postato il 26 Marzo 2012 | in "In evidenza, Lavoro e imprese, Riceviamo e pubblichiamo"

Più caro il contratto a tempo determinato. Il maggiore gettito servirà a finanziare l’Aspi

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Nell’ottica di combattere gli abusi dei contratti a tempo determinato, spesso usati per mascherare assunzioni a tempo indeterminato, il governo ha varato un importante provvedimento: un incremento del costo contributivo con un’aliquota dell’1,4% destinata a finanziare l’Aspi. “In caso di trasformazione del contratto a tempo determinato”, si legge nel documento, “si avra’ una restituzione pari all’aliquota aggiuntiva versata, con un massimo di 6 mensilità; la restituzione avviene al superamento del periodo di prova, ove previsto”.

Questo significa, che per l’azienda diventa più oneroso ricorrere ai contratti a tempo determinato, e addirittura diventa conveniente mutarli in contratti a tempo indeterminato per avere la restituzione dell’aliquota aggiuntiva.

Il maggiore contributo (pagato dall’azienda), come detto, servirà a finanziare l’ASPI, ma cosa è l’ASPI?

Questa sigla indica l’Assicurazione sociale per l’impiego, ovvero il nuovo strumento governativo per tutelare dalla disoccupazione “a carattere universale” che assorbe la vecchia disoccupazione ordinaria (non agricola) e quella con requisiti ridotti, quelle speciali edili e la mobilità e allarga l’ambito di applicazione ad artisti e apprendisti. A questo si aggiunge una sorta di mini-Aspi, che il governo vorrebbe usare per ampliare la possibilità di richiesta dell’assegno ai precari: l’indennità attuale con requisiti ridotti viene sostituita e «condizionata alla presenza e permanenza dello stato di disoccupazione».

Spieghiamoci meglio: mentre per l’Aspi “ordinaria” l’accesso è garantito con gli stessi requisiti della disoccupazione attuale – 52 settimane nell’ultimo biennio e 2 anni di anzianità assicurativa – per la mini-Aspi è sufficiente dimostrare di aver lavorato 13 settimane negli ultimi 12 mesi. L’assegno che sarà riconosciuto avrà un tetto di 1.119,32 euro «rivalutati annualmente sulla base dell’indice dei prezzi Foi», quelli cioè delle famiglie degli operai e degli impiegati.

La nuova Aspi concede trattamenti iniziali analoghi all’indennità di mobilità fino a 1.200 euro mensili ma «decisamente più elevati per quelle superiori a tale livello». E rispetto alla disoccupazione ordinaria la nuova indennità «è sempre più favorevole, fatta eccezione per le retribuzioni comprese tra 2.050 e 2.200 euro mensili».

La contribuzione per il fondo Aspi sarà estesa a tutti i lavoratori tutelati dall’istituto che pagheranno due diverse aliquote. Quelli a tempo indeterminato l’1,31 per cento; mentre i lavoratori con una data scritta sul contratto contribuiranno con l’1,4 per cento. Ma in caso di trasformazione in contratto a tempo indeterminato, all’azienda sarà restituita l’aliquota aggiuntiva pagata fino ad allora dal lavoratore «precario». Infine, è previsto un «contributo di licenziamento» da versare all’Inps al momento della cessazione del rapporto di lavoro. Si tratta di 0,5 mensilità di indennità per ogni 12 mensilità di anzianità aziendale negli ultimi 3 anni e si applica anche agli apprendisti.
La riforma andrà a regime nel 2016 – una novità rispetto alle anticipazioni che parlavano del 2017. Nel periodo di transizione, si specifica che fino al 2015 per i lavoratori sotto i 50 anni sono previsti 8 mesi di assegni che salgono poi a 10 e dal 2016 a 12. Tra 50 e 54 anni sono già dodici mesi dell’anno prossimo mentre oltre i 55 anni cresceranno dai 12 mesi del 2013 al ritmo di due anni ogni dodici mesi fino a 18 mesi a regime, nel 2016.



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