postato il 8 Febbraio 2014 | in "Politica"

Casini: il Pd smetta di rinnegare il governo

Berlusconi? Il progetto del Ppe in Italia non ha alternative
casini

L’intervista di Pietro Perone  a Pier Ferdinando Casini pubblicata su “Il Mattino”

Non c’è giallo sulle future alleanze dell’Udc, o quantomeno sulla riflessione che Pier Ferdinando Casini ha avviato alla vigilia del congresso del suo partito e in vista delle elezioni «formato Italicum», sia che si svolgano in primavera o il prossimo anno. Nel frattempo, a guidare il governo potranno essere Enrico Letta o Matteo Renzi, non fa la differenza purché i democratici ci «mettano il corpo e l’anima. Non è accettabile per noi partecipare a un esecutivo nei confronti di cui il Pd assume l’atteggiamento di considerarlo solo un governo amico prendendo le distanze un giorno sì e pure l’altro», avverte Casini.

Il ministro Mauro intanto ha sostenuto, dopo aver parlato con lei, che l’Udc non andrà con Berlusconi, avvalorando la tesi di un ripensamento. È così?
«Non debbo assicurare nulla a nessuno, nel senso che il mio comportamento è stato sempre lineare. Sono trent’anni che è così. Mentre molti sedevano tranquillamente nei banchi del Pd o in quelli del Pdl, ho rischiato l’osso del collo per creare in Italia un centro politico, il terzo polo. L’ho fatto nel 2008 e sono stato coerente nel 2013. Ora prendo atto, con realismo politico e con la stessa onestà di allora, che si sono verificati due fatti: in primo luogo la politica si trova ad arginare il populismo di Grillo che può provocare solo disastri in questo Paese; in secondo luogo è in arrivo una legge elettorale che ci impone un’aggregazione di centrodestra e un’altra di centrosinistra».

Condivide dunque la bozza di legge elettorale che la prossima settimana arriverà in aula?
«Avrei potuto capeggiare la rivolta dei ”piccoli” contro una riforma che sicuramente avvantaggerà le forze maggiori oppure accettare la sfida di Renzi e di Berlusconi. Ho deciso per la seconda perché non mi interessa issare la bandiera delle piccole forze in una sorta di sindacalismo corporativo. Credo piuttosto che bisogna organizzare in Italia l’area del socialismo europeo, a cui sono chiamati Renzi e Vendola; e l’area moderata del centrodestra».

L’adesione di Forza Italia al Partito popolare europeo proprio negli ultimi tempi è stata più volte in discussione.
«Non nascondo che per creare quest’area ci siano ancora tanti macigni, problemi seri da superare. Stiamo discutendo di avviare un percorso con un atto di onestà reciproca. Non sono disposto ad atti di abiura e non ne chiedo ad altri, ritengo di avere fatto in questi anni delle scelte che si sono dimostrate giuste sul federalismo, come sull’abolizione delle Province o le quote latte. Abbiamo cantato fuori dal coro e la nostra testimonianza è stata utile».

E ora non si rischia di cancellare questo patrimonio di idee?
«Quando Berlusconi è salito sul predellino dissi che non volevo farmi annettere e forse non mi sbagliavo, visto che il primo a tornare indietro è stato proprio il Cavaliere ricostituendo Forza Italia, mentre altri della destra hanno preso strade diverse, a cominciare da Fratelli d’Italia. È giusto che ognuno sia fiero delle scelte compiute e le rivendichi con orgoglio, ma non si può andare avanti con gli specchietti retrovisori. In Italia non ci sono soltanto Grillo e Renzi, ma esiste un’area moderata che chiede di essere rappresentata».

Tra le vostre fila, soprattutto in Campania, ci sono malesseri rispetto alla futura alleanza con Berlusconi: si profila una spaccatura nel partito?
«Il 21 ci sarà il congresso dell’Udc e credo che questa mia riflessione contribuirà a rendere il nostro appuntamento un avvenimento vero. Se la maggioranza dissente dalla mia linea mi rimetterò ad essa e dirò obbedisco, come fanno i carabinieri. È inutile però che ci si lamenti dell’annuncio, perché c’era il rischio che il nostro congresso finisse per essere irrilevante, mentre così sarà un momento di dibattito autentico».

Fin qui la politica: ma Berlusconi in questi vent’anni è stato un leader padre-padrone non solo del suo partito ma anche nell’alleanza che di volta involta si è costituita intorno a lui. Fini, per esempio, le ricordala gestione personalistica, quasi aziendale. Non teme di entrare nuovamente in conflitto con Silvio?
«Non debbo essere io a spiegare a Fini perché si verificò la rottura, ma quando Renzi non ha esitato a incontrare Berlusconi, e secondo me ha fatto bene, è partito dalla consapevolezza che il leader di Forza Italia può piacere o meno, ma è stato legittimato dagli elettori e rappresenta una parte consistente del Paese e del voto moderato. Se non vogliamo fare solo testimonianza accademica dobbiamo cercare di capire se in Italia nei prossimi anni ci sarà la possibilità di costituire un’area moderata. È ovvio che non potrà essere quella che va a Strasburgo a contestare Napolitano, un atto di infantilismo politico oltre che di autolesionismo nazionale».

Un’alleanza di centrodestra si fa anche insieme con la Lega: convivenza possibile?
«Nel Carroccio si dicono cose diverse. Maroni alla commemorazione di Tatarella ha sostenuto una tesi che condivido: “nel ’94 – ha detto – ci mettemmo insieme per vincere ma poi non sapevamo cosa fare”. Ecco, non si tratta di fare un revival del passato né di costruire un’adunata di generali senza esercito ma di innovare il centrodestra così come Renzi cerca di fare nella coalizione opposta».

Una staffetta a Palazzo Chigi è quello che serve oggi al Paese?
«Non mi scandalizza né l’ipotesi che Renzi assuma il comando delle operazioni perché è stato legittimato dagli elettori; né l’ipotesi che a Palazzo Chigi continui Letta, una persona seria e a cui è ingeneroso addossare una difficoltà del governo. L’unica cosa che non è accettabile per noi è partecipare a un esecutivo nei confronti di cui il Pd assuma l’atteggiamento di considerarlo solo un governo amico. I democratici devono starci con il corpo e con l’anima. Non si può continuare a prendere le distanze un giorno sì e pure l’altro».

Quindici giorni per chiarirsi, basteranno?
«La direzione Pd convocata per il 20 febbraio prossimo deve essere risolutiva. Non ci potrà essere un secondo tempo».

Conflittualità sempre più alta in Parlamento: la decisione di Grasso sulla costituzione diparte civile contro Berlusconi da parte del Senato rischia di rendere ingovernabile Palazzo Madama così sta avvenendo già a Montecitorio
«Voglio dare un giudizio sereno, anche da ex presidente della Camera: sono assolutamente contrario a processi contro chi gestisce le aule, peraltro non previsti. Detto ciò sono rimasto meravigliato che Grasso, dopo aver convocato l’ufficio di presidenza del Senato, abbia avocato a sé la decisione. O non si convoca l’organismo e si assume la scelta da soli, oppure l’organo collegiale ha l’ultima parola. Neanche sul caso Lusi è arrivata la costituzione di parte civile, proprio in virtù della divisione dei poteri. Per quanto riguarda invece Boldrini, non c’è dubbio che alla fine della vicenda abbia fatto bene a mettere in votazione i decreti, se no l’avesse fatto avrebbe ricevuto critiche più motivate rispetto a quelle avute finora. E’ evidente, però, che la capacità di una presidente della Camera si basa sulla possibilità di minacciare la tagliola ma non di applicarla».

E lei quando è stato presidente della Camera ha mai fatto scattare la ghigliottina?
«No, ho sempre trattato con i gruppi. Ma se dovessi fare l’avvocato difensore della Boldrini, e non mi compete, direi che la moral suasion è efficace nella misura in cui c’è una civiltà di rapporti, ma dopo aver visto quanto è avvenuto alla Camera purtroppo ne è rimasta ben poca».



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