postato il 1 Luglio 2016 | in "Esteri, Temi etici"

Contro yazidi e cristiani in atto un vero genocidio

yazidiL’intervista di Marco Ventura a Pier Ferdinando Casini, pubblicata su Il Messaggero

Un viaggio nell’inferno della guerra genocida dell’Isis in Iraq, nei territori curdi dove hanno trovato rifugio yazidi e cristiani.
Su 1 milione 800mila sfollati in 11 campi del Kurdistan iracheno, 360mila sono yazidi (su una popolazione totale yazida di 550mila), 3.500 le donne prigioniere dell’Isis, 22 le fosse comuni ritrovate, e 1.293 le vittime civili delle esecuzioni di massa.
Pier Ferdinando Casini, presidente della Commissione Esteri del Senato, è tornato da tre giorni di immersione nella realtà del conflitto. In una mozione chiede che questa guerra venga chiamata col suo nome, che è «genocidio».
«In Kurdistan ho incontrato il presidente dei curdi iracheni, Barzani, i nostri circa 500 militari che proteggeranno la Diga di Mosul durante i lavori di consolidamento, ho parlato con i peshmerga che insieme all’esercito iracheno si preparano a liberare Mosul mentre Falluja è stata riconquistata dagli sciiti iraniani. Ma l’incontro che mi ha colpito di più è quello con migliaia di sfollati costretti a fuggire dalla Piana di Ninive per l’offensiva dell’Isis dall’agosto 2014».

Quali testimonianze ha raccolto?

«I racconti di yazidi e cristiani sono terribili. La Chiesa locale cristiana sta facendo uno sforzo straordinario. Bisogna dare atto anche ai curdi di aver accolto e assistito gli sfollati, ricollocandoli il più possibile in appartamenti a Erbil. Le donne yazide hanno descritto una tragedia con pochi precedenti nella storia. Una signora è stata rapita e siccome aveva cercato di scappare, per punirla le hanno avvelenato i tre figli piccoli, di 3-6 anni. È riuscita a liberarsi dopo 2 anni e mezzo. La figlia di
13 anni l’hanno rapita e venduta come schiava sessuale. A un certo punto del colloquio ho dovuto chiederle di fermarsi, accanto a lei c’era una ragazzina di 11 anni che piangeva. Altri tremavano».
Per queste persone anche tornare nelle loro case è un problema?
«Per le yazide sì, le loro famiglie sono conservatrici. I primi a chiuder loro le porte in faccia al rientro sono le famiglie, per la vergogna. Sappiamo che cos’è successo nei lager nazisti, ho visitato Auschwitz, e appartengo alla generazione che ha dovuto convivere con i Gulag. Ma vivere in presa diretta quello che hanno sofferto queste persone, queste yazide, ci impone di reagire contro un genocidio che si sta perpetrando a poche ore di aereo dall’Italia».
Che cosa possiamo fare noi in Europa?

«Questo genocidio ci richiama al senso di responsabilità e umanità che ci deve far superare le divisioni tra Stati e indurre a combattere insieme l’Isis e a estirpare questo male assoluto. La tragedia nella tragedia è il rifiuto da parte delle famiglie yazide di accogliere le loro donne stuprate, che spesso hanno avuto i figli uccisi. Ma penso anche ai cristiani che per centinaia di anni hanno vissuto nella Piana di Ninive e una volta scacciati si sono visti traditi dai vicini di casa. L’Isis è bestiale, eppure tra i cristiani c’è anche risentimento e delusione verso i vicini di casa islamici che hanno occupato le loro case speculando sul dramma di un popolo».
Dobbiamo fare la guerra all’Isis?
«Responsabilità significa capire che la lotta contro l’Isis va condotta senza esitazioni. Non possiamo ogni volta indignarci per l’ennesimo attentato e poi abbassare di nuovo la guardia, che invece deve restare alta. I militari italiani che si trovano a Erbil sono una testimonianza concreta, sul terreno, che fa capire come non ci limitiamo ad aspettare che il male ci raggiunga qui».
La cooperazione italiana è presente?
«Sì, sta svolgendo un lavoro gigantesco. Una ventina di ONG italiane sono impegnate fra l’altro nelle scuole con i bambini, che hanno bisogno di una vera e propria ricostruzione psichica e morale. L’Isis ha fatto come Boko Haram in Africa, ha obbligato i fratelli a spararsi l’un contro l’altro per salvarsi la vita. Ha esercitato un barbaro terrore sui loro genitori. C’è da chiedersi come possiamo vivere pacificamente nel nostro tempo…».
Forse la guerra, anche da parte nostra, è inevitabile?
«C’è una Chiesa che soffre e noi abbiamo un dovere di solidarietà. Non si tratta di andare a fare la guerra lì, ma per esempio di fornire armi. E poi è importantissimo, è questo il senso della nostra mozione, che si proclami il genocidio di yazidi e cristiani della Piana di Ninive. Onore ai peshmerga curdi: in un Medio Oriente che obbliga i cristiani all’esodo, loro che non sono cristiani hanno aperto le loro città ai cristiani in fuga. Questo vuol dire che la fratellanza esiste e travolge le barriere religiose. Ma la tragedia ha unito gli stessi cristiani: cattolici, ortodossi e caldei reagiscono insieme, convivono nei campi comuni. E l’Europa deve cogliere anche altri segnali: è il momento di tendere una mano a Erdogan, che riaprendo il dialogo con Israele e Russia ha dimostrato di aver capito i suoi errori».



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