capitato fra le mani un libretto del 1997 edito da Laterza ed intitolato “Lo Stato criminogeno”; il suo autore era un professore universitario che da poco aveva iniziato la sua carriera politica peraltro con un certo successo avendo rivestito per qualche mese anche il ruolo di Ministro delle Finanze: il suo nome era, ed è, Giulio Tremonti. Quel volumetto, che ho tratto dall’oblio in cui giaceva sui miei scaffali, era una coraggiosa opera di denuncia contro “lo stato giacobino che tutto vorrebbe controllare” ed anche “un manifesto liberale per ritrovare la via dello sviluppo”; i tre lustri seguiti all’uscita del volume hanno provveduto a dimostrare quanto sia difficile in questo Paese passare dalle parole ai fatti.

La definizione di “Stato criminogeno”, usata da Tremonti per indicare un Governo che “obbliga” i propri amministrati a trasgredire le leggi che lo stesso produce, mi è tornata in mente quando ho avuto modo di leggere una relazione a firma di Corrado Baldinelli, capo del Servizio Supervisione Intermediari Specializzati della Banca d’Italia, in cui si tratta di intermediazione finanziaria e comparto del “gaming”. L’alto funzionario nella sua nota si sofferma ad analizzare gli aspetti meno conosciuti ma non meno preoccupanti del fenomeno del gioco d’azzardo legalizzato e ne delinea uno scenario non proprio tranquillizzante.

Tanto per dare un’idea delle dimensioni del fenomeno, guardiamo alle cifre ufficiali fornite dall’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato che gestisce l’intero comparto: nell’anno 2010 la raccolta totale delle giocate effettuate ammontava a 61,4 miliardi di euro, nel solo periodo gennaio-agosto 2011 siamo già arrivati a 48,3 miliardi con un aumento pari al 23,85 % rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente che, se mantenuto, porterebbe l’ammontare annuale delle giocate per l’anno in corso alla fantastica cifra di 76 miliardi di euro .

Analizzando più in dettaglio le cifre e prendendo ad esempio il mese di agosto 2011, ultimo dato definitivo finora disponibile, si scopre che nel mese in esame sono stati giocati dagli italiani ben 6.418 milioni di euro di cui 3.229 milioni provenienti dagli “apparecchi di intrattenimento” cioè le macchinette da videopoker e simili che vediamo installate nei locali pubblici. Non meno sorprendente appare la rilevazione disaggregata su base regionale da cui emerge che la parte del leone la fanno le regioni del nord ed in particolare la Lombardia che contribuisce al totale già citato di 6.418 milioni di euro con la ragguardevole quota di 1.070 milioni di cui ben 632,7 provenienti da slot machines e videopoker. Il dettaglio più preoccupante, tuttavia, deriva non già dalla raccolta delle giocate ma dalle vincite dichiarate in quanto, sempre per rimanere ai dati di agosto 2011 resi noti dall’AAMS, a fronte della raccolta di 6.418 milioni di euro di giocate sono stati pagati 4.955 milioni di euro di vincite di cui 2.571 pagati da videopoker e slot machines. Nel periodo gennaio-agosto 2011 sono state pagate vincite dagli apparecchi da intrattenimento per un totale di 21,8 miliardi di euro e di questo fiume di denaro in moltissimi casi si fatica a conoscere la provenienza e soprattutto la destinazione.

L’allarme sulle zone d’ombra del sistema dei giochi in Italia era stato già lanciato, tra gli altri, da un corposo e documentato saggio apparso su GNOSIS, rivista dell’AISI – Agenzia Informazioni Sicurezza Interna, all’inizio del 2010; in quel pregevole lavoro si passavano in rassegna gli aspetti normativi del comparto e le sue più recenti evoluzioni con particolare attenzione all’esposione dei giochi on-line e relative problematiche. Nelle considerazioni finali del rapporto si rilevava come la preoccupazione investigativa dovesse rivolgersi, oltre che al tradizionale settore dei giochi illegali, anche verso il gioco regolamentato poichè la stessa Direzione Nazionale Antimafia aveva richiamato l’attenzione sul fatto che l’interesse della criminalità organizzata sia ultimamente rivolto verso il gioco legale “sia per scopi di riciclaggio sia per consentire alla propria rete territoriale di usurai di disporre di un numero enorme di potenziali clienti”.

Tornando alla relazione della Banca d’Italia citata in apertura, in essa si rileva come nel gioco tramite rete fisica “le prassi operative fondate sull’anonimato e sull’utilizzo di contante possono favorire comportamenti irregolari e l’infiltrazione della criminalità organizzata”, arrivando poi a segnalare il fatto che “si è creato una sorta di mercato secondario dei ticket vincenti che, configurandosi come titoli di incasso anonimi sostitutivi del contante, sono in grado di alimentare fattispecie di riciclaggio”. La relazione si conclude quindi con l’auspicio dell’adozione di nuove e più stringenti normative che vadano verso l’adozione obbligatoria di mezzi di pagamento tracciabili anche in relazione al gioco in sede fisica oltre che a quello on-line per finire alla necessità di applicazione di standard di tipo finanziario a tutela degli ingenti trasferimenti di valuta originati dal mondo del gaming. A riprova della correttezza dello scenario ipotizzato si consideri che, secondo il bollettino dell’Unità di Informazione Finanziaria della Banca d’Italia, le segnalazioni di attività sospette nel settore dei giochi connesse ad ipotesi di riciclaggio sono state 34 nel 2010 e ben 48 nel solo primo semestre dell’anno in corso.

Pur considerata la massima latina secondo la quale “pecunia non olet”, non può non rilevarsi che il settore del gioco legale – che pure garantisce circa il 15% del fatturato totale delle casse dello Stato – trae la sua sussistenza in un segmento sociale spesso costituito da soggetti deboli ed in condizione di minorata difesa a causa di carenze personali, educative o di censo. Non sono poche ormai le strutture che si occupano di ludopatie, ossia dei comportamenti compulsivi legati al gioco, anche perché il numero stimato dei soggetti potenzialmente esposti alla problematica viene valutato dell’Organizzazione Mondiale della Sanità attorno al 3% della popolazione italiana con già 700.000 soggetti affetti da sindrome del gioco patologico.

Il pericolo di un indiscriminato aumento delle possibilità di gioco d’azzardo, ancorchè sotto il controllo statale, era peraltro già stato abbondantemente segnalato in passato; basti citare la conclusione dello studio del dott. Mauro Croce pubblicato sulla Rivista della Scuola Superiore dell’Economia e delle Finanze già nel 2005: “Attraverso il gioco, infatti, la criminalità può ricattare persone indebitate od usurate sotto diverse forme. Concedere credito a tassi di usura a cittadini insospettabili ed incensurati, favorire il loro accesso a forme di gioco controllate direttamente dalla criminalità permette alla stessa di potersi avvalere di persone successivamente ricattabili chiedendo di prestarsi ad azioni delittuose, a coperture, protezioni, all’avere accesso ad informazioni riservate o di infiltrarsi e controllare sotto coperture in imprese, esercizi, e quant’altro”.

Di tali preoccupazioni si sono opportunamente fatti interpreti due illustri esponenti dell’Unione di Centro, che proprio nelle ultime ore hanno fatto sentire la loro voce in merito alla problematica evidenziata. Il capogruppo UDC in Senato Gianpiero D’Alia, durante la discussione della relazione Antimafia sul gioco d’azzardo, ha rilevato come affrontare il tema delle ludopatie e del gioco o d’azzardo voglia dire spalancare gli occhi su di una vera e propria emergenza sociale che pervade l’intera nazione e rende necessario calendarizzare leggi di contrasto al gioco d’azzardo perché esso rappresenta il punto d’incontro di gravi distorsioni dell’assetto socio-economico e favorisce il crimine organizzato anche attraverso il collegamento con fenomeni quali usura, estorsione e riciclaggio. Il Senatore D’Alia ha sottolineato inoltre che si sarebbe aspettato un vero dibattito parlamentare sulla questione mentre invece il Governo é rimasto cinicamente assente disinteressandosi del tutto, a maggior riprova del fatto che le evidenti incentivazioni a comportamenti patologici sul fronte del guioco corrispondono alla volontà di introdurre forme occulte di prelievo dalle tasche dei cittadini mascherandole con ammiccanti forme di intrattenimento.

Nell’altro ramo del Parlamento, l’On. Antonio De Poli, membro della Commissione Affari Sociali della Camera, ha presentato un progetto di legge teso a modificare il Regio Decreto n. 773 del 1931 (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza) al fine di impedire l’installazione delle slot machine nei luoghi pubblici o aperti al pubblico, nei circoli e nelle associazioni. Nel presentare la proposta di legge, anche l’On. De Poli ha rilevato come negli ultimi anni si sia potuto assistere ad una evidente incentivazione del gioco d’azzardo anche attraverso la legalizzazione di giochi prima proibiti. Ciò che doveva rappresentare solo un piacevole passatempo rischia però di trasformarsi per molte persone in una vera e propria dipendenza del tutto assimilabile a quella da sostanze stupefacenti, con la conseguenza che il benessere futuro di intere famiglie viene messo a repentaglio dal comportamento compulsivo di chi si trova imprigionato nei meccanismi del gioco patologico. Una analoga proposta di legge volta a modificare il Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza era già stata presentata in Consiglio Regionale del Veneto dal Capogruppo dell’UDC Stefano Valdegamberi.

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Moody’s è l’ultima goccia di un vaso colmo

postato il 5 Ottobre 2011

Governo irresponsabilmente fa finta di nulla

Nella situazione drammatica in cui siamo non si può fare come se nulla fosse: Moody’s e’ solo l’ultima goccia che fa traboccare il vaso. Abbiamo lo spettro della Grecia davanti e ‘è chi ritiene che tutto possa continuare come prima: siamo all’irresponsabilità pura.

Pier Ferdinando

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