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Ci penso io al nuovo compromesso storico

postato il 24 Novembre 2011

Pubblichiamo da ‘Panorama’ l’intervista a Pier Ferdinando Casini
di Emanuela Fiorentino

Piero Gnudi, Paola Severino, Andrea Riccardi, Lorenzo Ornaghi. E poi ancora Corrado Clini, Roberto Balduzzi… Piace a Pier Ferdinando Casini un governo che qualcuno ha definito un monocolore Dc.
Non so se queste persone vengano dall’esperienza democristiana, ma certo il mondo cattolico svolge una funzione aggregante. In questi anni la Chiesa è stata una ricchezza per la nazione. Ma quando sento che c’è l’idea di rifare la Dc… La Dc è stata una casa troppo grande per farne una caricatura. Non voglio una simile Dc.

Perché un manager come Corrado Passera secondo lei ha deciso di lasciare un posto sicuro e uno stipendio strabiliante per fare il ministro? Che cosa ha in mente?
La politica è come quando ci si innamora di una donna, è una chiamata. Se uno deve spiegare perché è innamorato, magari di una donna brutta, non lo sa. Persone che hanno vissuto agiatezze economiche sentono una chiamata forte all’impegno pubblico; che le competenze concorrano a superare la crisi della politica è un fatto positivo.

E se Passera tra un anno e mezzo le rubasse la scena?
Me lo auguro, e questo vale per Passera e per tanti altri. Il politico che ha paura della concorrenza ha già perso.

Lei pensa che ministri e sottosegretari debbano dire apertamente che non si candideranno alle prossime elezioni?
Non mi piace questa autodifesa della politica. Le elezioni sono un evento democratico, perché escludere chi vuole entrare in campo? Noi politici dobbiamo proteggerci? Non mi piace… Faceva bene il presidente Mario Monti a volere i politici, ma in questo caso i partiti non li hanno voluti.

Passera, insieme con Riccardi e Ornaghi, ha partecipato al Forum di Todi. Possono essere loro il nocciolo duro del nuovo partito cattolico?
Loro e altri, che tutti si impegnino a spingere! Spingiamo e smettiamola di evocare demiurghi. [Continua a leggere]

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Germania, Usa e Cina hanno il fiato corto? Qualche preoccupazione nei mercati finanziari.

postato il 23 Novembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

In questi giorni le cronache finanziarie hanno presentato molte notizie negative che hanno riguardato tre economie che sembravano in piena ripresa: Stati Uniti, Germania e Cina. Ovviamente questo avrebbe ripercussioni sull’Italia e sui nostri risparmi.

Volendo riassumere, quali notizie hanno colpito i mercati?

Intanto, l’asta dei BUND a 10 anni, i titoli di stato tedeschi, è andata male tanto che hanno fatto registrare una quota di invenduto pari al 35% e rendimenti sottilissimi (1,98%), ed infatti la Bundesbank e’ stata costretta a intervenire per evitare esiti negativi clamorosi.

La cancelliera tedesca Angela Merkel ha sostenuto che è stato effetto solo del nervosismo dei mercati finanziari e probabilmente è vero, ma nulla vieta di ipotizzare che questo nervosismo sia legato ai problemi che potrebbe vivere a breve la Deutsche Bank, la più grande banca tedesca. Secondo un articolo di Simon Johnson apparso su Bloomberg, proprio la banca tedesca potrebbe essere il veicolo definitivo del contagio della crisi facendola. Cosa dice l’articolo, ripreso anche da Wall Street Italia? La Deutsche Bank presenta due rischi: da un lato possiede moltissimi titoli di stato altamente rischiosi, come quelli della Grecia, dall’altro lato è anche esposta in maniera rilevante al settore immobiliare statunitense. Eppure se si pensa alla Deutsche Bank, la gente pensa ad un colosso finanziario, in realtà si tratta di un gigante dai piedi di argilla: a fine settembre 2011 i suoi asset totalizzavano 2,28 trilioni di euro, ma aveva una capitalizzazione esigua (ovvero aveva poco capitale proprio rispetto a tutto il capitale detenuto e investito) inoltre in America è un fiduciario importante di mutui, tramite la Taunus, che però ha bisogno di circa 20 miliardi di dollari per soddisfare i requisiti patrimoniali richiesti dalle Authority americane. Per evitare questo esborso finanziario, hanno cercato di declassare lo status della sua filiale da banca a holding, ma nessuno sa come sia finita la vicenda. Fa anche pensare la posizione assunta da Paul Achleitner, direttore finanziario della compagnia assicurativa Allianz nonché ex dirigente di Goldman Sachs, che ha recentemente ammesso  di essere preoccupato per questa situazione.

Altra fonte di preoccupazione per i mercati è la Cina: l’indice Hsbc che misura l’andamento del settore manifatturiero cinese è sceso al di sotto del livello che demarca la recessione e questa notizia segue altre notizie di analoghi rischi per la Cina pubblicati nei giorni scorsi . Da mesi la congiuntura del Dragone deve fare i conti con una serie di fattori domestici e internazionali che rischia di rallentarne lo sviluppo: la politica monetaria restrittiva promossa dalla banca centrale negli ultimi 18 mesi; la profonda incertezza che grava sul settore immobiliare; il raffreddamento della domanda mondiale che penalizza l’export del made in China. Quest’ultimo fattore è sicuramente quello che preoccupa maggiormente Pechino perché sfugge al suo controllo, e perché lo stato di salute dell’economia cinese dipende dal quadro clinico del ciclo globale.

Ma quello che preoccupa davvero in Cina è il rischio contemporaneo di due bolle: quella immobilaire e quella finanziaria. Quella immobiliare è particolarmente grave perché il mattone offre lavoro alla manodopera non specializzata che ancora abbonda in Cina, contribuendo così a garantire l’ordine sociale. La bolla immobiliare cinese tende a gonfiarsi e a diventare cronica per la mancanza di alternative d’investimento: i “nuovi ricchi” non investono in borsa e si sono buttati sul mattone, ma oggi i cinesi benestanti si rendono conto che il loro investimento sta perdendo valore. Si prefigura una nuova ragione di attrito tra il governo e il blocco sociale che, arricchendosi alla sua ombra, l’ha finora sostenuto, tanto che ad ottobre una quarantina di proprietari hanno protestato presso la sede del gruppo immobiliare Greenland di Shanghai. Chi protestava ce l’aveva con la svalutazione delle proprie case (-28%) e con la svendita a minor prezzo di appartamenti uguali ai loro da parte della società. A questi rischi si aggiungono i moniti del FMI che recentemente ha messo in guardia la Cina su possibili “fragilità” del suo sistema finanziario, in quanto le banche cinesi, che sono abbastanza robuste da sostenere crisi isolate, non riuscirebbero a sostenere crisi composte derivate da sovraesposizione ai crediti, bolle immobiliari, valore della moneta.

Infine i problemi degli Usa, dove gli esperti dell’Università del Michigan e di Reuters hanno deciso di rivedere al ribasso l’indice sulla fiducia dei consumatori statunitensi del mese di novembre a 64,1 punti dai 64,2 della lettura preliminare. Il dato è inferiore alle attese degli analisti che si aspettavano una revisione al rialzo a 64,5 punti, mentre la spesa per consumi ha registrato una crescita dello 0,1% rispetto al mese precedente, inferiore dunque alle attese degli analisti (+0,3%). Da registrare anche la resa della super commissione bipartisan Usa, che doveva approvare i provvedimenti di rilancio dell’economia statunitense, ma che ha gettato la spugna perchè non ha trovato un accordo al suo interno.

 

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Lo Spread BTP – Bund e il CDS dell’Italia corrono: è un segnale che bisogna fare presto

postato il 9 Novembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Poco prima che la Grecia due anni fa svelasse i suoi conti disastrati, lo spread tra i titoli di Stato greci e il Bund tedesco era andato alle stelle e i tassi di interesse che pagava lo stato ellenico erano di poco superiori al 7%. Se prendiamo queste soglie come dei livelli di guardia, allora l’Italia deve approvare le misure anticrisi rapidamente e senza tentennamenti, perché lo spread tra il BTP e il Bund è andato ben oltre i 500 punti portando il rendimento reale dei titoli di Stato italiani ben al di sopra del 7%, soglia oltre la quale paesi come Grecia, Spagna, Portogallo hanno dovuto ricorrere agli aiuti economici dell’UE.

Intendiamoci: è difficile dire se per l’Italia possa valere lo stesso discorso, anche alla luce del fatto che la stessa Banca d’Italia nei giorni scorsi ha segnalato che tassi all’8% sarebbero sostenibili per i conti italiani, ma è anche vero che questa situazione non può essere mantenuta per lungo tempo.

Che il tempo sia poco ce lo dice soprattutto un altro indicatore, ovvero i Credit Default Swap, in sigla CDS. Perché questi strumenti finanziari sono un indicatore più importante dello spread tra BTP e Bund?

Perché i CDS sono strumenti finanziari utilizzati dagli investitori istituzionali (ovvero grosse banche, grossi fondi di investimento e in generale operatori con molta liquidità che utilizzano analisi e previsioni molto accurate) per proteggersi dal rischio di fallimento. In pratica, supponiamo che un grosso investitore compri titoli di stato italiani, e, volendosi coprirsi dal rischio di fallimento, compri i CDS. Se il rischio di fallimento è alto, chi assicura il rischio vorrà essere pagato di più. In pratica più alto è il rischio di fallimento, più bisogna pagare per assicurarsi contro il rischio di perdere i soldi in seguito al fallimento, proprio per questo gli specialisti seguono l’andamento dei CDS: se questi aumentano di valore, significa che il paese (nel nostro caso l’Italia) aumenta il rischio di dovere dichiarare bancarotta.

Siccomei CDS sono trattati esclusivamente da operatori altamente professionali, diventa logico aspettarsi che se questi aumentano di valore è perché le analisi di tutti questi operatori sono concordi nel ritenere che le probabilità di fallimento siano in deciso aumento.

Per quanto detto sopra, e considerando che in questi due giorni di incertezza politica, sia lo spread che il valore dei CDS è schizzato verso l’alto, diventa logico augurarsi che le misure anticrisi vengano approvate il prima possibile, perché quello che danneggia davvero i mercati, come abbiamo affermato più volte, è l’incertezza (perché in presenza di incertezza il mercato tenderà a scegliere sempre l’ipotesi peggiore).

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Rassegna stampa, 4 novembre ’11

postato il 4 Novembre 2011
Rassegna stampa ricchissima oggi. Sul Corriere trovate un’intervista, centrale, di Pier Ferdinando Casini sui movimenti di questi giorni: ancora una volta, il nostro leader torna a sottolineare la necessità di costituire un governo di larghe intese in Parlamento, perché qui non c’è «un partito del ribaltone, ma una parte sempre più ampia della politica che ha la consapevolezza che sono necessarie ricette impopolari e che questa sfida non può essere affrontata con un governo del 51%. È una questione immensa, che coinvolge anche l’identità e le prospettive del Pdl» che, se vuole sopravvivere, farebbe bene a prendere – una volta per tutte – delle decisioni serie. Certo, è più facile – così come ha fatto il segretario Alfano – prendersela con noi dell’Udc, colpevoli di voler lanciare un’opa sul Pdl: caro segretario, non ti sei accorto che – ammesso che quest’Opa esista – tutti i nostri ragionamenti sul Pdl e sul centrodestra non sono cambiati di una virgola dal 2008 ad oggi? Abbiamo sempre sostenuto che una coalizione come questa, legata esclusivamente alla sopravvivenza del proprio leader, non sarebbe stata in grado di fare strada e i fatti ora ci danno ragione: come giustamente ha ricordato Casini, «non ha senso contendersi la guida di una nave che sta andando a sbattere contro gli scogli. Il primo problema mio, di Alfano, di Bersani, se vogliamo avere prospettive, è salvare l’Italia; ciascuno facendo un passo indietro, se necessario, ma dando una disponibilità a salvare il Paese». Perché – ed è un concetto centrale, da sottoscrivere e rilanciare con forza – in questo momento serve una grande assunzione di responsabilità collettiva, non una ricerca di garanzie di interessi particolari: «ci sono posti per cui non ci si candida; ci si va, se si è chiamati». Ed è quello che i piani alti del Pdl proprio non riescono a capire: ecco perché reagiscono in malo modo alla notizia del passaggio di due loro deputati nelle nostre fila (sono Bonciani e D’Ippolito, trovate le ragioni della loro scelta sul Corriere e sul Messaggero); Massimo Franco, a tal proposito, tenta un’analisi sul Corriere e spiega come l’erosione del Pdl sia ormai un fatto certo e tangibile, ma come l’esito della crisi sia tutt’altro che scontato: martedì prossimo, alla Camera si voterà per l’approvazione del rendiconto generale dello Stato e sono in molti a scommettere che possa essere l’occasione per il “default del governo”. C’è un’altra intervista da abbinare alla lettura di quella a Casini, ed è quella rilasciata da Massimo D’Alema a Carlo Fusi, sul Messaggero: per il Presidente del Copasir, l’unica soluzione per uscire dall’emergenza è proprio il battesimo di un governo tecnico, guidato da una personalità di spicco (il nome, manco a dirlo, è sempre quello di Mario Monti) – se, però, il centrodestra dovesse preferire andare avanti in questo stato, le elezioni a gennaio resterebbero l’unica via d’uscita. Il dopo-Silvio, tanto desiderato e tanto evocato, sembra essere finalmente giunto e noi vi offriamo una serie di commenti per cercare di capire cosa ci aspetta al di là del varco: Antonio Polito, sul Corriere, lo definisce “una terra sconosciuta”, visto che – se è vero che dobbiamo lasciarci alle spalle il “deserto” – è pur vero che almeno per ora stiamo camminando al buio; e mentre Francesco Clementi sul Sole ragiona sulla fattibilità di un governo tecnico, Giuliano Ferrara, sul Foglio, decreta l’insufficienza di Berlusconi nel gestire la Crisi e chiede che si torni al voto, “naturalmente”.

Pier Ferdinando Casini detta la linea

Casini: «Governo di larghe intese, il Pdl dica sì o si dissolverà» (Aldo Cazzullo, Corriere della Sera)

Il Pdl si sfalda. Le voci del dissenso.

Terremoto nel Pdl, scatta il fuggi fuggi. Berlusconi non ha più la maggioranza (Silvio Buzzanca, la Repubblica)

Bonciani – Ho creduto nel premier, ma il progetto è fallito. Ora grande coalizione (Alessio Bonciani, Corriere della Sera)

D’Ippolito: «Via dopo 17 anni. Sono calabrese e quindi coraggiosa» (Corriere della Sera)

Vizzini: “Non appoggio più Silvio, serve una nuova coalizione” (Emanuele Lauria, la Repubblica)

Franco – L’erosione del Pdl avvicina la crisi. Però l’esito è incerto (Massimo Franco, Corriere della Sera )

Il ruolo cruciale dell’Udc

I centristi-calamita. La regia dello strappo è di Cirino Pomicino (Fabio Martini, La Stampa)

La carta coperta dei centristi e del Pd (Alberto Gentili, il Messaggero)

Evviva, moriremo democristiani (Denise Pardo, L’Espresso)

Deputati migranti in fila verso l’Udc (Ettore Maria Colombo, il Riformista)

E dopo Silvio?

Una terra sconosciuta (Antonio Polito, Corriere della Sera)

Governo tecnico? Serve maggioranza ampia (Francesco Clementi, il Sole 24 Ore)

Le elezioni subito, naturalmente (Giuliano Ferrara, il Foglio)

D’Alema: «Il tempo sta scadendo, subito un governo d’emergenza» (Carlo Fusi, il Messaggero)

Non solo crisi. Idee per la ripresa.

Banche per la cultura e il Paese (Giovanni Bazoli, il Sole 24 Ore)

Manuale anti-panico – Come sconfiggere i fantasmi della crisi (Dino Pesole, il Sole 24 Ore)

Elogio dell’ortodossia monetaria illuminata di Draghi (Francesco Forte, il Foglio)

Davvero il decreto sviluppo rilancia le infrastrutture? (Marco Nicolai, MF)

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Cosa significa avere un alto tasso di interesse ed andare in default?

postato il 3 Novembre 2011

di Mario Pezzati

Aprendo un giornale e ascoltando i telegiornali si viene assaliti da concetti astratti, ma che impattano profondamente con la realtà di ogni giorno: il default di uno Stato e il tasso di interesse sui titoli dello stesso. Cerchiamo di trovare delle spiegazioni a questi termini, in maniera molto semplice.

Essenzialmente il default, come avevamo detto in precedenza è il termine per indicare il fallimento di un debitore, nel caso in questione il debitore è una nazione. Cosa significa per il cittadino se la propria nazione dichiara fallimento? Essenzialmente significa che lo Stato non può rimborsare i prestiti contratti, quindi anche i cittadini che hanno investito in titoli di stato vedono una perdita secca dei loro investimenti, inoltre lo Stato non avrebbe soldi per pagare stipendi, pensioni e i servizi sociali (pensiamo alla sanità pubblica). Proprio per questo motivo, il default di uno Stato è un evento traumatico per la sua popolazione, e quindi a maggior ragione il governo si deve impegnare per evitarlo.

L’altro termine, ovvero “tasso di interesse sui titoli di Stato” è abbastanza intuibile come significato, ma nel concreto, cosa significa per il cittadino se la nazione paga alti tassi di interesse?

Potrebbe sembrare una cosa buona: io compro titoli di stato e ottengo un interesse alto, ma a ben vedere non è così. Intanto più alti sono gli interessi, maggiore è la spesa pubblica, perché maggiore è la quantità di denaro necessario per pagare gli interessi da parte dello Stato, infatti è stato calcolato che un aumento dell’1% del tasso di interesse significa per l’Italia un aumento di spesa per interessi pari allo 0,2% del PIL il primo anno, dello 0,4 il secondo anno e dello 0,5 il terzo anno, rispetto agli stati più “sicuri” (come la Germania); se si manterrà una differenza del 4%, come è ora, per lo stato italiano si parlerebbe di una spesa aggiuntiva di circa 100 miliardi di euro di interessi. Inoltre, alti tassi di interesse implicano per le banche, le imprese e le famiglie, maggiori difficoltà nel reperire i fondi necessari; in altre parole una famiglia pagherà di più come interessi per avere un prestito, ma anche le imprese pagheranno di più (questa estate i prestiti alle imprese erano saliti ad un tasso di interesse del 9%).

Perché questo meccanismo? Sostanzialmente le banche per rifornirsi di capitale hanno due strade: i depositi bancari, e rivolgersi al mercato (tra cui anche alle banche centrali) che chiederà un certo interesse per il denaro prestato alle banche, che in pratica fungono da veicolo di passaggio tra questa massa monetaria raccolta sul mercato e le famiglie e le imprese che chiedono soldi. Chiaramente, maggiore è il tasso di interesse pagato dalle banche al mercato, maggiore è il tasso di interesse che le banche chiedono ai loro clienti. Il tasso di interesse richiesto dal mercato dipende dai tassi pagati dai titoli di stato e dalla solidità del sistema bancario nazionale, che, nel caso dell’Italia, è messo sotto pressione proprio dalla difficile situazione dei conti pubblici italiani.

Da quanto detto, è chiaro a tutti che bisogna evitare non solo il default dell’Italia, ma anche che i tassi di interesse crescano ancora andando ad appesantire ulteriormente i bilanci di famiglie e imprese.

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Giovani, se la rivoluzione non basta

postato il 1 Novembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Rocco Gumina

I giovani come vogliono prospettare il loro futuro con il rinnovamento o con la rivoluzione? La differenza sta tutta qui. Tale quesito, a parer mio, nasce spontaneo al vedere, sentire e leggere quello che i giovani, o meglio alcuni di loro, fanno e non fanno in questo preciso frangente storico che si chiama crisi di tipo economico, sociale, per alcuni spirituale, per altri etico, di certo antropologico. Abbiamo visto nelle settimane scorse a Roma una manifestazione pacifica, condivisibile o meno, organizzata da giovani che chiedono il rinnovamento, cioè il rinforzare, il ridire, il ripensare la nostra realtà, la nostra società con quello che di buono ancora c’è insieme a qualcosa di veramente nuovo che può uscire da un impegno reale sulle cose che già però esistono, trasformarsi in un vero è proprio campo di battaglia che ha devastato diversi quartieri di Roma causando danni per milioni di euro. Oggi tanti, troppi giovani sono nella terra di nessuno, con la possibilità di essere fagocitati e incanalati in circuiti che vogliono sì il cambiamento, ma passando per la distruzione di quello che esiste, buono o meno buono. Certamente questa non è la soluzione: sfasciare le banche, le macchine, i ristoranti, aggredire la polizia e i carabinieri, tirare le bombe carta non sono i migliori rimedi per uscire dalla situazione di fermo dell’Italia e dell’Europa. Quello che come giovani siamo interpellati a fare è qualcosa di più faticoso e impegnativo dello ricercare lo scontro e il distruggere: noi infatti siamo chiamati a costruire, a innestare nel nostro tempo, nel nostro spazio, nelle nostre “cose” semi di rilancio, di riforma, di riscossa con il pensiero, con il saper scorgere l’avvenire che sta dinanzi a noi, formulando nuove vie su sentieri che già esistono e che per molti anni hanno permesso al nostro popolo di essere fra i “grandi” della terra. L’Italia c’è la può fare, c’è la deve fare con noi e per noi. Non si tratta di fare qualcosa per l’immediato e il medio termine, ma si tratta soprattutto in termini politici di un’opera di rinnovamento che colpisca e cambi quasi “ontologicamente” il circuito al quale da mesi, se non da anni, siamo abituati per potere affacciarci con sicurezza al futuro. Ciò è possibile prendendo le cose “vecchie” per trasformale, non distruggerle, in “nuove”. Il cambiamento passa per il rinnovamento e non per la rivoluzione: abbiamo abbastanza coraggio, forza, tempo, dedizione, progetto per fare tutto questo?

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Contro chi dovrebbero manifestare gli indignati

postato il 18 Ottobre 2011

di Marco Bigelli, Professore di Corporate Finance (Università di Bologna)

Gli indignati non dovrebbero prendersela con Draghi perché in realtà è il loro migliore amico. Il futuro dei giovani dipende infatti dalle capacità di crescita del paese, e queste sono legate alle riforme che Draghi ha sempre indicato per liberalizzare l’economia, renderla più competiti va e più meritocratica.

Non dovrebbero prendersela neanche con le banche italiane perché non hanno colpe per la crisi finanziaria attuale, che è un’evoluzione della crisi subprime nata oltreoceano e ora diventata crisi dei debiti sovrani europei a causa dell’esplosione del debito di alcuni paesi per il salvataggio delle banche e della riduzione del PIL a seguito della recessione economica.

Il debito italiano non è esploso perché non è stato necessario salvare alcuna banca, è solo sceso il PIL. Ora però anche il nostro debito è a rischio perché il mercato pensa che non riusciremo mai ad abbatterlo grazie a una robusta crescita, come invece dovremmo per il nuovo patto di stabilità europeo (secondo cui dovrebbe scendere dal 120% al 60% in 20 anni).

Fra poco potrebbe arrivare il default della Grecia e allora si dovranno salvare altre banche in Europa con ulteriore crescita del debito pubblico di alcuni paesi. Le banche italiane saranno a rischio solo se anche il debito pubblico italiano diventerà più rischioso e scenderà ulteriormente di valore, essendo molto presente nei loro bilanci.

Se i giovani indignati vogliono un futuro devono sperare che le banche italiane vadano bene e che l’Italia riconquisti la fiducia dei mercati sul suo debito pubblico. Per questo obiettivo il tempo rimasto è poco. Ogni mese che passa il debito in scadenza viene rinnovato a tassi più alti del 3-4%. Se non si riconquisterà la fiducia in fretta, si dovranno fare manovre solo per pagare il maggiore livello dei tassi di interesse, e ad ogni manovra diminuiranno le aspettative economiche future delle giovani generazioni.

In Italia gli indignati dovrebbero prendersela con chi nel paese ha generato una montagna di debito pubblico e ha soffocato la sua crescita: la criminalità organizzata, gli evasori fiscali, i pensionati baby, i finti pensionati di invalidità, i raccomandati, i politici corrotti, gli amministratori pubblici che hanno sperperato il denaro pubblico ed altri.

In conclusione, non dovrebbero andare a manifestare a Roma, o a New York ma ogniqualvolta si imbattono in uno dei soggetti che gli sta rubando il futuro.

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Rassegna stampa, 22 settembre 2011

postato il 22 Settembre 2011
Le cose vanno sempre peggio. Il giudizio senza appello delle agenzie di rating (atteso a lungo, ma non per questo indolore), in primis di quello di Standar&Poors ha colpito duramente il nostro sistema e la nostra credibilità economico-politico: il declassamento del nostro debito prima e ora di 7 delle nostre principali banche, rappresenta una bocciatura dura della politica economica del governo e in generale, però, anche del nostro sistema Paese. S&P, infatti, sostiene che l’Italia rischia di non superare la crisi a causa della propria incapacità di affrontare i problemi con la forza necessaria, liberandosi in primis dei vincoli e dai legacci del passato: all’estero appariamo come un Paese vittima di caste chiuse, di lobby tecnocratiche, di forze sindacali vetero-ottocentesche. Ora capite perché servono le famose riforme strutturali che andiamo predicando da tempo?

Twitt (Il Riformista)

Standard&Poor’s boccia sette banche italiane (Fabrizio Massaro, Corriere)

Onorevoli a 18 anni e senatori a 25. Dalla Camera arriva il primo sì bipartisan (Il Giornale)

La rete bianca che piace a Luchino (Giovanni Cocconi, Europa)

Abbiamo fede, stiamo tornando (Riccardo Paradisi, Liberal)

Rilancio, cambio in corsa o candidatura di Alfano. Le tre carte (coperte) (Francesco Verderami, Corriere della Sera)

«Via il Cavaliere o ci scappa il morto» (Giovanni Grasso, Avvenire)

Bossi: Milanese? Noi non vogliamo far cadere il Governo (Iva Garibaldi, La Padania)

Franco – Un pericoloso isolamento (Massimo Franco, Corriere della Sera)

Così l’Italia spreca il tesoro di Internet (Riccardo Luna, La Repubblica)

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Governo irresponsabile, dietro l’angolo c’è la Grecia

postato il 16 Settembre 2011

L’opposizione ha mostrato grande amore per l’Italia

Ci vuole più amore e rispetto per l’Italia. Sfido chi conosce i fatti degli uomini della politica e del mondo a cercare un altro Paese dove in pochi giorni l’opposizione ha consentito di fare una manovra che non condivideva, rinunciando alle sue legittime rivendicazioni. Questa opposizione ha mostrato grande amore per l’Italia e gli italiani. Qui l’unica cosa irresponsabile e’ l’atteggiamento della maggioranza. Se c’è chi ritiene che le cose vadano bene il governo andrà avanti perché ha la maggioranza siamo all’irresponsabilità perché dietro l’angolo c’e’ la Grecia.
Quando la maggioranza non ascolta e non fa un doppio passo indietro, si assume la responsabilità di andare avanti su un percorso che prego non sia accidentato per il nostro Paese, ma lo temo.

Pier Ferdinando [Continua a leggere]

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L’intervento alla convention di Chianciano

postato il 13 Settembre 2011

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