postato il 10 Agosto 2016 | in "Esteri"

Libia: giusti i raid Usa a Sirte, l’Isis a un passo dalle nostre coste

10471952983_507e30d160_oL’intervista di Umberto De Giovannangeli,  pubblicata su L’Unità.

«La guerra di Sirte» e il ruolo che l’Italia sta giocando, o dovrebbe giocare, in Libia. Parte da questi temi di strettissima attualità, l’intervista a tutto campo al presidente della Commissione Esteri del Senato, Pier Ferdinando Casini.

Presidente Casini, in questo giorni in molti, e troppi senza cognizione di causa, si sono esercitati sulla “guerra di Sirte” e sul ruolo che l’Italia dovrebbe giocare. Qual è in proposito il suo punto di vista?
«A Sirte si gioca una battaglia che ci riguarda molto da vicino: l’Isis è a qualche centinaio di chilometri dalle coste italiane e un lusso che non possiamo permetterci è far finta di non vedere. Gli americani sono intervenuti rispondendo a una richiesta del governo libico legittimato dalla comunità internazionale, la loro azione è ineccepibile e per questo dobbiamo solo ringraziarli. L’intervento aereo era indispensabile per supportare l’azione da terra anti Daesh dei misuratini che, prima dei raid americani, avevano già contato 350 morti e 1800 feriti».
Di questo avviso non sono i Cinque Stelle. Di Battista, nel recente question time alla Camera della ministra della Difesa, Roberta Pinotti, ha parlato di «follia» in riferimento alla possibilità che l’Italia conceda l’uso della base di Sigonella per i raid su Sirte. 
«I Cinque Stelle hanno un tasso di confusione molto alto per quanto riguarda la politica estera. Basti pensare all’esito delle loro missioni in Europa e in Palestina. La concessione delle nostre basi agli americani è un atto dovuto. A meno che non vogliamo fare ponti d’oro agli esponenti del “Califfato” e magari invitarli a cena».
Restano le polemiche su ciò che l’Italia ha fatto o non ha fatto in Libia Presidente Casini: stiamo facendo troppo o troppo poco a Sirte e non solo?
«Voglio essere chiaro. Stiamo facendo il minimo indispensabile per non perdere credibilità internazionale. Non si può rivendicare per mesi il ruolo guida dell’Italia in Libia e poi essere così esitanti e timidi. Nelle prossime settimane dovremo riflettere molto su questo punto e porre anche in sede europea il tema di un atteggiamento unitario sulla Libia».
Perché, questa unità non esiste? 
«In Libia, l’Europa sta procedendo in ordine sparso. C’è chi collabora con Haftar e con l’Egitto, magari pensando ad una tripartizione della Libia e chi, come noi, sostiene il governo Sarraj, in sintonia con gli americani. Ma su questo non sbagliamo noi. Sono gli atteggiamenti altrui che richiedono spiegazioni serie. Non si può al mattino all’Onu, nel suo massimo organismo decisionale, il Consiglio di Sicurezza, dare via libera ad una legittimazione internazionale del Governo di Tripoli, e poi la sera fare l’opposto in sintonia con Haftar. Se si vuole essere credibili nello stabilizzare la Libia e nel combattere il terrorismo jihadista, occorre coerenza nei comportamenti e nel fare seguire alle parole i fatti, con un supporto concreto quanto tempestivo. Altrimenti si finisce per non risultare credibili».
Dalla Libia emerge un altro dato inquietante, soprattutto per quanto ci riguarda più da vicino: il legame operativo tra i jihadisti del Daesh, e non solo, e i trafficanti di esseri umani.

«Che i trafficanti possano contare sulla complicità dell’Isis è scontato da sempre. Che l’Isis abbia la regia occulta sugli arrivi dei rifugiati sulle nostre coste, mi è sembrato di capirlo dalle parole del ministro Orlando nei giorni scorsi. È esattamente quello che l’opposizione sostiene dà tempo. È un tema che deve essere chiarito in Parlamento alla ripresa dei lavori. Ambiguità e zone d’ombra su questo punto non sono possibili».
Presidente Casini, allargando l’orizzonte dalla Libia all’insieme del Vicino Oriente, le chiedo: qual è il segno di questa estate 2016?
«Purtroppo le cose stanno peggiorando. Le polemiche in Turchia e tra la Turchia di Erdogan e l’Europa; la situazione siro-irachena che forse potrà migliorare ma è ancora una speranza, perché la realtà oggi, specie in Siria, è rappresentata dalla tragedia dei 2 milioni di civili di Aleppo senza acqua né luce, ostaggi dell’esercito di Assad e delle milizie ribelli; il Sinai non stabilizzato; la Libia in questa situazione, non ci consentono certo di essere tranquilli, tanto più se a questi scenari fortemente instabili aggiungiamo un altro elemento che rende ancor più inquietante la situazione in Europa e per l’Europa…».
A cosa si riferisce?
«Alle propaggini terroristiche che vivono tra di noi, che risiedono in Europa e che minacciano la nostra convivenza. Al di là dei rifugiati, esistono tanti europei con doppio passaporto reclutati dal “Califfato”».
Papa Francesco ha ribadito di recente che quella in corso è una guerra ma non di religione. Ma allora cos’è?
«È una guerra nella quale qualcuno utilizza la religione e la piega per i suoi obiettivi, ma non è una guerra di religione. Non cadiamo nel tranello dell’Isis che vorrebbe proprio che l’Occidente dichiarasse guerra all’Islam».
Per restare in tema: qual è il suo giudizio sulla portata e il segno della “giornata di preghiera, di solidarietà e dialogo”, che ha visto, domenica 31 luglio, migliaia di fedeli musulmani entrare nelle chiese cattoliche in Italia e in Francia? 
«È stato un bel momento. Naturalmente mi piacerebbe sempre di più che il mondo islamico facesse sentire la propria voce senza reticenza e timidezza. Sono loro che possono dare un contributo decisivo in questa guerra».

 



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