Lo spettacolo televisivo del dolore

Merenza davanti alla tv, di Family hotels Finale LigurePer chi nell’ultimo mese non avesse seguito la tragica storia di Sarah (difficile, vista la quantità di parole spese in tv e nei giornali) ricordo qual è stato l’altrettanto tragico epilogo: mercoledì 6 ottobre durante la puntata serale di “Chi l’ha visto?”, la madre di Sarah scopre in diretta che è stato ritrovato il corpo della ragazza e che lo zio è in qualche modo coinvolto, visto che le ricerche si sono focalizzate in un unico punto solo dopo il lungo interrogatorio di Michele, cognato della madre Concetta. Non solo: Sabrina, cugina di Sarah e figlia di Michele, scopre in diretta che suo padre (suo padre!) è l’artefice del fatto orribile che ha sconvolto l’intera famiglia. Inoltre, la verità è stata svelata contemporaneamente a 3.680.000 italiani, che, avidi di sapere, hanno seguito fino all’ultimo minuto la puntata.

Inevitabilmente, è scoppiata la polemica: come avrebbe dovuto agire Federica Sciarelli, conduttrice del programma? Perché nessuno ha impedito che una notizia così sconvolgente venisse data da un’estranea e di fronte a milioni di spettatori, violando l’intimità e il raccoglimento della famiglia attorno al dolore provocato da questa scoperta?

Prima di azzardare una risposta, ritengo necessaria una riflessione. Spesso mi capita di chiedermi, come mai “Fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce”? Perché ci colpiscono di più le cattive notizie piuttosto che quelle positive? Come mai la nostra empatia sembra attivarsi di più se assistiamo a situazioni di sofferenza invece che di felicità? Perfino la scienza sembra non offrirci via di scampo annoverando, fra le emozioni classificate primarie (tristezza, collera, paura, disgusto, sorpresa e gioia), più emozioni negative che positive.

Istintivamente siamo portati ad indagare, ad informarci, come per valutare quale sia il grado di sofferenza dei diretti interessati. “Dobbiamo” sentire il pianto straziante di Sabrina e vedere il volto impietrito della madre. Oppure, quando veniamo a sapere delle morte di una persona, subito chiediamo se questa aveva famigliari, figli, se era sposata… come se volessimo sapere qual è il vuoto che si porta dietro, quanta sofferenza provoca la sua scomparsa: ci concentriamo sul dolore. Ma perché, mi chiedo, sentiamo questo bisogno di conoscere tutti i particolari, di immergerci nella sofferenza del dramma che ci viene presentato? È per semplice “partecipazione empatica”? per curiosità? O c’è dell’altro?

E quando riusciamo a percepire la gravità di ciò che è successo, o pensiamo di esserci riusciti, ci sentiamo responsabili di gridare quanto il mondo sia ingiusto e quanto disgusti tutto il male che esisite. Ci sentiamo in dovere di indigniarci e, cinicamente, di perdere le speranze in questa umanità capace di compiere atti orribili. Noi invece abbiamo la possibilità di sentirci migliori, noi non faremmo mai niente del genere, anzi… e ci ritroviamo a riproporre la pena di morte come giusto prezzo da pagare, come se uccidendo un’altra vita riuscissimo a mettere fine al ciclo di morti e di omicidi. E troviamo anche un “macabro” conforto nel constatare che non siamo soli nella sofferenza di tutti i giorni, del tipo: c’è chi sta peggio!

Ma che ruolo hanno i media in tutto questo? Semplice. Questa “macchina dell’informazione” ha capito di poter giocare su quanto appena scritto, di poter far leva sui sentimenti degli “spettatori” amplificando le nostre paure, il nostro disgusto, la nostra partecipazione al dolore altrui, sfruttando tutto ciò per aumentare gli ascolti, le vendite (per fortuna questo rappresenta solo una parte del giornalismo). Ma, usando le parole di Aldo Grasso in occasione dei vent’anni da Vermicino (caso che ricorda quanto successo in tv la sera del 6 ottobre), “E’ opportuno immettere in un circuito incontrollabile immagini che invocano solo la pietà? Una cosa è soffrire, un’altra vivere con le immagini della sofferenza, che non rafforzano necessariamente la coscienza o la capacità di avere compassione. Possono anche corromperle”. Infatti, l’effetto che questo fenomeno produce, è l’abituare la persone al male. La compassione, l’empatia, la sensibilità vengono anestetizzate. Una persona abituata al dolore e alla sofferenza alza una barriera nel suo cuore: per un istinto di autoconservazione, un meccanismo di difesa, si rende passivo di fronte al dolore, fugge in ogni modo al contatto diretto con esso. Seguendo un tg veniamo bombardati da notizie di cronaca negative ad una così alta velocità che la nostra mente non ha il tempo meteriale di elaborare l’accaduto e di rendersi pienamente conto della sua gravità. Abituarsi al peggio, non è mai un bene, ci impedisce di stupirci di fronte ad eventi più grandi di noi, ci rende passivi e inerti di fronte alla realtà.

Dunque, forse la giornalista avrebbe dovuto interrompere subito il collegamento invece di limitarsi a chiedere alla madre se voleva farlo, una madre che per sapere le ultime novità riguardanti le sorti di sua figlia era costretta a dipendere dai giornali e dalla tv. Non si sarebbe dovuto insistere nel continuare a leggere notizie non confermate, non si sarebbe dovuto insistere nel puntare le telecamera su questa famiglia che si è vista costretta a frantumare l’ultimo briciolo di speranza davanti a milioni di persone, non si sarebbe dovuto insistere nel chiedere a Sabrina di mostrarsi alla telecamera per spiegare quanto sapeva e nel mandare in onda il suo pianto alla scoperta della verità.

Ma le colpe non sono da attribuire solo a Federica Sciarelli, perché è l’intero sistema che sotto questo aspetto non funziona: saper distinguere e separare ciò che è lavoro da ciò che è buonsenso, ciò che è scoop da ciò che è una tragica verità, ciò che è curiosità da ciò che è rispetto, ciò che è spettacolo da ciò che è realtà. “Bisogna smetterla di parlare della normalità del male, qui siamo di fronte al male della normalità” (Aldo Grasso).

“Riceviamo e pubblichiamo” di Chiara Cudini

3 Commenti
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Mauro Annunziata
13 anni fa

Ottimo articolo che condivido a pieno!

Mimmo da Ardore
Mimmo da Ardore
13 anni fa

Complimenti Chiara!
Hai inciso il pensiero di molti italiani che da tempo si chiedono perché in TV si punta su telenovele del dolore piuttosto che su piaceri della vita, su polemiche e litigi politici piuttosto che sull’esposizione dei fatti concreti di ciò che si è fatto e di ciò che si potrebbe fare.

Chiara Cudini
Chiara Cudini
13 anni fa

Mi fa piacere condividiate ciò che penso, grazie dell’apprezzamento!



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