postato il 24 Dicembre 2014 | in "Spunti di riflessione"

Il sofferto Natale dei troppi cristiani perseguitati

La lettera pubblicata su Il Messaggero
Dobbiamo evitare un peccato di omissione che non potremmo mai farci perdonare: quello dell’indifferenza e del silenzio

Arriva il Natale, ma in molte parti del mondo per i cristiani sarà un giorno di passione e di sofferenza come noi possiamo solo immaginare. Secondo recenti rapporti i cristiani perseguitati a vario titolo sono 150 milioni. Dal primo novembre 2012 al 31 marzo 2014 sono stati uccisi, a causa della loro fede, almeno 5.479 cristiani, ma la cifra è approssimativa per difetto e non tiene conto dell’avanzata dell’Isis. In quel lasso di tempo si sono verificati oltre 13 mila atti di violenza contro i cristiani e 3.641 edifici, tra luoghi di culto, negozi e abitazioni sono stati rasi al suolo
Nel 2013 nel nord dell’Iraq le comunità cristiane hanno festeggiato la nascita di Gesù come facevano ogni anno, da duemila anni. Ma quest’anno a festeggiare, tra Mosul e la piana di Ninive, saranno molti di meno. Chi è sopravvissuto alla furia dei terroristi passerà il Natale da profugo, in rifugi di fortuna , lontano da casa, tra mille disagi e mille preoccupazioni. Non potranno non pensare, infatti, a tanti congiunti caduti sotto i colpi dei jihadisti, in combattimento, durante una fuga precipitosa o in vere e proprie esecuzioni. Sempre per lo stesso motivo: per non aver voluto abiurare la loro fede.
Non so se quest’anno si potrà festeggiare il Natale a Maloula e nei villaggi vicini, in Siria, gli unici luoghi dove da duemila anni si continua a parlare aramaico, la lingua di Gesù, ma chissà per quanto ancora. Villaggi rimasti cristiani, con i loro monasteri, sopravvissuti a millenni di guerre e di conquiste persiane, arabe, turche, e oggi spopolati i per l’avanzata della follia qaedista. In Siria, del milione e 750 mila cristiani presenti nel 2011, ne sono rimasti solo 700 mila, e sono sotto assedio, bersagli inermi di ogni forma di violenza, non solo del cosiddetto Daesh.

Ma anche al di fuori del Medio oriente martoriato le cose non vanno meglio. Penso ai cristiani del nord della Nigeria, che ogni volta che vanno a Messa, anche la notte di Natale, sanno di esporsi al rischio di un attentato o di un attacco. Dal 2009 i miliziani islamisti di Boko Haram hanno già provocato più di 13 mila morti e un milione e mezzo di sfollati, senza contare tutte le giovani donne rapite e costrette alla conversione coatta all’islam matrimoni forzosi o alla vendita come schiave. E penso alle loro famiglie che, pur senza rinunciare alla speranza, passeranno un Natale straziato dal dolore.
Ricordo Asia Bibi, la madre di 44 anni che trascorrerà in carcere il suo sesto Natale, in Pakistan, condannata a morte per blasfemia, con l’accusa, mai provata, di aver insultato l’islam, il solito espediente per regolare i conti con le minoranze religiose.
E non è facile neanche per i cristiani d’Ucraina, cattolici e ortodossi, dall’una o dall’altra parte del fronte: tutti devono fare ogni giorno i conti con la violenza e la sofferenza che hanno invaso le loro vite.

Tutto questo capita quando arriva una festa che per tutti, e non solo per i cristiani, significa pace, speranza e serenità. Mai come oggi siamo chiamati all’assunzione di responsabilità nuove. Dobbiamo evitare un peccato di omissione che non potremmo mai farci perdonare: quello dell’indifferenza e del silenzio.



Twitter


Connect

Facebook Fans

Hai già cliccato su “Mi piace”?

Instagram