postato il 1 Dicembre 2015 | in "Esteri"

«L’Isis si avvicina troppo all’Italia. È un’atomica alle nostre porte»

Aumenta il rischio di infiltrazioni terroristiche tra i rifugiati
Pier Ferdinando CasiniL’intervista di Luca Bolognini a Pier Ferdinando Casini pubblicata su QN

«Per l’Italia il trasferimento in Libia del Califfato sarebbe come avere una bomba atomica innescata a pochi chilometri da casa». Per Pier Ferdinando Casini, presidente della Commissione Esteri del Senato e docente di Geopolitica del Mediterraneo all’università Lumsa di Roma, il rischio che lo Stato Islamico si sposti da Siria e Iraq per stabilirsi nel Nord Africa è concreto. «Ci sono segnali che vanno in questo senso. La concezione statuale dell’Isis non si basa sul territorio, ma su dove si trovano i suoi adepti. La Libia è un territorio vergine. Cosa c’è di meglio che ripararsi in una realtà così ospitale, dove non esiste uno Stato e non ci sono pressioni internazionali?»

Per il nostro Paese quali sarebbero i pericoli?
«I rischi sarebbero enormi: saremmo esposti alla criminalità più minacciosa. Nessun terrorista dell’Isis, se decidesse di raggiungere l’Italia, arriverebbe sui barconi, ma il pericolo di infiltrazioni c’è. Una Libia stabile è quello per cui stiamo lavorando in queste ore».

Cosa state facendo?
«Il nuovo inviato dell’Onu in Libia, il tedesco Martin Kobler, deve chiudere il lavoro di Leon a far sì che prima di Natale si insedi un governo, che deve materialmente esercitare il potere da Tripoli. E anche per questo che la nostra diplomazia sta pensando di organizzare una conferenza internazionale a Roma per dare il via libera al nuovo esecutivo».

Sono anni che si parla di un accordo tra Tripoli e Tobruk.
«Per questo l’Onu farebbe bene a sanzionare chi si mette di traverso e vuole solo spianare la strada ai jihadismo. Queste persone andrebbero messe al bando dalla comunità internazionale. Parti dei parlamenti dei due governi subiscono i ricatti di leader estremisti».

In luglio quattro tecnici italiani sono stati rapiti in Libia. Cosa può comportare per loro l’avanzata dello Stato islamico?
«Il Paese è devastato da decine di bande diverse e milizie locali. Alcuni di questi gruppi non cercano di affiliarsi all’Isis, ma ad Al Qaeda nel Maghreb islamico. Per cui bisognerebbe prima sapere dove si trovano i nostri connazionali».

E l’Eni?
«Per ora non ha avuto problemi. E l’ufficiale pagatore delle banche centrali di Tobruk e Tripoli e per questo è rimasta fuori dal caos. E un motivo di speranza, anche se non è risolutivo».

Il Califfato in questi anni ha approfittato degli screzi tra i due governi per guadagnare terreno. Quali errori ha commesso l’Occidente?
«In Libia c’è una guerra per procura. Tobruk è sostenuta da Egitto e Arabia Saudita, mentre Tripoli ha alle spalle Qatar e Turchia. Questi Paesi hanno obiettivi diversi e intanto l’instabilità è aumentata. Sono cresciuti i profughi perché il Centro Africa è infestato da diversi gruppi jihadisti che spingono su Ciad e Mali. Il corridoio che da questi Stati porta all’Europa passa per la Libia. Abbiamo bisogno di restituire a Tripoli un minino stabilità per stringere accordi efficaci. Tutto questo richiede uno sforzo da parte della comunità internazionale e l’Italia deve essere in prima fila».

Cosa non è stato fatto per fermare l’avanzata dell’isis?
«Con i radar oggi si vede tutto. Ci sono migliaia di autobotti di petrolio che provengono dal Califfato e che non hanno subito alcun bombardamento. Più di 250 pozzi di petrolio sono nelle zone occupate dallo Stato Islamico, ma non hanno subito danni. A questi si aggiunti il traffico di reperti archeologici e di droga. Dobbiamo stroncare queste fonti di finanziamento se vogliamo fermare i jihadisti. I raid finora sono stati inefficaci o puramente simbolici».

Anche in Italia sono stati arrestati affiliati all’Isis e ci sono state diverse espulsioni. Per evitare attentati come quelli di Parigi nel nostro Paese si dovrebbero permettere interrogatori con metodi più severi del normale?
«No, bisogna usare metodi democratici. L’imbarbarimento sarebbe solo un grosso favore all’Isis. Ma bisogna anche essere inflessibili. Le regole vanno rispettate: ci deve essere una linea di tolleranza zero. Alzare la soglia non serve a nulla».



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