Stop divisioni, Santa Alleanza con russi e arabi contro il terrore
L’Italia rafforzi il ruolo Ue. Missione solo su richiesta di Tripoli
L’intervista di di Nando Santonastaso a Pier Ferdinando Casini pubblicata su Il Mattino
Niente isterismi, vietato cedere al terrorismo. Ma, avverte Pierferdinando Casini, presidente della Commissione Esteri del Senato, «è arrivato il momento di costruire una vera e propria Santa Alleanza contro le forze del male che veda insieme l’Europa, la Russia, gli Stati Uniti e anche quei Paesi arabi che dopo avere giocato con l’Isis (e forse anche finanziato) si sono resi conto che è il Califfato la vera minaccia ai loro equilibri».
L’uccisione dei due ostaggi italiani può accelerare questo processo, a partire dalla definizione di regole certe per la coalizione da impiegare in Libia?
«Intanto quanto accaduto a Sabrata dimostra che era un’illusione pensare che l’Italia fosse fuori da questa sorta di cataclisma generale. Non è così e bisogna alzare la guardia tenendo ben presente che facciamo parte a pieno titolo della comunità europea e che siamo sempre una delle prime otto potenze del mondo».
Vuol dire che l’Italia non ne è consapevole fino in fondo?
«Voglio dire che se si rivendica a più riprese il ruolo di Paese leader della coalizione internazionale per la pace in Libia, bisogna poi assumere responsabilità più forti e conseguenti. Gli aerei, per essere chiari, non li possono mettere solo gli altri».
Lei pensa anche alla presenza di forze di terra italiane? Con quali compiti?
«Intanto io penso che l’Italia debba evitare gli errori che sono stati commessi per abbattere il regime di Gheddafi. Per carità, c’erano le migliori intenzioni anche allora per liberare un Paese dalla dittatura ma la storia conferma che di buone intenzioni sono spesso lastricate le strade dell’inferno».
Fuor di metafora?
«George W. Bush non cedette agli appelli dei suoi connazionali che volevano le truppe Usa arrivare a Baghdad dopo avere liberato il Kuwait. Sapeva a quali rischi avrebbe esposto il suo Paese. Il figlio non ebbe lo stesso sangue freddo. E lo stesso è accaduto con l’operazione franco-inglese contro Gheddafi. Quegli errori non si devono più ripetere».
Ma la Libia oggi è tutto fuorché un Paese dall’assetto politico-istituzionale chiaro e solido: con chi dovrebbe schierarsi oggi l’Italia e la coalizione che dovrebbe guidare?
«Che sia un Paese allo sbando è fuori discussione. La tragica vicenda dei nostri connazionali uccisi da una delle milizie impegnate in questa assurda guerra interna lo dimostra. Oltre tutto il loro assassinio smentisce in maniera crudele il qualunquismo di quelli che parlano di tecnici superpagati per andare a lavorare in quei posti: ecco la verità, due vite spezzate e tante altre in pericolo. Per questo l’impegno italiano e della coalizione internazionale deve avvenire su basi certe: è il governo libico che deve chiedere questo intervento, altro che pericoli di nuovi colonialismi».
Ma di quale Libia stiamo parlando? Quando il governo riconosciuto dall’Onu sarà il governo dell’intero Paese?
«È il punto centrale. Il governo di Tripoli dev’essere riconosciuto al più presto anche da Tobruk dove pure esiste una maggioranza in Parlamento favorevole. Non possiamo attendere all’infinito che questa pronuncia si manifesti. Bisogna porre un limite. Purtroppo sappiamo che anche fisicamente questa decisione viene di fatto impedita. Ci sono a mio giudizio responsabilità precise del plenipotenziario dell’Egitto in Libia, il generale Aftar».
L’Egitto ha responsabilità non solo per il caso Regeni, insomma?
«Esatto. L’Egitto ostacola l’insediamento del nuovo governo riconosciuto dall’Onu ignorando anche in questo caso le pressioni della comunità internazionale e in particolare dell’Italia che ha pagato e continua a pagare un prezzo altissimo al caos libico: basti pensare all’afflusso ininterrotto sulle nostre coste di migranti e rifugiati provenienti da quel Paese. Certo, anche l’atteggiamento egiziano sul caso Regeni purtroppo è contraddittorio: notizie a rate, spesso contraddittorie, evidente la volontà di non collaborare alla ricerca della verità. Da un Paese amico con il quale abbiamo un fortissimo scambio commerciale non ce l’aspettavamo».
Torniamo all’eventualità dell’impiego di forze di terra dall’Italia.
«Le modalità di questa decisione verranno definite nelle sedi opportune ma una volta che il governo libico legittimamente riconosciuto dalla comunità internazionale si sarà insediato, e non vedo altra città se non a Tripoli, è evidente che bisognerà garantirgli la necessaria protezione. Quindi anche con forze di terra. L’importante è che la coalizione sia compatta e non si proceda in ordine sparso come sta accadendo per l’accoglienza dei rifugiati in Europa. Se a parole siamo tutti per l’abolizione delle frontiere e poi l’Ungheria alza i muri lungo i suoi confini è evidente che c’è qualcosa che non va».
Intanto nessun Consiglio europeo sembra riuscire a riportare unità nell’Ue, anzi aumenta il numero dei Paesi che sul fronte migranti fanno da sé.
«Vero ma rinunciare a Schengen vuol dire far morire l’Europa. Italia, Francia e Germania, i Paesi più importanti dell’Ue, devono procedere insieme perchè è in gioco il futuro stesso della Comunità europea».
Il governo Renzi per la verità ha aperto un fronte dialettico molto forte con le istituzioni comunitarie…
«Io credo che un governo forte come quello guidato d Matteo Renzi debba piuttosto favorire la stabilizzazione dell’Ue. Lo ripeto, senza Europa non ci sarà alcuna risposta ai nostri problemi. Naturalmente questo non vuol dire negare le responsabilità dell’Unione in materia geopolitica».
A cosa si riferisce esattamente?
«Al fatto che per troppi anni si è pensato al problema dei migranti e dei rifugiati politici come ad un problema che riguardasse solo l’Italia. L’Europa non ha capito che il centro delle questioni da affrontare era e rimane il Mediterraneo: ha preferito concentrare la politica di buon vicinato con l’Ucraina e la Georgia, peraltro con risultati non proprio eccezionali e ignorare che il Mediterraneo è il crocevia della sicurezza e della stabilizzazione anche dell’Unione. Solo da poco quest’atteggiamento sta iniziando a cambiare ma la strada non sarà breve»