postato il 29 Dicembre 2010 | in "Esteri, In evidenza, Riceviamo e pubblichiamo"

Il processo all’oligarca Khodorkovskij riapre la questione dei diritti umani in Russia

Agli inizi degli anni ’90 la Russia di Eltsin attraversò un convulso periodo di apertura al mercato.

Non tutte le aziende ereditate dalla defunta Unione Sovietica erano in condizioni tecnologiche ed economiche disastrose: a partire dalla metà degli anni ’70 infatti l’U.R.S.S., complice anche la Crisi Petrolifera, conobbe un notevole incremento nel campo dell’estrazione del carburante fossile.

Benché tecnologicamente arretrate, le industrie estrattive russe, divennero la preda più ambita dalla schiera di funzionari appartenenti all’ex Partito Comunista.

Si fecero così largo, sotto l’ala protettrice della presidenza Eltsin, diverse figure che approfittando della svendita per pochi spiccioli dovuta alle privatizzazioni delle aziende di Stato, riuscirono ad accaparrarsi delle industrie che in un sistema economico chiuso alla concorrenza estera come quello comunista, riservavano un potenziale di sviluppo enorme.

In questo quadro si inserisce la storia del magnate Mikhail Khodorkovskij.

Facendo leva sugli stretti legami intessuti col Cremlino, Khodorkovskij riuscì ad acquistare nel 1995 una delle principali aziende petrolifere statali, creata due anni prima da Eltisn mediante la fusione tra YUganskneftegaz e KuibyshevneftOrgSintez: nacque così la Yukos.

L’ascesa al potere di Vladimir Putin aprì un’aspra lotta di potere in capo alle aziende controllate dagli oligarchi, legati a doppio filo con la burocrazia ed il potere politico che il neo-presidente aveva intenzione di scardinare.

Proprio in questo constesto, nel 2005 Khodorkovskij a seguito di un’indagine iniziata due anni prima, venne condannato ad otto anni di reclusione per frode ed evasione fiscale, e rinchiuso in un carcere siberiano; coimputato è Platon Lebedev, presidente della banca maggiore azionista di Yukos.

Nel frattempo Yukos fu smembrata e costretta alla bancarotta a favore dello Stato, per far fronte alla richiesta del fisco di 30 miliardi di dollari.

Oggi, scontata metà della condanna, Khodorkovskij e Lebedev sono stati riconosciuti colpevoli di appropriazione indebita di 218 tonnellate di petrolio (per un valore stimato di 97,5 milioni di dollari): l’intera produzione del defunto colosso petrolifero tra il 1995 ed il 1998 e condannati a scontare altri sette anni di carcere.

Dure reazioni a quello che è visto da molti come un processo politico giungono dalle principali cancellerie occidentali.

Il Governo italiano in tal senso non ha dato seguito alle proteste internazionali, benché, come ricorda l’On. Rao (U.d.C.): – “Lo scorso anno tutte le forze politiche presenti in Parlamento, ad eccezione della Lega, approvarono una mozione a firma Casini con la quale si chiedeva di attivare tutti i canali diplomatici disponibili per garantire il rispetto dei diritti umani e il diritto alla difesa di Khodorkovsky, come anche di Lebedev e dei cittadini russi in generale”. Anche “Avvenire” si è espressa nella stessa direzione, ammonendo “che la magistratura non può colpire un avversario politico”.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Federico Poggianti

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Simone Matteoli
13 anni fa

Il governo mandi in esecuzione la mozione, invece di pensare ad altro



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