Tav, polemiche ad alta velocità
“Riceviamo e pubblichiamo” di Roberto Dal Pan
Ho visto e rivisto più volte (non senza fatica) il video che in questi giorni spopola in rete, quello dove un giovane attivista “NoTav” tenta, senza successo, di suscitare una reazione violenta da parte di un altrettanto giovane carabiniere in servizio d’ordine pubblico coprendolo di apprezzamenti ingiuriosi. Ho continuato a guardare quelle due giovani persone divise da un’esile transenna di metallo eppure sideralmente distanti tra di loro a causa delle opposte convinzioni; due ragazzi quasi coetanei, con quasi la stessa storia alle spalle che altrimenti avrebbero potuto essere seduti allo stesso tavolino di un bar a parlare di ragazze, di sport o, magari per loro, di un nuovo lavoro. Ho guardato quei due ragazzi ed ho ricordato il Pasolini di Valle Giulia.
Ma nel contempo non ho potuto fare a meno di pensare a come si sia riusciti a creare una situazione del genere, una contrapposizione così radicale tra sostenitori ed oppositori di quel progetto, una divisione manichea che non concepisce vie di mezzo e che appare in realtà quanto più lontano esista dalla saggezza. E pensare che a poche centinaia di chilometri di distanza, nelle Alpi svizzere, un progetto analogo e forse ancor più azzardato come quello della nuova galleria ferroviaria del San Gottardo (57 km!) , nato più o meno in contemporanea, si sta già avviando alle fasi conclusive. Il progetto noto come AlpTransit riceve il “via libera” da un referendum popolare, a livello federale, nel 1992 con quasi il 65% dei voti favorevoli e nel 1998 il Consiglio Federale elvetico ne ridimensiona una parte e lo sottopone a nuovo referendum che ne conferma l’approvazione; i lavori di scavo iniziano subito dopo e terminano nel 2011.
In quest’ottica, cosa è mancato in Val di Susa? Cosa si poteva fare di più e meglio? Le ragioni ed i torti stanno mai da una parte sola? A queste domande correrebbe l’obbligo di dare risposta, chi gestisce la cosa pubblica dovrebbe sentirne la necessità.
Tutto sommato viene voglia, per una volta, di dare ragione a Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione Comunista, quando dice che nella tanto vituperata “prima repubblica” tra il PCI e la Democrazia Cristiana almeno si riusciva a giungere quasi sempre ad un compromesso accettabile.
E scusate se è poco.