postato il 17 Luglio 2025 | in "Economia, Politica, Rassegna stampa"

Dazi: “Inutile adulare Trump, non lo disinnesca. La Ue deve adottare vere contromisure”

Pavide le categorie produttive: per non urtare la destra non criticano il leader Usa. Il ruolo di pontiere lo svolge chi ha la forza per farlo: l’Italia non ce l’ha né con Meloni né con Draghi.

L’intervista di Francesca Schianchi pubblicata su La Stampa

«Se la vicenda dei dazi non fosse terribilmente seria, susciterebbe ilarità», esordisce Pier Ferdinando Casini, senatore indipendente eletto nelle liste del Pd.

Perché, senatore?

«Perché i giornali sono pieni di interviste a esponenti di categoria che si producono in giochi acrobatici pur di non attaccare Trump.  Chi li leggesse senza conoscere la situazione, penserebbe che la guerra commerciale la vuole fare Von der Leyen mentre il presidente americano passa di lì per caso».

Anche tra i politici c’è chi attacca più l’Europa di Trump.

«Ma nella politica non c’è nulla di nuovo sotto al sole: i tifosi di Trump sono in imbarazzo e per questo non lo criticano, mentre gli avversari lo criticano anche per ragioni politiche. Incredibile è la pavidità delle categorie produttive, le stesse che qualche anno fa erano contrarie ad ampliare i no­stri mercati estendendo gli ac­cordi commerciali a Canada e Mercosur».

Perché secondo lei questa pavidità?

«Presumibilmente per non urtare il governo. Dove c’è persino chi sostiene si dovrebbe procedere a trattative separate dall’Europa».

Lo hanno detto dalla Lega.

«Chi lo dice evidentemente non conosce i trattati e non sa che la politica commerciale è competenza esclusiva della Commissione europea. Serve serietà».

E come la sta portando avanti questa trattativa la Commissione? È d’accordo con chi teme sia troppo morbida?

«Le trattative non si giudicano sulla base del morbido o duro, ma sull’efficacia o meno. E il risultato si vede il giorno dopo la sua conclusione.  Che l’Europa non faccia sfoggio di muscoli è giusto, ma il punto di caduta deve essere chiaro».

Qual è secondo lei?

«O i dazi di Trump non superano il 10 per cento, che è già un’enormità, oppure bisogna mettere contromisure sul tappeto. Se si pensa di disinnescare il presidente americano adulandolo, non si è capito nulla di un uomo che propone una visione completamente alterata della realtà, e comunque basata solo sui soldi».

Che cosa intende per visione alterata della realtà?

«Pensa che noi europei siamo degli scrocconi, per via della difesa ma anche del disavanzo commerciale. E non valuta che sì, esportiamo molte merci, ma importiamo una quantità gigantesca di servizi dall’America. Come Europa dobbiamo attrezzarci per ampliare inostri mercati di riferimento, per creare un mercato dei capitali capace di tenere qui le nostre risorse e, soprattutto, dobbiamo cominciare ad essere autonomi.  La politica di Trump aiuterà l’Europa a uscire da uno stato di infantilismo politico per cominciare a badare a se stessa».

Pensa che sia d’accordo il governo a contromisure in caso di dazi sopra al 10 per cento?

«Mi rifiuto di pensare che, in quel caso, si possa opporre a una reazione vigorosa. Anche perché abbiamo davanti l’esempio del Giappone e della Corea del Sud».

Dazi al 25 per cento a partire dal 1° agosto anche per loro.

«Eppure sono i tradizionali alleati dell’America in Oriente. Mentre la Cina, che ha un bagaglio ritorsivo importan­te per via delle terre rare, viene risparmiata.  L’errore sta nel pensare che la logica di Trump sia politica: è solo monetaria».

Se è così servirebbe una postura più muscolare?

«La postura è secondaria pro­prio perché lui ragiona solo in termini di convenienze.  Rischiamo di lasciare ai nostri figli un mondo in cui tutti i valori in cui abbiamo sempre creduto – dal multilateralismo al rispetto reciproco tra gli Stati- vengono sostituiti da una regola brutale: solo chi ha la forza esiste. A me non piace, ma in questo contesto l’unica cosa che può fargli cambiare idea è la forca del Paese».

Ma l’Europa commercialmente è forte.

«Infatti se stiamo tutti insie­me non siamo per niente deboli. Lo siamo se ci presentiamo solo come Italia».

È smentito il ruolo di pontiera della premier?

«Non credo che il ruolo di pontiere si possa svolgere sulla base delle simpatie. Qui non siamo in un salotto, ma nel duro agone politico. Media chi ha la forca per farlo: e purtroppo l’Italia, sia con Draghi che con Meloni, non è in queste condizioni».

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postato il 11 Maggio 2025 da redazione | in "Rassegna stampa"

«Leone XIV l’uomo giusto per una vera pace multilaterale»

Un Papa statunitense che è stato missionario in Perù, ha studiato a Roma, è stato prefetto dei vescovi, si è formato su Sant’Agostino, saprà parlare a tutti e ascoltare tutti. Da Usa e Israele segnali di disponibilità.  Francesco è stato oggetto di ignobili speculazioni, ma con Prevost Trump dovrà necessariamente parlare, senza rifugiarsi in comodi stereotipi.

L’intervista di Angelo Picariello pubblicata su Avvenire

«A volte scherziamo sullo Spirito Santo. Ma qui davvero ha fatto un capolavoro, spiazzando anche il comprensibile campanilismo di chi, come me, sperava nel ritorno di un Papa italiano. Capolavoro che ora iniziamo a capire». Pier Ferdinando Casini all’Habemus Papam era in piazza, fra la gente.  «È una sorta di tradizione personale. C’ero andato con Ratzinger e Bergoglio. Non c’è due senza tre…», dice.  «Sul piano internazionale – riflette il senatore eletto come indipendente nelle liste del Pd, in passato una lunga militanza nella Dc e poi alla guida dell’Udc, nella scorsa legislatura presidente della Commissione Esteri della Camera – papa Leone XIV appare come l’uom o giusto per il rilancio di un “multilateralismo” della pace. Mentre sul piano interno la scelta del nome richiama a quelli della mia generazione la scuola di partito alla “Camilluccia” dove ci facevano studiare la Rerum Novarum».

Che cosa ha visto in piazza?

Ho toccato con mano la grande vitalità della Chiesa.  È l’ultima autorità morale che resiste nel tempo, a cui tutti guardano per ritrovare fiducia. Ultimamente anche maltrattata, perché non dice quel che il potere vorrebbe – è il suo compito, anche Gesù diceva cose scomode – ma sa farsi ascoltare. Parlare, come ha fatto papa Leone X IV di «pace disarmata e disarmante» è scomodo, ma ha colpito tutti.

Dalla “delusione” iniziale alla simpatia, è stato un attimo.

Delusione per così dire, perché pochi10 conoscevano, m a dopo un Papa polacco, un Papa tedesco e uno sud americano, si vede che era la volta di un Papa statunitense che include tanto altro: la missione in Perù, gli studi a Roma, il suo incarico di prefetto dei vescovi, la sua     formazione in Sant’Agostino. Un Papa che saprà parlare e soprattutto ascoltare tutti, penso anche all’Africa, all’Asia. In piazza mi ha colpito l’entusiasmo di alcune suorine vietnamite. Una terra segnata dal regime comunista in cui la fede rifiorisce, come in tante parti del mondo. Io sono bolognese, si può immaginare a chi tenessi di più, in piazza ho visto anche lo straordinario affetto dei cattolici italiani per il cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo della mia diocesi. Ma quel “la pace sia con voi” abbraccia tutti, ci ricorda che la pace non ce la diamo d a soli, “vi lascio la pace, vi do la mia pace” diciamo a messa: la pace è innanzitutto un atteggiamento, una dimensione del cuore.

Ma il quarto Papa non italiano ha scelto, a sorpresa, il nome di un Papa italianissimo. Leone XIII è stato il riferimento delle nostre scuole di partito, della Democrazia Cristiana, degli anni Settanta. È il simbolo di un a Chiesa che accetta il mercato, ma chiede di correggerne le distorsioni. Questo Papa che conosce le periferie di Chicago e le periferie del mondo, con questo nome evoca la nostra storia di impegno politico, e anche l’articolo della Costituzione (Repubblica «fondata sul lavoro», che attinge a Leone XIII, attraverso il Codice di Camaldoli) anche se non sempre siamo stati all’altezza del compito. Ed evoca le disparità mai così forti come oggi nel mondo, fra ricchi e poveri, con un ceto medio che scivola lentamente verso l’indigenza.

Nel passaggio da Francesco a Leone XIV c’è chi ha colto un parallelismo con Giovanni XXlII-Paolo VI.

Lo vedo anch’io. Bergoglio ha gettato il cuore oltre l’ostacolo, innovatore coraggioso come papa Giovanni, si è fatto carico anche di scandali e cadute che hanno attraversato la Chiesa. Ora papa Prevost può essere quello che mette ordine nell’innovazione, come fece Montini. Richiamando con quel “tenersi per mano” da vescovo di Roma, l’unità della Chiesa di Cristo.

Ma più di tutto ha invocato la pace, per la quale si è tanto speso, da inviato del Papa, il presidente della Cei. Per la quale si spende anche l’arcivescovo di Gerusalemme.

Per la quale si spende la Chiesa tutta. Zuppi ha lavorato benissimo incontrando tutte le parti e ha anche ottenuto risultati parziali, come lo scambio di prigionieri. Poi si è dovuto fermare sull’onda degli eventi, non ultimo la salute del Papa che andava peggiorando.

Ora si aprono spiragli nuovi?

Non vorrei cadere in eccessi di illusioni, ma qualche segnale c’è: nei messaggi arrivati anche da Trump e Israele m i pare di cogliere la disponibilità all’ascolto del nuovo Pontefice da parte di tutti. Papa Francesco è stato oggetto di ignobili speculazioni, ma Trump ora con Prevost dovrà necessariamente parlare, senza rifugiarsi in comodi stereotipi.

Da cardinale già con Vance ha mostrato di non fare sconti…

Un Papa non fa mai sconti ai potenti di turno, come non li faceva Cristo a Erode, o a Pilato. Pilato che siam o un po’ tutti noi.

Alla missione di Zuppi è mancato il supporto di un’iniziativa diplomatica europea. Se Trump dialoga con la Chiesa cattolica apre spazi nuovi anche per la Ue, finora tagliata fuori? 

La Ue deve fare la sua parte. Quest’estate ricorrono i 50 anni degli accordi di Helsinki che videro protagonisti la Chiesa con il cardinale Silvestrini e l’Italia presidente di turno (con Aldo Moro) della Comunità europea che mise seduti allo stesso tavolo Usa e Russia. La strada da riprendere è quella: un nuovo multilateralismo della pace che questo Papa, uomo dei “ponti” fra diverse culture in un ‘epoca segnata da tanti “muri” può contribuire a promuovere. Lo stesso vale per il conflitto mediorientale. Il Papa in Perù ha visto rispecchiate le sofferenze di tanti popoli nel mondo che non lascerà soli, in Africa, in Asia come in Palestina.  Con lui lo Spirito Santo credo abbia voluto indicarci proprio questo.

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postato il 9 Maggio 2025 da redazione | in "Rassegna stampa"

«Anch’io ero in piazza, commosso tra i giovani. La Chiesa ha mostrato la sua forza spiazzante»

L’emozione più grande all’Ave Maria. In San Pietro tutti pensavano a Parolin, io tifavo per Zuppi, vescovo della mia Bologna

L’intervista di Alessandra Arachi pubblicata sul Corriere della Sera

Pier Ferdinando Casini, lei era in  piazza  San Pietro quando  hanno  eletto  Papa Leone XIV

«Sì, ho assistito all’Habemus Papam e ho sentito tutto il suo discorso».

Si aspettava la fumata bianca così presto?

«Me l’aspettavo, ma in serata. Lo avevo detto a Bologna a mia madre, che compiva novantasei anni. Le ho detto: vedrai che avrai un bel regalo di compleanno».

Contenta la mamma?

«Si è già innamorata del Papa».

Un Papa eletto in quattro scrutini appena quando serviva un quorum così alto.  E poi un nome che non era tra i primi a essere citati nelle previsioni tra i papabili.

«La forza spiazzante della Chiesa. Ci ha dimostrato che tutte le nostre alchimie non servono a niente».

Si è pensato a lungo che sarebbe stato eletto un Papa italiano.

«Ci abbiamo creduto in tanti».

Giravano tre nomi, le risulta?

«Certo, tutta Bologna tifava per il vescovo della nostra città».

Matteo Zuppi. E poi erano in pista Pietro Parolin e Pierbattista Pizzaballa.

«Tutti e tre cardinali di altissimo valore».

Parolin è stato Segretario di Stato.

«E ha servito la Chiesa nelle parti più difficili del mondo, come il Venezuela».

Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme.

«È il cardinale che dopo il 7 ottobre si è offerto in cambio della liberazione degli ostaggi di Hamas. Che dire di più? In piazza San Pietro, comunque, pensavano tutti sarebbe stato italiano».

Che sensazione ha provato in quella piazza?

«Mi sono commosso, era piena di giovani, ragazzi. Famiglie e bambini. Ma la commozione più forte l’ho provata per un altro motivo».

Quale?

«Quando Papa Prevost ha recitato l’Ave Maria».

Era la prima volta che dalla Loggia delle benedizioni un Papa recitava l’Ave Maria?

«Degli ultimi Papi sicuramente.  Un simbolo importante di devozione popolare. La Madonna è l’avvocata d’ufficio per noi peccatori davanti al Signore».

Il nuovo Papa è stato missionario per vent’anni in Perù. 

«È stato significativo che dalla loggia si sia rivolto ai fedeli peruviani, abbia parlato spagnolo. Una carezza a papa Francesco».

È il primo Papa americano, anche questo ha spiazzato.

«Ci eravamo convinti che la Chiesa non era ancora matura per questa scelta».

Trump sarà contento di questa elezione?

«Non credo che a Mar-a- Lago oggi facciano una festa. Ma è doveroso che Trump gli abbia già fatto complimenti».

Anche il presidente israeliano Herzog gli ha fatto i complimenti.

«Leone XIV ha parlato di pace e lo ha fatto a 360 gradi. Questo è stato colto».

La scelta del nome Leone è una scelta che viene da molto lontano.

«Ed è una scelta particolarmente significativa, ricordiamo la Rerum Novarum. Per noi cattolici impegnati in politica rappresenta un punto di riferimento in un mondo in cui le disparità si moltiplicano e questo è intollerabile».

Cosa si aspetta da Leone XIV?

«Credo che potrà fare ordine nei processi di riforma per i quali Francesco ha avuto intuizione. Il rapporto tra Francesco e Leone XIV potrebbe assomigliare a quello che c’è stato tra Giovanni XXIII e Paolo VI».

Ovvero?

«Giovanni XXIII ha gettato il cuore oltre l’ostacolo e ha convocato il Concilio Vaticano, ma poi è arrivato Paolo VI a mettere ordine a una Chiesa in cammino. Questo Papa ha una gran forza».

Da dove la deduce?

«In meno di due giorni è riuscito a mettere d’accordo tutti i cardinali. Ha creato un’unità che nella Chiesa vuol dire vitalità».

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