«L’Isis in Iraq non si batte con le bandiere della pace»
«Su eventuali raid l’Italia deciderà con gli alleati in sede Nato. Ha ragione Renzi, serve una strategia globale»
L’intervista di Umberto De Giovannangeli a Pier Ferdinando Casini pubblicata su L’Unità
«Nessun mistero, nessuno scavalco del Parlamento. Ma se qualcuno pensa che la politica del nostro governo e della maggioranza del Parlamento, sia quella di combattere l’Isis sventolando le bandiere della pace, è un irresponsabile e nella migliore delle ipotesi un pericoloso utopista. A sostenerlo è Pier Ferdinando Casini, presidente della Commissione Esteri del Senato.
Presidente Casini, il fatto del giorno è l’ipotesi che l’Italia bombardi lo Stato islamico in Iraq. Al di là dell’obbligato passaggio parlamentare, come valuta questa eventualità?
«Prima di tutti va detto siamo in un sistema di alleanze e non ne siamo pentiti, e già in Iraq siamo presenti, ai curdi abbiamo fornito armi, il tutto alla luce del sole e con il beneplacito del Parlamento. Per cui non c’è nessuno scandalo, e quello che sta succedendo si può sintetizzare così: gli americani chiedono agli alleati, tutti, un maggiore impegno in Afghanistan e in Iraq. Noi, rispetto agli altri, abbiamo già l’onere della presenza in Libano, con la missione Unifil 2, e in Afghanistan siamo presenti con forze rilevanti. In più, dietro l’angolo, c’è il problema, per noi rilevante, della Libia».
Il che porta a quale conclusione?
«Essere parte di un’alleanza significa che sarà in ambito Nato che, sulla base di una programmazione condivisa, si deciderà in quali teatri rafforzare la presenza. Nessun mistero, nessun scavalco del Parlamento.
Ma l’idea chiara, espressa da Renzi alle Nazioni Unite, che ci vuole una strategia globale per combattere il terrorismo e Daesh. Certo, se qualcuno pensa che la politica del governo e della maggioranza in Parlamento sia quella di combattere l’Isis sventolando le bandiere della pace, è un irresponsabile e nella migliore delle ipotesi un pericoloso utopista».
Il Vicino Oriente è in fiamme: Siria, Iraq, Libia, Yemen, la violenza che torna a scuotere Gerusalemme. Siamo di fronte al fallimento dell’Occidente in quella cruciale area del mondo?
«Siamo in presenza di alcuni errori molto gravi dell’Occidente. In Libia, abbiamo cacciato Gheddafi senza preoccuparci di quello che sarebbe venuto. In Iraq, Bush ha cacciato Saddam Hussein, e il giorno dopo si è consentito nel Paese una caccia ai sunniti che li ha spinti, per disperazione, a farsi reclutare da Daesh. Le buone intenzioni in politica internazionale vanno sempre tenute in considerazione, ma vanno anche gestite con intelligenza, se no si rischia di fare dei guai peggiori. E comunque, l’Occidente deve recuperare una capacità di dialogo con la Russia che oggi si sente non meno minacciata di noi, e non solo per possibile perdita delle basi militari in Siria, ma anche perché da Kunduz e dall’Afghanistan si stanno compattando talebani e “foreign fighters” che vengono dalle Repubbliche ex sovietiche e anche dalla Cecenia. Ritrovare una unità d’intenti e di azione con la Russia è una premessa per recuperare nel mondo islamico un
rapporto tra sunniti e sciiti, e anche all’interno della comunità sunnita dove le divisioni non sono meno laceranti».
Guerra in Siria. C’è chi sostiene che di fronte alla minaccia di Daesh, Bashar al-Assad rappresenti il “male minore”. È anche lei di questo avviso?
«Assad ha drammaticamente fallito. Il regime che fosse dittatoriale lo sappiamo tutti e non da oggi, come d’altro canto lo sono molti altri dell’area. Ora, è vero che non si potesse sperare che la Siria diventasse una democrazia di stampo anglosassone, però la situazione è sfuggita di mano: brutale repressione, uso di bombe contri i civili siriani ed altro ancora. La prova del fallimento totale del regime è che quel po’ di ceto medio siriano, anche alauita, sta fuggendo dal Paese cercando rifugio in Europa. Bashar al-Assad ha perso ogni credibilità ma la sua uscita di scena non può che essere graduale e gestita in accordo con la Russia. E qui torna la impellente necessità che Occidente e Russia si parlino e che anche il contenzioso sull’Ucraina venga superato nel pieno rispetto degli accordi di Minsk».
Dalla Siria all’Arabia Saudita. In Italia cresce la mobilitazione per salvare al vita di Ali al-Nimr, il giovane saudita condannato alla decapitazione e alla crocefissione. L’Unità ha lanciato la campagna “Free Nimr”…
«Leggo l’Unità da una vita e se penso al passato mi sembra incredibile di poter dire che la vostra iniziativa va veramente elogiata e copre un vuoto di sensibilità dell’Europa. L’Arabia Saudita è un Paese importante
ma certamente con l’Occidente deve chiarirsi su molti punti, a partire dal finanziamento del jihadismo, probabilmente dovuto alla convinzione di Riad di potersi così mettere al sicuro. I fatti hanno dimostrato che questa politica è miope. E comunque non dobbiamo fare sconti a nessuno. Se c’indigniamo per certi “vuoti” democratici in Iran, allo stesso modo dobbiamo affermare con forza che non c’è giustificazione alcuna alla decapitazione del giovane Ali e sensibilizzare l’opinione pubblica in tal senso».