Regeni: la verità è l’unico antidoto

postato il 15 Febbraio 2016

L’intervista a Rainews24

Può darsi che nella comunità internazionale ci sia chi non ha il desiderio che noi continuiamo a essere amici dell’Egitto, con cui ci legano rapporti di collaborazione reciproca così importanti, ma proprio perché l’Egitto è un paese amico, è bene dirsi la verità. Occorre essere chiari e limpidi per evitare che possa prevalere chi vuole ostruire questo canale tradizionale di amicizia.
L’Egitto è un paese minacciato dall’Isis ed impegnato in prima fila contro lo jihadismo: ci può essere anche un nervosismo degli apparati di sicurezza tale che porti a vedere ombre, dove ombre non ci sono; può capitare anche che ci siano apparati di prevenzione e sicurezza, che si muovono ai confini tra la legalità e l’illegalità, che sono incorsi in un drammatico equivoco. Ma che questo nostro giovane ricercatore, impegnato, serio fosse una spia è cosa assurda, da respingere al mittente.
In questa vicenda c’è un solo antidoto: la verità. Verità per rendere credibile il processo democratico egiziano; verità perché non ci siano ombre sul nostro rapporto bilaterale con l’Egitto; verità perché sia restituita alla famiglia di Giulio Regeni, ai suoi amici, alla sua comunità e all’Italia un quadro limpido e chiaro che collochi il drammatico sacrificio di un nostro connazionale per quello che è stato.

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«In gioco la nostra dignità, facciamoci rispettare»

postato il 15 Febbraio 2016

Siamo paesi amici, non possiamo tollerare finzioni da loro
Pier Ferdinando CasiniL’intervista di Matteo Massi al Presidente della Commissione Affari esteri del Senato, Pier Ferdinando Casini, pubblicata su QN

«Dall’Egitto non sta arrivando la verità». Usa parole forti il presidente della commissione Esteri del Senato, Pier Ferdinando Casini

Che idea si è fatto sull’omicidio di Giulio Regeni?
«Che se vogliamo mantenere il nostro decoro nazionale e il nostro ruolo nel Mediterraneo dobbiamo pretendere la verità – dice Casini -. Ricordo il Craxi di Sigonella che in poche ore, decise, andando contro gli americani, di imboccare la strada della difesa della dignità nazionale. Ora su Craxi si possono, avere visioni diverse, ma quella fu una delle pagine più importanti della nostra politica estera. Mi auguro che Renzi non si accontenti delle verità di comodo».

L’estrema cautela non cela la paura dell’Italia di perdere un partner economico privilegiato?
«Il fatto che ci sia un rapporto speciale tra noi e l’Egitto non ci rende più deboli ma ci deve rendere forti e non può far dubitare l’Egitto su di noi. L’ho detto all’ambasciatore egiziano, che è in una posizione molto delicata, che la nostra amicizia con l’Egitto non può essere messa in discussione e l’abbiamo dimostrato. Ma proprio perché siamo amici, dagli amici non accettiamo le finzioni». [Continua a leggere]

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«Basta sfide, andiamo in Ue con piani concreti»

postato il 11 Febbraio 2016

Servono fatti, il premier non deve adattarsi al cliché del leader populista
11370467404_f60a564cea_oL’intervista di Paola Di Caro a Pier Ferdinando Casini pubblicata sul Corriere della Sera

Più che un consiglio è un avvertimento. E arriva da chi come Pier Ferdinando Casini – presidente della Commissione esteri del Senato – la materia la conosce bene, e al premier non è affatto ostile: «Proprio perché apprezzo Renzi – politico puro, un uomo di energie, intelligente -, mi permetto di metterlo in guardia: l`Europa non è l`Italia. In Europa con la politica delle battute e dell`esibizione muscolare non si va lontano, non si garantisce l`interesse nazionale e non si rafforza il Paese».

Renzi sbaglia sfidando l`Europa dei «burocrati» come fece evocando la «rottamazione» per gli avversari?
«La vecchia classe dirigente che lui ha sconfitto in Italia era una tigre di carta, arrivata al termine di un processo di logoramento che ha travolto anche gente di valore. In Europa serve un approccio completamente diverso. È necessario presentarsi con un piano concreto e coerente, con fatti non parole».

Renzi era stato accolto bene al suo esordio da premier
«Vero, perché si era presentato con riforme fatte importanti. Ma se da quelle si passa al cicaleccio, si ha solo da perdere. I toni alti sui giornali, gli attacchi frontali sono inutili se non dannosi». [Continua a leggere]

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Regeni: l’Italia vuole la verità

postato il 8 Febbraio 2016

Nello spazio di approfondimento mattutino di Rai 1 parlo dell’omicidio di Giulio Regeni

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A L’intervista della domenica

postato il 7 Febbraio 2016

Nello spazio di approfondimento di Rainews24, condotto da Enrica Agostini, rispondo alle domande sul caso Regeni e sul Ddl Cirinnà

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Regeni: Serve la verità, non un colpevole di comodo

postato il 6 Febbraio 2016

Pier Ferdinando CasiniL’intervista di Daniela Preziosi a Pier Ferdinando Casini pubblicata su Il Manifesto

«L’Italia e l’Egitto hanno un legame forte. Ma il realismo politico ha un limite. Sulla morte di Regeni serve la verità, non gli arresti per far contenta l’opinione pubblica». Parla il presidente della commissione esteri del senato: «Giulio, un ragazzo per bene, il prototipo del meglio del nostro paese».

«Non conoscevo Giulio Regeni, ma leggo che ha l’età delle mie figlie grandi, che ha girato per il mondo. Che era un ragazzo pieno di curiosità, un ragazzo per bene, impegnato. Scriveva sul manifesto forse anche a rischio anche della propria vita». Il primo pensiero di Pier Ferdinando Casini, presidente della commissione esteri del Senato, è un pensiero da padre. «Per me questo è il prototipo delle persone migliori di un paese. Non so come votasse, non so se le sue idee combaciassero con le mie. Non mi interessa. Mi interessa che era un ragazzo pieno di buona fede, volontà e passione civile».
Presidente, all’inizio le autorità egiziane hanno dato versioni contraddittorie sulla morte di Giulio.
La vicenda è iniziata male. C’è stato un tentativo di depistaggio, si è parlato di delinquenza comune, di incidente stradale. Peraltro l’eterogeneità delle tesi era evidente: nello stesso giorno a distanza di pochi minuti autorità dello stesso paese davano versioni opposte dello stesso fatto. Ma il tentativo di depistaggio non è andato a buon fine anche grazie anche alla ferma reazione dell’Italia, a partire dal rientro della delegazione commerciale. Mi auguro che l’Egitto non voglia mettere a repentaglio un rapporto bilaterale così forte. Per noi la morte di Giulio è una vicenda gravissima. Serve la verità.
Dal Cairo arriva la notizia di due arresti. È un buon segno?
Mi auguro che le indagini prendano i connotati della serietà, anche grazie alla collaborazione degli inquirenti italiani. Non ci interesserebbero arresti immediati e di comodo per soddisfare l’opinione pubblica. La nostra opinione pubblica è matura. Vuole la verità, e in base alla verità, l’arresto dei responsabili. Diffido delle indagini che si risolvono nel giro di poco. Danno l’impressione che se pasticci ci sono stati prima, possono esserci anche dopo.
Diceva che quello fra Italia e Egitto è «un rapporto forte». In queste ore anche l’opinione pubblica scopre che il regime militare di Al Sisi calpesta i diritti umani su scala larghissima.
I vicini non si scelgono. Noi non possiamo fare a meno di un rapporto buono con l’Egitto che, non dimentichiamolo, è a sua volta oggetto di attentati terroristici. Si vuole destabilizzare l’Egitto per allargare il fronte del terrore. Ma questo non significa che esprimiamo assenso verso i metodi che usano le autorità egiziane. E aggiungo: a volte delle migliori intenzioni sono lastricate le vie dell’inferno. Guardate cos’è successo con Gheddafi. Abbiamo contribuito a rimuovere un dittatore, ma oggi la situazione in Libia non è migliore di prima. Ma tutto questo prescinde dal discorso per il nostro caduto: vogliamo la verità. Diversa è la riflessione geopolitica le primavere arabe hanno avuto esiti diversi. In Marocco si è arrivati a una riforma costituzionale che ha fatto avanzare i diritti delle donne. In Tunisia, nonostante tutti i problemi, un partito islamista ha accettato di perderle. Vorremmo questo modello, sappiamo che l’Egitto non lo è. Ma la politica internazionale è fatta di realismo. In quell’area l’unico paese democratico è Israele, eppure ci riserviamo di criticare tanti aspetti della sua politica, come gli insediamenti.
Quindi per ‘realismo’ sulla morte di Regeni l’Italia potrebbe accettare una soluzione pur che sia?
No. Il realismo ha dei limiti. Questo ragazzo è un figlio del nostro paese. Ma ribalto il suo ragionamento: l’Egitto si può permettere una verità di comodo anche meno di noi. Influenzerebbe i suoi rapporti con l’Italia. Perché? Con quello che sta succedendo in Libia e nel Mediterraneo, con le iniziative assunte in quell’area, e anche con le scoperte dei giacimenti di gas, l’Egitto non può fare a meno di partner importante come l’Italia. Un partner che non gli ha mai voluto le spalle. Da qui mi pare che nascano le ripetute telefonate di Al Sisi a Renzi. Le autorità egiziane sanno che questa vicenda va maneggiata con cura e rigore. Ma credo che abbiano capito la gravità della vicenda, e infatti hanno accettato subito la collaborazione del team italiano alle indagini. Al Cairo qualcosa potrebbe essere sfuggito al controllo delle autorità. Ma se è capitato questo, lo vogliamo sapere: con nomi e cognomi.
Si è fatto un’idea di com’è stato ucciso Giulio?
Ho un’idea personale, e mi auguro che venga smentita nei fatti. Potrebbe essere successo che in nome e per conto della lotta al terrorismo in Egitto si tollerino abusi che in Europa non sarebbero neanche concepibili. Nell’apparato militare potrebbero esserci schegge impazzite, responsabili della vicenda. Ma, ripeto, mi auguro di essere presto smentito.

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Regeni: tentato depistaggio, Italia inflessibile nel chiedere chiarezza

postato il 5 Febbraio 2016


Ospite di “Mattino 5”, spazio di approfondimento di Canale 5 condotto da Federico Novella

Una cosa e’ chiara: non possiamo accettare la manipolazione della verita’ e la manipolazione c’e’ gia’ stata perche’ nel giro di una giornata fonti egiziane, attribuibili ad autorita’ diverse, hanno dato versioni diametralmente opposte. E proprio alcune di queste spiegazioni, artatamente fuorvianti, inducono l’Italia ad essere inflessibile. Il Presidente Mattarella e Renzi ieri sono stati espliciti. Sconti non ne possiamo fare.
Siamo in presenza di un tentativo di depistaggio e la comprensione che va ad un Paese martoriato dalla minaccia terroristica come l’Egitto, bastione importante contro il proliferare dell’Isis, non ha nulla a che vedere con quello che e’ capitato: noi vogliamo che sia fatta chiarezza a 360 gradi, perche’ non possiamo accettare che la vicenda che ha portato alla morte di un nostro connazionale, un bravo ragazzo che si trovava al Cairo per fare una tesi sul diritto del lavoro, possa restare impunita. Giulio Regeni e’ espressione di una generazione, di quei nostri figli che si impegnano e vanno all’estero a studiare che sono veramente l’immagine migliore dell’Italia

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No al modello Bush, serve intesa con le forze sul terreno

postato il 3 Febbraio 2016

Casini Zuccari

 

L’intervista di Umberto De Giovannangeli a Pier Ferdinando Casini pubblicata su L’Unità

La Conferenza di Roma della Coalizione anti-Isis, il ruolo dell’Italia nelle aree di crisi. L’Unità ne discute con Pier Ferdinando Casini, presidente della Commissione Esteri del Senato.
«Non si devono ripetere interventi unilaterali – rimarca l’ex presidente della Camera – ma è necessario preventivamente creare le condizioni politiche per le intese necessarie con le forze sul terreno».
E questo vale sia sul fronte siro-iracheno sia su quello libico: «Il “modello Bush” per l’Iraq non può essere replicato». Quanto all’Italia, «il nostro Paese – dice Casini – sta giocando un ruolo importante e non solo in Libia, come dimostra il riconoscimento di Kerry. Semmai i problemi esistono in Europa…».

“Schiacceremo lo Stato islamico ovunque”, ha affermato il segretario di Stato Usa John Kerry a conclusione del summit di Roma, ma, ha avvertito,”sarà una guerra di lungo periodo”. Presidente Casini, come valuta queste affermazioni?
«La considerazione di Kerry è sottoscrivibile. D’altra parte, il Daesh sta cercando di realizzare una piattaforma geopolitica che superi le vecchie statualità e che si irradia dal Medio Oriente all’Africa. Sono di queste ore gli ennesimi atti terroristici compiuti da Boko Haram in Nigeria, e questo movimento è un neo affiliato all’Isis. La guerra sarà lunga e dolorosa, e potrà incidere anche sulla qualità della nostra vita e delle nostre abitudini».
Sia il segretario di Stato Usa che il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, e la responsabile della politica estera dell’Unione europea, Federica Mogherini, hanno insistito sul fatto che l’azione militare non può surrogare l’iniziativa politica.
«Questa è la novità di questi mesi. Non si devono ripetere interventi unilaterali ma è necessario preventivamente creare le condizioni politiche per le intese necessarie con le forze sul terreno, e non è un caso che americani ed europei cerchino insistentemente l’aiuto dei principali Paesi islamici. Il “modello Bush” per l’Iraq non può essere replicato».
Il vertice di Roma ha affrontato i dossier più caldi, in particolare Siria e Libia.
«Sulla Siria, il tema di fondo che domina tutti questi colloqui, è il ruolo di Assad. La convergenza contro l’Isis è totale, ma si indugia da parte di alcuni per la paura di favorire Assad che ha rotto il suo rapporto con la popolazione siriana. Tutti sanno che non si possono combattere contemporaneamente le milizie del sedicente “Califfato” e quelle di Assad, ma soprattutto il fronte sunnita vuole la garanzia che non si stia portando solo acqua al mulino del regime».
E in Libia? [Continua a leggere]

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Riforma costituzionale: le ragioni di un Sì

postato il 20 Gennaio 2016

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Senato della Repubblica, 20 gennaio 2016 – Ho chiesto di intervenire nella discussione generale sul disegno di legge di riforma costituzionale oggi all’esame del Senato per la seconda deliberazione parlamentare per testimoniare le ragioni del mio voto favorevole.
Da quando sono entrato in Parlamento, nel 1983, la discussione pubblica sulle riforme costituzionali, peraltro avviata già a partire dagli anni ’70, ha avuto al centro il tema del superamento del bicameralismo paritario, che ha rappresentato una costante del dibattito ed è stato oggetto di molteplici tentativi di revisione.
Ricordo, in proposito, l’istituzione della Commissione Bozzi, proprio nel 1983, e i successivi tentativi che hanno occupato il Parlamento nel corso di questi trent’anni: la Commissione De Mita – Iotti nella XII legislatura, la Commissione D’Alema nella XIII legislatura, nella quale si riuscì soltanto a riformare il Titolo V della Costituzione.
Ricordo, inoltre, il tentativo di revisione costituzionale approvato dalle Camere nella XIV legislatura, ma non confermato dal referendum, come pure i tentativi di revisione costituzionale avviati e non conclusi nella XV e nella XVI legislatura.
Nel corso quindi degli ultimi trent’anni, le istanze riformatrici più avanzate che hanno attraversato il dibattito di politica costituzionale si sono orientati in maniera decisa verso un modello di bicameralismo differenziato, in linea con i modelli parlamentari di altri ordinamenti costituzionali europei, nei quali le seconde Camere svolgono funzioni diverse rispetto alle Camere politiche e seguono criteri di composizione differenziati.
Si tratta, quindi, di una scelta non certamente estemporanea, ma frutto di una lunga e approfondita riflessione, né in alcun modo improntata dalla pretesa di realizzare una democrazia a costo zero, perché i costi della democrazia non possono essere considerati dannosi. Questa è una pericolosa demagogia: stiamo attenti perché la storia è piena di corsi e ricorsi, ed è sin troppo facile ricordare la polemica anti parlamentare che diede un contributo straordinario all’avvento del fascismo.
La scelta non è estemporanea – ribadisco – nè, per quanto mi riguarda, legata al tema dei costi della politica ma frutto di una lunga e approfondita riflessione che affonda le sue radici nello stesso dibattito in Assemblea Costituente, nel quale emerge la consapevolezza della incompiutezza e – per certi aspetti – della debolezza della scelta operata in favore di un sistema bicamerale perfetto, nonostante molti autorevoli membri di quell’Assemblea – tra i quali desidero ricordare Costantino Mortati – si espressero in favore di un bicameralismo differenziato: mentre la Camera politica avrebbe dovuto esprimere la rappresentanza “indistinta”, ovvero la rappresentanza della Nazione nel suo complesso, l’altra Camera avrebbe dovuto offrire un diverso canale di espressione della rappresentanza, portando a livello centrale istanze e interessi diversificati, in particolari quelli riconducibili ai territori. [Continua a leggere]

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Libia: Isis teme il nuovo governo

postato il 10 Gennaio 2016

Serve l’intervento militare
casiniL’intervista di Alessandro Farruggia a Pier Ferdinando Casini pubblicata su QN

«Gli spari e l’autobomba contro il corteo del premier incaricato Sarraj, la strage di Zliten e l’attacco ai pozzi di petrolio della Cirenaica fanno parte di una stessa strategia. Bloccare l’insediamento dell’esecutivo di unità nazionale libico favorito dall’Onu, che i terroristi vedono come il fumo negli occhi. Ora più che mai, dobbiamo fare tutto quanto serve per fare insediare quel governo». Pier Ferdinando Casini (nella foto), presidente della commissione Esteri del Senato e docente di geopolitica mediterranea alla Lumsa, legge con preoccupazione gli eventi di questi giorni in Libia. Ed è convinto che il momento decisivo, se vogliamo evitare che la bandiera nera di Daesh sventoli su Tripoli, è agire adesso. Anche militarmente.
Presidente Casini, cosa significa l’attacco ai pozzi della Cirenaica?
«In questi anni tutte le parti in guerra in Libia hanno rispettato le risorse petrolifere, anche perché la società di Stato che li gestiva ha poi suddiviso i proventi con tutti gli attori principali. Con l’ingresso in scena dell’Isis, a partire dal 2015, questo non è più valido. Lo Stato Islamico è fuori dall’accordo tra fazioni, non vuole spartire, ma distruggere quelle infrastrutture. L’attacco ai pozzi, già tentato la scorsa estate, è strategico per il Califfato perché toglie risorse ai suoi avversari. Gli attacchi si ripeteranno perché i terroristi vogliono impedire che il nuovo governo possa contare sui proventi degli idrocarburi. Vogliono chiudere il rubinetto per innescare il caos».
Si attendono giornate di fuoco da qui alla data per l’insediamento del nuovo governo?
«Ogni giorno che passa il governo Sarraj è destinato a vedere un aumento degli attacchi da parte di chi gioca al ‘tanto peggio, tanto meglio’. Eppure non deve mollare. E non lo sta facendo. Membri del consiglio di presidenza e lo stesso Sarraj sono andati ieri sul suolo libico, a Misurata come a Zintan, per rendere omaggio alle vittime del camion bomba e per fare politica. Moltiplicare la propria base, stringere accordi con altri gruppi politici o tribali. E questo è un salto di qualità». [Continua a leggere]

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