postato il 15 Febbraio 2016 | in "Esteri"

«In gioco la nostra dignità, facciamoci rispettare»

Siamo paesi amici, non possiamo tollerare finzioni da loro
Pier Ferdinando CasiniL’intervista di Matteo Massi al Presidente della Commissione Affari esteri del Senato, Pier Ferdinando Casini, pubblicata su QN

«Dall’Egitto non sta arrivando la verità». Usa parole forti il presidente della commissione Esteri del Senato, Pier Ferdinando Casini

Che idea si è fatto sull’omicidio di Giulio Regeni?
«Che se vogliamo mantenere il nostro decoro nazionale e il nostro ruolo nel Mediterraneo dobbiamo pretendere la verità – dice Casini -. Ricordo il Craxi di Sigonella che in poche ore, decise, andando contro gli americani, di imboccare la strada della difesa della dignità nazionale. Ora su Craxi si possono, avere visioni diverse, ma quella fu una delle pagine più importanti della nostra politica estera. Mi auguro che Renzi non si accontenti delle verità di comodo».

L’estrema cautela non cela la paura dell’Italia di perdere un partner economico privilegiato?
«Il fatto che ci sia un rapporto speciale tra noi e l’Egitto non ci rende più deboli ma ci deve rendere forti e non può far dubitare l’Egitto su di noi. L’ho detto all’ambasciatore egiziano, che è in una posizione molto delicata, che la nostra amicizia con l’Egitto non può essere messa in discussione e l’abbiamo dimostrato. Ma proprio perché siamo amici, dagli amici non accettiamo le finzioni».

Viene fuori ora che secondo la polizia egiziana Regeni era una spia. Ma i paesi amici di solito non torturano le spie dei paesi alleati. Si limitano a rimandarle a casa.
«Bisogna contestualizzare la situazione egiziana con quello che è successo al nostro connazionale che certamente non è una spia ma solo un giovane serio ricercatore. L’Egitto è obiettivo primario dello jihadismo: dall’Isis ad Al Qaeda. Basti pensare a quello che è accaduto in Sinai».

Ma Regeni non è certo una vittima del terrorismo.
«Assolutamente no. Il governo egiziano per difendersi dalle minacce jihadiste ha messo in campo tutti i mezzi leciti e anche quelli non sempre leciti. Apparati che dipendono dalle forze armate e altri dal ministero
dell’Interno e io temo che questa storia si collochi in una sorta di antagonismo e competitività tra pezzi dello Stato. Non c’è stato un ordine politico di far fuori Giulio Regeni ma non escludo che per un drammatico eccesso di zelo di qualche apparato si sia ritenuto il nostro giovane parte di un puzzle più ampio e pericoloso per lo Stato».

E così l’hanno torturato fino alla morte?
«È ormai acclarato che le torture e l’atroce strazio di Regeni siano state un’opera di killeraggio da parte di gruppi di squadre speciali».

Ma in questa competitività e antagonismo tra i pezzi dello Stato che avrebbe portato alla tortura di Regeni, non ci può essere l’intenzione di dare un segnale forte all’Italia sul ruolo di mediatrice che ha in Libia? Tenendo conto anche dei rapporti privilegiati tra AI Sisi e-Haftar.
«Non credo che sia andata così. Altrimenti dovrei pensare che è stato un omicidio ordinato dall’alto. L’Egitto deve dire la verità su come sono andate realmente le cose. Al Sisi ha parlato l’altro giorno dell’avvio di un processo democratico. Questo processo democratico diventerebbe più credibile, anche agli occhi della comunità internazionale, se facesse emergere la verità su questo omicidio. All’inverso il continuare nella politica delle omissioni rischia di far perdere ogni credibilità al nuovo corso».



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